Lo Stato contro Fritz Bauer
Il racconto della vicenda del magistrato le cui indagini portarono alla cattura di Adolf Eichmann, quale punto di vista sul difficile percorso della giustizia post olocausto.
di Filippo Ruggiero
Un magistrato è andato in televisione; questa volta la trasmissione non ha avuto per oggetto questioni di cronaca giudiziaria o riforme legisltative ad uso e consumo del dibattito politico, ma si è trattato di incontrare un gruppo di giovani e rispondere alle loro domande sulla generazione precedente: il magistrato in questione è Fritz Bauer, Procuratore Generale dell’Assia nel secondo dopoguerra, dal 1956 alla sua morte nel 1968.
Con un filmato di archivio che documenta questa apparizione televisiva si apre Lo Stato contro Fritz Bauer, film del regista Lars Kraume, produzione tedesca, vincitore del premio del pubblico al Festival di Locarno 2015.
La vicenda narrata si colloca alla fine degli anni ’50, quando Bauer era impegnato ad indagare su alcuni dei maggiori crimini di apparato compiuti durante il regime nazista, e si sviluppa, in particolare, seguendo le indagini che portarono, nel 1960, alla cattura in Argentina di Adolf Eichmann.
In questo contesto, Bauer è chiamato a confrontarsi con un clima freddo, tangibile oltre che nelle sfere della politica, tra gli stessi colleghi, nella polizia, nei servizi e comunque negli apparati chiamati a collaborare nelle indagini, dove in gran parte continuano ad operare le stesse persone che vi avevano operato durante il periodo totalitario. Emerge quindi un clima di aperta ostilità da parte di coloro che, come via di fuga dalle responsabilità storiche, prima ancora che giudiziarie, aspirano a mettere da parte un passato scomodo, come un argomento troppo grande con cui non è dato confrontarsi: l’incapacità di uno Stato di fermarsi a riflettere e fare i conti con il proprio passato.
Questa incapacità e questa ostilità si toccano nell’incontro televisivo che il Procuratore Bauer ha con il gruppo di giovani, quando lui viene apertamente accusato di avere trascinato, con le sue indagini, la Germania nel fango, gettando cattiva luce su quello che ormai è diventato uno stato democratico, mentre nell’ottica dei suoi interlocutori il periodo buio è ormai alle spalle, per sempre superato, con l’affermazione per cui ormai la Germania ha una Costituzione democratica, della quale può andare orgogliosa.
Qui si richiama quel costituzionalismo per cui la costituzione non è solo testo normativo fondamentale contenente l’insieme degli elementi qualificanti un dato sistema, ma è al contempo manifesto politico, che non si limita a descrivere l’essere di un’organizzazione, ma indica i principi verso cui tale organizzazione aspira. In tale ottica, quello che Bauer rappresenta è che non è sufficiente avere una costituzione democratica, ma è necessario fare pratica quotidiana dei principi e dei valori che essa esprime per mantenerla viva e svilupparla.
Nella narrazione, la figura di Bauer ad un certo punto si trova anche davanti all’eterna scelta tra leggi degli uomini e giustizia, quando osteggiato dalle forze di polizia tedesca non collaborative nelle indagini su Eichmann, valuta se tessere rapporti con i servizi israeliani, cosa che implicherebbe alto tradimento. Se le scelte di Bauer, quali esse siano, possono apparire condizionate da spinte di carattere personale derivate dalla sua militanza giovanile durante la Repubblica di Weimer nel partito socialdemocratico e il successivo esilio durante il periodo nazista, nella narrazione trova spazio la figura del giovane procuratore di Stato Angermann: nel momento in cui tutto spinge verso una chiusura nel privato, soggetto al ricatto perpetrato dalle forze di polizia nei suoi confronti (atti contrari al buon costume, ndr), Angermann incurante compie la scelta personalmente più difficile, ma che realizza quell’esercizio quotidiano dei principi di democrazia che la Costituzione richiede, avendo trovato in Bauer l’esempio.
L’attività di Bauer ha avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione del Processo di Francoforte, tenutosi tra il 1963 ed il 1965 nei confronti di ventidue imputati accusati di crimini commessi nel campo di concentramento di Auschwitz.