Criteri ambientali minimi ed eterointegrazione della lex specialis di gara (nota a TAR Napoli, sez. I, 15 gennaio 2025, n. 427).
di Giuliano Taglianetti
Sommario: 1. Premessa: le questioni giuridiche affrontate dalla sentenza. - 2. Il quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inserisce la pronuncia in commento. - 3. La decisione del TAR Napoli. - 4. Considerazioni critiche e possibili soluzioni interpretative.
1. Premessa: le questioni giuridiche affrontate dalla sentenza
Con la sentenza in commento, la prima sezione del TAR Napoli si è pronunciata su due questioni problematiche riguardanti l’attuazione della normativa in materia di criteri ambientali minimi (d’ora in avanti, c.a.m.).
La prima questione riguarda la sussistenza o meno di un onere di immediata impugnazione del bando di gara nell’ipotesi in cui quest’ultimo non contenga alcun riferimento alle specifiche tecniche, alle clausole contrattuali e ai criteri premiali contenuti nei decreti ministeriali recanti i c.a.m..
La seconda, più complessa e problematica, attiene alle conseguenze del mancato inserimento dei c.a.m. nella lex specialis.
2. Il quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inserisce la pronuncia in commento
Prima di analizzare la sentenza in commento, è opportuno esaminare il quadro normativo e giurisprudenziale in cui essa si colloca.
L’art. 57, comma 2, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (codice dei contratti pubblici) sancisce l’obbligo per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di inserire nella documentazione progettuale e di gara le specifiche tecniche e le clausole contrattuali contenute nei c.a.m., definiti per categorie di contratti con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
La definizione a livello ministeriale di determinati standard di sostenibilità ambientale ed energetica si pone l’ambizioso obiettivo programmatico di limitare l’uso delle risorse naturali e di sostituire le fonti energetiche non rinnovabili con fonti rinnovabili, nonché di ridurre la produzione di rifiuti, delle emissioni inquinanti e dei rischi ambientali, nell’interesse della collettività e delle generazioni future.
I c.a.m. consistono concretamente in indicazioni tecniche, di natura eminentemente ambientale, che le pubbliche amministrazioni devono prendere in considerazione nel momento in cui definiscono le specifiche della prestazione oggetto della gara, nonché ai fini della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa[1].
Il processo di determinazione dei c.a.m. è stato avviato dalla legge 27 dicembre 2006 n. 296, con la quale è stata prevista l’adozione del Piano nazionale d’azione sul green public procurement (c.d. PAN GPP) da parte del(l’allora) Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (poi Ministero della transizione ecologica e, oggi, Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica).
Con decreto dell’11 aprile 2008, quest’ultimo Ministero, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e con il Ministero dello sviluppo economico, ha approvato il PAN GPP, individuando i settori merceologici di intervento prioritario per la tutela dell’ambiente (arredi, materiali da costruzione, manutenzione delle strade, gestione del verde pubblico, illuminazione e riscaldamento, elettronica, tessile, cancelleria, ristorazione, materiali per l’igiene, trasporti) in relazione ai quali definire i c.a.m.[2].
Il legislatore ha gradualmente imposto l’applicazione dei c.a.m nelle procedure preordinate all’affidamento di contratti pubblici[3], con il duplice fine di ridurre gli impatti ambientali e di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, favorendo, in tal modo, l’occupazione “verde”[4].
Dapprima, è intervenuto l’art. 18 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, che ha introdotto l’art. 68-bis nel d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (cd. “codice De Lise”), sancendo l’obbligo di inserire nei documenti di gara le specifiche tecniche e le clausole contrattuali previste nei c.a.m. di alcuni settori come l’illuminazione pubblica, le attrezzature elettriche ed elettroniche, i servizi energetici per gli edifici pubblici[5].
Il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, come riformato ad opera del primo correttivo di cui al d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56[6], aveva stabilito espressamente che tale obbligo si applicasse agli affidamenti di qualunque importo, relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei c.a.m. adottati in attuazione del vigente Piano d’azione.
Infine, la disciplina dei c.a.m. ha trovato conferma nel codice vigente (d.lgs. n. 36/2023), che impone alla pubblica amministrazione l’obbligo di inserimento nella documentazione progettuale e di gara «almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica» (art. 57, comma 2).
La citata disposizione è applicabile a tutti i contratti pubblici, riferendosi esplicitamente sia alle stazioni appaltanti sia agli enti concedenti, a prescindere dal loro valore[7].
La stessa norma prevede che le amministrazioni aggiudicatrici «valorizzino economicamente le procedure di affidamento di appalti e concessioni conformi ai c.a.m.»: in altre parole, si impone alla pubblica amministrazione l’obbligo di considerare i fattori ecologici e ambientali nella valutazione delle offerte, modulando discrezionalmente il peso da attribuire a ciascuno di essi in base ai principi di adeguatezza e proporzionalità.
L’attuazione della normativa in materia di c.a.m. ha posto rilevanti problematiche, soprattutto di carattere processuale, ed è stata oggetto di un ampio dibattito in giurisprudenza, che ha tentato di far luce su alcuni aspetti controversi.
Una prima questione riguarda l’ammissibilità o meno dell’immediata impugnazione della lex specialis volta a contestare l’omesso inserimento nella medesima delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei c.a.m.
Secondo un primo orientamento - più recente e, ad oggi, minoritario - il bando di gara privo di riferimenti ai c.a.m. impedirebbe la formulazione di “offerte consapevoli” da parte dei concorrenti e, pertanto, deve essere impugnato in via diretta ed immediata.
I sostenitori di questa tesi ritengono che, se la violazione dei principi in materia ambientale risulti già immediatamente evidente e percepibile al momento dell’indizione della gara, posporre l’impugnazione della lex specialis al momento dell’aggiudicazione si porrebbe in contrasto con i doveri di leale collaborazione, correttezza e buona fede (che governano sia i rapporti sostanziali sia quelli processuali)[8], nonché con i principi di economicità dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento[9].
Tale indirizzo interpretativo sembra ricondurre l’omesso inserimento dei c.a.m. nella lex specialis alle fattispecie di «gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta» ovvero ai casi eccezionali di clausole impositive di «obblighi contra ius» [10].
Secondo un diverso (e prevalente) indirizzo interpretativo la mancata previsione dell’obbligatorietà dei c.a.m. da parte del bando, non impedendo la partecipazione alla gara e la presentazione dell’offerta, non comporta l’onere di immediata impugnazione del bando stesso[11].
Seguendo quest’ultimo orientamento un ricorso diretto ad impugnare direttamente il bando per omesso inserimento dei c.a.m. sarebbe inammissibile per carenza di interesse ad agire.
Siffatta interpretazione risulta convincente, poiché i requisiti dell’attualità e della concretezza rappresentano parti integranti e ineliminabili dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.)[12], da ritenersi sussistenti soltanto a fronte di clausole del bando escludenti o impeditive della presentazione di offerte: clausole che la giurisprudenza qualifica come tali quando limitano o rendono estremamente difficoltosa la partecipazione alla gara[13].
In effetti, anche in presenza di un bando incompleto, non è possibile escludere a priori che una delle imprese partecipanti possa comunque presentare un’offerta conforme ai c.a.m., riuscendo così ad aggiudicarsi la gara.
D’altronde, la mancata previsione dell’obbligo di presentare offerte conformi ai c.a.m. - lungi dall’impedire o rendere estremamente difficoltosa la presentazione delle offerte - potrebbe addirittura essere considerato vantaggioso dalle imprese sotto il profilo tecnico ed economico, favorendo quindi una maggiore partecipazione alla gara[14].
Di maggiore complessità e rilevanza è il dibattito in merito alle conseguenze del mancato inserimento dei c.a.m. nella legge di gara, poiché riguarda il delicato equilibrio tra la tutela della concorrenza e il perseguimento di obiettivi ambientali.
Secondo un primo orientamento, invalso prevalentemente nella giurisprudenza di primo grado, l’obbligo di rispettare i criteri minimi ambientali deriva direttamente dall’articolo 57 del d.lgs. 36/2023, che costituisce norma imperativa e cogente, e dai decreti ministeriali in essa richiamati, i quali operano indipendentemente da una loro espressa e puntuale previsione negli atti di gara (cd. tesi della eterointegrazione normativa[15]).
Di conseguenza, l’omesso inserimento dei c.a.m. nella legge di gara non implica, di per sé, l’illegittimità della stessa[16].
A supporto di ciò è stato anche invocato il principio del risultato, che porrebbe l’accento «sull’esigenza di privilegiare l’effettivo e tempestivo conseguimento degli obiettivi dell’azione pubblica, prendendo in considerazione i fattori sostanziali dell’attività amministrativa, escludendo che la stessa sia vanificata, in tutti quei casi in cui non si rinvengano obiettive ragioni che ostino al suo espletamento»[17].
Da tale impostazione deriva che «anche in assenza di un’esplicita previsione nella lex specialis», da un lato, le imprese sono obbligate «ex lege ad offrire prodotti rispondenti ai c.a.m.»,[18] e, dall’altro, le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a verificare la rispondenza delle offerte tecniche presentate alle prescrizioni previste nei decreti ministeriali applicabili in base all’oggetto della gara.
In base a questa lettura, non è irragionevole pretendere che un operatore economico sia a conoscenza dell’esistenza e del contenuto dei c.a.m. (in ossequio al principio ignorantia legis non excusat) e che, pertanto, adegui la propria offerta ai citati criteri, in conformità al canone dell’ordinaria diligenza ex art 1176 c.c.[19]
Di conseguenza, la presentazione di offerte non conformi ai decreti ministeriali e ai relativi allegati che stabiliscono i c.a.m. giustifica l’esclusione del concorrente, anche se il rispetto degli stessi non è stato espressamente previsto nella lex specialis della gara[20].
Ciò è possibile in forza del generale meccanismo di cui agli artt. 1339 e 1374 c.c.[21].
Un’ulteriore e importante inferenza logica di tale impostazione è che l’impresa ricorrente, qualora sia in grado di dimostrare che la propria offerta sia stata comunque formulata in modo da rispettare i c.a.m., nonostante il loro omesso richiamo nel bando, potrebbe ottenere in via giurisdizionale, oltre all’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, anche l’aggiudicazione del contratto in sostituzione della impresa aggiudicataria, ex art. 122 c.p.a.
In sintesi, accedendo a questa prima impostazione ermeneutica, l’impresa partecipante è obbligata ex lege ad offrire prodotti rispondenti ai c.a.m., anche in assenza di esplicita previsione nella lex specialis, e, in caso di mancata aggiudicazione, potrebbe agire in giudizio contestando la mancata esclusione delle offerte difformi dagli stessi c.a.m. allo scopo di conseguire la commessa, soddisfacendo così direttamente il suo interesse finale (vale a dire la stipula del contratto e l’esecuzione dello stesso).
Secondo una diversa tesi, che potremmo definire “della necessaria caducazione della procedura di gara”, l’inevitabile conseguenza del mancato inserimento dei c.a.m. nella lex specialis «è la caducazione dell’intera gara e l’integrale riedizione della stessa, emendata dal vizio in questione»[22].
Quest’ultimo orientamento intercetta le fondamentali esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa e, quindi, di stabilità e certezza del rapporto negoziale tra la pubblica amministrazione e l’impresa aggiudicataria, oltre che di tutela del legittimo affidamento dei concorrenti nell’esercizio legittimo del potere [23].
In base a questo indirizzo interpretativo la puntuale declinazione dei c.a.m. nella lex specialis consente alle imprese partecipanti di formulare un’offerta più consapevole e più aderente alle esigenze ambientali, a vantaggio anche dell’interesse generale della collettività; essa, inoltre, favorisce una più chiara definizione dei reciproci diritti ed obblighi contrattuali, assicurando, in un’ottica di risultato, una maggiore efficacia nell’attuazione delle politiche ambientali[24].
Per inciso, è interessante osservare come il principio del risultato sia stato richiamato a supporto sia della tesi della eterointegrazione normativa (TAR Napoli, n. 377/2024 cit., secondo cui la rinnovazione della gara per l’omesso inserimento dei c.a.m. nel bando comprometterebbe l’effettivo e tempestivo conseguimento degli obiettivi dell’azione pubblica) sia della tesi della necessaria caducazione del bando di gara (Cons. Stato, n. 4701/2024 cit., secondo cui la rinnovazione della gara e la puntuale declinazione dei c.a.m. nella lex specialis comporterebbero la presentazione di offerte più adeguate al conseguimento degli obiettivi ambientali).
Il che avvalora l’idea in base alla quale il principio del risultato non è un criterio interpretativo univoco e decisivo, bensì incerto e sussidiario, prestandosi a interpretazioni differenti e, talvolta, finanche contrapposte[25].
3. La decisione del TAR Napoli.
Nel contesto così delineato si inscrive la pronuncia in commento.
In sintesi, la fattispecie sottoposta al collegio riguarda una procedura di gara indetta dall’Azienda Ospedaliera di Rilevo Nazionale (AORN) dei Colli di Napoli, preordinata all’affidamento del servizio di conduzione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti tecnologici a servizio delle proprie strutture.
All’esito della gara una delle imprese partecipanti impugnava la lex specialis, unitamente all’aggiudicazione definitiva[26] e a tutti gli atti di gara, contestando il mancato inserimento dei c.a.m. applicabili all’oggetto dell’affidamento.
L’amministrazione resistente e l’impresa aggiudicataria hanno eccepito, tramite le rispettive memorie, la tardività del ricorso per mancata impugnazione del bando nel termine decadenziale di trenta giorni decorrenti dalla sua pubblicazione, nonché l’infondatezza nel merito del ricorso stesso.
Nell’esaminare l’eccezione di tardività, il TAR partenopeo si è limitato a richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato (in particolare, la sentenza n. 2795/2023 cit.), secondo cui l’omesso recepimento dei c.a.m. nella legge di gara non integra un vizio tale da imporre l’immediata impugnazione del bando, non essendo preclusivo della partecipazione e non precludendo la formulazione delle offerte.
Su questo punto la decisione appare condivisibile, alla luce delle argomentazioni giuridiche già sviluppate supra, al precedente § 2.
Vale la pena aggiungere che, nel caso in esame, la società ricorrente aveva partecipato alla gara e presentato un’offerta conforme ai c.a.m. di riferimento, come sottolineato più volte dal TAR Napoli.
Ciò dimostra concretamente che l’assenza di tali c.a.m. nella lex specialis non aveva ostacolato la partecipazione delle imprese alla gara né la formulazione di un’offerta “consapevole”.
Dunque, il collegio è passato ad esaminare «il principale motivo di ricorso», riguardante le conseguenze del mancato inserimento dei criteri ambientali minimi nella lex specialis.
Si è ritenuto, al riguardo, che il bando di gara, sebbene privo della concreta declinazione dei criteri ambientali minimi, non fosse illegittimo.
Sul punto, la sentenza in commento si è consapevolmente discostata dal consolidato orientamento del Consiglio di Stato in base al quale il mancato inserimento dei c.a.m. negli atti di gara postula necessariamente la caducazione della gara stessa.
Il giudici della I sezione hanno motivato il rigetto del ricorso facendo riferimento alla peculiarità della fattispecie concreta, consistente nella circostanza che la ricorrente avesse comunque formulato un’offerta conforme ai c.a.m. di riferimento, nonostante il loro omesso richiamo nel bando[27].
Il che dimostrerebbe, secondo il ragionamento posto a base della decisione, che la denunciata incompletezza del bando non ha avuto «incidenza sostanziale e lesiva»; di conseguenza - prosegue il Collegio - lo stesso non può essere considerato illegittimo, anche in virtù del principio della fiducia, il quale «pone una presunzione di legittimità dell’azione amministrativa, superabile con fondati elementi di segno opposto, da cui trarre in maniera adeguata il convincimento dell’opacità dell’operato della p.a., tale da aver precluso al privato di poter compiutamente svolgere la propria attività».
Il giudice campano ha, quindi, invocato il principio della fiducia come criterio interpretativo della lex specialis, pur essendo quest’ultima regolata, ratione temporis, dal codice del 2016.
Ha così interpretato tale principio come «una versione evoluta del principio di presunzione di legittimità dell’azione amministrativa».
A ben vedere, la pronuncia in esame, in continuità con la citata sentenza n. 377 del 2024 della medesima sezione, ha sposato la tesi dell’eterointegrazione normativa, seguendo un iter argomentativo basato non più sul principio del risultato, ma su quello della fiducia.
Siamo, dunque, di fronte all’elaborazione di una soluzione organica e meditata, dalla quale emergono molti spunti interessanti, ma anche diversi dubbi e aspetti critici.
4. Considerazioni critiche e possibili soluzioni interpretative
Le maggiori perplessità si addensano sull’iter logico seguito dal TAR Napoli per risolvere la problematica concernente le conseguenze del mancato inserimento dei c.a.m. nella lex specialis.
Il Collegio afferma la necessità di esaminare «compiutamente la fattispecie sottoposta al suo esame, senza automatismi, avendo riguardo agli elementi del caso concreto e compiendo, ove necessario, una rinnovata valutazione» (pt. 3.4.)
Tale metodo di indagine è astrattamente condivisibile.
Invero, a parere di chi scrive, la caducazione della gara e la rinnovazione della stessa non rappresentano sempre la soluzione più adeguata per la tutela del ricorrente e dell’interesse ambientale coinvolto nella procedura di evidenza pubblica: a fronte dell’omesso inserimento dei c.a.m. nella legge di gara, la decisione di caducare o meno l’intera procedura concorsuale non può prescindere da una concreta analisi delle offerte presentate.
Tuttavia, ed è questo l’aspetto che desta maggiori perplessità, l’analisi dei giudici si è concentrata esclusivamente sull’offerta della società ricorrente, senza considerare quella dell’impresa aggiudicataria.
È, invece, attraverso l’analisi dell’offerta presentata dall’aggiudicataria che si può verificare se la denunciata incompletezza del bando abbia avuto o meno un’«incidenza sostanziale e lesiva».
La criticità della sentenza riguarda, quindi, l’ordine logico e metodologico nell’analisi delle offerte presentate in sede di gara: esaminando l’offerta della società ricorrente, il giudice ha compiuto una valutazione che, logicamente, sarebbe dovuta avvenire in via eventuale, solo dopo aver verificato la rispondenza ai c.a.m. dell’offerta della società controinteressata.
Invero, ad avviso di chi scrive, in simili controversie - in cui il ricorrente contesta il mancato inserimento dei c.a.m. nel bando di gara, impugnando il bando stesso, unitamente all’aggiudicazione definitiva e a tutti gli atti della procedura - il giudice amministrativo dovrebbe innanzitutto analizzare, dandone conto in motivazione, l’offerta presentata dall’impresa aggiudicataria, verificando se tale offerta sia o meno conforme ai c.a.m. di riferimento.
Si aprono, in tal modo, tre possibili scenari.
1. Qualora né l’impresa aggiudicataria né l’impresa ricorrente abbiano presentato offerte conformi ai c.a.m. l’annullamento del bando e dell’intera procedura di gara appare l’unica strada percorribile.
In tale ipotesi la normativa in tema di c.a.m. viene violata sia sotto il profilo formale (il bando di gara non contiene le specifiche tecniche e le clausole contrattuali recate dai decreti ministeriali, come prescritto oggi dall’art. 57, comma 2, d.lgs. n. 36/2023), sia sotto il profilo sostanziale (le offerte presentate dall’impresa aggiudicataria e dalla ricorrente non sono conformi ai c.a.m.); sicché l’annullamento del bando (e, “a cascata”, dell’intera procedura di gara[28]) appare un esito inevitabile.
In tale fattispecie, per un verso, non si può procedere - com’è ovvio - all’aggiudicazione della gara in capo al ricorrente, residuando in capo a quest’ultimo soltanto l’interesse strumentale alla riedizione della gara; per altro verso, appare incongruo rigettare il ricorso limitandosi ad un mero richiamo della teoria della eterointegrazione, poiché, nell’ipotesi data, anche l’offerta presentata dall’impresa aggiudicataria non è conforme ai c.a.m.
2. Qualora, invece, emerga in giudizio il mancato rispetto dei c.a.m. da parte dell’impresa aggiudicataria e, al contempo, la conformità dell’offerta del ricorrente agli stessi c.a.m. il giudice dovrebbe accogliere il ricorso stabilendo se dichiarare o meno l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato, ex art. 122 c.p.a. (ciò, naturalmente, a condizione che il ricorrente abbia presentato una idonea domanda in tal senso).
Nell’ipotesi testé prospettata, imporre a tutti i costi la rinnovazione della gara (anche in presenza di un’offerta conforme allo schema normativo di riferimento) avrebbe conseguenze inaccettabili, ponendosi in conflitto con il principio di buon andamento (e tempestività) dell’azione amministrativa, nonché con le esigenze di economia processuale (dato che la rinnovazione, anche solo parziale, della gara comporta il rischio di nuovo contenzioso), oltre che con il principio del risultato.
Quest’ultimo, infatti, può considerarsi realizzato se il contratto pubblico venga affidato direttamente (senza, cioè, la ripetizione della gara) all’impresa ricorrente che abbia ritualmente impugnato l’aggiudicazione definitiva dimostrando in giudizio (tramite schede tecniche e/o altra documentazione) di avere diligentemente formulato un’offerta conforme allo schema normativo di riferimento nonostante l’omesso inserimento dei c.a.m. nella lex specialis: il risultato avuto di mira dall’art. 57 del d.lgs. n. 36/2023 è rappresentato non già dall’inserimento formale nel bando delle clausole e delle specifiche tecniche previste nei decreti ministeriali, bensì dalla concreta attuazione delle politiche ambientali alle quali risulta funzionale la sostanziale conformità dell’offerta presentata dall’impresa aggiudicataria ai criteri ambientali minimi.
A questo proposito, lo stesso Consiglio di Stato ritiene, in linea di principio, ammissibile e giustificabile l’operatività della integrazione legale del bando laddove «il rispetto della norma eterointegrante sia indispensabile al fine di garantire il raggiungimento del risultato di interesse pubblico cui è preordinato lo svolgimento della gara»[29].
Di converso, l’adesione incondizionata alla tesi della rinnovazione (parziale o totale) della procedura di gara rischierebbe seriamente di vanificare il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità: la caducazione e la rinnovazione della procedura illegittima, pur comportando il ripristino della legalità violata, si rivelerebbero non pienamente satisfattive per il ricorrente e per l’interesse pubblico perseguito in concreto dall’amministrazione, oltre a contraddire la concezione soggettiva della giurisdizione amministrativa[30].
3. Resta infine da esaminare l’ulteriore ipotesi in cui emerga in giudizio la conformità ai c.a.m. dell’offerta presentata dall’impresa aggiudicataria.
In tale ipotesi la contestazione del bando di gara risulterebbe inammissibile per difetto di interesse ad agire, a prescindere dal contenuto dell’offerta presentata dal ricorrente.
In una simile circostanza sarebbe manifestamente iniquo annullare l’intera procedura di gara facendo ricadere sull’operatore economico diligente (l’impresa vincitrice della gara) un errore (vale a dire l’omesso inserimento dei c.a.m. nel bando di gara) commesso in primo luogo dalla stessa amministrazione.
Nelle ultime due fattispecie prospettate (in cui si ipotizza la presentazione in sede di gara di offerte conformi ai c.a.m.), l’applicazione di meccanismi di integrazione legale consente di conciliare gli obiettivi di sostenibilità ambientale con la tutela della concorrenza, comportando l’aggiudicazione del contratto in favore dell’impresa che abbia diligentemente formulato un’offerta conforme ai c.a.m. nonostante l’omesso inserimento di questi ultimi nella lex specialis.
Dunque, la tesi della rinnovazione e la tesi della etereointegrazione del bando di gara non sono necessariamente contrapposte.
L’adesione all’una o all’altra non dovrebbe dipendere da scelte aprioristiche, bensì da un’analisi minuziosa della legge di gara e delle offerte presentate dai concorrenti, oltre che dalle domande formulate dalle parti in giudizio.
La sentenza in commento, pur non risultando del tutto condivisibile per la sequenza logico-giuridica dell’analisi, riveste comunque una certa importanza, in quanto pone in luce la necessità di affrontare le problematiche legate al mancato inserimento dei c.a.m. nel bando di gara mediante un approccio analitico e privo di automatismi, valutando “caso per caso” le offerte presentate durante la gara.
[1]A titolo di esempio, si può menzionare il d.m. MASE del 7 febbraio 2023, che definisce i c.a.m. nel settore tessile. Esso prevede che le amministrazioni acquistino prodotti tessili con determinate specifiche tecniche (tessuto riciclabile o costituito da fibre naturali; assenza di sostanze pericolose; tessuti lavabili a basse temperature; indumenti riutilizzabili; tessuti con elevata resistenza ai lavaggi e all’usura ecc.) e che inseriscano nei bandi taluni sub-criteri premianti di natura ambientale (tessuti biologici; servizi post-vendita di riparazione, riciclo e riuso; utilizzo di fibre tessili riciclate; filiera produttiva responsabile ecc.). Il d.m. in parola indica anche le modalità per la verifica delle caratteristiche tecniche dichiarate dagli operatori economici nell’offerta, come il possesso di una eco-etichetta (ad. esempio, il marchio Ecolabel), la presenza di rapporti di prova o auto-dichiarazioni del produttore).
[2] Il PAN GPP è stato da ultimo aggiornato il 3 agosto 2023, con decreto del MASE, di concerto con il Ministro delle Imprese e del Made in Italy e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, alla luce dei più recenti atti di indirizzo europei e delle intervenute novità giuridiche.
[3] Per un’analisi approfondita del percorso di funzionalizzazione dei contratti pubblici all’obiettivo dello sviluppo sostenibile, anche attraverso il «sistema dei criteri ambientali minimi», v., ex multis, e. Caruso, La funzione sociale dei contratti pubblici. Oltre il primato della concorrenza?, Napoli, 2021; spec. p. 234 ss.
[4] Sul punto v. Cons. Stato, sez. V, 5 agosto 2022, n. 6934, secondo cui i criteri ambientali minimi contribuiscono a «connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica».
[5] Per completezza espositiva, è opportuno ricordare che, prima ancora, lo stesso d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 prevedeva, al primo comma del previgente art. 68, che, ove possibile, dovessero essere tenuti in considerazione gli aspetti di tutela ambientale nell’individuazione delle specifiche tecniche.
[6] Si veda T. Cellura, L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici. Gli acquisti verdi dopo il correttivo al nuovo codice degli appalti (d.lgs. n. 56/2017), Rimini, 2018.
[7] V’è da notare che l’art. 57, comma 2, d.lgs. 36/2023 non riporta il terzo comma del previgente art. 34, in forza del quale l’obbligo di contribuire al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal PAN GPP vigeva per gli affidamenti di qualunque importo, introducendo in tal modo un elemento di incertezza. Tuttavia, è ragionevole ritenere che la normativa in tema di c.a.m. si applichi anche ai contratti di importo inferiore alla soglia europea: a sostegno di tale interpretazione si pongono sia la collocazione dell’art. 57 nella Parte II del Libro II – dedicata agli istituti e alle clausole comuni degli appalti – sia la previsione di cui all’art. 48, comma 3, in base al quale «ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate […], le disposizioni del codice».
[8] Sul punto, v., in particolare, M.G. Pulvirenti, Considerazioni sui principi di collaborazione e buona fede nei rapporti tra cittadino e pubblica, in Dir. econ., 2023, p. 130: «anche nel processo amministrativo le parti devono agire secondo buona fede. È questo il senso innanzitutto del richiamo ai doveri di lealtà e probità nel codice di procedura civile (art. 88, comma 1 c.p.c.) … Si tratta di una norma evidentemente applicabile al processo amministrativo per via del rinvio alle norme “compatibili” e alle disposizioni “espressione di principi generali” del codice di rito civile (art. 39, comma 2 c.p.a.)».
[9] Questo orientamento è stato espresso, da ultimo, da TAR Lazio, Roma, sez II-ter, 4 dicembre 2024, n. 21878, secondo cui «posporre l’impugnazione della lex specialis fino al momento dell’aggiudicazione non solo non risulta coerente, ma si pone anche in contrasto con il dovere di leale collaborazione e con i principi di economicità dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento». In termini, cfr. TAR Lazio, Roma, sez II-ter, 6 marzo 2024, nn. 4493, 4494 e 4495; TAR Puglia, Bari, Sez. II, 28 maggio 2024, n. 675; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 2 dicembre 2024, n. 6698.
[10] Così TAR Lazio, Roma, n. 21878/2024 cit., richiamando TAR Campania, Napoli, sez. IV, 4 maggio 2023, n. 2729.
[11] V., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 2021, n. 972, secondo cui la violazione dei previgenti artt. 34 e 71 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, in tema di c.a.m., non impone l’immediata impugnazione del bando di gara, non ricadendosi nei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive che consentono l’immediata impugnazione della lex specialis di gara. Più in particolare, secondo il ragionamento della V sezione, la partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non può considerarsi acquiescenza alle regole di gara; non può cioè essere qualificata come un venire contra factum proprium. In termini analoghi, Cons. Stato, sez. III, 2 novembre 2023, n. 9398; 20 marzo 2023, n. 2795; 30 dicembre 2024, secondo cui il mancato inserimento dei c.a.m. nella lex specialis non incide sulla formulazione dell’offerta, né in termini di impossibilità assoluta né in termini di condizionamento relativo.
[12]D’altronde, quando il legislatore ha inteso introdurre nel settore dei contratti pubblici una specifica ipotesi di onere di immediata impugnazione, a prescindere dalla sussistenza di un interesse ad agire attuale e concreto, ha avvertito la necessità di farlo tramite un’espressa previsione normativa: il riferimento è al previgente art. 120, comma 2-bis, c.p.a., su cui sia consentito rinviare a G. Taglianetti, La disciplina dei termini per ricorrere nel rito speciale in materia di contratti pubblici tra certezza e giustizia: considerazioni a margine dell’ordinanza della Corte di giustizia UE, 14 febbraio 2019, C-54/18, in Riv. giur. ed., n. 3/2019, p. 485 ss.
[13] Per un’elencazione delle fattispecie rientranti nel genus delle clausole immediatamente escludenti, v. Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4, in Foro it. 2019, III, p. 67; per un commento alla sentenza: S. Terracciano, Immediata impugnazione dei bandi di gara: tra novità legislative e conferme giurisprudenziali, in Dir. proc. amm., 2018, p. 1438 ss.; L. Bertonazzi, Notarelle originali in tema di impugnazione dei bandi, ivi, 2019, p. 959 ss.
[14] Si consideri la possibile differenza di costi che potrebbe emergere per i partecipanti qualora fossero obbligati a utilizzare prodotti e modalità di lavorazione imposti dai c.a.m., rispetto al caso in cui, invece, fossero liberi di scegliere tra materiali e pratiche esecutive alternativi. Tale differenza potrebbe influire in modo significativo sulla competitività economica delle offerte: l’obbligo di aderire ai c.a.m. potrebbe comportare un incremento dei costi, mentre la libertà di scelta consentirebbe una maggiore flessibilità, con il conseguente vantaggio di poter ridurre le spese di partecipazione.
[15] Per una generale ricostruzione dei presupposti del ricorso all’eterointegrazione della legge di gara, v. Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3811, in Foro amm. CdS, 2013, p. 2062, ove si chiarisce che il meccanismo della eterointegrazione può operare soltanto in caso di lacune della legge di gara e non in caso di ambiguità interpretative del bando. Di talché, «solo nel caso in cui la stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara elementi previsti come obbligatori dall’ordinamento giuridico, soccorre il meccanismo di integrazione automatica in base alla normativa in materia, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339 c.c., colmandosi in via suppletiva le eventuali lacune del provvedimento adottato dalla pubblica amministrazione»; viceversa, prosegue la quinta sezione, «quando la legge di gara contiene disposizioni contrastanti con quanto normativamente previsto, non può disporsi l’esclusione dalla gara del concorrente che non abbia allegato quanto espressamente previsto dalla legge, dovendo tenersi conto che solo fondamentali esigenze di certezza del diritto e tutela della par condicio dei concorrenti possono impedire all’amministrazione di disattendere i precetti fissati nella normativa di gara dalla stessa formulata, in ossequio al principio di affidamento formalmente elevato al rango di principio generale dell’azione amministrativa dall’art. 1 comma 1, l. 7 agosto 1990 n. 241, che impedisce che sul cittadino possano ricadere gli errori dell’amministrazione». La dottrina ha da sempre manifestato forti perplessità in ordine alle ipotesi di inserzione automatica di clausole, nella misura in cui mettono a repentaglio le esigenze di certezza e conoscibilità delle condizioni di partecipazione, nonché l’affidamento dei partecipanti sulla loro completezza ed esaustività: per un approfondimento, cfr. E. Boscolo, Il divieto di eterointegrazione del bando: certezza e stabilità della lex specialis, in Giur. it., 1, 2018, p. 173 ss.; G. Crepaldi, Norme imperative di legge e principio di eterointegrazione del bando di gara, in Foro amm. CdS, 2007, p. 568 ss.
[16] In questo senso, cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 26 novembre 2024, n. 21224, secondo cui, in base all’attuale normativa, il bando di gara «deve reputarsi automaticamente eterointegrato dai menzionati criteri ambientali».
[17] TAR Napoli, sez. I, 15 gennaio 2024, n. 377, secondo cui ai fini dell’operatività dei c.a.m. è sufficiente un loro mero richiamo nella lex specialis: «l’onere di diligenza impone al concorrente di adeguare la propria offerta ai criteri ambientali minimi che la stazione appaltante non ha trascurato, e che l’operatore economico è così messo in grado di conoscere e valutare, per formulare un’offerta consapevole». In un simile contesto, proseguono i giudici partenopei, «apparirebbe ultroneo pretendere da parte della stazione appaltante la declinazione dei criteri ambientali minimi contenuti nella relativa normativa di legge, che si sostanzierebbe nell’obbligo meramente formale di riproduzione del suo contenuto, ogni qualvolta non sia dedotto e dimostrato che, con riferimento alla specificità dell’appalto o ad altre circostanze peculiari, una tale esigenza si imporrebbe, per l’impossibilità che il concorrente possa formulare un’offerta adeguata».
[18] TAR Venezia, sez. I, 18 marzo 2019, n. 329, che ha rigettato il ricorso rivolto avverso il bando di gara e l’aggiudicazione definitiva, ritenendo direttamente applicabili i criteri ambientali minimi anche in ipotesi di completa omissione dal bando di gara: «si deve ritenere che l’obbligo di rispettare i criteri minimi ambientali derivi direttamente dalla previsione contenuta all’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016, che costituisce norma imperativa e cogente e che opera, pertanto, indipendentemente da una sua espressa previsione negli atti di gara».
[19] Su questo specifico aspetto, risulta interessante quanto evidenziato nella pronuncia in commento: «la tematica della sostenibilità ambientale degli appalti è oramai entrata a far parte di una specifica professionalità dell’operatore economico interessato, il quale appronta risorse umane e strumentali per corrispondere ai dettami di legge volti alla preservazione dell’ambiente naturale nell’affidamento di contratti pubblici».
[20] A questo proposito, cfr. TAR Toscana, Firenze, sez. III, 20 febbraio 2020, n. 225, secondo cui la conformità dell’offerta alle caratteristiche ambientali obbligatorie deve «essere esattamente documentata, senza che sussista la possibilità del soccorso istruttorio».
[21] Come osservato da S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, p. 12, «l’integrazione è fuori del contratto, ma al tempo stesso ne determina l’operare; il contratto è il suo oggetto, ma alla costruzione del proprio oggetto essa non manca di partecipare. Di ciò l’art. 1374 è testimonianza eloquente, nel suo apparente contrapporre due diverse fonti degli obblighi discendenti dal contratto: quanto in esso è espresso, da un canto, e la legge, gli usi e l’equità, dall’altro». In modo non dissimile, l’art. 1339 c.c. stabilisce che le clausole, i prezzi di beni e servizi, imposti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione di clausole difformi. Ne deriva che i contraenti possano vedere estesi i loro reciproci obblighi oltre quelli espressamente pattuiti: ampiamente, sul punto C. Scognamiglio, L’integrazione, in Trattato dei contratti, a cura di P. Rescigno, E. Gabrielli, Torino, 2006, 1149 ss.
[22] Così, Cons. Stato, sez. III, 14 ottobre 2022, n. 8773, secondo cui la circostanza che l’offerta della società appellante non fosse rispettosa dei c.a.m. «non configura vizio finché detta offerta era conforme alla lex specialis».
[23] Sulla relazione esistente tra affidamento, presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo e certezza del diritto cfr. G. Treves,Presunzione di legittimità degli atti amministrativi, Padova, 1936; M.S. Giannini, Atto amministrativo, in Enc. Dir., Milano, 1959, IV, p. 157 ss., spec. p. 187; F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni Trenta all’alternanza, Milano, 2001; f. Manganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995; G. Mannucci, L’affidamento nel rapporto amministrativo, Napoli, 2023.
[24] In tal senso, v. Cons. Stato, sez. III, 27 maggio 2024, n. 4701, secondo cui la tesi della “eterointegrazione” avrebbe l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai criteri ambientali, così contraddicendo la logica del risultato, che mira piuttosto ad una sollecita definizione, in termini di certezza e stabilità del rapporto negoziale. Secondo i giudici della III sezione «la genericità del richiamo a criteri semplicemente “non trascurati” attenua fortemente il relativo onere del partecipante».
[25] Per tale opinione, sia consentito rinviare a G. Taglianetti, Contratti pubblici e principio del risultato. Profili sostanziali e processuali, in www.federalismi.it, n. 14/2024, spec. p. 255 ss.
[26] Non è chiaro se quest’ultima fosse stata contestata per illegittimità derivata o anche per vizi propri.
[27] La conformità dell’offerta presentata dalla società ricorrente ai c.a.m. è stata più volte rimarcata dal giudice campano. In particolare, nel punto 3.6. si legge: «Come detto, la ricorrente non ha trascurato la rilevanza degli interessi in gioco, assumendo l’interesse sostanziale della stazione appaltante e facendolo proprio, nel formulare l’offerta … Tanto considerato, risulta quindi che il concorrente si sia premurato di formulare un’offerta collimante con le migliori tecniche di rispondenza all’osservanza dei criteri minimi ambientali, nella piena consapevolezza della materia e nella correlativa assunzione degli obblighi che ne derivano … Nel caso di specie, per quanto innanzi chiarito, emerge che la ricorrente abbia adeguato la propria offerta all’osservanza dei criteri minimi ambientali».
[28] Sull’effetto caducante dell’annullamento del bando di gara determinato dalla mancata inclusione dei criteri ambientali minimi, cfr. Cons. Stato, sez. III, 11 ottobre 2024, n. 8171.
[29] Cons. Stato, n. 7023/2018.
[30] Secondo un condivisibile indirizzo interpretativo, su cui sembra convergere la dottrina amministrativistica, il principio dispositivo e quello di effettività, che caratterizzano un processo ormai divenuto “di parti”, impongono al giudice, in caso di graduazione dei motivi di ricorso, di dare prevalenza al risultato maggiormente satisfattivo per l’interesse del ricorrente piuttosto che all’interesse pubblico. In argomento, cfr. V. Caianiello, Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1979, spec. p. 24; R. De Nictolis, L’ordine dei motivi e la sua disponibilità, in www.federalismi.it, n. 18/2010, spec. § 6; M. Ramajoli, L’atto introduttivo del giudizio amministrativo tra forma e contenuto, in Dir. proc. amm., 2019, p. 1051 ss. Sul tema, la sentenza n. 5 del 27 aprile 2015 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato funge da spartiacque: cfr., al riguardo, le osservazioni di E. Follieri, Due passi avanti e uno indietro nell’affermazione della giurisdizione soggettiva, in Giur. it, 2015, p. 2192 ss.; L.R. Perfetti, G. Tropea, “Heart of darkness”: l’Adunanza Plenaria tra ordine di esame ed assorbimento dei motivi, in Dir. proc. amm., 2016, p. 218 ss.