Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela. Dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, c. 1, l. 241/1990 (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296)
di Federica Campolo
Sommario: 1. Il caso di specie. 2. I termini per l’esercizio dei poteri di autotutela. 3. Attestato di libera circolazione di un bene culturale ed esercizio dei poteri di autotutela: un’analisi giurisprudenziale. 4. La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. 5. Brevi osservazioni conclusive.
1. Il caso di specie.
Nel 2015 l’Ufficio Esportazione di Verona rilasciava, ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’attestato di libera circolazione[1] relativo a un olio su tela raffigurante una figura femminile, attribuito alla scuola italiana del XVI secolo, dal valore stimato di € 65.000,00. L’opera veniva, in seguito, venduta ed esportata all’estero.
Nel 2019, all’esito di un restauro, emergeva un elemento distintivo dell’opera, in precedenza almeno parzialmente celato a causa del suo cattivo stato di conservazione, che permetteva a uno studioso – grazie alla lettura del carteggio Vasari - di attribuire proprio al Vasari la sua esecuzione.
Nel 2021, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura, venuta a conoscenza di tale circostanza, annullava in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies, della l. n. 241 del 1990, l’attestato di libera circolazione, reputando che esso fosse viziato da travisamento dei fatti.
In risposta alle osservazioni prodotte dal privato destinatario del provvedimento, l’Amministrazione confermava la propria decisione, giustificando l’esercizio dei poteri in autotutela con l’atteggiamento poco collaborativo e, anzi, omissivo tenuto dalla parte al momento della presentazione dell’istanza, in violazione del dovere di correttezza nei rapporti tra privati e pubblica Amministrazione. Infine, veniva emesso un provvedimento espresso di diniego dell’attestato di libera circolazione, avviando altresì il procedimento per la dichiarazione dell’interesse artistico e storico particolarmente importante, ai sensi dell’art. 68, comma 6, del d.lgs. n. 42 del 2004.
Avverso i citati provvedimenti venivano proposti due distinti ricorsi innanzi al T.A.R. Roma dal privato destinatario dei provvedimenti e dall’attuale proprietario della tela, sorretti da un articolato elenco di motivi. Entrambi i ricorsi venivano respinti[2].
I ricorrenti in primo grado presentavano due autonomi ricorsi in appello, che venivano riuniti dal Consiglio di Stato adito, in quanto aventi a oggetto la medesima vicenda sostanziale.
Per quanto di interesse, le sentenze di primo grado venivano censurate nella parte in cui avevano respinto i motivi di ricorso con cui era stata denunciata l’illegittimità dei provvedimenti in ragione del decorso del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990[3], per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela.
In particolare, il Giudice di prime cure, pur ritenendo applicabile al caso di specie il termine di dodici mesi stabilito per gli atti autorizzativi, non aveva reputato fondato il motivo di ricorso, affermando che, nel caso di specie, tale termine avrebbe potuto subire una deroga, in ragione del comportamento omissivo tenuto dal privato, che avrebbe impedito la corretta attribuzione della tela da parte dell’Amministrazione. Secondo l’interpretazione del T.A.R. Roma, avrebbe trovato applicazione la previsione di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990[4].
Il Consiglio di Stato ha ritenuto condivisibili le censure svolte dagli appellanti con specifico riferimento all’inconfigurabilità, nel caso in esame, di una condotta di “falsa rappresentazione dei fatti”, non potendo esserne raggiunta la piena prova.
A questo punto, il Giudice dell’appello non è addivenuto alla riforma delle sentenze di primo grado, in favore dei privati, ma ha sollevato d’ufficio innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, 97, comma 2 e 117, comma 1.
Più precisamente, ad avviso del Collegio, tale previsione, quando riferita ai provvedimenti di autorizzazione incidenti su un interesse sensibile e di rango costituzionale come la tutela del patrimonio storico e artistico sarebbe in contrasto con:
“- il parametro costituzionale di ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost., quale limite alla discrezionalità del legislatore nella costruzione della disciplina di legge;
- la stessa protezione del primario bene costituzionale della integrità ex art. 9, comma 1 e comma 2, del patrimonio storico e artistico della Nazione;
- la responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’eredità culturale sancita dall’art. 1 lett. b) e d) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005;
- l'obbligo dello Stato italiano a ‘riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società’ e ‘promuovere la protezione dell’eredità culturale’ ex art. 5 lett. A) e b) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005;
- il valore, pure di rango costituzionale, ex art. 97, comma 2, Cost. Del buon andamento dell’amministrazione”.
Gli argomenti adottati dal Consiglio di Stato per sostenere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale forniscono l’occasione per svolgere alcune riflessioni in merito all'esercizio del potere di annullamento in autotutela, nel caso in cui i provvedimenti autorizzatori riguardino interessi sensibili, quali la tutela dell’ambiente e dei beni culturali.
2. I termini per l’esercizio dei poteri di autotutela.
Come noto, l’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 detta la disciplina dell’annullamento d’ufficio, che, insieme alla revoca di cui all’art. 21 quinquies, costituisce una delle forme di esercizio del potere di autotutela della pubblica Amministrazione, previste dal nostro ordinamento[5].
L’art. 21 nonies definisce attentamente le condizioni che possono determinare l’Amministrazione a emanare un provvedimento di secondo grado, capace di travolgere un precedente provvedimento, privandolo ex tunc della sua capacità di produrre effetti giuridici. In particolare, l’Amministrazione può annullare un provvedimento d’ufficio solamente al ricorrere – congiuntamente – dei seguenti presupposti: quando questo sia illegittimo, poiché affetto da uno dei vizi elencati dall’art. 21 octies, quando l’annullamento risponda a un interesse pubblico e, infine, laddove tale potere intervenga entro un determinato lasso temporale. L'annullamento in autotutela, in ogni caso, deve tenere in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
In relazione al requisito temporale, la norma in esame detta alcune precisazioni. In via generale, non è stabilito un termine fisso entro il quale può essere emesso un provvedimento di secondo grado, dal momento che il legislatore fa riferimento a un generico “termine ragionevole”. È lasciato, dunque, un certo margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione.[6] Tuttavia, quando l'atto di primo grado rientra nella categoria dei “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, viene individuato espressamente dalla norma il termine massimo di dodici mesi dalla sua adozione per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. In questo modo, come meglio si dirà nel prosieguo, il legislatore ha voluto prestare una particolare tutela al legittimo affidamento risposto dal privato nella validità del provvedimento, in un’ottica di certezza dei rapporti giuridici[7].
Oltre alle ipotesi “ordinarie” sopra richiamate, l’art. 21 nonies ha introdotto al suo comma 2 bis un’eccezione alla regola, ammettendo l’esercizio dell’annullamento d’ufficio anche oltre i termini di cui al comma 1, al ricorre di determinate circostanze.
Più precisamente, i provvedimenti amministrativi possono essere annullati anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi qualora siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
In accordo con l’interpretazione offerta dalla più recente giurisprudenza amministrativa[8], il comma 2 bis individua due differenti casistiche, in cui l’applicazione del “termine ragionevole” trova giustificazione nel venir meno dell’esigenza di tutela dell’affidamento del privato, ove questo abbia ottenuto i titoli oggetto dell’autotutela in modo fraudolento.
La differenza sostanziale tra le due ipotesi sta nel fatto che nella prima - cioè in caso di false rappresentazioni dei fatti - è possibile superare il limite di dodici mesi a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte che l’istante abbia rappresentato dolosamente uno stato preesistente diverso da quello reale. Sarà l’Amministrazione a dover accertare con i propri mezzi, caso per caso e in modo inequivocabile, la falsa rappresentazione. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazioni false o mendaci, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, invece, sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale[9].
Per i casi descritti dall’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990 – e in particolare per le ipotesi di accertamento penale delle dichiarazioni false o mendaci - dottrina e giurisprudenza hanno adottato l’insidiosa nozione di “autotutela doverosa”. In questa categoria sono state fatte rientrare ulteriori ipotesi sia di elaborazione giurisprudenziale sia normativa[10].
L’autotutela doverosa, la cui esatta portata è a tutt’oggi discussa, contempla ipotesi in cui – al ricorrere di determinate circostanze e anche in deroga ai termini di cui all’art. 21 nonies, comma 1 – l’Amministrazione è tenuta ad annullare ex officio un provvedimento precedentemente emesso.
Secondo parte della dottrina, l’art. 21 nonies, comma 2 bis detterebbe una c.d. autotutela doverosa “parziale”, caso in cui cioè si assiste a una semplice dequotazione del termine per procedere all’annullamento d’ufficio[11].
Simili casistiche sembrano dimostrative di un’insofferenza da parte degli interpreti a una rigida applicazione dei limiti generali per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio, dettati a tutela dell’affidamento dei privati, ove la tutela dell’interesse pubblico assume portata prioritaria rispetto all’affidamento dei privati.
3. Attestato di libera circolazione di un bene culturale ed esercizio dei poteri di autotutela: un’analisi giurisprudenziale.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio detta un’attenta disciplina della circolazione dei beni culturali in ambito internazionale, che trova collazione agli artt. 64 bis e ss[12]. Si tratta di un istituto essenziale per la tutela dei beni culturali, dal momento che la fuoriuscita di un determinato bene dai confini nazionali potrebbe compromettere l’integrità stessa del patrimonio culturale. Come stabilito dall’art. 64 bis, comma 3, i beni costituenti il patrimonio culturale, infatti, non sono assimilabili a merci[13].
Per quei beni per i quali il d.lgs. n. 42 del 2004 non stabilisce un divieto di uscita definitiva dal territorio italiano, ai sensi del suo art. 65, questa è possibile previo ottenimento di un attestato di libera circolazione. Il successivo art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 definisce modalità e tempi per la presentazione dell’istanza volta al rilascio di detto attestato, spettante all’Ufficio esportazione della competente Soprintendenza.
A seguito dello svolgimento del procedimento di cui all’art. 68 citato, l’Ufficio esportazione può proporre al Ministero l’acquisto coattivo della cosa per la quale è richiesto l’attestato di libera circolazione, per il valore indicato nella denuncia, ai sensi dell’art. 69 del d.lgs. n. 42 del 2004, ove sia riconosciuto al bene un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, ai termini dell’art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’attestato di libera circolazione rientra pacificamente – come riconosciuto nella pronuncia in esame – nella nozione di autorizzazione[14]. Pertanto, ai fini dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, è assoggettato al limite temporale di dodici mesi dall’adozione del provvedimento.
Le criticità date dalla rigida applicazione di detto termine ai beni culturali si manifestano con tutta evidenza nelle ipotesi, come quella oggetto della pronuncia in esame, in cui solo successivamente al rilascio dell’attestato di libera circolazione – anche a distanza di diversi anni – un bene ritenuto idoneo alla circolazione internazionale, poiché non rientrante nelle ipotesi di “divieto di uscita” ai sensi dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004, si scopre, invece, meritevole di appartenere a questa categoria.
L’ipotesi più insidiosa è proprio quella dell’attribuzione di un dato bene a un determinato autore di fama internazionale, solo a seguito di nuovi studi condotti sull’opera stessa. Così, ad esempio, un quadro per anni attribuito alla scuola/bottega di un certo artista, a seguito di un’attenta attività di restauro viene riconosciuto come di esecuzione diretta del Maestro.
La nuova attribuzione, in questi casi, può incrementare in maniera esponenziale l’importanza, il valore e, di conseguenza, le esigenze di tutela e valorizzazione dello specifico bene culturale.
Negli ultimi anni, sono giunti innanzi al Giudice amministrativo alcuni casi di impugnazioni di provvedimenti di annullamento in autotutela di attestati di libera circolazione, ritenuti illegittimi in ragione del superamento del termine di dodici mesi di cui all’art. 21 nonies, comma 1, che hanno ottenuto una certa risonanza mediatica[15].
Tra questi, appare di rilievo una recente pronuncia del T.A.R. Veneto[16], riguardante l’impugnazione del provvedimento con cui l’Ufficio esportazione di Verona, nel 2023, aveva annullato in autotutela un attestato di libera circolazione rilasciato nel 2019, avente a oggetto un dipinto raffigurante San Francesco in estasi e l’angelo musicante, attribuito al tempo alla bottega del Guercino. L’annullamento trovava giustificazione nella nuova attribuzione dell’opera, avvenuta a seguito di un successivo restauro, al Guercino stesso. Anche in questo caso, l’Amministrazione motivava il superamento del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 con l’asserita configurabilità dell’eccezione di cui al successivo comma 2 bis, in ragione della condotta omissiva-colposa del privato.
Il T.A.R. Veneto accoglieva il ricorso, affermando che, nel caso di specie, non fosse possibile sostenere la tesi della Soprintendenza, secondo cui il rilascio dell’attestato sarebbe stato indotto da false rappresentazioni e dichiarazioni del denunciante. Sul punto il Giudice ha significativamente evidenziato come “non ogni incompletezza, omissione, errore, imprecisione nella redazione delle istanze può essere valorizzata ai fini del legittimo esercizio dell’autotutela oltre il termine previsto dall’art. 21 nonies, comma 1, legge 241/1990. Occorre, invece, che sussista una “falsa rappresentazione” dei fatti idonea a indurre in errore l’amministrazione, ossia una rappresentazione di fatti divergente dalla realtà (quindi falsa, o anche solo parziale) di cui l’amministrazione non possa avvedersi nel corso di un’ordinaria istruttoria e che disveli, pertanto, un intento fraudolento o malizioso del richiedente, come tale non meritevole di tutela”.
Nei medesimi termini si era in precedenza espresso Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2023, n. 9962[17], che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento d’ufficio di un attestato di libera circolazione di un dipinto del XVI secolo, attribuito al Bassano, emesso oltre dodici mesi dopo il suo rilascio. L’Amministrazione, anche in questo caso, aveva tentato – senza successo - di sostenere l’applicabilità dell’art. 21 nonies, comma 2 bis.
A pochi mesi fa risale la pronuncia Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2024, n. 8010[18], con cui, invece, è stata confermata la sentenza del T.A.R. Roma, che, in un ulteriore caso di nuova attribuzione di una tela, successivamente al rilascio dell’attestato di libera circolazione, aveva ritenuto legittimo il conseguente provvedimento di annullamento in autotutela dell’Amministrazione, ritenendo configurabile l’ipotesi di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis. Ciò perché, nel caso concreto, la condotta tenuta dal privato è stata valutata come comportante una “lacunosa e ambigua rappresentazione dei fatti, la quale ha impedito all’Amministrazione di formare in maniera pienamente consapevole il proprio giudizio in ordine al valore artistico dell’opera”. Diversi elementi indiziari, infatti, avevano portato il Giudice amministrativo a ritenere che, già al momento della domanda, i proprietari avessero potuto nutrire una qualche aspettativa in ordine all’attribuibilità della tela al Caravaggio, che era stata celata attraverso una condotta tale da impedire all’Amministrazione di disporre di “una piattaforma conoscitiva completa e attendibile su cui fondare la propria determinazione”[19].
Dalle pronunce segnalate – emesse nell’arco di soli due anni – emerge, in primo luogo, che la casistica della nuova attribuzione di un’opera, implicante un incremento del suo valore e della sua importanza per il patrimonio culturale nazionale, a seguito del rilascio di un attestato di libera circolazione, non è un fenomeno statisticamente irrilevante.
In secondo luogo, si comprende come l’orientamento a oggi seguito dalla giurisprudenza sia quello di negare la possibilità per le Amministrazioni di annullare in autotutela, oltre il termine di dodici mesi, gli attestati di libera circolazione previamente emessi. L’unica possibilità per un annullamento tardivo si ha al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis e, in particolare, dando dimostrazione di un quadro indiziario dal quale emerge un comportamento malizioso o fraudolento del richiedente.
È di interesse segnalare che la giurisprudenza sopra richiamata ha messo in allarme il Ministero della Cultura che, con la recente circolare n. 21 del 2024 della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, preso atto dell’orientamento del g.a., ha invitato gli Uffici competenti “per evitare l’irrimediabile uscita dal territorio nazionale di opere d’arte che, onde opportunamente presente agli uffici esportazione, non avrebbero ricevuto l’attestato di libera circolazione” a voler dichiarare l’improcedibilità dell’istanza nei casi in cui “la mancanza o insufficienza di informazioni unitamente alla scarsa leggibilità dell’opera non consentano la adeguata valutazione dell’interesse culturale”[20].
La breve ricostruzione della recente giurisprudenza sul tema di cui si discute chiarisce quale sia lo sfondo su cui la sentenza in commento ha sviluppato le proprie riflessioni, sfondo caratterizzato dall’urgenza di trovare risposta a un sentito problema concreto che investe il mercato dell’arte e le Amministrazioni preposte alla tutela del patrimonio culturale.
Tale situazione critica è stata emblematicamente descritta dal Consiglio di Stato nella pronuncia in analisi, ove ha rilevato che “vi è un ampio ventaglio di casi, tra cui rientra quello concreto in esame, in cui non è configurabile (ovvero non è raggiunta piena prova della configurabilità) una ‘falsa rappresentazione dei fatti’ o non sono intervenute ‘dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato’ e cionondimeno non può ragionevolmente sostenersi l’incondizionata prevalenza dell’interesse privato alla conservazione della situazione di vantaggio solo in ragione del suo consolidamento per decorso del tempo essendosi verificato un vero e proprio ‘aliud pro alio’ suscettibile di recare un nocumento irreversibile al patrimonio culturale della Nazione in un contesto ove l’accertamento della paternità dell’opera si presentava incerto”.
4. La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Appare di particolare interesse l’esame delle ragioni evidenziate dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento per motivare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.
Innanzitutto, la manifesta irragionevolezza della scelta del legislatore, secondo il Collegio, si riscontra nella circostanza che il termine di dodici mesi per l’annullamento d’ufficio si applica indistintamente ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici e alle autorizzazioni incidenti su interessi sensibili e primari, quali la tutela del patrimonio culturale, che costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento.
Tale previsione, eliminando la discrezionalità dell’amministrazione con riferimento al “quando”, impedisce, secondo il Consiglio di Stato, di soppesare adeguatamente gli interessi contrapposti, attribuendo un’automatica prevalenza a quello del privato alla conservazione del provvedimento. In questo modo, risulta compromesso quel modello delineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale di continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti [21].
Un’ulteriore ragione viene individuata ponendo l’attenzione sulla natura dei poteri di autotutela, i quali, in particolare, presentano una causa mista, a metà strada tra la dimensione giustiziale e quella di amministrazione attiva, grazie alla quale è garantita la cura dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento annullato. Una limitazione all’esercizio di tali poteri, in presenza di interessi pubblici tanto rilevanti come quello alla tutela del patrimonio culturale, si traduce nella preclusione alla spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’amministrazione.
Un rilevante argomento a sostegno della manifesta irragionevolezza della normativa di cui si discute è individuato effettuando un confronto con ulteriori disposizioni contenute nella l. n. 241 del 1990, che prevedono eccezioni all’applicazione della regola generale, quando entrano in gioco interessi sensibili quali la tutela dell’ambiente e dei beni culturali.
Viene fatto riferimento, più precisamente, alle seguenti disposizioni: l’art. 19, comma 1, che detta l’inapplicabilità della disciplina della SCIA nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali; l’art. 20, comma 4, che esclude l’operatività del meccanismo del silenzio assenso per i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico e, infine, gli art. 14 bis, 14 ter e 14 quinquies che, in materia di conferenza di servizi, prevedono regole speciali relative ai termini del procedimento e al superamento dei dissensi espressi, qualora si tratti di amministrazioni preposte alla tutela ambiente, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali[22].
Tutte le ipotesi citate sono accomunate dalla previsione di una dilatazione dei tempi di valutazione riservati all’Amministrazione e si prestano, pertanto, ad essere paragonate all’art. 21 nonies, comma 1, in esame.
Il Consiglio di Stato, dopo aver elencato tale casistica, previene facili rilievi critici, specificando che l’art. 17 bis della l. n. 241 del 1990, disciplinante il silenzio assenso tra le Amministrazioni, applicabile espressamente anche quando oggetto del procedimento sono interessi sensibili quali quelli ambientali e culturali, non è idoneo a svalutare l’argomento sopra richiamato. Ciò perché tale istituto vede il confronto orizzontale tra diversi interessi parimenti pubblici[23].
Ancora, non vale a escludere la manifesta irragionevolezza del limite temporale di cui si discute, ove rapportato a interessi sensibili, l’ampliamento dei termini per l’annullamento d’ufficio previsto dal più volte richiamato comma 2 bis dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990. Questo, infatti, come evidenziato dal Consiglio di Stato, ha un ambito di applicazione molto ristretto e manca, in radice, un legittimo affidamento del privato da bilanciare con un dato interesse sensibile.
Come ultimo profilo, viene esaminato quello della discrezionalità, indagato sotto una duplice prospettiva.
Da un lato, il Collegio parla dell’erosione della discrezionalità del legislatore con riferimento alla materia dei beni culturali, in ragione degli impegni assunti dallo Stato a livello internazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost. In particolare, si fa riferimento agli art. 1, lett. b) e d) e 5, lett. a) e b) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, firmata a Faro il 27 ottobre 2005, i quali sanciscono una responsabilità non solo individuale, ma anche collettiva alla tutela del patrimonio culturale. In questa prospettiva, la promozione della protezione dell’eredità culturale deve essere raggiunta anche “predisponendo soluzioni normative che non siano d’ostacolo alla realizzazione di tale scopo”.
Secondo un’altra prospettiva, viene messo in luce come il procedimento volto al rilascio dell’attestato di libera circolazione sia caratterizzato dall’esercizio di discrezionalità tecnica[24], ove è necessario fare ricorso a conoscenze di settore mobili e in evoluzione, prive di quella certezza propria delle c.d. scienze dure. Anche per questa ragione “manifestamente irragionevole nonché lesivo del valore del buon andamento e dell’obiettivo di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione si rivela, dunque, la previsione di un termine per l’esercizio del potere di autoannullamento rigido e, come tale, assolutamente insensibile all’irriducibilità, importanza e peculiarità del caso concreto”.
Sviscerate le criticità insite nella previsione di cui all’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, con riferimento al limite rigido di dodici mesi dettato per l’esercizio dell’annullamento in autotutela anche per provvedimenti inerenti ai beni culturali, il Collegio ha concluso il proprio iter argomentativo affermando che sarebbe necessario ripristinare anche in questi casi l’applicabilità del “termine ragionevole”, così da permettere una reale ponderazione degli interessi coinvolti[25].
5. Brevi osservazioni conclusive.
La pronuncia in commento ha il pregio di aver posto in evidenza una fragilità del nostro ordinamento, capace di mettere a rischio l’effettività del principio della tutela del patrimonio culturale, sancito, in primo luogo, dall’art. 9 della Costituzione.
Come sopra evidenziato, le Amministrazioni competenti alla tutela del patrimonio culturale, al verificarsi di ipotesi di veri e propri aliud pro alio, si trovano prive di strumenti idonei a fronteggiare il mutamento della situazione originaria e, quindi, obbligate a tentare non lineari interpretazioni della normativa – come il ricorso all’eccezione di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990 – al fine di assicurare l’effettività della tutela.
L’introduzione di precisi limiti all’emanazione di provvedimenti di secondo grado risponde con tutta evidenza all’esigenza avvertita nel nostro ordinamento di dare certezza all’affidamento dei privati[26]. La recente restrizione, da diciotto a dodici mesi, del tempo massimo previsto per l’autoannullamento dà ulteriore dimostrazione di come il legislatore voglia evitare che la spada di Damocle dell’annullamento d’ufficio possa fungere da limite per la certezza dei rapporti giuridici. Viene, così, implicitamente dichiarato che tra l’esigenza di ripristino della legalità violata e la tutela dell’affidamento del privato – anche vista in un’ottica di semplificazione giuridica – la seconda, nell'attuale contesto economico-sociale, è considerata prioritaria[27].
L’avversione per una generale applicazione del “termine ragionevole” all’annullamento d’ufficio risiede certamente anche in una tradizionale diffidenza per l’esercizio della discrezionalità da parte delle pubbliche Amministrazioni[28].
Sul punto, sembra di interesse evidenziare che i recenti approdi del nostro legislatore in materia di contrattualistica pubblica - in cui si è assistito a un recupero e a una valorizzazione della discrezionalità amministrativa, considerata quale indispensabile strumento per una buona amministrazione[29] – ma più in generale il consolidarsi delle critiche avanzate dalla dottrina in relazione ai meccanismi di semplificazione introdotti nel procedimento amministrativo – fanno ipotizzare che la riscoperta della discrezionalità possa divenire una nuova tendenza generale per l’intera attività amministrativa.
Il ritorno alla discrezionalità – e quindi anche alla fiducia nell’attività della pubblica Amministrazione – appare indispensabile laddove in gioco vi siano interessi sensibili, che non possono essere sacrificati in via automatica in favore di un legittimo affidamento del privato.
In attesa di conoscere la decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità sollevata, la pronuncia in esame fornisce, in ogni caso, al legislatore una chiara indicazione sui pericoli determinati dall’eliminazione di ogni possibilità per l’Amministrazione di svolgere un concreto bilanciamento di interessi, quando un determinato procedimento intercetti principi fondamentali, che trovano specifica collocazione e tutela nella Costituzione.
Si noti che l’interesse dei destinatari del provvedimento rimarrebbe, in ogni caso, in forza del testo dell’art. 21 nonies, comma 1, uno dei parametri sui quali l’Amministrazione deve fondare la propria decisione.
Nonostante la generale condivisibilità dei rilievi offerti dalla pronuncia in esame, non va sottaciuto che l’eventuale reintroduzione del “termine ragionevole” non appare priva di profili problematici. Questo, in ragione della sua indeterminatezza e dell’inevitabile soggettività che ne caratterizza l’esercizio, potrebbe generare situazioni di grande criticità nel mercato dell’arte. Il principio di proporzionalità, oltre che gli insegnamenti già elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riferimento alla portata del “termine ragionevole” dovranno fungere inevitabilmente da guida nell’esercizio dei poteri di autoannullamento[30].
[1] In termini generali, sulla circolazione internazionale dei beni culturali in dottrina si vedano, ex multis, A. Lanciotti, La Circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e comunitario, Napoli, 1996; M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2007; F. Lafrange, La circolazione internazionale dei beni culturali dopo le modifiche al Codice, in Aedon, 2009; P. Venditti, La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale e la tutela del proprietario in caso di trasferimento illecito o illegale, in Arte e Diritto, 2024, 1, 85 ss. Con specifico riferimento all’attestato di libera circolazione si veda, tra i molti commentari al Codice dei beni culturali e del paesaggio, C. Ferrazzi, Commento all’art. 68, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019, 675 ss.
[2] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-quater, 19 luglio 2022, n. 10294, in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Di seguito il testo dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.
[4] Si riporta il testo dell’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.
[5] Sull’annullamento d’ufficio si vedano, tra i più recenti contributi dottrinali, M. Sinisi, Autotutela e governo del territorio, in Riv. giur. ed., 2024, 2, 157 ss.; Id., Il potere di autotutela caducatoria (art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in M.A. Sandulli (a cura di), principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2023, 543 ss.; M.A. Sandulli, G. Strazza, L’autotutela tra vecchie e nuove incertezze: l’Adunanza plenaria rilegge il testo originario dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, in S. Toschei (a cura di), L’attività nomofilattica del Consiglio di Stato, Roma, 2018; M.A. Sandulli, Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo, in P.L. Portaluri (a cura di), L’amministrazione pubblica nel prisma del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma Madia, Napoli, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017; 1173 ss. e F. Francario, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 8, 2017; A. Carbone, Il termine per esercitare l’annullamento d’ufficio, in A. Rallo, A. Scognamiglio, I rimedi contro la cattiva amministrazione, Napoli, 2016, 85 ss.
[6] Sulla corretta individuazione del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies, comma 1, in giurisprudenza si vedano, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2024, n. 7188, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 18 aprile 2024, n. 7672, in Red. Giuffrè, 2024; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 3 febbraio 2023, n. 184, ivi, 2022 e soprattutto, con riferimento al permesso di costruire, Cons. Stato, Ad. plen. 17 ottobre 2017, n. 8, in Riv. giur. ed., 2017, 5, I, 1089, con nota di N. Posteraro.
[7] Uno specifico termine – in origine di diciotto mesi – per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione e attribuzione di vantaggi economici, come noto, è stato introdotto per la prima volta dalla legge n. 124 del 2015. Questo è stato portato agli attuali dodici mesi dall’ art. 63 del d.l. 77 del 2021, convertito in l. n. 108 del 2021.
[8] In giurisprudenza in questi termini si segnalano, tra le più recenti pronunce, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. III, 10 luglio 2024, n. 2192, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926, in Riv. giur. ed., 2024, 2, I, 307; Id, Sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2392, ivi, 2021, 3, I, 921 e Id, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940, ivi, 2018, 3, I, 680.
[9] La distinzione è rilevante – ed espressamente menzionata – anche nella pronuncia in commento, riguardante un’ipotesi di potenziale falsa rappresentazione dei fatti, per la quale, tuttavia, come accennato nel primo paragrafo, l’Amministrazione non ha ritenuto sussistente un quadro indiziario univoco tale da provare simile condotta. In questo caso, pertanto, non è stata ritenuta applicabile l’eccezione alla regola generale del limite dei dodici mesi per procedere all’annullamento d’ufficio.
[10] Sull’autotutela doverosa, in dottrina, tra i più recenti contributi, si vedano, ex multis, N. Posteraro, Il dovere di provvedere a fronte di una richiesta di annullamento in autotutela, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, cit., 359-361; M. Giavazzi, Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effetto utile, in CERIDAP, 4, 2020; F.V. Virzì, La doverosità del potere d’annullamento d’ufficio, in Federalismi.it, 14, 2018; S. Tuccillo, Autotutela: potere doveroso?, ivi, 16, 2016; N. Posteraro, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), ivi, 20, 2017; G. Manfredi, Annullamento doveroso?, in P.A. Persona e Amministrazione, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., 1190 ss.
[11] Cfr. N. Durante, L’autotutela doverosa, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022. Un’attenta ricostruzione dell’autotutela doverosa è stata recentemente svolta da Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, in questa Rivista, 2024, con nota di F. Campolo. Nella citata sentenza il Consiglio di Stato ha chiarito come l’ipotesi di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis costituisca un caso di autotutela doverosa parziale, da intendersi non come individuante un obbligo di emanare senz’altro un provvedimento di secondo grado, ma solo nel senso di imporre la valutazione dell’istanza di autotutela presentata dal privato interessato, oltre i termini di legge, verificando la sussistenza dei presupposti di cui al suo primo comma.
[12] Per i riferimenti dottrinali in materia di circolazione internazionale dei beni culturali e attestato di libera circolazione si rimanda a quanto indicato sub nota 1.
[13] L’art. 64 bis, comma 3 del d.lgs. n. 42 del 2004, più precisamente, stabilisce che “Con riferimento al regime della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci”.
[14] Si legge nella sentenza in commento che “La nozione tradizionale di ‘autorizzazione’, inteso come provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato beneficiario consistente nella rimozione di un ostacolo all’esercizio di una facoltà spettante allo stesso, è talmente ampia, nell’interpretazione costante della giurisprudenza amministrativa [...] da farvi rientrare anche atti che vanno a influire sulla tutela di interessi di rango super-primario e tendenzialmente poziore rispetto all’affidamento del privato alla stabilità del titolo ottenuto”.
[15] A dimostrazione di come il problema legato alla nuova attribuzione di un’opera solo a seguito dell’avvenuto rilascio dell’attestato di libera circolazione sia molto sentito nel settore del mercato dell’arte si veda M. Lampertico, L. Castelli, I problemi giuridici di maggiore attualità nel mercato dell'arte: dialogo tra un giurista e un gallerista, in Arte e Diritto,1, 2024, 163 ss.
[16] Cfr. T.A.R. Veneto, 31 gennaio 2024, n. 182, in www.giustizia-amministrativa.it. La pronuncia ha avuto un certo risalto mediatico ed è stata commentata, ad esempio, da M. Pirelli, Guercino: il Tar del Veneto sblocca l’uscita. Il MiC non può annullare il via libera all’export perché cambia l’attribuzione, in www.sole24ore.com, 13 febbraio 2024.
[17] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2023, n. 9962, in Red. Giuffrè, 2024.
[18] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2024, n. 8010, in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] Nel caso oggetto della pronuncia Cons. Stato n. 8010/2024, cit., è di interesse segnalare le valutazioni svolte dal Collegio, a dimostrazione del comportamento fraudolento della parte: “Basti in proposito osservare che:
- rilevante ai fini della possibile attribuzione al Caravaggio è stata ritenuta, come pure si legge nel catalogo della mostra tenutasi nel settembre 2012 e curata dal Prof. -OMISSIS-, la circostanza, taciuta in sede di istanza, della provenienza del dipinto da una collezione storica polacca nella quale si tramandava il ricordo della provenienza della tela da collezioni della famiglia romana -OMISSIS-;
- parimenti rilevanti ai fini della possibile attribuibilità dell'opera al Caravaggio sono state considerate le dimensioni del dipinto (in quanto analoghe all'opera caravaggesca "La buona ventura"), dati sui quali sono state forniti dall'istante indicazioni ondivaghe ed errate;
- le sopraricordate indagini scientifiche e l'intervento di restauro hanno avuto, con ogni probabilità, costi non trascurabili difficilmente giustificabili dal punto di vista economico con riguardo ad un'opera considerata una copia priva di valore;
- l'organizzazione della prima mostra-convegno in cui è stata pubblicamente affermata l'attribuibilità al Caravaggio dell'opera di che trattasi ha avuto luogo, per stessa ammissione di parte, in Santa Maria Tiberina (PG) dal 29 settembre 2012, a distanza brevissima di tempo (circa tre mesi) dalla presentazione della domanda di rilascio di attestato di libera circolazione (avvenuta in data 14 giugno 2012) il che lascia ritenere, secondo l'id quod plerumque accidit, che la stessa proprietà potesse nutrire, al momento della domanda, una qualche aspettativa in ordine alla attribuibilità al Caravaggio;
- se la proprietà avesse allegato all'istanza del 18 novembre 2014 l'originario attestato di libera circolazione n. 5180 del 2012, l'Ufficio esportazione sarebbe stato messo in condizione di apprezzare il sopravvenuto cambio di attribuzione, prezzo e proprietà dell'opera e, quindi, di prendere in considerazione tale fondamentale aspetto nell'adozione delle determinazioni di competenza”.
[20] La citata circolare n. 21 del 24 maggio 2024, avente ad oggetto “Uscita definitiva dal territorio della Repubblica – Denuncia priva di indicazioni attendibili e presentazione di opere in stato conservativo precario – Improcedibilità” è consultabile in www.dgabap.gov.it.
[21] Viene, in proposito, citata la notissima pronuncia Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, inerente al c.d. “Caso Ilva”, in Giur. cost., 2013, 3, 1424.
Ciò appare, secondo il Giudice, ancora più irragionevole se si considera che "in forza di esso, un interesse pubblico così pregnante e che si lega alla cura di un bene di primario rilievo costituzionale come quello alla tutela del patrimonio storico e artistico si rivela sempre meccanicamente recessivo, per effetto del mero decorso del tempo, rispetto alla tutela di una situazione giuridica a matrice individuale. Tale è, infatti, l’affidamento la cui tutela rafforzata costituisce la ratio del termine annuale ex art. 21 nonies della l n. 241 del 1990. Esso resta, infatti, pur sempre una ’posizione giuridica soggettiva’ che può alternativamente riferirsi ed inerire ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo e che, nelle sue origini civilistiche, ’risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale’”.
[22] Con specifico riferimento alle peculiarità del procedimento amministrativo in presenza di interessi sensibili, si vedano, ex multis, R. Leonardi, La tutela dell'interesse ambientale, tra procedimenti, dissensi e silenzi, Torino, 2020; G. Mari, ‘Primarietà’ degli interessi sensibili e relativa garanzia nel silenzio assenso tra pp.aa. e nella conferenza di servizi, in Riv. giur. ed., 2017, 5, 305 ss. e A. Moliterni, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., 2017, 4, 699 ss.
[23] Osserva in proposito il Collegio che il silenzio assenso opera in questo caso, a differenza di quello verticale, non a favore di un privato, ma a favore di una pubblica amministrazione, che dovrà poi comunque farsi carico del bilanciamento degli interessi rilevanti e, in ogni caso, stabilendo un termine più lungo per la formazione del silenzio assenso, e facendo salivi i diversi termini previsti dalle norme speciali.
[24] Sulla discrezionalità tecnica caratterizzate il procedimento di rilascio dell’attestato di libera circolazione, cfr., in giurisprudenza, tra le pronunce più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 19 novembre 2024, n. 9285, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., 13 ottobre 2023, n. 8983, ivi; T.A.R. Firenze, Sez. I, 22 marzo 2024, n. 335, ivi; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 1° marzo 2021, n. 2501, in Foro amm. – T.A.R., 2021, 3, 550.
[25] Con specifico riferimento alla controversia oggetto della pronuncia, il Collegio ha sottolineato che “la riespansione – in caso di accoglimento della questione sollevata – del termine flessibile ancorato al parametro generale della ragionevolezza consentirebbe, invece, di valorizzare, ai fini della spendita del potere di ritiro (pur con il limite della durata ragionevole a tutela degli affidamenti privati), ogni aspetto in fatto della singola vicenda indipendentemente da una logica di chiara imputabilità alla parte privata di una falsa rappresentazione dei fatti (spesso difficile da ritenersi come nella specie è evidente, pur in presenza di un oggettivo aliud pro alio e del rischio che possa porsi in essere l’esportazione di un capolavoro ove non sia stato apprezzato compiutamente il valore culturale che sempre inibirebbe l’uscita dal territorio)”.
[26] Sull’affidamento dei privati nei confronti della pubblica Amministrazione, tra i più recenti contributi, si vedano G. Tulumello, La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione tra ideologia e dogmatica, in Giustamm.it, 5, 2022 e R. Fusco, I limiti dell'autotutela decisoria in materia edilizia: il difficile equilibrio tra il contrasto all'abusivismo e la tutela dell'affidamento dei privati, in Riv. giur. ed., 2020, 1, 15 ss.
[27] A. Carbone, Il termine per esercitare l’annullamento d’ufficio, cit., 94, evidenzia che la l. n. 124 del 2015 ha introdotto “una decadenza in senso proprio dell’esercizio del potere di annullamento da parte dell’Amministrazione, che trova la propria giustificazione nell’esigenza di garantire per quelle particolari tipologie di atti, l’affidamento del singolo, in maniera più pregnante rispetto al mero contemperamento con gli altri interessi che vengono in rilievo nella specifica fattispecie: detto affidamento, infatti, nel momento in cui è correlato con una preclusione all’annullamento d’ufficio, gode di una tutela in sé considerata”.
[28] S. Toschei, Il recupero del primato della discrezionalità nel nuovo codice dei contratti pubblici del 2023, in F. Francario, M.A. Sandulli (a cura di), Sindacato sulla discrezionalità e ambito del giudizio di cognizione, Napoli, 2023, 387 ss., ha in proposito emblematicamente evidenziato che la discrezionalità “viene posta sul banco degli imputati come se costituisse uno strumento di debolezza dell’esercizio del potere e, al tempo, un meccanismo diabolico di proliferazione del malaffare, atteso che nelle pieghe della discrezionalità non si nasconde soltanto il rischio di comportamenti viziati da accesso di potere ma soprattutto di interventi deviati da obiettivi oppositivi rispetto alla cura dell’interesse pubblico, con lo scopo di conseguire soddisfazioni personali e illegali”.
[29] Tra i molti contributi recentemente elaborati in merito al recupero della discrezionalità nel nuovo Codice dei contratti pubblici si veda S. Toschei, Il recupero del primato della discrezionalità nel nuovo codice dei contratti pubblici del 2023, cit., 387 ss.
[30]Sul punto si rimanda a M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, cit. e alla dottrina e giurisprudenza ivi menzionata.
Una prima soluzione interpretativa potrebbe essere offerta valorizzando i rilievi della citata Adunanza plenaria n. 8 del 2017, espressasi con riferimento all’onere motivazionale cui è tenuta l’Amministrazione nell’autoannullare un provvedimento, dopo che sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua adozione. “Nella vigenza dell'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 — introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 — l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: a) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole' per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro; b) che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi); c) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” .