ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Nullità del decreto di archiviazione e novità per il giudice del processo.
di Stefania Donadeo
L’art. 410 bis c.p.p. prevede distinte ipotesi di nullità del decreto di archiviazione. Introduce tale articolo una novità in tema di nullità del decreto di archiviazione?
Invero la novità è legislativa ma non giurisprudenziale avendo detta riforma, come accade anche per altri istituti, recepito i principi di diritto espressi dalla Corte Costituzionale e dalla Suprema Corte a Sezioni unite.
Quindi assistiamo alla traduzione in norme giuridiche di principi di diritto espressi più e più volte.
La prima ipotesi di nullità codificata dalla riforma riguarda il decreto emesso in mancanza dell’avviso alla persona offesa di presentazione della richiesta di archiviazione (art. 408, commi 2 e 3 bis, c.p.p.), oppure dell’omologo avviso, dovuto – in materia di particolare tenuità del fatto (art. 411, c. 1 bis, c.p.p.) – sia alla persona sottoposta alle indagini sia alla persona offesa.
Il decreto è poi nullo, se emesso «prima che il termine di cui ai commi 3 e 3-bis del medesimo articolo 408 sia scaduto senza che sia stato presentato l’atto di opposizione».
L’intento è quello di lasciare alla persona offesa la possibilità di sfruttare tutto il tempo concessole dall’art. 408 c.p.p.; per questo motivo, viene stabilita l’invalidità del provvedimento di archiviazione emesso prima dell’esaurimento di tale periodo (venti o trenta giorni dalla ricezione dell’avviso, a seconda del reato perseguito), salvo naturalmente il caso in cui pure la vittima sia stata piuttosto celere e abbia presentato opposizione antecedentemente alla decisione.
Infine, è nullo il decreto qualora il giudice abbia deciso sulla richiesta di archiviazione, omettendo di pronunciarsi sull’ammissibilità dell’opposizione presentata, oppure – si legge – <abbia dichiarato l’opposizione inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell’articolo 410, comma 1».
Viene dunque ribadita l’obbligatorietà di una pronuncia sull’ammissibilità dell’opposizione (può il giudice dichiararla inammissibile solo nei casi in cui non siano stati indicati l’oggetto dell’investigazione suppletiva ed i relativi elementi di prova), ma il giudice resta pur sempre libero – almeno sotto il profilo delle sanzioni processuali – di ignorarne il merito.
Come detto in premessa il legislatore ha tradotto in norme i principi chiaramente espressi dalla Suprema Corte e dalla Corte Costituzionale.
In particolare la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare il principio in base al quale “dalla disciplina unitaria dell’archiviazione, che va interpretata “secundum constitutionem”, la persona offesa è legittimata a proporre ricorso per Cassazione sia quando l’archiviazione sia stata pronunciata dal Gip in esito all’udienza in camera di consiglio senza che di tale udienza le sia stato dato avviso sia se essa parte offesa sia stata privata dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal P.M., nonostante la sua espressa domanda di essere preavvisata” ( Corte Cost. 16.7.1991 n. 353).
la Corte di Cassazione a sezioni semplici aveva altresì precisato che tale nullità ricorre anche qualora il G.I.P. non abbia tenuto conto dell’opposizione ritualmente presentata ovvero ne abbia illegittimamente dichiarato l’inammissibilità [Cass., sez. un., 14 febbraio 1996, n. 2, Testa, in Cass. pen., 1996, p. 2168] e, infine, qualora il decreto sia stato emesso in pendenza del termine per proporre opposizione [Cass., sez. VI, 19 aprile 1995, n. 1450, in Cass. pen., 1996, p. 3342].
Anche sul punto della inammissibilità già si era espressa la Corte di Cassazione ed a Sezioni unite 14.2.’96 n.2 :“è impugnabile mediante ricorso per cassazione il decreto di archiviazione carente di motivazione in ordine all’inammissibilità dell’opposizione proposta dalla persona offesa dal reato ai sensi dell’art. 410 c.p.p..l’arbitraria ovvero illegittima declaratoria di inammissibilità sacrifica infatti il diritto al contraddittorio della parte offesa in termini equivalenti o maggiormente lesivi rispetto all’ipotesi di mancato avviso per l’udienza camerale, sicchè il predetto vizio del provvedimento è riconducibile alle ipotesi di impugnabilità contemplate dall’art. 409 co 6 c.p.p. ed ai casi di ricorso indicati dall’art. 606 l.c) c.p.p.
L’ultima ipotesi di nullità esaminata – caratterizzata da un testo di difficile lettura – sembra voler affermare che il giudicante possa dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione solo nelle ipotesi ex art. 410, comma 1, c.p.p., vale a dire qualora non siano stati indicati «l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova».
In proposito, si profila un problema di coordinamento con le previsioni in materia di particolare tenuità del fatto, non essendo richiamata la causa di inammissibilità enunciata dal comma 1-bis dell’art. 411 c.p.p., che indica quale sola ipotesi di inammissibilità “la mancata indicazione delle ragioni del dissenso rispetto alla richiesta del P.M.”
Per quanto riguarda la nullità dell’ordinanza di archiviazione, il legislatore si è limitato a rimodellare l’abrogato art. 409, comma 6, c.p.p., stabilendo, al comma 2 del nuovo art. 410 bis, che «l’ordinanza di archiviazione è nulla solo nei casi previsti dall’articolo 127, comma 5», vale a dire nelle ipotesi di «mancato avviso dell’udienza; mancata indicazione dei destinatari dell’avviso se comparsi; mancato rinvio dell’udienza se l’imputato legittimamente impedito ha chiesto di essere sentito personalmente; mancato avviso all’interessato detenuto in altra sede che può essere sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo nonchè mancata ottemperanza alla richiesta di essere sentito avanzata dall’interessato al magistrato di sorveglianza».
La vera novità è nel regime dell’impugnazione del provvedimento nullo ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 410 bis c.p.p.
Al fine di far valere le illustrate nullità, è introdotto un nuovo procedimento che sostituisce il ricorso per Cassazione – come emerge dall’abrogazione dell’art. 409, comma 6 – all’evidente fine di decongestionare il Supremo collegio: l’interessato «entro quindici giorni dalla conoscenza del provvedimento» può presentare un «reclamo innanzi al tribunale in composizione monocratica». Il tribunale decide «con ordinanza non impugnabile, senza intervento delle parti interessate», le quali avranno la possibilità di «presentare memorie non oltre il quinto giorno precedente l’udienza».
Il soggetto legittimato a impugnare è qualificato semplicemente come «l’interessato»: si tratta della persona offesa, dell’indagato nel caso in cui sia stato omesso l’avviso della richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, oppure anche del P.M. (come si evince dalla diversa terminologia riservata dal legislatore all’ipotesi in cui il Tribunale, respingendo il reclamo, condanni la sola “parte privata” che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento).
Il Tribunale decide “senza l’intervento delle parti interessate”.
Questo inciso dovrebbe significare che il giudice decide de plano ovvero senza formalità procedurali ( come nei casi di cui all’art. 667 co 4 c.p.p., richiamato dall’art. 672 c.p.p.e 676 c.p.p.) con successiva comunicazione alle parti.
Ma così non è perché l’inciso successivo recita “ previo avviso, almeno dieci giorni prima, dell’udienza fissata per la decisione alle parti medesime, che possono presentare memorie non oltre il quinto giorno precedente l’udienza”.
Dunque il giudice deve fissare udienza, deve darne avviso 10 giorni precedenti la stessa, deve avvisare le parti che hanno facoltà di depositare memorie.
Possiamo ritenere, sulla base di un’interpretazione sistematica della disciplina delle archiviazioni, che per decisione da prendere “senza l’intervento delle parti” debba intendersi “decisione presa all’esito dell’udienza dopo l’eventuale deposito di memorie senza la necessaria partecipazione delle parti interessate.
A tale conclusione si giunge applicando le disposizioni previste dagli artt. 409 e 127 C.P.P. ( le parti sono sentite se compaiono”).”
E’ altresì possibile un’altra lettura della norma ed equiparare detto procedimento avverso il reclamo ex artt. 410 bis c.p.p. al procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione disciplinato dall’art. 611 c.p.p. e relativo ai casi in cui la Suprema Corte decide in camera di consiglio “sui motivi, sulle richieste del procuratore generale, e sulle memorie delle altre parti, senza l’intervento dei difensori e del procuratore generale”.
Un’ argomentazione a favore di detta applicazione è certamente quella relativa alla funzione del Giudice del reclamo che è quella di legittimità e non di merito.
Tuttavia l’art. 611 c.p.p. precisa- a differenza dell’art. 410 bis c.p.p.- che detta procedura è “ in deroga a quanto previsto dall’art. 127 c.p.p.”
Inoltre l’art. 611 c.p.p. disciplina il procedimento della Suprema Corte in camera di consiglio (quando deve decidere su ricorsi contro provvedimenti non emessi in dibattimento), mentre l’art. 410 bis preve la fissazione “dell’ udienza” ai fini della decisione del reclamo.
Quanto alla decisione il Tribunale ha a disposizione tre diverse valutazioni:
a)può anzitutto dichiarare inammissibile il reclamo, ad esempio perché presentato fuori termini;
b) se invece la doglianza è fondata, procede all’annullamento, ordinando poi la restituzione degli atti al giudice per le indagini preliminari che ha emesso il provvedimento;
c) si limita a confermare il provvedimento rigettando il reclamo.
Attenzione: Nel caso rigetti il reclamo, il tribunale condanna la parte privata al pagamento delle spese del procedimento. Nel caso lo dichiari inammissibile, il tribunale condanna la parte privata, oltre alle spese del procedimento, anche al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, nella misura stabilita dall’art. 616 c.p.p..
In proposito, l’art. 1 comma 64 della legge 23.6.’17 Decreto Orlando consente al giudice di aumentare fino al triplo l’ammontare, in considerazione della causa di inammissibilità. Anche questo intervento è previsto in chiave deflattiva.
In tutti i casi di eccepita nullità, resta preclusa al tribunale la possibilità di censurare il merito della decisione.
Nel caso in cui il reclamo ha ad oggetto il merito della decisione del gip il tribunale non dovrà rigettare il reclamo ma dichiararlo inammissibile. Potrà farlo de plano, come stabilisce l’art. 127 co 9 c.p.p. oppure deve in ogni caso fissare udienza?
Si comprende facilmente che la fissazione dell’udienza comporta l’instaurazione di una procedura complessa- con deposito di memorie di parte- in evidente contrasto con quel principio di ragionevolezza dei tempi del processo che ha ispirato la Riforma. Quindi se in parte, minima, è stato decongestionato il lavoro della Suprema Corte, dall’altro lato la procedura appare farraginosa e dispendiosa.
Non si può non rilevare che anche in altra occasione la presente Riforma sembra voler instaurare il contraddittorio anche in relazione alla dichiarazione di inammissibilità: E’ l’ipotesi disciplinata dall’artt. 458 c.p.p. ovvero del giudizio abbreviato richiesto dopo l’emissione del decreto di giudizio immediato. Qui il legislatore ha eliminato l’inciso “se la richiesta è ammissibile” ed ha statuito “fissa l’udienza in camera di consiglio”.

Lo Stato contro Fritz Bauer
Il racconto della vicenda del magistrato le cui indagini portarono alla cattura di Adolf Eichmann, quale punto di vista sul difficile percorso della giustizia post olocausto.
di Filippo Ruggiero
Un magistrato è andato in televisione; questa volta la trasmissione non ha avuto per oggetto questioni di cronaca giudiziaria o riforme legisltative ad uso e consumo del dibattito politico, ma si è trattato di incontrare un gruppo di giovani e rispondere alle loro domande sulla generazione precedente: il magistrato in questione è Fritz Bauer, Procuratore Generale dell’Assia nel secondo dopoguerra, dal 1956 alla sua morte nel 1968.
Con un filmato di archivio che documenta questa apparizione televisiva si apre Lo Stato contro Fritz Bauer, film del regista Lars Kraume, produzione tedesca, vincitore del premio del pubblico al Festival di Locarno 2015.
La vicenda narrata si colloca alla fine degli anni ’50, quando Bauer era impegnato ad indagare su alcuni dei maggiori crimini di apparato compiuti durante il regime nazista, e si sviluppa, in particolare, seguendo le indagini che portarono, nel 1960, alla cattura in Argentina di Adolf Eichmann.
In questo contesto, Bauer è chiamato a confrontarsi con un clima freddo, tangibile oltre che nelle sfere della politica, tra gli stessi colleghi, nella polizia, nei servizi e comunque negli apparati chiamati a collaborare nelle indagini, dove in gran parte continuano ad operare le stesse persone che vi avevano operato durante il periodo totalitario. Emerge quindi un clima di aperta ostilità da parte di coloro che, come via di fuga dalle responsabilità storiche, prima ancora che giudiziarie, aspirano a mettere da parte un passato scomodo, come un argomento troppo grande con cui non è dato confrontarsi: l’incapacità di uno Stato di fermarsi a riflettere e fare i conti con il proprio passato.
Questa incapacità e questa ostilità si toccano nell’incontro televisivo che il Procuratore Bauer ha con il gruppo di giovani, quando lui viene apertamente accusato di avere trascinato, con le sue indagini, la Germania nel fango, gettando cattiva luce su quello che ormai è diventato uno stato democratico, mentre nell’ottica dei suoi interlocutori il periodo buio è ormai alle spalle, per sempre superato, con l’affermazione per cui ormai la Germania ha una Costituzione democratica, della quale può andare orgogliosa.
Qui si richiama quel costituzionalismo per cui la costituzione non è solo testo normativo fondamentale contenente l’insieme degli elementi qualificanti un dato sistema, ma è al contempo manifesto politico, che non si limita a descrivere l’essere di un’organizzazione, ma indica i principi verso cui tale organizzazione aspira. In tale ottica, quello che Bauer rappresenta è che non è sufficiente avere una costituzione democratica, ma è necessario fare pratica quotidiana dei principi e dei valori che essa esprime per mantenerla viva e svilupparla.
Nella narrazione, la figura di Bauer ad un certo punto si trova anche davanti all’eterna scelta tra leggi degli uomini e giustizia, quando osteggiato dalle forze di polizia tedesca non collaborative nelle indagini su Eichmann, valuta se tessere rapporti con i servizi israeliani, cosa che implicherebbe alto tradimento. Se le scelte di Bauer, quali esse siano, possono apparire condizionate da spinte di carattere personale derivate dalla sua militanza giovanile durante la Repubblica di Weimer nel partito socialdemocratico e il successivo esilio durante il periodo nazista, nella narrazione trova spazio la figura del giovane procuratore di Stato Angermann: nel momento in cui tutto spinge verso una chiusura nel privato, soggetto al ricatto perpetrato dalle forze di polizia nei suoi confronti (atti contrari al buon costume, ndr), Angermann incurante compie la scelta personalmente più difficile, ma che realizza quell’esercizio quotidiano dei principi di democrazia che la Costituzione richiede, avendo trovato in Bauer l’esempio.
L’attività di Bauer ha avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione del Processo di Francoforte, tenutosi tra il 1963 ed il 1965 nei confronti di ventidue imputati accusati di crimini commessi nel campo di concentramento di Auschwitz.
Il nostro "romanzo civile" è scritto sopratutto dalle donne
di Andrea Apolloni
Nello straordinario film "Una giornata particolare", ambientato nel 1938, Marcello Mastroianni sfoglia l'album dei ritagli di giornale raccolti da una donna della piccola borghesia italiana, innamorata (lei assieme a tutta la borghesia del tempo) di Mussolini. Si imbatte quindi in una frase, che legge ad alta voce: "Inconciliabile con la fisiologia e la psicologia femminile, il Genio è soltanto maschio. M.". La sequenza successiva rimarrà nella storia del cinema: lui, Mastroianni, chiede alla splendida Sophia Loren, la borghese, fascistissima convinta, cosa ne pensasse, e lei, incredula e impacciata ma ricordandosi che era pur sempre una frase di Mussolini, risponde: "E certo che sono d'accordo".
L'8 marzo non solo vuole ricordarci che è davvero esistita quella mentalità primitiva - che se esistesse oggi dovrebbe qualificarsi pura demenza; e non vogliamo credere che esista -, ma anche invogliare a guardarci attorno, per prendere atto di una realtà in cui la componente più attiva, determinata, più credibile e carica di futuro è proprio quella femminile. I cui modelli, tuttavia, molto spesso non trovano risalto nella sfera pubblica, un po' perché ancora dobbiamo smaltire tutta la risulta di quella mentalità primitiva, un po' perché l'esempio, se è tale, è anche a sé bastevole: in fondo, non ha bisogno di proiezioni né di appendici.
Ho in mente due storie, per l'appunto poco - anzi affatto - citate: quelle di Giuliana Saladino e di Susanna Crispino. Due storie molto diverse, anzitutto per generazione (quando Giuliana moriva, nel 1999, a 74 anni, Susanna frequentava ancora la scuola elementare), ma accomunate da un luogo (Palermo) e da una stessa, travolgente e fattiva passione civile.
Giuliana, giornalista, è stata la voce più graffiante del quotidiano siciliano L'Ora, l'unico foglio che, senza infingimenti, ha avversato Cosa nostra, dileggiandola; e nonostante le minacce, le rappresaglie, la tragica fine del cronista Mauro de Mauro, e nonostante l'essere donna in Sicilia negli anni Settanta, ha scritto sulla mafia le pagine più dure e abrasive. Quasi nessuno sa che fu lei a guidare il "Comitato dei lenzuoli", quella rivoluzione gentile che dopo la morte di Giovanni Falcone voleva cambiare la città di Palermo e il suo modo di rassegnarsi, puntualmente, dopo ogni strage. Dicevamo che spesso i modelli femminili non sono autoreferenziali. Ebbene, l'anno dopo la sua morte uscì "Romanzo civile", la biografia di Lillo Roxas, suo amico fraterno, tenuta nel cassetto fino alla fine; e tra quelle pagine traspare che è stata lei ad aver scritto un romanzo civile, sì, ma con la sua stessa vita.
E in coda a questa storia, o piuttosto a proseguirla, sta Susanna Crispino, giovanissima giurista, attivista antimafia, tragicamente scomparsa un anno fa: il 4 marzo 2018. Da Caserta, sbarcata a Palermo per studiare giurisprudenza cavalcando un sogno che è anche un ideale, era entrata nelle associazioni antimafia siciliane più attive: seguiva i processi sulle stragi mafiose, rendeva testimonianza concreta del cambiamento, nel frattempo conseguiva la laurea con lode per proseguire il percorso: quel 4 marzo stava chiudendo un dottorato, e poi - ne sono certo - sarebbe entrata in magistratura, perché questo voleva. Il suo esempio - oggi si direbbe: lo spirito-guida - era Paolo Borsellino; e lei si è resa esempio, a sua volta.
Due donne - due tra tutte - che non ci sono più; ma si tratta soltanto di non poterle più riabbracciare, di non poterci più parlare. Esse sono, infatti, protagoniste assolute del nostro "romanzo civile", che ci raccoglie tutti, senza eccezione: perché se le mafie, siciliane e non, sono ridotte al lumicino, se oggi sappiamo - anzi, siamo certi - che la malapianta mafiosa può essere estirpata, per sempre e dovunque, se oggi ci riconosciamo in una collettività migliore, consapevole dei propri diritti, primo tra tutti quello di non lasciarsi intimorire né corrompere, lo dobbiamo anche a Giuliana e Susanna, e poi a tutti coloro che hanno seguito e seguono il loro esempio "civile".
Lo dobbiamo sopratutto alle donne. E a proposito: quando penso alla figura femminile, la mente torna sempre ad un quadro di Tintoretto, Susanna e i vecchioni, che racconta l'episodio biblico di Susanna, insidiata da due uomini anziani, che intendono approfittare di lei. Il pittore veneziano declina la scena a suo modo: i vecchioni vengono ridicolizzati, ritratti cioè in pose assurde, mentre la donna, per nulla impaurita (come invece la si ritraeva di solito in quest'episodio), occupa con la sua bellezza il centro del quadro. E' indifferente, ma non inconsapevole, indaffarata a prepararsi per qualcosa: e quel qualcosa, per la donna, è il futuro. Non per caso Susanna è anche una delle donne che ho voluto ricordare, poiché anche lei si stava preparando per il futuro; non ha potuto continuare a scrivere il suo "romanzo civile", ma ha lasciato dopo di sé indicazioni precise, e dietro di sé tracce luminose.
LA LEGGE N. 3 DEL 2019,c.d. “SPAZZACORROTTI”: COSA CAMBIA? di Graziella Viscomi
Con l. n. 3/2019 rubricata “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché' in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” il Legislatore si è proposto di contrastare con maggiore efficacia la corruzione, freno allo sviluppo economico del Paese. Sulla scia della Riforma Orlando ha ulteriormente ampliato gli strumenti di investigazione parificando la normativa a quella dei reati di mafia. Vera novità dell’approccio al contrasto dei reati con maggiore disvalore fra quelli che offendono la p.a. è il sistema delle pene accessorie, nonché gli strumenti di “prevenzione”. Del tutto sui generis e meritevole di commento si appalesa la disciplina del “collaboratore di giustizia” di taluni reati contro la p.a., sebbene la su figura sia circondata da tanti e tali paletti da risultare di difficile attuazione un incentivo alla collaborazione. Il Legislatore ha inciso sul patteggiamento, mancando -tuttavia- di coordinare la figura con la ratio deflattiva che è alla base del rito alternativo. Il Legislatore appare più preoccupato di dare una parvenza di efficacia della normativa di contrasto, trascurando la sua efficienza. L’incidenza della novella sulla prescrizione è tutta da vedere poiché non entra in vigore immediatamente. Ancora alla prova della disciplina posta dalla Riforma Orlando, dunque, un altro correttivo cerca di arginare il rischio della scure del tempo sul processo, trascurando di considerare la portata di altri interventi che incidendo sulla macchina giudiziaria ne prevengano l’arrugginimento*
* testo della relazione all’incontro di studio organizzato dalla Formazione Decentrata del Distretto di Catanzaro tenutosi presso la Corte d’Appello di Catanzaro il 14 febbraio 2019.
SOMMARIO: 1. La causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter c.p..-2.Le pene accessorie. L’art. 32 quater c.p., l’art. 317 bis c.p., le novità in tema di patteggiamento, gli effetti sulla sospensione condizionale della pena. Il regime di “prevenzione”.-3. Interventi sulla prescrizione.-4. Gli strumenti di investigazione.-5. Le modifiche. - 6. Conclusioni
1.La causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter c.p. Spicca, indubbiamente, la nuova causa di non punibilità cristallizzata nell’art. 323 ter c.p. Testualmente essa recita:
“Non è punibile chi ha commesso taluno dei fatti previsti dagli artt. 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 bis, limitatamente ai delitti di corruzione ed induzione indebita ivi indicati, 353, 353 bis e 354 e ss, prima di avere notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini in relazione a tali fatti e comunque entro quattro mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili.
La non punibilità del denunciante è subordinata alla messa a disposizione dell’utilità dallo stesso percepita o in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero alla indicazione di elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma.
La causa di non punibilità non si applica quando la denuncia di cui al primo comma è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato. La causa di non punibilità non si applica in favore dell’agente sotto copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell’art. 9 della Legge 16 marzo 2006, n. 146”.
La disposizione surriportata pone immediati problemi di sistema ed interpretativi. Sotto un primo profilo, infatti, essa appare istituire una disciplina ad hoc del “collaboratore di giustizia da reato di pubblica amministrazione” decisamente meno favorevole rispetto a quella del collaboratore di giustizia del reato mafioso. Spiccano, difatti, le stringenti condizioni che debbono ricorrere affinchè la causa di non punibilità risulti realizzata. La considerazione si riallaccia ai problemi interpretativi cui si è fatto cenno.
In primo luogo, il limite temporale: la disposizione individua un termine entro il quale il reo deve “pentirsi” per poter beneficiare, se realizzate anche le altre condizioni, della condizione in commento. Tale termine è rappresentato dalla anteriorità della conoscenza “che nei suoi confronti sono svolte indagini”. Primo problema: si tratta di un termine di diritto o di fatto? Nel primo caso, infatti, vi sarebbe un dato certo ed oggettivo idoneo ad ancorare la verificazione del limite temporale corrispondente al primo atto dell’a.g. con il quale l’indagato ha contezza del procedimento (es. esito di una certificazione ex art. 335 c.p.p., notificazione di un atto garantito o dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, notificazione di una richiesta di proroga indagini). Epperò tale oggettività potrebbe non soddisfare l’intento del legislatore di favorire il pentimento “spontaneo” (espressione che effettivamente viene utilizzata nelle righe successive della disposizione) a discapito di quello determinato dalla paura per le conseguenze del reato. E’ ben possibile, infatti, che il reo abbia contezza dell’indagine per il compimento di atti di discovery che ancora non riguardano espressamente la sua persona (si pensi all’acquisizione di atti presso la p.a. in cui lo stesso opera e che include provvedimenti a sua firma) oppure all’evenienza in cui il nominativo dell’interessato sorga in fase avanzata ad atti di indagine che hanno riguardato i correi (iscrizione a seguito di interrogatorio di un indagato), nonché al caso patologico della fuga di notizie. Il termine di conoscenza, dunque, risalirebbe ad un momento anteriore a quello dell’atto dell’a.g. che sfiori la persona del “collaboratore”, risulta maggiormente aleatorio, ma anche più conforme allo spirito della legge.
Il Legislatore ha, comunque, individuato un termine diverso (“e comunque”) entro il quale la collaborazione ha effetto premiale, stabilito in 4 mesi dalla commissione del fatto. Il termine fissato risulta del tutto arbitrario e privo di un ancoraggio concreto. Anche perché trascura di considerare che nell’esperienza giudiziaria, è raro che la notitia criminis che afferisce ad un reato di p.a. fra quelli indicati, giunga nel predetto termine. Inoltre, la semantica “e comunque” potrebbe far pensare che si tratti di un termine “massimo”, prevalente su quello fissato in precedenza e che lascerebbe, al contrario, supporre un tempo di ravvidamento più lungo (si pensi solo al fatto che il primo atto di conoscenza può essere rappresentato dalla proroga indagini, dunque, un termine minimo di sei mesi dalla iscrizione della notizia di reato “a noti”, ma ben più lungo se il procedimento nasca “ad ignoti”).
E’ necessario, inoltre, per giovarsi della causa di non punibilità della collaborazione, la “volontarietà” della denuncia (ma tale concetto non risulta di facile definizione, dovendo scontrarsi evidentemente con la “minaccia” a declamare i fatti), la utilità e concretezza delle indicazioni fornite sia per raccogliere le prove del reato che (ricorre la congiunzione “e”) per individuare gli altri responsabili (interrogativi: tutti? O quelli effettivamente conosciuti e conoscibili?). Trattasi di nozioni che implicano una buona dose di discrezionalità del Giudice e che, certamente, si prestano anche a critiche in tal senso. Il mondo forense contesterà, verosimilmente, tale valutazione discrezionale che condurrà, infatti, alla possibilità di fare del “collaboratore” un testimone “puro” piuttosto che un coimputato (si consideri la possibilità, che pare implicita nella individuazione di una causa di non punibilità in luogo di una attenuante premiale, che il giudizio sul collaboratore si definisca prima del giudizio principale, verosimilmente, in fase di indagine).
Il secondo comma della disposizione in commento subordina la non punibilità del denunciante alla possibilità riparatoria da realizzarsi mediante “messa a disposizione” dell’utilità percepita dal medesimo (espressione che richiama l’offerta reale di civilistica vocazione), ovvero di una somma equipollente ovvero ancora di indicazioni che ne consentano il recupero aliunde (il tutto entro il termine indicato al comma I).
Appare, in definitiva, che le condizioni previste dall’art. 323 i c.p. siano tali e tante da far apparire svantaggiosa la collaborazione, piuttosto che un reale incentivo, necessario nell’ottica di contrasto al fenomeno corruttivo che la legge si propone. Oltre ad apparire, come osservato già da taluno, impraticabili per reati mono-soggettivi con ingiustificata preclusione.
2. Le pene accessorie. L’art. 32 quater c.p., l’art. 317 bis c.p., le novità in tema di patteggiamento, gli effetti sulla sospensione condizionale della pena. Il regime di “prevenzione”.
I primi commenti alla riforma hanno evidenziato come la vera novità della disciplina stia nel regime delle pene accessorie, sebbene -altrettanto all’unanimità- si sia da più parti constatato che la riforma si presti sul punto a possibili rilievi di costituzionalità per le ragioni di seguito indicate.
Nel previgente sistema, l’art. 317 bis c.p. istituiva una sanzione di interdizione perpetua dai pubblici uffici conseguente alla condanna per i reati di cui agli artt. 314, 317, 319 e 319 ter c.p., riducendo a temporanea la sanzione per l’ipotesi di condanna alla reclusione per un tempo inferiore ai tre anni.
Il novellato art. 317 bis c.p. risulta oggetto di un pesante restyling. Sono, in primo luogo, ampliati i titoli di reato cui consegue la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (ricomprendendosi ora anche i delitti portati dai seguenti artt.: 318, 319 bis, 319 quater c. I, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis c.p.) e la sanzione è individuata nella interdizione dai pubblici uffici e dalla impossibilità di contrarre con la p.a. (salvo che per accedere ai servizi pubblici). Si rileva in questa sede che la novella legislativa ha inciso anche sull’art. 32 quater c.p. che ha inserito gli artt. 319 ter, 346 bis c.p. e 452 quaterdecies fra i reati alla cui condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
In secondo luogo, per l’ipotesi di condanna per uno dei detti titoli di reato alla reclusione non superiore ad anni 2 (dunque, risulta conseguentemente ampliato il “paniere” delle interdizioni perpetue) ovvero nell’ipotesi di riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323 bis c. I c.p. (fatti particolare tenuità), la sanzione accessoria di cui al nuovo art. 317 bis c.p. viene predeterminata in un tempo compreso fra 5 e 7 anni, mentre per il riconoscimento dell’attenuante di cui al comma II dell’art. 323 bis c.p. (ravvedimento operoso) la stessa oscilla in un tempo compreso fra uno e cinque anni: in altre parole, la pena accessoria può protrarsi anche considerevolmente oltre quella principale.
Si tratta di un regime evidentemente incisivo e teso a recidere definitivamente i legami fra il condannato e la pubblica amministrazione.
Le dette disposizioni si legano ineluttabilmente alla disciplina della sospensione della pena di cui all’art. 166 c.p. il cui regime abbracciava sia la pena principale che quelle accessorie. Con la novella, infatti, è concessa la facoltà al giudice (“il giudice può”) di disporre che la sospensione non estenda i propri effetti alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la p.a.
Conclude l’incisività della disciplina la previsione inserita all’ultimo comma dell’art. 179 c.p. secondo cui la riabilitazione concessa non produce effetti sulle pene accessorie perpetue e si estingue decorso un termine di 7 anni dalla riabilitazione, ma solo se il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Ratio della disciplina, dunque, è contrastare in maniera profonda la possibilità che il condannato per taluno dei reati di p.a. possa nuovamente operare nella pubblica amministrazione, abbattendo il rischio di recidivanza.
Dal punto di vista procedurale, la competenza per decidere sulla estinzione della pena accessoria perpetua è incardinata in capo al Tribunale di Sorveglianza.
Sulla stessa linea le disposizioni dettate in tema di “patteggiamento”. All’art. 444 c.p.p. è stato aggiunto il comma 3 bis il quale stabilisce che nei delitti previsti dagli artt. 324, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis c.p., la parte possa subordinare la richiesta all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’art. 317 bis ovvero all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. Laddove il giudice ritenesse di non accogliere la richiesta in punto di pene accessorie, la stessa richiesta di patteggiamento sarebbe rigettata (“il giudice se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l’estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta”).
All’art. 445 c.p.p. è stata introdotta la previsione (comma 1 ter) per cui con la sentenza di applicazione della pena il giudice possa (“può”) comunque applicare le sanzioni accessorie di cui all’art. 317 bis c.p.
Si tratta di novità profonde perché si consente l’ingresso della pattuizione anche sulla pena secondaria, lasciando ampio margine di valutazione al giudice.
Il rischio insito in tale contesto, tuttavia, è quello che l’imputato non consideri con favore il ricorso all’istituto. Appare, in altre parole, che il Legislatore, preoccupato di individuare fonti di contrasto a taluni reati che offendono la p.a., abbia mancato di coordinarsi con la ratio deflattiva sottesa al rito alternativo che potrebbe risultare, infatti, non appetibile. Con la conseguenza che proprio laddove vi è un’alta esigenza di definizione celere del procedimento, si preferisca accedere al rito ordinario, con aggravio dei tempi del processo e, specularmente, di ritardo nella recisione del contatto fra il p.u. che ha delinquito e l’amministrazione offesa.
Parimenti, inoltre, ha escluso le pene accessorie perpetue dall’estinzione degli effetti penali della condanna conseguenti all’espiazione di misura alternativa alla detenzione. La disposizione creerà verosimili problemi di costituzionalità poiché si rischia un contrasto alla finalità rieducativa della pena che pare essere stato dimenticato dal Legislatore della Riforma.
Assume carattere di novità quanto alla forma di contrasto ai più gravi reati contro la p.a. il regime dell’accesso e preclusione dei benefici penitenziari.
Il Legislatore, infatti, anche in tal caso avvicinando la disciplina a quella dei delitti di mafia. Se da un lato ha inteso premiare la collaborazione in relazione al riconoscimento dell’art. 323 bis c.p., dall’altro ha inserito nell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario alcuni delitto contro la p.a. (314 c. I, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater c. I, 320, 321, 322, 322 bis c.p.) quali reati ostativi alla all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, salvi i casi di collaborazione con la giustizia. Peraltro, la mancata previsione di una disciplina intertemporale determina la diretta applicazione delle disposizioni in commento, che incideranno -dunque- pesantemente anche sui procedimenti in itinere determinando effetti pregiudizievoli non predeterminabili.
Merita di essere evidenziato in questa sede che il provvedimento cautelare del divieto temporaneo di contrattare con la p.a. è stato introdotto con l’art. 289 bis c.p.p. e consiste nell’interdizione temporanea dell’imputato a stipulare contratti con la p.a. , salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. La previsione specifica che, in caso di delitto contro la p.a., la misura possa essere disposta al di fuori dei limiti di pena di cui all’art. 287 c.p.p.
3. Interventi sulla prescrizione.
Con un ritorno al passato il comma I dell’art. 158 c.p. ha reintrodotto quale termine di decorrenza della prescrizione per il delitto continuato il giorno in cui è cessata la continuazione.
Non consentendo di sperimentare le previsioni della Riforma Orlando, nell’art. 159 c.p. è stata prevista una “sospensione” del corso della prescrizione per un periodo compreso fra la pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.
Specularmente è stata abrogato il primo comma dell’art. 160 c.p. che prevedeva l’interruzione del corso della prescrizione dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
La scelta legislativa si presta ad una critica esegetica, nel momento in cui pone fra le cause di sospensione una ragione che è evidentemente interruttiva (per come confermato proprio dalla successiva abrogazione del comma I dell’art. 160 c.p.) e ad una critica di sistema nel momento in cui non distingue fra sentenze di condanna e statuizioni assolutorie e non si preoccupa della possibilità che l’assenza di un limite temporale, non stimolando la celerità del processo, esponga a giudizi interminabili gli imputati. Trattasi di previsioni la cui entrata in vigore è differita al 01.01.2020.
4. Gli strumenti di investigazione.
Come già accennato, la c.d. “spazzacorrotti” ha sostanzialmente equiparato la disciplina delle intercettazioni in materia di reati dei pubblici ufficiali contro la p.a. puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, a quella in tema di criminalità organizzata. La novella, dunque, si pone sul solco dell’art. 6 d. lgs. n. 216/2017 che aveva già inciso su un avvicinamento delle due discipline, sebbene sostanzialmente limitato al solo regime temporale, consentendo ora l’uso a tutto campo dello spyware, venendo meno il limite del luogo di svolgimento dell’attività criminosa quale presupposto per l’attivazione nei luoghi di privata dimora. L’intervento avviene direttamente sugli artt. 266 e 267 c.p.p. Sul punto la riforma consegna un importante strumento di ricerca della prova, sebbene residuino esigenze di coordinamento con la previgente disciplina soprattutto in termini di acquisizione delle captazioni autorizzate aliunde. Nessuna modifica è stata, infatti, apportata all’art. 270 c.p.p., le cui condizioni escludono un buon numero di reati contro la p.a., in uno con la previsione (che non appare superata) del limite di utilizzabilità delle intercettazioni acquisite mediante captatore informatico per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, salva l’indispensabilità per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Il Legislatore ha, inoltre, ipotizzato che possa rendersi utile ai fini del contrasto a determinati delitti contro la p.a., il ricorso agli agenti sotto copertura. Si tratta di una previsione che si espone a perplessità stante la delicatezza ed il tecnicismo del contesto di p.a. nel cui ambito va ricercata la prova.
5. Le modifiche.
Articoli 9 e 10 c.p. Il Legislatore della riforma all’art. 9 c.p. u.c. ha escluso la necessità della condizione di procedibilità (nella forma della richiesta del Ministro della Giustizia o dell’istanza o della querela della p.o.) per l’ipotesi di delitto comune commesso dal cittadino all’estero in relazione ai reati di cui agli artt. 320, 321 e 346 bis c.p. Parimenti ha disposto con l’ultimo comma dell’art. 10 in relazione ai reati di cui agli artt. 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.
Art. 165 c.p. Il parametro risarcitorio cui è condizionata la previsione della subordinazione della sospensione condizionale della pena è mutata dal pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal p.u. o dall’incaricato di p.s., al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell’art. 322 quater c.p.
Art. 316 ter c.p. Il Legislatore ha istituito una aggravante per l’ipotesi che il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio con abuso di qualità o poteri.
Art. 318 c.p. Tra le righe della riforma può cogliersi un maggiore disvalore per il reato di corruzione per un atto dell’ufficio (c.d. corruzione impropria) poiché a parte l’aumento di pena (da tre ad otto anni, in luogo di uno a sei), esso viene incluso fra i delitti soggetti al regime delle pene accessorie di cui si è detto.
Art. 322 bis c.p. Con l’obiettivo di ampliare il contrasto ai più allarmanti reati contro la p.a. anche nel contesto internazionale, il Legislatore ha equiparato le previsioni di cui agli artt. 314, 316, da 317 a 320 e 322 cc. III e IV, anche alle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell'ambito di organizzazioni pubbliche internazionali, nonché ai membri delle assemblee parlamentari internazionali o di un'organizzazione internazionale o sovranazionale e ai giudici e funzionari delle corti internazionali.
Art. 322 ter c.p. Istituisce una innovativa figura di custodia dei beni sequestrati in relazione ai delitti di cui all’art. 322 ter c.p., diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, consentendone l’affidamento agli organi di p.g. che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. La previsione, interessante poiché consentirebbe l’uso in favore dello Stato di tali beni, con diminuzione corrispondente delle spese di custodia, necessita -a parere di chi scrive- di interventi che meglio e più specificamente regolamentino la concreta attuazione della previsione.
Art. 322 quater c.p. La riparazione pecuniaria per il caso di condanna per i reati previsti dagli artt. 314, 317, 318, 319 ter, 319 quater, 320, 321 (previsione assente nella precedente formulazione) e 322 bis è parametrata non più a quanto indebitamente percepito, ma al prezzo o profitto del reato (si ipotizza evidentemente trattarsi di una somma di importo diverso) da corrispondersi in favore dell’amministrazione resa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio (scompare il riferimento all’amministrazione di provenienza).
Art. 346 bis c.p.Viene abrogato il delitto di millantato credito per essere ricompreso nell’unica figura del “traffico di influenze illecite” (nel primo comma del novellato art. 346 bis c.p. si fa, infatti, riferimento alla “vanteria” della relazione “esistente od asserita” con il p.u. o l’incaricato di p.s.). Si rivela interessante il riferimento alla “utilità” quale vantaggio conseguito come provento del reato, poiché (sul solco di giurisprudenza ormai consolidata anche nei reati di p.a.) si esclude che la natura della remunerazione debba avere carattere patrimoniale o, comunque, economicamente valutabile.
Artt. 646 c.p. - 649 bis c.p. Il Legislatore ha inasprito le pene in relazione al reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p., ora punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000,00 a 3.000,00, con la conseguenza che viene a mutarsi lo strumento di esercizio dell’azione penale che sarà la richiesta di rinvio a giudizio in luogo della citazione diretta. In realtà si pone un problema di coordinamento dell’effetto sostanziale della disposizione con l’effetto processuale. Trattandosi di disposizione di maggior sfavore, infatti, la sua applicazione non potrà concernere fatti accaduti prima della sua entrata in vigore. Necessariamente questo implica che il discrimen debba essere rappresentato dalla data di commissione del fatto, unico momento di coordinamento dei due effetti penale e sostanziale. Il regime di procedibilità d’ufficio disciplinato dall’art. 649 bis c.p. si estende alle ipotesi in cui la persona offesa sia incapace per età o per infermità ovvero se sia cagionato alla p.o. un danno di rilevante gravità.
Art. 578 bis c.p.p. Il Legislatore della riforma ha, inoltre, introdotto la previsione della confisca di cui all’art. 322 ter c.p. fra le ipotesi nelle quali il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o amnistia, debbano comunque decidere sulla confisca accertando la responsabilità dell’imputato. Trattasi di una estensione che pone seri dubbi di compatibilità con l’orientamento consolidato della Corte europea dei diritti dell'Uomo che individua una violazione del principio di legalità sancito dall'art. 7 Cedu nelle pronunce che dispongano la confisca a fronte di un proscioglimento per prescrizione (cfr. sentenza Varvara contro Italia del 29 ottobre 2013, sebbene -sempre in tema di lottizzazione abusiva la Gran Camera, con decisione del 28 giugno 2018 nel caso GIEM e altri c. Italia, abbia parzialmente rivisto le sue posizioni).
6. Conclusioni.
I diversi interventi legislativi sulle norme di contrasto al fenomeno corruttivo trovano radici nelle spinte internazionali che vi ravvisano un pesante freno allo sviluppo che incidendo sul Paese, si riflettono preponderantemente anche sull’UE e sui rapporti internazionali. Ad esempio, con la Decisione della Commissione Europea del 06.06.2011 si è detto che: “Nonostante negli ultimi decenni l'Unione europea abbia significativamente contribuito all'apertura e alla trasparenza dell'Europa, vi è ancora, naturalmente, molto da fare. È inaccettabile che ogni anno un importo stimato di 120 miliardi di euro, pari all'1% del PIL dell'UE, vada perso a causa della corruzione. Non è certo un problema nuovo per l'UE e non sarà possibile sradicare completamente la corruzione dalle nostre società, ma è eloquente il fatto che il punteggio medio dell'UE-27 secondo l'Indice sulla percezione della corruzione di Transparency International sia aumentato solo di poco negli ultimi dieci anni. Benchè la natura e l'entità della corruzione varino, il fenomeno nuoce a tutti gli Stati membri dell'UE e all'UE nel suo insieme”, assumendo -inoltre- l’impegno per cui: “Continuerà a elaborare norme aggiornate in materia di appalti, principi contabili e revisioni contabili per le società dell'UE, e nel 2011 adotterà inoltre una strategia per combattere le frodi che ledono gli interessi finanziari dell'UE. Parallelamente, si concentrerà maggiormente sulla lotta contro la corruzione nell'ambito del processo d'allargamento dell'Unione e – insieme all'Alto Rappresentante – nell'ambito della politica europea di vicinato, e ricorrerà più spesso al principio di condizionalità nelle politiche di cooperazione e sviluppo”.
Tanto discende, con ogni evidenza, in ragione del peso specifico effettivo che la corruzione, così come le frodi in senso stretto, hanno sui bilanci nazionali e comunitari (secondo i dati del 2013, la corruzione costa all’Unione Europea 600 mln di euro all’anno).
Sebbene sia da salutare con favore l’ampliamento degli strumenti di investigazione sul fronte intercettivo ed anche il nuovo approccio su strumenti che tendano a recidere il vincolo fra il reo e la pubblica amministrazione, l’intervento appare parziale ed insufficiente, oltre ad esporsi a problemi di costituzionalità.
L’inasprimento delle pene accessorie e la maggiore difficoltà di accesso ai benefici premiali rischia di contrastare, ad esempio, con la natura rieducativa della pena, principio cardine del nostro ordinamento penale - costituzionale. Su tale versante, inoltre, poco si è fatto per la rieducazione del condannato, anche in una ottica che non veda nella detenzione il meccanismo deterrente (o lo “spauracchio” come appare essere), ma si ispiri alla conciliazione.
D’altro canto, il Legislatore punta tutto sul sistema repressivo, laddove sarebbe forse necessario ed urgente prevenire meccanismi che conducano al mercimonio della cosa pubblica a partire dallo snellimento della macchina burocratica ed una responsabilizzazione del dipendente pubblico.
Non di meno, ancora una volta non si è agito sul “processo” e la riforma risulta lontana dal garantire una celerità di definizione dei giudizi, certo non ravvisabile nelle modifiche del regime di prescrizione. Riforme a costo zero, prima fra tutte il meccanismo di rinnovazione istruttoria, avrebbero probabilmente avuto un effetto più incisivo e prevenuto il rischio di far apparire la struttura della prescrizione come uno strumento che “tenga appeso” l’imputato al processo, in una ottica di abdicazione dello Stato ad offrire strumenti che agiscano sulla speditezza del rito: si agisce sulla cura e non sul malato.
SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLA DECISIONE ROBOTICA NEGOZIALE (*) di Franco De Stefano
Gli sviluppi della tecnologia hanno consentito l’affidamento ad operazioni automatizzate sempre più sofisticate di intere fasi non solo della conclusione del contratto, ma pure della sua esecuzione ed ormai della risoluzione delle relative controversie; ed ha generato perfino mezzi alternativi al denaro, di grande diffusione e con enormi potenzialità, anche elusive di regole a tutela di interessi pubblicistici.
È, con ogni probabilità, l’esito di una convergenza tra le esigenze di certezza o affidabilità o prevedibilità e di celerità imposte da un mercato globalizzato e le potenzialità sempre più raffinate della Rete e comunque degli algoritmi su cui essa si struttura in modo sempre più complesso ed intricato.
Al diritto compete l’arduo compito di assecondare le potenzialità della tecnologia nel rispetto almeno di regole minime a tutela della maggiore possibile libertà di determinazione del singolo che viene a contatto con questo mondo in evoluzione tumultuosa, spesso privo di ogni scrupolo e nel quale il più abile spesso sfrutta impietosamente molti degli altri coutenti.
Sommario: 1. Premessa.- 2. Negoziare e sorvegliare con gli algoritmi.- 3. Reti informatiche, nuovi territori, scala dei tempi, smart contract.- 4. Decisione delle dispute negoziali.- 5. Spunti conclusivi.- 6. Cenni bibliografici minimi.
1. Premessa
L’ampiezza del tema di indagine - con la complessità tecnica dei meccanismi via via coinvolti e la loro interazione costante con i principi generali del diritto civile, oggetto a loro volta di trattazione ed approfondimenti tradizionali - e della sua elaborazione anche da parte della dottrina giuridica impone l’abbandono consapevole, in questa sede, di ogni pretesa di compiuta ricostruzione sistematica degli istituti giuridici fondamentali coinvolti, per di più alla luce delle ricadute della rivoluzione tecnologica in atto; e ci si limiterà allora ad alcuni spunti, necessariamente frammentari, quali basi di partenza per ulteriori riflessioni e con rinvio all’ampio materiale bibliografico presupposto, di cui pure può darsi conto sommario e necessariamente incompleto, quanto alle tematiche sia tecniche che giuridiche tradizionali coinvolte, a mano a mano che saranno evocate.
Se molte delle definizioni, soprattutto tecniche, dovranno darsi per acquisite aliunde, ad ogni ulteriore riflessione è opportuno premettere qualche precisazione, a cominciare dall’oggetto del presente intervento, che si intenderà riferito alle ipotesi in cui sono a vario titolo e con varie modalità tecniche e giuridiche devolute almeno in parte a meccanismi automatizzati, vale a dire normalmente svincolati da qualunque intervento diretto di operatori umani:
a) la formazione di un negozio e soprattutto di un contratto (e così l’espressione della volontà delle parti o l’individuazione dell’oggetto e dell’articolazione di quello),
nonché od ovvero
b) la sua esecuzione (anche e soprattutto quando fisiologicamente articolata in fasi successive che si protraggono nel tempo),
nonché od ovvero
c) la risoluzione di quelle controversie che eventualmente insorgessero al riguardo.
La riflessione terrà presente che questi inserimenti di risultati imputabili in via immediata a meccanismi automatizzati possono riguardare o l’intera sequenza negoziale (trattative, conclusione, esecuzione, risoluzione delle contestazioni), oppure singole fasi, oppure ancora, quando una o più di queste siano strutturate in segmenti o sottofasi tra loro di necessità concatenate, anche uno o più di tali segmenti o sottofasi; e, per di più, in varia combinazione.
E, a fini meramente descrittivi e chiedendo fin d’ora venia per l’approssimazione o forse anche la non correttezza terminologica che ne consegue, potrà indifferentemente farsi riferimento, con la locuzione di meccanismi automatizzati, sia alle parti fisiche di apparecchi in grado di elaborare istruzioni (apparecchi che consistono quindi in cose materiali[1]), sia a beni immateriali ovvero ai programmi od altre tipologie di istruzioni organizzate che consentono ai primi di operare o comunque di conseguire il risultato[2].
Per analoga mera finalità di esposizione, nonostante l’evidente assenza di rigoroso tecnicismo e l’alta - ma, si spera, non intollerabile - approssimazione, col rischio di una metalepsi impropria, sarà riferita ellitticamente ai meccanismi automatizzati la locuzione di algoritmo[3].
Beninteso, l’intervento umano è, almeno allo stato attuale della tecnologia, in pratica sempre necessario, ma è intuitivamente di necessità circoscritto sempre più alla fase di progettazione di questi meccanismi (o, a tutto concedere, a quella della loro manutenzione anche evolutiva): i quali sono poi talvolta capaci, in forza ed alla stregua di complesse operazioni cibernetiche, di applicare la complessa serie di istruzioni originariamente ricevute fino ad elaborare un autentico autoapprendimento e di formulare autentiche decisioni - in senso tecnico-giuridico, non soltanto matematico - in relazione a determinati contesti, perfino ove non originariamente previsti in modo espresso.
Restano necessariamente a margine del presente contributo, per la loro ampiezza, i temi delle responsabilità degli automi o robot (se non pure dell’acquisto, da parte di questi, di una certa quale personalità, intesa in senso non strettamente giuridico[4]) in relazione ad attività meramente materiali, quali la conduzione di veicoli, ovvero quelli della protezione del singolo dalla pervasività dell’intrusione nella sfera della personalità delle interazioni con la Rete, ormai divenute - per ragioni sociali e culturali - sostanzialmente immancabili quasi come espressione della propria identità in un nuovo spazio, stavolta virtuale, di socialità come disegnata dalla moderna tecnologia.
E non può qui approfondirsi la tematica dell’opportunità di una decisione robotica giudiziale, sub specie di procedimento automatizzato, eventualmente a struttura monitoria pura (con possibilità cioè di opposizione anche immotivata e trasformazione in procedimento ordinario) per categorie di contenzioso caratterizzate da marcata serialità: argomento al quale è dedicata un’intera altra sezione del Convegno. Può solo notarsi che pure per gli uffici afflitti dal peggiore arretrato, come la Corte suprema di cassazione, dove finora vi si è fatto fronte al meglio anche con le scarse risorse a disposizione, deve auspicarsi non più dell’introduzione di un segmento di automazione per il lavoro di preparazione, ma non anche per la fase della decisione vera e propria.
In anticipazione delle conclusioni, infatti, può fin d’ora dirsi che decidere, sia che abbia ad oggetto l’autoregolamentazione dei propri affari ed interessi, sia che si riferisca alle controversie al riguardo insorte, deve restare tendenzialmente un’attività umana ed alla volontà e coscienza umana comunque - seppure anche indirettamente - riconducibile, governata dalla ragione e dalla libertà di autodeterminazione, ma soprattutto dalla necessaria flessibilità e dalla capacità di mediazione tra istruzioni date e reali fattispecie.
O, almeno, non pare ancora - se non si vuol dire che si auspicherebbe non giungesse mai - il momento di devolvere ad automi anche questa condotta, che fin dalla notte dei tempi ha connotato e caratterizzato appunto l’essere umano.
2. Negoziare e sorvegliare con gli algoritmi.
L’automazione entra nella fase di progettazione dell’assetto di autoregolamentazione in cui il negozio e poi il contratto si esaurisce, ma anche nella sua esecuzione, come pure in quella delle contestazioni cui esso può dar luogo.
La fase di selezione della potenziale controparte sta assumendo un ruolo sempre più importante nelle opportunità offerte dalla robotica applicata alle potenzialità della Rete, come dimostra il fenomeno sempre crescente non solo degli intermediari automatizzati di servizi (in grado di soppiantare, talvolta con efficienza e successo, le tradizionali forme di organizzazione burocratica o corporativa di categoria od a maggior ragione pubblica: si veda il caso di Uber in relazione al settore delle regolamentazioni dell’offerta di servizi pubblici di taxi), ma anche quello dei cc.dd. robot recruiter, che selezionano - almeno in teoria e per ora, solo in una fase iniziale e lasciando la determinazione finale all’intervento umano - coloro con cui instaurare un rapporto di lavoro o di collaborazione, sulla base, generalmente, di procedure - appunto automatizzate - articolate su interazioni in grado di dimostrare la sussistenza di particolari requisiti logici o psicologici dei candidati[5].
Ci si chiede, prima di ogni altra cosa, se gli algoritmi di valutazione possano o debbano entrare nella struttura del contratto e se tanto possa comportare la necessità di innovazioni sensibili nella cultura giuridica.
Si consideri il caso del vasto e multiforme settore delle negoziazioni finanziarie, nel quale fin dagli anni Settanta dello scorso secolo è cambiato il modo di valutare i loro oggetti e quindi i relativi criteri di negoziazione, cosicché si è fatto in modo crescente ricorso, per definire il valore dei primi, a modelli di valutazione idonei, sulla base di assunti opportuni e predefiniti in base alle esperienze degli operatori, ad individuare un “valore equo” e riferito in modo per quanto più possibile obiettivo al mercato (il “marked-to-market value”). Non si negozia in via diretta il prezzo, ma il modello e le tecniche della sua determinazione (si parla in genere di “parametri caratteristici”); ed analoghi sistemi sono stati adottati per le valutazioni di impresa, come è reso evidente anche nel nostro panorama nazionale dai Principi italiani di valutazione[6].
E la negoziazione dei modelli, relativamente cioè alla struttura stessa degli algoritmi od alla valutazione delle probabilità ed alla calibrazione dei parametri, rileva ormai anche nei modelli per definire il cosiddetto “giusto prezzo delle chance” e per valutare e definire gli oggetti di sistemazioni stragiudiziali - o lato sensu transattive o conciliative - di controversie anche solo potenziali; ma da subito si segnalano disagi ed ambiguità interpretative, dai quali deriva l’esigenza degli operatori giuridici - giudici ed avvocati - di attingere le logiche ed i principi della valutazione, per sanare un possibile scollamento delle moderne teorie della contrattazione telematica, soprattutto in tema di finanza, con le definizioni legali ed i principi generali del sistema, primi fra tutti in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, come riconosciuti dalla maggior parte delle Costituzioni moderne e comunque delle Convenzioni sui diritti dell’Uomo.
Da un punto di vista di teoria generale del diritto civile, non dovrebbe esserci, se non altro in linea di massima, alcun ostacolo alla determinazione dell’oggetto del negozio mediante procedure estranee alle parti, ma da queste espressamente ed univocamente richiamate, in modo tale che anche il prodotto del funzionamento di tali procedure, anche se automatizzate, sia riconducibile in via mediata appunto alla scelta ed alle volontà delle parti: in altri termini, il prodotto degli algoritmi non cessa di essere voluto dalle parti, se e nella misura in cui gli algoritmi sono stati da loro voluti o quanto meno accettati con modalità tali da fare ritenere ad essi esteso il consapevole consenso dei contraenti.
Gli algoritmi, svolgano essi funzioni equiparate a quelle di autentici arbitratori per la determinazione del prezzo della prestazione di una delle parti oppure perfino - ed a certe ben precise condizioni - funzioni corrispondenti a quelle di arbitri nella soluzione di controversie (per lo più semplici e basate su interazioni elementari di cause ed effetti), sono voluti dalle parti e quindi, purché appunto queste ne siano consapevoli in modo tale da fare intendere a quelli esteso il loro consenso, sono voluti dalle parti anche i prodotti del funzionamento dei primi. Se voluto è il mezzo capace di produrre risultati, sono voluti pure questi ultimi.
Se così è, allora gli algoritmi devono costituire parte integrante dell’oggetto del consenso e quindi del contratto, se del caso anche con meccanismi analoghi all’approvazione specifica di clausole o alle condizioni generali, ma con verifiche più stringenti, volte ad assicurare la maggiore consapevolezza possibile in capo al contraente: tanto potendo bene ricondursi alla tutela della sua dignità appunto quale essere umano, non solo in quanto senziente, ma soprattutto in quanto senziente - e, per così dire, in grado di decidere di conseguenza - su di un piede di pari dignità con ogni altro.
In applicazione degli strumenti già a disposizione e fino ad un loro eventuale compiuto adeguamento normativo, il grado di consapevolezza e quindi di validità della formazione del consenso in capo ad ognuno dei contraenti dovrà essere ricostruito con maggiore attenzione che nelle forme di contrattazione precibernetiche o tradizionali: e, quanto maggiore è la complessità del meccanismo da verificarsi come voluto e cioè valido oggetto del consenso, tanto più approfondita dovrà essere l’indagine dell’operatore pratico (in primo luogo l’accademico, poi l’avvocato ed infine, certo da un punto di vista cronologico, il giudice) nella ricostruzione, benché anche solo sulla base di elementi presuntivi, della compiutezza della rappresentazione, da parte del contraente, del meccanismo di funzionamento e dei suoi possibili esiti, in relazione ai parametri adottati.
Non si vuole certamente dire che sia necessaria la previa spiegazione particolareggiata, al singolo cliente, del funzionamento dell’algoritmo, ma sarà comunque serio segnale di una piena comprensione un’attività di informazione completata semmai da dichiarazioni, diverse da quelle standardizzate di cieca affermazione dell’avvenuta comprensione del contenuto di quella, come ad esempio veri e propri test di comprensione, editati di volta in volta su di una base molto ampia e proposti al sottoscrittore, non tanto per verificare che non sia un robot a sua volta, quanto piuttosto che abbia ben compreso il meccanismo.
Diversamente, il consenso potrebbe dirsi invalidamente formato e potrebbe, sia pure con i limiti del caso, soccorrere la teoria generale dell’errore, a seconda delle condizioni personali del contraente, ma pure quella - altrettanto generale - della tutela del consumatore e della formazione del suo consenso, con l’apparato delle nullità di protezione poste a sua tutela.
Tale conclusione implica la necessità di esplicitazione degli algoritmi anche nei giudizi negoziali, con analoghe caratteristiche, perché in grado di determinare idoneamente il contenuto delle prestazioni attese e delle reazioni previste e quindi di denotare una presa di coscienza consapevole da parte del contraente.
In tutti i casi può dirsi sufficiente, peraltro, il rinvio a fonti di conoscenza accettate dalle parti e correntemente reperibili, ben potendo farsi ricorso all’integrazione del testo contrattuale anche per i meccanismi, più o meno automatizzati, di completamento di elementi essenziali del contratto: ma il tutto - o, almeno, la valutazione di adeguata reperibilità - secondo criteri di normalità elaborati dalla coscienza comune in rapporto ad un determinato stadio dell’evoluzione della tecnologia e della società.
E però particolare cautela, per garantire l’effettività della tutela, dovrà porsi non soltanto alla materiale conoscibilità della fonte dell’algoritmo o dell’altra analoga serie di istruzioni informatiche, ma anche alla concreta sua comprensibilità da parte dell’utente (o considerato in concreto, o almeno per grandi categorie di utenti e quindi ammettendosi il ricorso ad una serie di presunzioni più o meno ampia), secondo parametri il più possibile condivisi, ovvero corrispondenti ad una valutazione collettiva di accettabilità, a sua volta da elaborarsi all’esito di confronti nelle sedi specialistiche in base a dati assunti dalla corrente esperienza.
A questo fine e per rimanere in ambito di autoesecutività delle istruzioni convenute tra le parti, si dovrebbe - ad esempio - esplorare la possibilità che lo stesso algoritmo preveda - fin dalla fase della sua progettazione e quindi normalmente durante la sua esecuzione o implementazione - meccanismi di blocco o di salvaguardia per il caso che non risultasse automaticamente l’adeguata presa di conoscenza della fonte e delle modalità anche solo estrinseche del suo funzionamento da parte di uno o di entrambi i contraenti (si pensi a passaggi automatizzati di controllo con domande o riscontri particolari).
Ma è evidente l’ampiezza dello sforzo richiesto al tradizionale operatore del diritto.
3. Reti informatiche, nuovi territori, scala dei tempi, smart contract.
L’automazione ha innovato, rivoluzionandoli, gli strumenti della tradizione degli scambi interpersonali, intervenendo sulle singole componenti come intese ed elaborate da una tradizione di secoli: le quali ultime restano quindi la cornice ineliminabile entro cui gli schemi mentali continuano ad operare e l’infrastruttura sulla quale intervengono tutte le innovazioni tecnologiche.
Questo può forse contribuire a spiegare come, nonostante il radicale cambio di contesto, gli elementi dei miliardi di singole giornaliere negoziazioni siano rimasti, nella struttura basilare, sostanzialmente gli stessi del passato oppure comunque modellati in partenza su quelli, pur avendone l’evoluzione tecnologica mutato spesso radicalmente le dimensioni ed i ritmi: sono mutati il concetto di luogo, la velocità di azione e gli strumenti di formulazione e di incontro delle volontà dei soggetti protagonisti degli scambi, come pure la natura stessa di questi.
I meccanismi automatizzati, dopo gli algoritmi su cui essi sono fondati, sono entrati nel mercato, compreso (se non soprattutto, sull’onda della massa di ricchezza che è in grado di muovere e talvolta di produrre quasi ex nihilo) quello finanziario, avvalendosi di luoghi nuovi e privi degli elementi di certezza ed immediatezza dell’esperienza umana finora maturata (con le Reti, immateriali ed atopiche), di tempi incommensurabilmente più ristretti (col mercato ad alta frequenza, misurabile in microsecondi), di strumenti di incontro (i canali telematici) e perfino di mezzi di pagamento alternativi a quello che, dall’evoluzione dall’economia di mero baratto, aveva rappresentato il bene di scambio per eccellenza e cioè il denaro (con l’invenzione delle cc.dd. cripto valute, sottratte all’Autorità di qualsiasi Stato), ma pure di strumenti di risoluzione di controversie che prescindono da quelli del mondo reale (con autentici arbitrati tra le reti o tra diversi soggetti o gruppi di soggetti della rete, oppure con gli on-line dispute resolution[7]) e, per quanto già accennato, di strumenti di selezione della controparte anche nel campo del lavoro subordinato o parasubordinato.
Si prende coscienza dei vantaggi e, al contempo, dei pericoli delle strategie di negoziazione ad alta frequenza: gli algoritmi, obbedienti soltanto alla logica del mercato e quindi della massimizzazione incontrollata od assoluta del profitto, generano sempre nuovi strumenti di sfruttamento - o, se non piacesse la connotazione negativa della locuzione, di avvalimento - delle inevitabili vulnerabilità degli utenti.
E tanto avviene non solamente con l’esaltazione di quei comportamenti di massa già noti alla letteratura tradizionale (ad esempio il ruolo della folla, la volatilità del mercato per le reazioni di questa, i cosiddetti vortici dei prezzi), ma con ogni strumento derivante dalla progressiva esasperazione della velocità degli interventi e dall’ampiezza e sostanziale ingovernabilità della rete, che rende in pratica impossibile un adeguato intervento preventivo da parte di chicchessia, ammesso che ne abbia il potere una qualsiasi Autorità in uno spazio virtuale globale privo di referenti sicuri.
È così che la rete ha offerto, oltre ad una serie potenzialmente indefinita di vantaggi, una corrispondente opportunità di abusi o almeno di usi spregiudicati (in senso tecnico, privi di qualunque pregiudizio, anche a difesa di tutti i potenziali controinteressati), affannosamente e spesso inefficacemente rincorsi da una serie di normative che sono sempre parziali: sia oggettivamente, per la velocità anche di elaborazione di strumenti nuovi ed il carattere necessariamente repressivo degli interventi, quindi rivolti a fenomeni già realizzatisi; sia soggettivamente, per l’inesistenza di autorità centrali dotate di qualche reale od effettivo potere di intervento e di regolamentazione su mercati diffusi e non agevolmente localizzabili in un solo luogo assoggettabile alla potestà dei tradizionali poteri pubblici o comunque collettivi.
La cibernetica, nella sua corsa all’emulazione evolutiva del mondo reale, nel suo contatto con il mondo giuridico ha generato i contratti intelligenti[8], i blocchi di catene[9], la Internet of Things[10], l’automazione sempre più pervasiva di interi settori della vita sociale (come si prepara a fare, ad esempio, per il trasporto di persone e di cose e, ancora una volta, come si sta accingendo a fare per il settore del reclutamento dei lavoratori) e delle sue vicende principali, come la negoziazione di scambi e la gestione delle controversie che ne derivano. E tutto questo mentre si resta in attesa, non priva di inquietudine, degli sviluppi della personalità robotica e, sullo sfondo e successivamente, dell’Intelligenza Artificiale.
Ci si chiede allora come fronteggiare le nuove anomalie di mercato - o le nuove forme di predazione algoritmica che questo consente ed incoraggia - e quali siano i più evidenti problemi che pongono gli smart contract[11], mentre si riflette pure sulle modalità di pubblicazione e controllo degli algoritmi e degli eventuali errori nei programmi.
Il discorso è vastissimo ed in questa sede non può che tratteggiarsi in linea di massima un’ipotesi di traccia per successivi approfondimenti.
Può cominciarsi con la possibilità di ricondurre, per quanto forse in modo semplicistico, le problematiche di imputabilità e responsabilità a quelle della responsabilità da prodotto, fintantoché anche l’automa o il meccanismo automatizzato rimarrà appunto un “prodotto” (cioè un manufatto prodotto dall’uomo o da macchinari dall’uomo progettati ed impiegati a tal fine, secondo un disegno consapevole e volto al loro impiego per fini determinati, non raggiungibili in assoluto o non raggiungibili con eguale prontezza o sicurezza o precisione dall’opera materiale dell’essere umano con le sole risorse del suo corpo), per quanto “intelligente” o interattivo.
Si può, quindi, ipotizzare l’imputabilità al produttore ed al progettista - ed una corrispondente responsabilità - in tutti i casi in cui l’attività dell’automa o del meccanismo automatizzato si riconduce in modo diretto o indiretto (in quest’ultimo caso, quale sviluppo potenziale normale, cioè corrispondenza ad una sequenza causale ordinaria e statisticamente definibile nel novero delle probabilità prevedibili, delle istruzioni o dei programmi originari, ad esempio quando prevedessero una sorta di autoapprendimento) al progetto ed alla produzione del prodotto; e, al contrario, può pensarsi all’imputabilità - ed alla relativa responsabilità - all’utente in caso di attività causalmente ricondotte alla condotta - pure omissiva - determinante di quest’ultimo di utilizzo normale (corrispondente all’uso medio prevedibile all’atto della messa in commercio o in circolazione o comunque dell’abbandono della sfera di controllo del progettista e del produttore) dell’automa o meccanismo automatizzato.
Per fronteggiare le nuove anomalie sembra indispensabile un controllo, pubblico in quanto affidato ad un’autorità o almeno alla comunità scientifica o ad altro soggetto valutatore indipendente, del funzionamento e degli effetti degli algoritmi regolatori di blockchain e smart contract, almeno per pubblicizzare i potenziali rischi; utile potrebbe essere l’elaborazione di una definizione condivisa e interdisciplinare di stipulazione informata o consapevole; ed opportuna potrebbe rivelarsi la verifica della praticabilità di una piattaforma gestita da autorità o altri enti che offrano particolari garanzie di terzietà ed indipendenza.
Lo smart contract, che sta avendo sempre maggiore diffusione e che presenta innegabili vantaggi quanto a rigorosa certezza delle conseguenze di fatti futuri ed immediatezza dei tempi di reazione, deve potere essere sempre previamente apprezzato per gli sviluppi che consente e quindi occorre una cultura ed almeno un’informazione il più possibile completa, se del caso con prospettazione di scenari pratici (sotto forma di esempi applicativi, riconducibili a FAQ).
Ma non ci si nascondono le perplessità per l’incertezza sulla qualità dei dati e sulla loro fruibilità effettiva, sull’impossibilità di previsione di eventi improbabili, con conseguente rigidità e (in-)comprensibilità di larghe frazioni della serie causale successiva.
Ed anche gli abusi potrebbero essere almeno in buona parte evitati o prevenuti, se del caso anche in via interpretativa: qui potendo applicarsi una nozione estesa di buona fede contrattuale, a sua volta da ricollegarsi alla tutela dei diritti fondamentali della persona ed affidata all’elaborazione dell’interprete ed in ultima analisi del giudice, da rapportarsi all’evoluzione degli strumenti tecnologici, con un ruolo importante di interazione tra Accademia, Foro e Magistratura.
A questo riguardo, interessanti potenzialità può offrire lo strumento del ricorso del P.G. nell’interesse della legge ex art. 363 cod. proc. civ. (e, beninteso, in attesa di una norma anche solo di carattere generale), con la previsione di strumenti elaborati dai matematici finanziari applicati al diritto (ad es., divieto di ritiro, in tempi prefissati, di ordini idonei a perturbare il mercato, ovvero individuazione di condotte da reprimere in via interpretativa - con la previsione di inefficacia o di responsabilità contrattuale piena - perché contrarie al fair play nella gestione delle potenzialità delle nuove tecnologie e quindi alla tradizionale nozione di buona fede, adeguata alla mutata realtà.
Infine, la pubblicità degli algoritmi deve essere tale da consentire l’accesso a chiunque, su piattaforme certificate almeno da un’autorità od altro terzo qualificato e - per quanto possibile - indipendente: anche in questo caso tale definito in base a concetti quanto più possibile condivisi, essendo appunto la condivisione - o la presunzione di essa attraverso la carenza di significative reazioni - la chiave di volta del funzionamento della moderna società tecnologica basata sulle Reti acefale e diffuse.
4. Decisione delle dispute negoziali.
Le nuove tecnologie - automi ed algoritmi - offrono strumenti di ausilio anche agli operatori del diritto (accademici e poi avvocati e giudici), sia per la decisione anche stragiudiziale delle dispute in essere e di quelle future, sia per affrontare risolutivamente l’arretrato degli uffici giudiziari.
L’approccio può essere unico per entrambi i casi: occorre definire i criteri per la determinazione dei dati rilevanti della singola fattispecie da decidere, come pure quelli per la selezione dei precedenti pertinenti, in uno a quelli di approssimazione per evitare il carattere strettamente automatico o logico-deduttivo della decisione suggerita o perfino presa, benché le esigenze di smaltimento massivo spingano verso l’uniformazione della risposta di giustizia, ad evidenti fini di parità di trattamento; si può quindi adottare un’adeguata tecnica di sostegno all’elaborazione della decisione finale, in linea di massima - ma non in via esaustiva - limitata a particolari segmenti della decisione (anche se negoziale e quindi affidata alle parti stesse o ad un arbitro).
In particolare, il modello di lettura è da concordare già solo quanto ai prerequisiti della progettazione, a cominciare dagli obiettivi e poi - ma su basi necessariamente analoghe, semmai allargando le maglie della flessibilità per la seconda – quanto ad arretrato e negoziabilità futura, su concetti fondamentali quali i parametri dell’equità o legittimità delle scelte e degli scopi e le clausole generali (buona fede, abuso del diritto, dignità della persona, ambito del sindacato rimesso o consentito al giudice).
C’è bisogno di accordi altamente standardizzati e relativamente semplici, predisposti da professionisti, imprese e prestatori di servizi (oppure da organismi interistituzionali, che potrebbero fare utile riferimento all’Accademia), che possono sopperire ai costi della codificazione con un’applicazione su larga scala delle clausole “smart” codificate.
Occorre intendersi sul contenuto delle approssimazioni ragionevoli per il disbrigo dell’arretrato: a cominciare dalle questioni meramente o prevalentemente patrimoniali e comunque standardizzabili o definibili come seriali (quindi anche risarcitorie, purché non siano coinvolti diritti capitali personalissimi come la vita o, comunque, in questo caso, con limiti ben prefissati).
Per la negoziabilità futura gli esempi delle piattaforme automatizzate di risoluzione delle controversie adottate in alcuni Paesi europei ed il progetto europeo CREA (risoluzione di controversie attraverso algoritmi equitativi, in cui l’aggettivo finisce con il caratterizzare significativamente un algoritmo di proprietà tipiche del discernimento umano, lontane dall’automatismo dei sillogismi deduttivi) offrono spunti interessanti quali modalità cibernetiche di espletamento di attività riconducibile al tradizionale arbitrato.
In nessun caso, però, dovrebbe mancare la previsione di un intervento umano o la stessa obbligatorietà di un’integrazione umana al ricorrere di presupposti prefissati.
Ancora, l’innovazione va conseguita mediante un tavolo o studio comune della materia (da parte delle Università, del CNF, del CNN, della CoNSoB, della Formazione anche decentrata di Avvocati e Magistrati, altre istituzioni pubbliche), con convegni, pubblicazioni congiunte, giornate dimostrative, strumenti di divulgazione secondo le moderne tecnologie, altri attività di studio e semmai di sperimentazione.
5. Spunti conclusivi.
Si vive in tempi di generalizzata disintermediazione: è un fenomeno che formalmente esalta le potenzialità dell’individuo (l’uomo - se non l’utente - digitale), messo in teoria alla pari con chiunque altro, al contempo proiettandolo in un ambiente virtuale a cui egli è esposto con tutte le sue debolezze: ed allora il rischio è quello che il mezzo, paritario ed egualitario sulla carta, sia un’occasione di prevaricazioni ed abusi; insomma, il rischio è che si tratti della versione tecnologicamente aggiornata - anch’essa fondata sulla pretesa parità delle armi o delle risorse a disposizione - dello stesso egualitarismo, forse un po’ mistificatorio, tipico di ogni rivoluzione, in cui l’uguaglianza viene invocata a proprio favore in danno di chi la comprime, ma spesso dimenticando le prevaricazioni commesse sotto altri profili in danno di altre categorie[12].
Del resto, la rete, così com’è strutturata oggi, acefala e diffusa, è manipolabile in modo ampio ed anzi potenzialmente indefinito e quindi infinito; ciò che si accompagna alla tendenziale inaffidabilità di fondo del sistema prescelto in molti settori, siccome decentralizzato ed affidato al controllo ed alla gestione della maggioranza degli utenti attivi (con la presunzione, benché solo relativa, del consenso dei coutenti silenti), in cui tutto si affida ad una valutazione di improbabilità di un uso improprio, valutazione che però è per definizione di dubbio valore scientifico, quale esaltazione di un empirismo esasperato e, paradossalmente, a sua volta sempre meno probabile, sempre meno significativo risultando il silenzio a mano a mano che aumenta il numero dei fruitori e si sviluppa il carattere passivo o prevalentemente acritico della fruizione.
È, prima di ogni altra cosa, irrinunciabile la presa di coscienza della necessità di un approccio interdisciplinare al fenomeno della devoluzione ad automi di fasi decisionali dell’attività negoziale, visto sotto diverse e spesso non necessariamente collimanti luci dalle differenti professionalità, tutte coinvolte, dei progettisti di programmi e macchine e degli operatori giuridici (Accademia, Avvocatura, Magistratura, Notariato): a cominciare dall’elaborazione dei principi e degli obiettivi fondamentali, tra cui una definizione quanto più possibile condivisa e tecnicamente operativa delle clausole generali e degli scopi e dei limiti dell’intervento automatizzato nel delicato settore, potenzialmente relativo alla vita quotidiana dei singoli e comunque idoneo ad incidere pesantemente nella gestione delle economie loro e perfino dell’economia globale nel suo complesso.
Quale punto di partenza per un’indispensabile ben più ampia riflessione potrebbe quindi formularsi una valutazione complessiva di sostanziale adeguatezza della tecnologia robotica in decisioni negoziali semplici o “non segmentate”, oppure, all’inverso, in soli segmenti di queste ed ove poi intervenga, se non altro in via decisiva, un intervento non automatizzato, oppure ancora in decisioni negoziali seriali e a fondarsi su presupposti fattuali obiettivi od univoci o soggetti ad un margine assai ridotto di valutazione.
A questa valutazione cautamente positiva si deve congiungere altra, di segno opposto, di disfavore verso l’affidamento a sistemi interamente automatizzati o robotizzati della decisione di tutte le altre situazioni negoziali, per la sostanziale carenza di flessibilità nell’interpretazione delle volontà delle parti e delle sopravvenienze non espressamente previste, con conseguente indispensabilità di clausole o meccanismi di salvaguardia, che impongano l’intervento umano in via sostitutiva e definitiva.
In definitiva, la decisione negoziale robotizzata o automatizzata è un’utile portato dell’evoluzione tecnologica, purché appunto rimanga in ruolo sostanzialmente servente e sostitutivo di operazioni umane meccaniche o ripetitive o caratterizzate, per la loro intrinseca natura, dalla non necessità di valutazioni o di scelte in senso lato discrezionali: ciò che riconduce il robot che decide nel negozio al ruolo di un esecutore di istruzioni le più semplici possibili, tutte le volte appunto che determinate situazioni possono ridursi ad elementari schemi decisionali privi di discrezionalità (con lo schema if-then), in armonia con la sua funzione almeno originaria di sollievo dell’uomo da compiti noiosi perché sostanzialmente meccanici, oppure intrinsecamente pericolosi per le implicazioni - anche solo immateriali - delle azioni umane richieste.
Mano a mano che cresce o si complica la complessità delle decisioni da prendere diventa sempre più problematica, se non a prezzo di rimeditazioni complessive e profonde del diritto e dei presupposti anche etici di ogni ordinamento giuridico, la devoluzione a meccanismi totalmente automatizzati di condotte che dovrebbero rimanere riservate alla valutazione, per quanto imperfetta essa corra il rischio di essere, dell’essere umano.
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(*) Sviluppo ed aggiornamento degli appunti a sostegno della relazione tenuta al III Seminario “Leibniz” per la teoria e la logica del diritto, sotto il patrocinio dell’Accademia dei Lincei, tenutosi in Roma il 5 luglio 2018, sul tema “La decisione robotica”.
[1] Può definirsi hardware la parte fisica di un elaboratore od altro apparecchio simile, articolato su interazioni elettriche o fisiche o chimiche.
[2] Si sogliono definire software tutti i componenti modificabili di un sistema o di un apparecchio e, più specificamente in informatica, l’insieme dei programmi che possono essere impiegati su un sistema di elaborazione. La presente definizione, come la precedente di hardware, è tratta dalla Enciclopedia Treccani on-line, al sito http://www.treccani.it/enciclopedia/software/ (ultimo accesso 08/09/2018).
[3] La quale è così definita dall’Enciclopedia Treccani on-line:
Matematica: termine, derivato dall’appellativo al-Khuwārizmī («originario della Corasmia», questa essendo una regione dell’Asia centrale, a ovest di Samarcanda e di Bukhara, sulla via della seta tra la Cina e l’Occidente, sede dell’importante Khanato di Khīwa e identificata con un vero e proprio Impero, abbattuto solo nel XIII secolo da Gengis Khan) del matematico Muḥammad ibn Mūsa del 9° sec., che designa qualunque schema o procedimento sistematico di calcolo (per es. l’a. euclideo, delle divisioni successive, l’a. algebrico, insieme delle regole del calcolo algebrico ecc.). Con un a. si tende a esprimere in termini matematicamente precisi il concetto di procedura generale, di metodo sistematico valido per la soluzione di una certa classe di problemi.
Informatica: si definisce a. una sequenza finita di operazioni elementari, eseguibili facilmente da un elaboratore che, a partire da un insieme di dati I (input), produce un altro insieme di dati O (output) che soddisfano un preassegnato insieme di requisiti. Spesso i requisiti vengono distinti in due categorie: i vincoli, ossia requisiti che devono essere soddisfatti in ogni caso, e gli obiettivi, ossia requisiti che devono essere soddisfatti il meglio possibile secondo un qualche criterio specificato.
[4] V. la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103(INL)), consultabili (ultimo accesso 08/09/2018) in
http://www.europarl.europa.eu/RegData/seance_pleniere/textes_adoptes/definitif/2017/02-16/0051/P8_TA(2017)0051_1_IT.pdf.
Significativo è il richiamo ivi contenuto alle “leggi della robotica” elaborate da Isaac Asimov:
(I) Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. (II) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. (III) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. (cfr. Isaac Asimov, Circolo vizioso, 1942) e (0) Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.
[5] Tra le ultime realizzazioni si veda il caso del robot “VERA”, su cui, tra gli altri ed a parte quanto si ricava dal sito dell’impresa che l’ha implementato, l’articolo del The Guardian, Will a robot recruiter be hiring you for your next job?, in https://www.theguardian.com/careers/2018/feb/02/will-a-robot-recruiter-be-hiring-you-for-your-next-job, ultimo accesso 24/09/2018.
[6] Dell’Organismo Italiano di Valutazione - OIV, che si prefigge appunto l’elaborazione di tali criteri generali.
[7] Su cui si veda, prima di ogni altra cosa, il Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento e del Consiglio del 21 maggio 2013 per risolvere extragiudizialmente le controversie nascenti dai contratti di acquisto online di beni e servizi (Online Dispute Regulation).
Il decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 130, che recepisce nel nostro ordinamento la direttiva 2013/11/UE sull'ADR europea per i consumatori (Alternative Dispute Resolution), ha modifica il Codice del Consumo, introducendo, in particolare, un titolo dedicato alla risoluzione extragiudiziale delle controversie per i consumatori - ADR. ARERA, designata autorità competente per l’ADR nei settori regolati con delibera 620/2015/E/com e relativa Disciplina di cui all’allegato A, ha istituito l’elenco e definito le modalità di iscrizione degli organismi che offrono ai consumatori procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie (ADR) per i settori di competenza dell’Autorità. L’elenco è pubblicato sul sito dell’Autorità e trasmesso al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) quale punto di contatto unico con la Commissione Europea per le ADR di consumo, ai fini dell’iscrizione nella piattaforma ODR (Online Dispute Resolution).
[8] Smart contract. A prescindere dalle diverse definizioni, per le quali è indispensabile un rinvio alla bibliografia specialistica, può probabilmente - e sempre a fini meramente descrittivi ed a prezzo di approssimazioni anche fallaci - raffigurarsi lo smart contract come la “giuridicizzazione” di un diagramma di flusso relativo ad un accordo tra due o più parti ed alla sua esecuzione; con la precisazione che per diagramma di flusso o flowchart si intende poi un grafico mediante il quale in un processo elaborativo viene evidenziata la successione e concatenazione delle operazioni in rapporto di causa ed effetto o di evenienza possibile e conseguenza. Se in genere la flowchart consiste in una serie di caselle unite da frecce (con ritorni nel caso di processi iterativi, con biforcazioni nel caso di scelte, e così via), mediante la quale è possibile evidenziare il processo logico che è alla base della successione delle operazioni, può azzardarsi allora che lo schema dello smart contract ricorda appunto la pattuizione di tutti gli sviluppi potenziali tali ritenuti dalle parti. La più banale delle conseguenze è che con lo smart contract affidato ad un sistema automatizzato, in base al programma dello sviluppo delle interazioni future voluto dalle parti, ad ogni determinato evento da costoro previsto corrisponderà infallibilmente ed inesorabilmente una determinata conseguenza.
[9] Blockchain. Pure in questo caso rinviandosi alla bibliografia specialistica citata in calce alla presente, in via di estrema approssimazione può definirsi tale una tecnologia informatica che consente di registrare, su un database condiviso da una rete di computer, qualsiasi tipo di dato in modo sicuro e tracciabile ed il cui fulcro è quello del consenso tra i partecipanti, che collaborano al mantenimento e alla “messa in sicurezza” della piattaforma (ovvero, secondo altra definizione, una piattaforma senza intermediari - e, perciò, decentralizzata - per la conclusione, formalizzazione e gestione dei rapporti di scambio in un ecosistema digitale).
[10] Anche in quest’occasione in base a www.treccani.it (ultimo accesso 08/09/2018), per Internet of Things si intende una “rete di oggetti dotati di tecnologie di identificazione, collegati fra di loro, in grado di comunicare sia reciprocamente sia verso punti nodali del sistema, ma soprattutto in grado di costituire un enorme network di cose dove ognuna di esse è rintracciabile per nome e in riferimento alla posizione”. L’espressione «Internet delle cose» è stata coniata nel 1999 da Kevin Ashton. L’identificazione di ciascun oggetto avviene tramite minuscoli transponder a radiofrequenza in essi inseriti, oppure mediante codici a barre o codici grafici bidimensionali impressi sull’oggetto. Le applicazioni vanno dalla gestione di beni di consumo (durante la produzione, l’immagazzinamento, la distribuzione, la vendita o l’assistenza postvendita), al tracciamento di oggetti persi o rubati. Estensioni dell’Internet of things, anche se non parte del concetto originale, sono l’ambient intelligence e l’autonomous control: la prima indica un ambiente costituito da oggetti che rispondono alla presenza di esseri umani agendo in conformità a determinate aspettative di questi; la seconda amplia il campo d’azione applicando strumenti intelligenti a ciascun oggetto reale o virtuale e mettendoli in grado di comunicare tra loro.
È evidente la serie di problematiche indotta dalla possibilità della stipula di contratti sulla base di meccanismi automatizzati: ad esempio, gli ordini di merce formulati da gestori automatizzati di magazzini o di case od altri immobili in dipendenza del rilevamento delle necessità o dello stato del magazzino o delle scorte esistenti e così via.
[11] La letteratura sul punto è già molto ampia. Fra tutti, per una prima definizione, si può vedere P. Cuccuru, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contract, in Nuova giur. Civ., 2017, 1, 107, soprattutto paragrafi 6 ss.; in particolare, vi si sottolinea come questi possano definirsi protocolli per computer attraverso i quali si formalizzano gli elementi di un rapporto (solitamente di scambio), in grado di eseguire autonomamente i termini programmati una volta soddisfatte le condizioni predefinite; con l’ulteriore precisazione che, nonostante il nome, gli smart contract non sono necessariamente contratti giuridicamente intesi (sebbene possano esserlo ove ne integrino i requisiti), ma, più semplicemente, degli strumenti per la negoziazione, conclusione e/o automatica applicazione di rapporti contrattuali o relazioni para-contrattuali: un canale per la conclusione e gestione degli accordi, piuttosto che accordi in sé.
In concreto, gli smart contract sono agenti indipendenti ai quali viene affidato un certo patrimonio digitale che viene gestito in conformità alle istruzioni fornite dal programmatore. Una volta inclusi nella blockchain, gli smart contract operano seguendo le regole pre-impostate fino al raggiungimento dell’obiettivo stabilito o all’esaurimento delle risorse delle quali sono dotati. Il loro protocollo ricalca, semplificando, lo schema causale “se x, allora y”, che nella forma base ricorda una sorta di distributore automatico digitalizzato. Si consideri, ad esempio, l’acquisto di una licenza d’uso per un opera di proprietà intellettuale, o il trasferimento di un qualsiasi altro dato - come le preferenze di una certa categoria di persone, così come desunte dalle loro attività online, a fini pubblicitari. La parte A crea uno smart contract, al quale allega permanentemente l’informazione x (la licenza, le preferenze), programmando che essa venga trasferita al soddisfacimento di certe condizioni (ad esempio per una certa controprestazione in valuta virtuale y), e lancia il protocollo in una blockchain. Nel momento in cui la parte B intende ottenere x, essa interagisce col protocollo creato da A, trasferendo, in caso di accettazione dei termini dello scambio, la somma y. Essendo integrate le condizioni dello scambio, l’algoritmo dello smart contract rilascia x alla parte B e trasferisce y alla parte A, eliminando il divario temporale tra le prestazioni collegate, nonché ogni spazio per il volontario inadempimento delle parti: una volta che l’obbligazione è eseguita da un lato (y), il protocollo computerizzato esegue automaticamente e simultaneamente l’altra parte dell’accordo (x). Nella sostanza, il meccanismo imita un deposito presso terzi - e, perciò, le operazioni multi-sig previste nell’ecosistema Bitcoin - con lo smart contract quale autonomo deposito di informazioni e valori digitali (P. Cuccuru, op. loc. ult. cit.).
Gli smart contract possono, inoltre, essere programmati per tenere in considerazione degli input provenienti da fonti esterne ritenute affidabili. Un protocollo può essere, ad esempio, istruito al fine di vendere/acquistare un certo tipo di bene virtuale (ad esempio, dello spazio di archiviazione) o un certo numero di partecipazioni azionarie allorquando (e solo se) il prezzo raggiunga una certa soglia od ulteriori condizioni vengano soddisfatte. Ancora, l’algoritmo potrebbe autonomamente pagare il venditore una volta che un bene acquistato online è consegnato al compratore. Le informazioni necessarie allo svolgimento di tali operazioni (prezzo dei beni o delle azioni, conferma di avvenuta consegna) sono fornite dai c.d. oracoli (oracles), programmi indipendenti dalla blockchain che monitorano dati esterni al sistema decentralizzato - come gli indici delle quotazioni azionarie o il database del vettore - e comunicano agli smart contract collegati il soddisfacimento delle condizioni rilevanti. Il meccanismo degli oracles ha, tuttavia, l’inevitabile svantaggio di reintrodurre un grado di incertezza nel sistema. Il rapporto formalizzato è, difatti, esposto al rischio di disfunzioni o manomissione delle fonti di informazione esterne sulle quali fa affidamento (P. Cuccuru, op. loc. ult. cit.).
[12] L. Ferrajoli, Iura Paria, Napoli, 2015, soprattutto pp. 183 ss.
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