Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato di Roberta Palmisano
Sommario: 1.Premessa. - 2.Il valore del cammino tra gli altri elementi del trattamento.- 3.L’esperienza dei cammini rieducativi in Italia e all’estero. - 4.L’avvio dell’esperienza del cammino dei detenuti in Italia
1.Premessa
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”: la Costituzione, all’art. 27 comma 3, oltre a questo precetto relativo alla umanità del trattamento, espresso in termini negativi e comune alle Costituzioni di quasi tutti gli altri Paesi, contiene un precetto espresso in termini positivi (“e devono tendere alla rieducazione del condannato”), elemento quasi esclusivo della nostra Costituzione.
La stessa Corte Costituzionale fin dal 1966 (sent. n. 12) ha spiegato che i due precetti devono essere letti in un contesto unitario perchè “da un lato infatti un trattamento penale ispirato a criteri di umanità è necessario presupposto per un'azione rieducativa del condannato; dall'altro è appunto in un'azione rieducativa che deve risolversi un trattamento umano e civile, se non si riduca a una inerte e passiva indulgenza”.
Ricostruire l’individuo nella sua relazione con la società è un obiettivo molto difficile e tutte le iniziative che mirano ad utilizzare il tempo della carcerazione, che vanno più in profondità rispetto alla “normalità del carcere”, sono una scommessa vinta.
Occorre arrivare più vicini al detenuto per attivare un processo di valorizzazione della sua individualità, di maggiore responsabilizzazione.
Alla finalità rieducativa è chiamata a partecipare non solo l’Amministrazione penitenziaria che gestisce l’esecuzione della pena e le altre istituzioni che ne sono garanti, ma l’intera società che vi partecipa innanzitutto attraverso il volontariato in prima linea insieme alle altre articolazioni dello Stato nell’opera di ricostruzione del detenuto. La gratuità e la spontaneità del gesto del volontario concorre molto più di altre azioni alla rieducazione del detenuto che sente di ricevere qualcosa in modo del tutto disinteressato.
2. Il valore del cammino tra gli altri elementi del trattamento
Qualunque iniziativa capace di sorreggere il percorso del condannato verso il rientro nella società, con atteggiamento di rispetto dell’altro, rientra nel complesso di azioni definite dall’art. 15 dell’ Ord. Pen. come “elementi del trattamento”; il condannato sviluppa così la volontà di autodeterminarsi rientrando nella società e nella vita di relazione, rispettando la legge e provvedendo ai suoi bisogni.
Vedere in televisione il bellissimo documentario “Boez – Andiamo via”, realizzato da Roberta Cortella e Marco Leopardi in collaborazione con il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che descrive il percorso di sei giovani adulti da Roma a Santa Maria di Leuca accompagnati per oltre 900 km da una guida e da un’educatrice, mi spinge a raccontare come è nata, circa dieci anni, fa la prima esperienza in Italia del cammino lungo la via Francigena come strumento di rieducazione rivolto ai detenuti adulti.
Quel progetto è nato dall’iniziativa del Rettore della Confraternita di San Jacopo di Compostella, Paolo Caucci von Saucken, professore ordinario di lingua e letteratura spagnola all’Università di Perugia e studioso delle vie del pellegrinaggio cristiano nel Medioevo.
Nel corso della storia in Italia quasi tutti i santuari più importanti erano meta di pellegrinaggi forzati, pena di diritto canonico e poi sanzione penale, comminata ai condannati calibrando il percorso per distanza e difficoltà a seconda del peccato o del reato commesso. Anche numerosi Comuni del Nord Europa, come si ricava dai loro Statuti, comminavano il pellegrinaggio come sanzione civile.
Il Cammino di Santiago esiste fin dal Medioevo e al di là della dimensione religiosa esso si fonda su contenuti ulteriori.
In una prospettiva laica il viaggio verso una meta è cammino di introspezione e di conoscenza, occasione di revisione critica, di riflessione sui propri comportamenti.
In relazione alla pena detentiva, il “percorso” penitenziario richiama l’idea di una via o di un cammino per il riconoscimento degli illeciti compiuti attraverso la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni.
Nel cammino il detenuto è sradicato dalla realtà dalla quale proviene ed è posto di fronte alle proprie responsabilità, e soprattutto di fronte alle proprie possibilità così da preparare il suo ritorno alla società civile.
Il cammino propone un radicale cambiamento, la possibilità di sperimentare nuovi aspetti della personalità. Percorrendo le strade di un nuovo Paese, una nuova lingua, un nuovo ambiente, si interrompe un “giro vizioso”, ci si responsabilizza riprendendo in mano le redini della propria vita.
Il viaggio è preceduto da un periodo di preparazione (fisica e psicologica) in cui accompagnatore, ragazzi o adulti si conoscono reciprocamente e si prende confidenza con l’attrezzatura.
Percorrere una media di 20-25 chilometri al giorno richiede uno sforzo notevole e la capacità di acquisire abilità pratiche, ma soprattutto offre la possibilità di incontrare persone, di parlare una nuova lingua, di apprezzare il valore della natura e la bellezza dei posti.
L’accompagnatore, con cui condividere compiti e decisioni durante il viaggio, ha un ruolo fondamentale, non deve essere necessariamente un terapeuta o un educatore ma è richiesta una certa esperienza di vita, una personalità stabile e una forte empatia.
Il contatto con la natura e con i luoghi storici, la condivisione con una piccola comunità che cammina insieme, la generosità degli accompagnatori, il ritrovarsi tra pari, mettersi in gioco, affrontare la fatica fisica diventano una opportunità.
3.L’esperienza dei cammini rieducativi in Italia e all’estero.
Partendo da questi presupposti fin dal 1982 in Belgio, alcuni giudici hanno iniziato a prevedere il Cammino di Santiago di Compostela come pena alternativa al carcere per i minori. Si procedette per gradi, all’inizio con brevi pellegrinaggi, fino a delineare un programma di rieducazione per detenuti minorenni che, accompagnati dai volontari dell’organizzazione Oikoten (parola greca che significa “lontano da casa” “con le proprie forze”), percorrono più di 2.500 km e alla meta conquistano la libertà.
Nel 2009 gli stessi giornalisti Roberta Cortella e Marco Leopardi hanno seguito per quattro mesi il cammino di due di questi giovani detenuti realizzando il documentario intitolato “La retta via” che, attraverso le interviste realizzate successivamente a distanza di tempo, dava anche conto dei risultati conseguiti dai protagonisti di quel viaggio.
I cammini educativi sono stati introdotti in Francia fin dal 2000 dall’organizzazione “Seuil” (che in francese significa “soglia”, limite da varcare per entrare in una nuova vita e reintegrarsi nella società) e anche in Spagna dal carcere della Trinidad di Barcellona, da quello di Nanclares de Oca e da quello di Albacete sono partiti per il Cammino di Santiago gruppi di reclusi minorenni e adulti accompagnati da funzionari di vigilanza e volontari.
E’ del 2007 la pubblicazione “La funzione educativa del cammino” frutto del lavoro di un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre che ha studiato l’esperienza del cammino a piedi come proposta educativa e formativa per un gruppo di ragazzi “a rischio”, accompagnati tra Spoleto e Assisi. Nell’introduzione alla pubblicazione, il cammino a piedi è stato definito “una pratica che porta scompiglio perché decongela, modifica, riformula pensieri impigliati nel senso comune, emozioni cristallizzate; provoca nuovi orientamenti di percorsi fuori da strade tacite, scontate, per fermarsi a pensare, godere, sognare, amare, prendersi cura del futuro”.
Più recentemente l’associazione Oikoten fusa con l’organizzazione belga ”Alba” che si occupa di disagio giovanile ha costituito un network con associazioni francesi (“Seuil”), tedesche (“Bischof-Benno-Haus”) e italiane (“Lunghi cammini” e “L’Oasi”), sotto la direzione dell’Università di Scienze Applicate di Dresda (FHD), nell’ambito del progetto Erasmus “Between Ages”, con l’obiettivo di favorire lo scambio di buone pratiche nel campo del recupero e del reinserimento sociale di giovani sottoposti a misure penali.
Anche altre Associazioni realizzano esperienze di aiuto per soggetti svantaggiati attraverso il cammino a piedi, tra cui la Cooperativa sociale Fraternità Impronta di Ospitaletto, in provincia di Brescia, che nel 2017 ha selezionato e accompagnato un gruppo di ragazzi tra i 17 e i 19 anni che avevano commesso reati, ospiti delle sue strutture, su un percorso di 200 km fino a Santiago di Compostela.
Tornando alla Confraternita di San Jacopo di Compostella raccolsi quindi il suggerimento del Prof. Caucci organizzando un incontro il 9 aprile 2010 a Roma nella sede dello Spedale della Provvidenza di San Giacomo e San Benedetto Labre, gestito dal Capitolo romano della Confraternita, luogo di accoglienza che dà ospitalità ai pellegrini in arrivo e in partenza da Roma. All’incontro presero parte tra gli altri Giovanni Tamburino, allora presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, il Direttore dell’Esecuzione Penale esterna del DAP, il comandante del carcere di Bollate e il cappellano del carcere di Rebibbia.
La Confraternita, un’istituzione fondata a Perugia nel 1981 con la finalità di promuovere la pratica del pellegrinaggio, da sempre rappresenta il supporto culturale e organizzativo sul territorio per il passaggio dei pellegrini e da anni si occupa di studiare e segnare le principali vie di pellegrinaggio. Monica D’Atti, volontaria dell’associazione, ha personalmente provveduto a segnare la via Francigena scrivendo nel 2001 la prima guida, corredata di preziose carte, cui nel 2010 è seguita la pubblicazione della prima guida della cosiddetta Francigena del sud, da Roma ai porti pugliesi per la Terra Santa.
4.L’avvio dell’esperienza del cammino dei detenuti in Italia
Ho creduto fin dall’inizio nel prezioso spirito di servizio che muove i volontari accompagnatori e nell’importanza di riuscire a realizzare in Italia un progetto indirizzato ai detenuti.
Così il primo gruppo di reclusi nel carcere di Rebibbia, preparato e accompagnato da volontari della Confraternita, si è messo in cammino sulla via Francigena il 5 giugno del 2011 nel percorso di 168 chilometri fra Radicofani e Roma coperto in otto giorni condividendo, detenuti e accompagnatori, ogni aspetto del cammino, in semplicità.
La Confraternita ha curato l’organizzazione del cammino per i detenuti anche negli anni successivi e lungo percorsi diversi.
Nel 2013 sono stati coinvolti 30 detenuti suddivisi in tre gruppi ciascuno dei quali ha percorso rispettivamente il percorso classico da Radicofani, la Francigena del Sud da Montecassino e l’antica via Amerina da Assisi, per ricongiungersi a piazza San Pietro durante l’udienza di Papa Francesco che li ha voluti accanto a sé sul sagrato.
Nel 2015 i volontari del capitolo sardo hanno accompagnato un gruppo di detenuti anche lungo il Cammino della Visitazione nel nuorese.
Nel 2017 il cammino ha preso l’avvio presso la cattedrale di San Zeno a Pistoia.
Più recentemente l’avv. Marina Binda, volontaria della Confraternita, ha continuato ad animare le ultime edizioni dandone testimonianza anche tramite la pubblicazione di un diario scritto lungo il percorso.
Va premesso che non si può aderire ad una prospettiva religiosa del cammino, discriminatoria nei confronti di coloro che non la condividono.
Venendo allo strumento utilizzato all’interno della realtà della esecuzione penale, i detenuti (le richieste sono state sempre più numerose rispetto al numero di posti disponibili) hanno speso parte dei 45 giorni a loro disposizione a titolo di permesso premio ex art. 30-ter Ord. Pen. perché il magistrato di sorveglianza ha ritenuto il percorso/pellegrinaggio conforme a un interesse culturale ed a una pregnante finalità rieducativa.
Nel 2018 il giudice del Tribunale per i Minori di Venezia ha accolto la proposta formulata dalla Lunghi Cammini Onlus, associazione che si occupa di realizzare lunghi cammini educativi per minori, di effettuare il cammino di Santiago di Compostela nell’ambito di un programma di messa alla prova.
Con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della messa alla prova per gli adulti l’esperienza potrebbe trovare applicazione nel Tribunale ordinario dovendo considerarsi l’indubbio rilievo sociale del cammino e l’effettivo sostegno rappresentato dal percorso a piedi per la “presa in carico” del reo nei cui confronti sospende il procedimento.