Può il Consiglio di Stato sollevare il conflitto negativo di giurisdizione nell’ambito della translatio iudicii? (nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, ord. 24 ottobre 2024 n. 8507 e Cassazione, S.U., ord. 12 luglio 2025 n. 19196)
di Marco Mazzamuto
Sommario: 1. La questione. – 2. L’accelerazione processuale sulle questioni di giurisdizioni a detrimento del controllo delle giurisdizioni superiori. – 3. Lo stato dell’arte precedente alle due pronunce annotate. – 4. L’ordinanza del Consiglio di Stato: rilievi critici. – 5. L’ordinanza della Cassazione: rilievi critici. – 6. Breve conclusione.
1. La questione.
Le pronunce annotate sono di grande rilievo pratico poiché riguardano la possibilità che, in sede di translatio iudicii[1], il Consiglio di Stato sollevi il conflitto negativo di giurisdizione di fronte alle Sezioni Unite della Cassazione ed è solo per questo profilo processuale che verranno prese in considerazione. Il Consiglio di Stato, sollevando il conflitto, parte ovviamente dal presupposto che ciò fosse nelle sue facoltà e le Sezioni Unite hanno ritenuto il ricorso ammissibile, statuendo poi nel merito della questione di giurisdizione.
Deve subito evidenziarsi, come si cercherà di mostrare nel prosieguo, che entrambe le pronunce, ammesso che troveranno in seguito conferma, appaiono nel metodo assai censurabili, poiché hanno troppo sbrigativamente determinato un significativo mutamento di giurisprudenza, con una carente o travisante considerazione dei precedenti.
2. L’accelerazione processuale sulle questioni di giurisdizioni a detrimento del controllo delle giurisdizioni superiori.
L’incombere sul nostro ordinamento della questione della ragionevole durata dei giudizi ha indotto le giurisdizioni superiori ad attivare dei meccanismi di accelerazione processuale in vista di una rapida definizione della questione di giurisdizione.
Basti evocare il giudicato implicito sulla giurisdizione, affermato dalla Cassazione (S.U. n. 24883/2008), in discontinuità con l’orientamento tradizionale, e poi recepito dal legislatore (nell’art. 9 c.p.a. e nel nuovo art. 37 c.p.c.), o l’assunto che chi ricorre ad un giudice non può poi contestarne la giurisdizione, affermato dal Consiglio di Stato, sotto il profilo dell’abuso del processo, e poi condiviso dalla Cassazione (S.U. n. 21260/2016), pur con diversa motivazione, e cioè che essendovi sempre un autonomo capo, anche implicito, sulla giurisdizione, chi agisce in giudizio, pur ove soccombente nel merito, rimanga comunque vincitore sul capo relativo alla giurisdizione e dunque privo del requisito della soccombenza per contestare tale capo in appello.
Ovviamente siffatti meccanismi preclusivi finiscono in parte per ridurre il tradizionale controllo che le giurisdizioni superiori hanno sempre esercitato sulla giurisdizione.
Non è forse un caso che ciò abbia anche determinato un qualche contraccolpo, come potrebbe ravvisarsi nella correzione di tiro effettuata dalla Cassazione, nel senso che il giudicato implicito varrebbe per il riparto di giurisdizione, ma non anche per l’eccesso di potere giurisdizionale (S.U. n.1034/2019; n. 19084/2020). Questo orientamento sembrerebbe trovare oggi conferma nel nuovo art. 37 c.p.c., sebbene dal punto di vista del giudice ordinario: e infatti, se per il riparto di giurisdizione ci si adegua al diritto vivente del giudicato implicito, riguardo invece al difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, evocante appunto l’eccesso di potere giurisdizionale, si mantiene la rilevabilità, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo.
L’istituto della translatio è stata non meno informata a questa ratio acceleratoria: sia per l’utilizzo stesso di questo strumento anche nei rapporti con i giudici speciali, sicché la questione di giurisdizione non diventa ostacolo ad una pronuncia di merito, consentendo all’interessato di attivarsi con immediatezza di fronte al giudice ad quem, senza bisogno di instaurare un nuovo processo; sia, per quello che qui specialmente importa, per l’introduzione, ancora una volta, di meccanismi preclusivi sulla questione di giurisdizione di fronte al giudice ad quem, qualora l’interessato opti per la translatio, e sempre che lo faccia tempestivamente altrimenti il processo si estingue.
3. Lo stato dell’arte precedente alle due pronunce annotate.
Sul piano normativo fondamentale è l’art. 59 l. n. 69/2009, che pone due ordini di preclusioni: uno riguardante le parti, sicché se “la domanda è riproposta al giudice ivi indicato”, indicato cioè nella declinatoria di giurisdizione del giudice a quo, e “nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione” (comma 2); un altro riguardante il giudice ad quem, il quale “può sollevare d’ufficio, con ordinanza” la questione di giurisdizione di fronte alla Cassazione, solo “fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito” (comma 3).
Il codice del processo amministrativo si occupa solo della seconda preclusione, prevedendo che “quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione” (art. 11, comma 3, c.p.a.). Tuttavia il citato art. 59 comma 2 è ritenuto applicabile anche al processo amministrativo, in quanto si tratterebbe della disciplina generale in materia di translatio, operante, in presenza di lacune, come in tal caso, nel senso di integrare in via sussidiaria la disciplina speciale del c.p.a. (SU n. 27163/2018; n. 19045/2018).
Le Sezioni unite hanno subito chiarito che la mancata impugnazione della decisione declinatoria del giudice a quo e la riassunzione del processo davanti al giudice indicato determinano l'effetto di un “giudicato” sulla giurisdizione, con la conseguenza che nel giudizio ad quem le parti non possono ricorrere al regolamento preventivo di giurisdizione (SU ord. n. 14828/2010; n. 16033/2010; n. 23596/2010; n. 14660/2011).
Poco dopo, l’Adunanza plenaria, sulla scorta di questi precedenti, assevererà che questo giudicato vincola le parti, sicché esse non solo non possono esperire il regolamento preventivo, ma non possono neanche presentare, in sede di riassunzione, una “eccezione” di difetto di giurisdizione del giudice ad quem, il quale, all’occorrenza, sarà tenuto a dichiararne l’inammissibilità. Tutt’al più, dall’art. 11 c.p.a., che, diversamente dall’art. 59 cit., recita “anche” d’ufficio, si ricava che legge sembri “implicitamente intendere che le parti potrebbero sollecitare l’esercizio del potere” officioso di sollevare il conflitto da parte del giudice ad quem (Ad. pl. n. 24/2011).
La questione di giurisdizione potrà dunque risorgere soltanto qualora il giudice ad quem di prime cure, ed entro il termine della prima udienza, sollevi d’ufficio il conflitto, altrimenti non potrà in alcun modo essere più rimessa in discussione, secondo appunto quella ratio acceleratoria per la quale, come bene evidenziato dall’Adunanza plenaria (n. 4/2018) “la definitiva pronuncia sulla giurisdizione deve intervenire nel più breve tempo possibile”.
Nello stesso 2011 si affrontava per la prima volta la possibilità che il conflitto potesse essere sollevato dal giudice di appello nel quadro della disciplina della translatio. Sull’implicito presupposto che ciò non fosse in generale ammissibile, si ritagliava pregevolmente un’eccezione: intendendo per prima udienza di fronte al giudice ad quem di prime cure non quella che lo fosse in senso cronologico, bensì la prima udienza “utile”, si evidenziava che tale udienza “utile” non si fosse consumata, e ciò perché “il giudice di primo grado si è fermato all’esame di una questione di rito” (decadenza dell’azione) “a cui, nell’ordine logico, ha dato priorità rispetto alla questione di giurisdizione”, impedendo l’esame di quest’ultima. La conseguenza era che la prima udienza “utile” e dunque la concreta possibilità di sollevare il conflitto non poteva che spostarsi nel giudizio d’appello (CdS VI n. 6041/2011).
Sul sollevato conflitto intervenne una articolata e non meno pregevole pronuncia delle Sezioni Unite.
La Corte risolveva anzitutto una questione di diritto intertemporale ritenendo non applicabile la disciplina legislativa della translatio al caso di specie, considerando che “il giudizio di primo grado si è svolto prima che la norma entrasse in vigore”, sicché “negare che nella circostanza in esame il Consiglio di Stato avesse la facoltà di sollevare il conflitto, significherebbe applicare la norma in modo retroattivo”. Si spostava così del tutto il parametro di giudizio rispetto all’ordinanza del Consiglio di Stato che era invece incentrata sulla disciplina legislativa della translatio.
Il conflitto era dunque, alla luce della previgente disciplina, configurabile, ma venne tuttavia dichiarato inammissibile per un'altra ragione, e cioè per la regola, che doveva già allora ritenersi vigente, del giudicato implicito sulla giurisdizione. Tale giudicato era da intendersi formato anche nel caso di specie in ragione della pronuncia sulla decadenza e della mancata proposizione di un motivo di appello sulla giurisdizione, rimanendo così “precluso l’accesso alla richiesta di soluzione del conflitto”.
Ma, ai nostri fini, ancor più rilevante è che, nell’interesse della legge, la Corte si sia pronunciata sulla disciplina vigente della translatio.
La Corte limpidamente e inequivocabimente ci rappresenta quale sia la “regola” in costanza di translatio:
“ripreso il processo davanti al giudice indicato dal diverso giudice di merito dichiaratosi privo di giurisdizione, la richiesta di conflitto è ora il solo strumento attraverso il quale il giudice indicato può esercitare il suo potere di rilievo di ufficio sulla questione di giurisdizione. Ciò nel processo di primo grado. Mentre anche di questo il giudice è privo nel processo di appello, perché se il potere di rilievo di ufficio non l’ha esercitato il giudice di primo grado sollevando il conflitto, al riguardo si sarà formata una preclusione a discutere ulteriormente della giurisdizione”.
A questa regola si oppone, al contempo, un’eccezione, cogliendo lo spunto del Consiglio di Stato. La Corte discetta sui rapporti tra ordine delle udienze e ordine delle questioni nel processo civile, da reinterpretare alla luce dell’art. 59, c. 3, della legge del 2009, che parla di “prima udienza fissata per la trattazione del merito”. Nella medesima luce si guarda alla disciplina del processo amministrativo, ove si parla solo di “prima udienza” (art. 11, c.3. cpa), ma da interpretare come “udienza per la discussione del ricorso” di cui all’art. 71. c. 3 c.p.a..
L’eccezione è ravvisata ogni volta “il giudizio di primo si sia concluso previo rilievo di questione attinente all’ordine del processo, pregiudiziale rispetto alla stessa questione di giurisdizione”. Solo in questa evenienza si “consente di evitare” che il giudice appello, ed in particolare, anche quello amministrativo, “risulti privato del potere di rilievo d’ufficio del proprio difetto di giurisdizione” (SU n. 5873/2012; corsivo nostro).
Nel 2013 il Consiglio di Stato esperiva nuovamente un conflitto, in un caso in cui il giudice di prime cure, invece di sollevare il conflitto, aveva definito il giudizio declinando la giurisdizione con sentenza in forma semplificata, emessa, in camera di consiglio, ad esito della domanda cautelare, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., sicché, a mente di SU n. 5873/2012, non si era svolta l’udienza di merito, e gli appellanti avevano fatto espressa richiesta di sollevazione del conflitto (CdS IV n. 3462/2013).
Le Sezioni Unite dichiaravano inammissibile il conflitto, in quanto la declinatoria di prime cure si era consumata “al di là della soglia” costituita dalla prima udienza del giudizio di primo grado e, secondo la regola, “era ormai divenuto incontestabile il radicamento giurisdizionale derivante dalla pronuncia in precedenza emessa dal giudice ordinario e dalla tempestiva riassunzione della causa in conformità a tale pronuncia”, né aveva rilievo che a ciò si fosse addivenuti con rito semplificato, poiché è “la stessa adunanza camerale, in cui le parti possono intervenire per svolgere le loro difese, ad integrare gli estremi di quella prima udienza fissata per la trattazione del merito di cui all’art. 59", o che vi fosse stata una richiesta degli appellanti, in sé ”irrilevante … trattandosi dell'esercizio di un potere d'ufficio i cui limiti non potrebbero certo essere ampliati da un'iniziativa di parte”; tutto ciò in conformità alla “ragione ispiratrice” della disciplina legislativa, e cioè che “si vuole evitare il più possibile ogni inutile dispendio di attività processuale” (S.U. n. 10922/2014).
A quel punto il Consiglio di Stato iniziò più decisamente ad allinearsi, invece di andare ancora alla ricerca di improbabili eccezioni alla regola.
Nel 2015 si statuiva, sulla scorta di S.U. n. 10922/2014 cit., che “il conflitto negativo non può essere sollevato, in riforma della sentenza appellata, da questo Consiglio di Stato” (CdS III n. 2040/2015), e ancora che “se quindi il giudice di prime cure, alla prima udienza, non solleva d’ufficio o su istanza di parte il conflitto, la questione si radica davanti a lui e non è più oggetto di vaglio, né in quella sede né in appello”, non potendo “estendersi al giudice di appello il potere di cui al comma 3 dell’art. 11, che è espressamente configurato come esercitabile in sede di riassunzione e solo alla prima udienza”, con l’aggiunta della pregevole precisazione che la differenza di disciplina tra l’art. 9 (“Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d'ufficio”) e l’art. 11 c.p.a., che pone i tempi più ristretti del rispetto del termine della prima udienza, è giustificata dal fatto che nel primo caso la pronuncia “affronta il tema della giurisdizione per la prima volta”, mentre nel secondo caso “interviene dopo che un giudice diverso si è già pronunciato” (CdS IV n. 2862/2015; da ult. CdS V n. 38/2024).
Nel 2019, in modo non pretestuoso, il Consiglio di Stato riproponeva un conflitto, a mente di SU n. 5873/2012 cit., sotto il profilo del regime intertemporale, poiché il giudizio di primo grado era anteriore all’entrata in vigore delle norme sulla translatio ed era stato presentato uno specifico motivo di appello sulla giurisdizione (ord. n. 2189/2019). Le Sezioni Unite, tuttavia, rivedendo solo in parte qua il precedente del 2012, ritennero che a rilevare sia il momento in cui viene sollevato il conflitto, sicché anche in questo caso si rimaneva soggetti alle norme sulla translatio. La conseguenza, in omaggio alla “regola”, era inevitabile: il conflitto venne dichiarato inammissibile (SU n. 1611/2020).
Il prosieguo continuerà in modo coerente con i precedenti.
D recente, si è così affermato che poiché “la declinatoria di giurisdizione non è stata impugnata; ed anzi, l’odierno appellante vi ha fatto acquiescenza riassumendo il giudizio innanzi agli organi di giustizia amministrativa”, le doglianze “svolte nell’appello” che “si risolvono nel riaffermare la giurisdizione del g.o. anziché del g.a., sono inammissibili” (CdS III n. 7183/2025).
Parimenti si è rigettato il motivo di appello avverso “il capo della sentenza” di prime cure “che ha dichiarato inammissibile l’istanza volta a sollecitare il potere del giudice di sollevare d’ufficio il conflitto di giurisdizione”, sempre secondo il principio per il quale “una volta riassunto il giudizio innanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, le parti non possono più mettere in discussione la decisione del primo giudice che ha declinato la giurisdizione, né mediante regolamento preventivo di giurisdizione né mediante eccezione di difetto di giurisdizione, determinandosi un vero e proprio giudicato interno preclusivo alla successiva riproponibilità della questione” (CdS II n. 5912/2025).
Come si vede, ci troviamo di fronte ad un nucleo corposo di precedenti di cui sono anche chiari i principi di interpretazione dei dettami legislativi.
4. L’ordinanza del Consiglio di Stato: rilievi critici.
Questo il contenuto della motivazione che per la sua brevità vale la pena di riprodurre, così come si farà per l’ordinanza della Cassazione, al fine di poterne direttamente apprezzare l’effettiva consistenza:
“7. Il Collegio è dell’avviso che il presente giudizio debba essere devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario e pertanto ritiene necessario sollevare il conflitto negativo di giurisdizione in relazione alla pronuncia declinatoria resa dal Tribunale civile di Napoli, essendo stato proposto un espresso motivo di appello sul punto che, in forza dell’effetto devolutivo del gravame, ripropone nel presente grado la medesima questione tempestivamente esaminata, “alla prima udienza”, dal T.a.r., secondo quanto richiesto dall’art. 11, comma 3 c.p.a. a mente del quale “Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione.”.
Inoltre ai sensi dell’art. 362, comma 2 “Possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione:
1) i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra giudice amministrativo e giudice speciale, o tra questi e i giudici ordinari”.
Cosa debba intendersi per “prima udienza” ai sensi dell’art. 11, comma 3, c.p.a. è stato, a più riprese, chiarito dalle Sezioni unite (cfr. tra le tante Cass. civ., sez. un., ord. 17 giugno 2021, 17329; ord. 29 ottobre 2020 n. 23904; ord. 28 ottobre 2020, n. 23749; ord. 11 aprile 2018, n. 8981).
7.1. Il limite temporale posto dall’art. 11, comma 3, c.p.a. deve intendersi rispettato nel caso di specie poiché il T.a.r. ha espressamente affrontato la questione nella prima udienza di merito fissata, pervenendo alla decisione motivata di non sollevare il conflitto e tale statuizione è oggetto di specifico motivo di appello sicché la questione riemerge nel presente grado nella sua completezza, anche in ordine al profilo temporale, che resta cristallizzato al momento in cui il tema è stato affrontato, tempestivamente, dal T.a.r. all’esito dell’udienza di trattazione del merito.
Non è dunque ostativo alla ammissibilità del rimedio quanto osservato da Cass. civ., sez. un. 24 gennaio 2020, n. 1611 in fattispecie diversa in cui il T.a.r. non si era pronunciato espressamente sulla insussistenza dei presupposti per sollevare il conflitto negativo e l’appellante si era limitato a riproporre in appello l’eccezione di difetto di giurisdizione, oltre il limite temporale posto dall’art. 11, comma 3, c.p.a., in tal modo precludendo il rimedio del conflitto, per tale ragione ritenuto inammissibile dalle Sezioni unite”.
Quello che colpisce immediatamente di questa pronuncia è che non vi sia alcuna evocazione dei precedenti giurisprudenziali dello stesso Consiglio di Stato, ivi compresa l’Adunanza plenaria, e che della giurisprudenza della Cassazione, a parte i riferimenti a proposito di cosa debba intendersi per prima udienza, si menziona una sola decisione.
Il Consiglio concentra tutto il suo ragionamento sull’affermazione che, per evitare effetti preclusivi, il termine della prima udienza debba ritenersi rispettato per il fatto stesso che il Tar entro quel termine si sia comunque pronunciato, anche dunque qualora, come nel caso di specie, si sia espresso nel senso della insussistenza dei presupposti per sollevare il conflitto negativo. A quel punto, l’impugnativa di tale statuizione avrebbe fatto riemergere in appello la questione “nella sua completezza” e di conseguenza avrebbe altresì investito il Consiglio di Stato della facoltà di sollevare il conflitto. La pronuncia della Cassazione del 2020 viene evocata soltanto per evidenziare che in quel caso l’effetto preclusivo si era prodotto perché il Tar era rimasto silente, non provvedendo alcunché entro il termine.
Sennonché, è del tutto evidente che la legge per evitare effetti conclusivamente preclusivi sulla giurisdizione dà al giudice di prime cure una “sola” possibilità (SU n. 5873/2012 cit.): sollevare il conflitto, non avendo rilevanza null’altro, né che, entro il termine, il giudice rimanga silente, né che, entro il termine, adotti una qualsivoglia altra determinazione, compresa quella espressa di non sollevarlo. Si comprende così perché la giurisprudenza, ignorata dall’ordinanza, abbia de plano ritenuto che di regola il giudice d’appello non possa sollevare il conflitto. Ed infatti, al di là dell’eccezione prospettata in giurisprudenza (SU n. 5873/2012 cit.) vi sono solo due eventualità, entrambe escludenti il giudice d’appello: se il giudice di prime cure non solleva il conflitto, si determina la preclusione, senza che la questione possa rispuntare in appello; se invece solleva il conflitto, la questione giunge direttamente in Cassazione: tertium non datur. E ciò sempre coerentemente con quella ratio acceleratoria già evocata: la questione di giurisdizione deve essere risolta il prima possibile: o con le preclusioni o con l’immediato accesso alle determinazioni definitive della Cassazione.
Né, riguardo al ruolo delle parti, è ben posto il rilievo attribuito al fatto che il punto sia stato oggetto di un motivo di appello con conseguente effetto devolutivo, poiché, come recita l’art. 59 cit., “nel successivo processo le parti restano vincolate” all’indicazione del giudice a quo, sicché, già per il fatto stesso della scelta per la translatio, alle parti sulla questione di giurisdizione è ormai precluso qualsivoglia strumento di contestazione o rimedio, in primo o in secondo grado, e comunque, come chiarito dalla giurisprudenza (S.U. n. 10922/2014 cit.), le richieste delle parti non possono far oltrepassare i limiti del potere officioso del giudice d’appello. Anche parlare di una “eccezione” delle parti in prime cure è improprio, potendosi tutt’al più ammettere, come prospettato dall’Adunanza plenaria, una mera sollecitazione al giudice perché sollevi o meno il conflitto.
Del tutto inconferente è poi il riferimento all’art. 362, c. 2, c.p.c., poiché tale previsione presuppone il conflitto reale, cioè la ricorrenza di due pronunce contrastanti di giudici diversi, il che non è in alcun modo ravvisabile nel caso di specie, ove il giudice ad quem, non sollevando il conflitto, ha confermato quanto statuito dal giudice a quo. Il conflitto reale non è peraltro neanche possibile all’interno dello svolgimento rituale della translatio, per come disciplinata, poiché il giudice ad quem, ove ritenesse ritenere di non avere la giurisdizione, dovrebbe sollevare il conflitto in Cassazione, mentre non potrebbe emanare una sentenza sulla giurisdizione di contenuto contrario a quella del giudice a quo. Non a caso questo riferimento è stato completamente ignorato dalla Cassazione.
5. L’ordinanza della Cassazione: rilievi critici.
Questo il contenuto della breve motivazione:
“I. - Deve essere confermata l’ammissibilità del regolamento di giurisdizione nel caso concreto.
Questa Corte ha già avuto modo di considerare che nel giudizio tempestivamente riproposto dinanzi al giudice amministrativo a seguito di declinatoria di giurisdizione del giudice ordinario il Consiglio di Stato, in sede di appello, può sollevare d'ufficio il conflitto negativo dinanzi alle Sezioni Unite, con l’unico limite dell’osservanza, a pena di inammissibilità, del requisito temporale costituito dalla prima udienza fissata per la trattazione del merito (art. 11, terzo comma, cod. proc. amm.).
Il principio – dettato in un ambito di diritto intertemporale (v. Cass. Sez. U. n. 1611-20) rispetto a fattispecie in cui il giudizio di primo grado si era svolto prima dell’entrata in vigore di tale norma, in esplicita rimeditazione di altro indirizzo antecedente (v. Cass. Sez. U n. 5873-12) di contro incentrato sulla necessità di evitare applicazioni retroattive della disciplina di diritto processuale – rileva a maggior ragione nel caso concreto, in cui nessun problema di possibile estensione retroattiva si pone, visto che il giudizio dinanzi al TAR è stato instaurato in piena vigenza dell’art. 11 cod. proc. amm.
Dalla sentenza del TAR risulta che l’eccezione di difetto di giurisdizione era stata formulata tempestivamente all’atto della costituzione in giudizio della convenuta. Dalla sentenza del Consiglio di Stato risulta che, respinta l’eccezione da parte del TAR, la stessa era stata riproposta mediante formulazione di un esplicito motivo d’appello”.
Colpisce anche qui la paucità dei riferimenti e del costrutto, sino addirittura a stravolgere, le pronunce della stessa Cassazione evocate.
Si ignora sia il riferimento, del resto del tutto inconferente, all’art. 362, c. 2, c.p.c., sia la questione del presunto rilievo del pronunciamento del Tar entro il termine della prima udienza, che, pur nella sua evidente inconsistenza, rientrava quantomeno nel solco della interpretazione della disciplina normativa sulla translatio.
La Corte va invece per la sua strada: la motivazione diparte dalla vicenda del diritto intertemporale e cripticamente di tale vicenda capovolge ex abrupto gli esiti.
Il percorso dei precedenti delle Sezioni Unite pur articolato era chiarissimo.
Nella pronuncia del 2012, sotto il regime della translatio, la “regola”, salvo eccezione, precludeva la sollevazione del conflitto da parte del giudice di appello, mentre, nel regime previgente, ancora applicabile quando il giudizio di primo grado si fosse svolto prima dell’entrata in vigore delle norme sulla translatio, questa preclusione non sussisteva, e il conflitto sarebbe stato ammissibile. Per quanto, nel caso di specie, il conflitto venne comunque dichiarato inammissibile, ma per ragione del tutto diversa, attinente alla regola della formazione del giudicato implicito in assenza di appello sul punto di giurisdizione.
Nella pronuncia del 2020, sempre sotto il profilo intertemporale, si affermava diversamente che, ai fini dell’applicazione del regime della translatio, ciò che conta è non il momento in cui si svolge il giudizio di primo grado, ma il momento in cui si solleva il conflitto. La conseguenza dunque era ancora più rigorosa in senso ostativo, poiché pure per i giudizi di primo grado svolti prima dell’entrata in vigore delle norme della translatio scattava la “regola” preclusiva, tanto che il conflitto fu dichiarato inammissibile.
La Corte elabora invece un costrutto così eccentrico da renderne persino difficile il commento critico.
Ma quale sarebbe mai questo “principio” -dettato in un ambito di diritto intertemporale dalla pronuncia del 2020 e da valere a maggior ragione per un giudizio dinanzi al TAR instaurato in piena vigenza dell’art. 11 c.p.a.- che dovrebbe condurre, come ha condotto la Corte, ad una statuizione di ammissibilità del conflitto?
Il discorso, in ipotesi, avrebbe potuto al più valere in direzione opposta. Sembra invero ignorarsi che è proprio l’art. 11 c.p.a. ad importare la preclusione e che semmai, alla luce della pronuncia del 2020, tale preclusione era estendibile anche ai giudizi di primo grado instaurati in precedenza.
E cosa mai c’entra il valorizzare che la questione di giurisdizione fu eccepita in prime cure e poi con un esplicito motivo d’appello?
Questo è un punto irrilevante ai fini della translatio, poiché, come si è evidenziato più volte, le parti nulla possono contestare una volta scelta la via della translatio. Diversamente si tratterebbe di un punto decisivo in un percorso ordinario o in un percorso nel quale la translatio non era ancora vigente (o non era ritenuta vigente, come nella pronuncia del 2012), sotto il profilo delle preclusioni derivanti dal giudicato espresso o anche implicito che si forma sulla giurisdizione quando non vi è sul punto uno specifico motivo di appello. E’ come se la Corte abbia confusivamente sovrapposto questi due piani ed il loro regime giuridico, che invece nella pronuncia del 2012, ad una attenta lettura, rimanevano correttamente separati.
6. Breve conclusione.
Si potrà, in ipotesi, anche condividere che occorra rivedere i meccanismi di semplificazione attivati in questi anni e recuperare in parte o in tutto il ruolo delle giurisdizioni superiori sulle questioni di giurisdizione, ma non ci pare che sia quello mostrato dalle pronunce de quibus il modo per farlo, specialmente poi in ragione del grado superiore degli organi che le hanno adottate.
Altrimenti rimarrebbe soltanto il dubbio che possa essere stata una forzatura, come a volte accade, per determinare sotto tono e oscuramente un mutamento giuriprudenziale.
[1] In generale per i profili giurisprudenziali dell’autentico “ginepraio” della translatio, si rimanda a M. Mazzamuto, Riparto di giurisdizione: il riemergere dei fantasmi del passato, relazione al Convegno su Il processo amministrativo a quindici anni dal suo codice, Bari 13 e 14 novembre 2025, a conferma del perplessità che sin dall’inizio si erano sollevate attorno all’estensione dell’istituto ai rapporti tra giurisdizioni, Id., Per una doverosità costituzionale del diritto amministrativo e del suo giudice naturale, in Dir. proc. amm, 2010, 179 ss. e Id., La translatio iudicii si “"schiude"?, ivi, 2012, 660.
