Ottemperanza e poteri del giudice (nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 2024, n. 6)
di Antonio Cassatella
Sommario: 1. La questione sostanziale controversa ed il giudicato di annullamento. 2. Le vicende relative all’ottemperanza al giudicato e la nomina differita del commissario. 3. Effetto conformativo e poteri del giudice dell’ottemperanza. 4. Dal caso alla questione sistematica: sulla perdurante ambiguità dell’ottemperanza quale cognizione mista ad esecuzione.
1. La questione sostanziale controversa e il giudicato di annullamento.
La sentenza che si annota è di particolare rilievo nella parte in cui mostra come il giudice dell’ottemperanza risolva il conflitto esecutivo bilanciando effettività della tutela e riserva di amministrazione. Come si cercherà di dimostrare, l’esito del giudizio di merito è ragionevole, ma non appieno condivisibile proprio in rapporto al modo in cui si sono bilanciati gli interessi rilevanti[1].
La controversia alla base della pronuncia riguardava il mancato riconoscimento di qualificazioni professionali conseguite all’estero da aspiranti all’insegnamento in Italia, da valutare entro la cornice stabilita dalla direttiva 2005/36/Ce.
Le ricorrenti avevano separatamente adito il T.a.r. Lazio a fronte del mancato riconoscimento dell’idoneità di titoli acquisiti in Bulgaria, dove avevano frequentato un corso post-universitario in pedagogia e ottenuto il relativo diploma, che per le autorità bulgare non assumeva diretto rilievo ai fini dello svolgimento dell’attività di insegnante in quel Paese. Il Ministero aveva giustificato il diniego sostenendo che, a fronte del carattere non abilitativo, il titolo poteva essere riconosciuto solo se il richiedente avesse provato di aver svolto per un anno la professione di insegnante in Italia. Tale prova mancava in entrambi i casi.
Il T.a.r. Lazio respingeva i ricorsi, condividendo le tesi della resistente. La VII Sezione del Consiglio di Stato, adita in appello da entrambe le parti, riteneva necessario deferire alla Plenaria la questione di diritto inerente alla corretta interpretazione della disciplina statale, anche in rapporto ai principi stabiliti dalla menzionata direttiva e dagli artt. 45 e 49 TFUe in materia di libertà di circolazione e stabilimento dei lavoratori.
Secondo la VII Sezione, si trattava di stabilire «se il Ministero possa svolgere un’autonoma valutazione delle competenze professionali acquisite, e quindi del percorso di formazione in concreto svolto all’estero, sulla base di una verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta, fatta comunque salva la possibilità di imporre a tal fine specifiche misure compensative, ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2005/36/Ce». Si chiedeva, inoltre, di valutare «se il riconoscimento sia possibile o doveroso anche in mancanza di un attestato di competenza o di un titolo di formazione richiesto nello Stato estero d’origine per l’esercizio di una professione regolamentata ed infine se al medesimo riguardo possa prescindersi dal requisito di un anno di esperienza professionale»[2].
L’Adunanza Plenaria, riuniti i ricorsi, rovesciava i giudizi di primo grado.
Dopo aver ricostruito la disciplina applicabile in rapporto ai principi unionali di libertà di circolazione e stabilimento, il collegio rilevava che il carattere non abilitante del titolo ottenuto in Bulgaria non era di per sé ostativo al suo riconoscimento in Italia. Spettava semmai all’amministrazione il compito di «verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla professione regolamentata».
Questo esame era doveroso nel caso di specie, posto che la limitata efficacia del diploma bulgaro si giustificava in forza del fatto che, in quello Stato, la mera specializzazione non poteva essere un escamotage per accedere all’insegnamento in assenza di altri titoli di studio adeguati. Viceversa, le due appellanti avevano conseguito in Italia una laurea idonea allo scopo, per poi ottenere il titolo bulgaro al fine di lavorare nel proprio Paese, non già per aggirare gli ostacoli all’accesso all’insegnamento in Bulgaria.
In altri termini, le peculiarità del caso rendevano irrilevante il mancato esercizio della professione di insegnante da parte delle ricorrenti, in quanto un’interpretazione teleologica della disciplina bulgara non precludeva la valutazione dei titoli colà conseguiti ai fini della ricostruzione del curriculum delle aspiranti all’insegnamento in Italia.
Ne conseguiva il difetto di istruttoria del diniego e la conclusione del processo senza necessità di remissione alla VII Sezione.
Il giudicato dell’Adunanza Plenaria aveva un marcato effetto conformativo. Senza pronunciarsi sulla spettanza del riconoscimento, a fronte dei difetti istruttorî che andavano superati dal Ministero, si ordinava all’amministrazione di: «esaminare l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, posseduti da ciascuna interessata»; «procedere ad un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale, onde accertare se le stesse interessate abbiano o meno i requisiti per accedere alla professione regolamentata di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative necessarie».
Nell’anno successivo alla sentenza il Ministero rimaneva inerte, senza dar seguito alle richieste delle appellanti. Ne conseguiva la proposizione di un giudizio di ottemperanza alla stessa Plenaria.
Nel corso del giudizio l’amministrazione asseriva di non aver ottemperato al giudicato a fronte dell’esigenza di affidare ad un apposito organismo l’esame delle domande delle ricorrenti e di numerosi terzi che si trovavano in condizioni analoghe. Il Ministero garantiva di aver programmato la trattazione di tutte le istanze, così da poter procedere all’assegnazione degli incarichi per l’anno scolastico 2024-25 senza ulteriore nocumento degli interessi delle due aspiranti.
Pur apprezzando lo spirito collaborativo del Ministero, l’Adunanza Plenaria riteneva che tali argomentazioni non fossero sufficienti a dilazionare ulteriormente la trattazione delle istanze oggetto di controversia, a fronte della «posizione qualificata» derivante dal giudicato. A questi fini, si ordinava al Ministero di decidere sulle istanze delle ricorrenti entro i trenta giorni successivi alla sentenza, salva la nomina di un commissario ad acta nel caso di perdurante inerzia.
Quest’ultimo punto merita qualche riflessione.
2. Le vicende relative all’ottemperanza al giudicato e la nomina differita del commissario
Si anticipava, in esordio, come la Plenaria abbia cercato di bilanciare le esigenze di effettiva tutela delle ricorrenti in ottemperanza con il riconoscimento di una perdurante riserva di amministrazione sull’esame delle loro istanze[3].
Se si esamina la giurisprudenza intervenuta nella stessa materia, si può cogliere come soluzioni analoghe a quelle della Plenaria fossero già state prospettate dal Consiglio di Stato nelle vesti di giudice dell’ottemperanza. In una recente controversia, relativa al mancato riconoscimento di un titolo ottenuto in Romania, si è assunto che l’esecuzione dovesse essere demandata all’amministrazione, o comunque al commissario, a fronte della «natura discrezionalmente tecnica di tali adempimenti», che comprendono il potere di disporre le misure compensative volte ad integrare il curriculum dei candidati[4].
Come chiarito in altra occasione, queste prerogative sono riservate alla p.a., per quanto nulla tolga il loro «pieno sindacato» ad opera dello stesso giudice di ottemperanza, tenuto a valutare la condotta dell’amministrazione «sul piano della plausibilità, ragionevolezza, logicità e proporzionalità rispetto al parametro legale utilizzato, e ciò tanto più ove si intenda mettere a confronto due percorsi formativi, quello estero e quello italiano, contenutisticamente diversi fra di loro»[5].
Sintetizzando questi orientamenti, la sequenza attraverso cui si realizza la tutela può essere articolata nei termini che seguono: 1) ricorso al giudice; 2) formazione del giudicato con effetti conformativi e obbligo di riapertura del procedimento in capo al Ministero; 4) mancata attuazione del giudicato e ricorso in ottemperanza; 3) sentenza che obbliga la p.a. a provvedere entro un termine individuato dal giudice, di regola non inferiore ai trenta giorni; 5.a) in caso di ulteriore inerzia, nomina del commissario; 5.b) in caso di emanazione di un nuovo diniego illegittimo, onere di impugnazione nelle forme del giudizio di cognizione contro l’atto annullabile; 5.c) … o del giudizio di nullità in ottemperanza contro l’atto che viola o elude il giudicato.
Si tratta di una sequenza complicata già nelle scansioni numeriche proposte, benché si tratti della medesima vicenda frazionata in una pluralità di giudizi. Sono soprattutto palesi gli ostacoli all’immediata attuazione del giudicato, che ritardano la conclusione del giudizio a danno di chi ricorre dopo aver già ottenuto una sentenza favorevole all’esito del processo di cognizione[6].
Evocare la vittoria di Pirro o il paradosso di Zenone per descrivere la posizione di chi abbia già ottenuto un giudicato favorevole non dice tutto. Specie nel caso in cui l’amministrazione ottemperante rilasci un nuovo provvedimento di diniego ed oneri il ricorrente ad aprire un secondo giudizio di cognizione, sembra più adeguato evocare le vicissitudini di Bill Murray nel film Ricomincio da capo.
L’impasse deriva dalla formulazione dell’art. 114, comma 1, c.p.a., che enumera i poteri del giudice dell’ottemperanza senza indicare alcun criterio preferenziale nella scelta dei modi di attuazione del giudicato, rimessi alle valutazioni del collegio giudicante[7]. Il fatto che il giudice decida nel merito, e secondo opportunità, attenua il criterio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, permettendogli di graduare le misure idonee[8].
Assunto che l’art. 114, comma 4, lett. a), c.p.a. conferisca al giudice anche il potere di individuare tecniche atipiche di esecuzione del giudicato, si potrebbe far derivare dalla disposizione anche il potere di assegnare alla p.a. un ulteriore termine per decidere, salva la successiva nomina del commissario, condizionata dall’ulteriore inadempimento della p.a. inerte o non pienamente collaborativa. Così nel caso di specie ed altri analoghi.
Le valutazioni di opportunità rimesse al giudice possono tuttavia incidere sul livello di tutela garantita dall’ottemperanza, ossia su quello che si è efficacemente definito come il «miglior risultato possibile per il ricorrente vittorioso»[9]. Non basta aggirare il problema confidando sulla giustizia del caso concreto o su altri criteri equitativi che, seppur adeguati alla singola controversia, non permettono di prevedere i comportamenti di altri collegi, minando basilari esigenze di conoscibilità e calcolabilità degli esiti, dei costi e dei tempi di soluzione dei conflitti esecutivi.
Appare dunque opportuno verificare se sussistano criteri per garantire l’ottemperanza alla sentenza mediante la sostituzione del giudice all’amministrazione o, in alternativa, l’immediata nomina del commissario.
3. Effetto conformativo e poteri del giudice dell’ottemperanza
Si reputa che l’analisi del problema passi per la disamina degli effetti conformativi della pronuncia di cui si chiede l’esecuzione, in rapporto al precetto contenuto nella sentenza di annullamento o condanna al facere ed al suo impatto sulla fattispecie concreta[10].
Sul piano sistematico, e in coerenza con il principio della domanda, l’oggetto della domanda di annullamento perimetra il potere del giudice di cognizione ed incide sulla formazione del giudicato che va eseguito dall’amministrazione e può dar luogo ai conflitti esecutivi decisi in sede di ottemperanza[11].
Ne deriva che maggiore è l’estensione del precetto da attuare nell’esercizio del potere che residua a seguito della sentenza di annullamento o condanna al facere, minori dovrebbero considerarsi gli ambiti riservati alla cognizione degli organi competenti, fino al punto di giustificare una diretta sostituzione del giudice alla parte rimasta inerte[12].
Così dovrebbe avvenire per l’effetto conformativo “rafforzato”[13].
Quest’evenienza può essere ipotizzata soprattutto nel caso in cui – in astratto o per effetto della consumazione del potere – l’attività amministrativa conformata dal giudicato sia del tutto vincolata ed implichi la sussunzione della fattispecie concreta nella fattispecie astratta al fine di determinate contenuti ed effetti del provvedimento atteso. Assunto che questo tipo di attività abbia carattere eminentemente giuridico o tecnico non opinabile, nulla osta a che il giudice si sostituisca all’amministrazione nella produzione dell’effetto atteso, col supporto conoscitivo fornitogli eventualmente dai propri ausiliari.
In tale frangente non potrebbe parlarsi di una vera e propria riserva di amministrazione, né di un vulnusalla separazione fra amministrazione e giurisdizione: il giudice determina quegli effetti – e solo quegli effetti – che risulta possibile produrre nel caso concreto. Risulta indifferente, per l’ordinamento, che gli effetti siano prodotti con provvedimento o con sentenza[14].
Nei restanti casi il giudice sarebbe altresì tenuto alla nomina del commissario in sostituzione dell’amministrazione inerte, non cooperante o elusiva[15].
Quest’ultima evenienza si pone l’effetto conformativo del giudicato è “generico”, limitandosi ad imporre alla p.a. una nuova valutazione delle risultanze istruttorie e l’esercizio di prerogative tecniche fondate su criteri opinabili, o discrezionali residue[16].
É il caso della controversia in esame, posto che dal giudicato del 2022 discendeva l’obbligo di effettuare una valutazione opinabile del titolo conseguito in Bulgaria dalle ricorrenti. Che il Ministero fosse tenuto a concludere il procedimento valorizzando il diploma conseguito in Bulgaria era indubbio; rimaneva da stabilire quale rilevanza assumesse il titolo nel curriculum delle appellanti ed ai fini di eventuali misure compensative[17].
Nella situazione anzidetta il giudice resta privo di una legittimazione tecnica ad amministrare, ma nulla esclude che, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione, possa ricorrere ad un ausiliario, legittimato ad agire in sua vece ed in luogo del Ministero nella produzione degli effetti attesi ed ottenibili in concreto[18].
La conclusione appare coerente con un’esigenza di concentrazione delle tutele in sede di ottemperanza, nell’ambito della quale viene in rilievo, sulla base dell’art. 114, comma 6 c.p.a., «ogni questione» derivante dalla carente conformazione della p.a. agli obblighi derivanti dalla pronuncia: non solo, dunque, elusione o violazione dei precetti desumibili dalla sentenza, ma anche incompleta o inesatta attuazione del comando giudiziale[19].
Resta da valutare se, innanzi ad un effetto conformativo generico, sia necessario attribuire alla p.a. un nuovo termine per eseguire il giudicato, esponendo il ricorrente all’emanazione di un altro provvedimento potenzialmente illegittimo e suscettibile di essere contestato in ottemperanza o in un giudizio di cognizione[20].
A ben guardare, l’assegnazione di un ulteriore termine di adempimento a favore dell’amministrazione sottende che quest’ultima goda di una perdurante riserva di competenza sul merito della questione controversa[21].
La tesi non pare tuttavia condivisibile, in rapporto ad una più ampia riflessione inerente alle caratteristiche della riserva[22].
Contro una concezione statica e rigida della riserva, intesa come astratto limite alla cognizione giudiziale della discrezionalità e della tecnica basata su parametri opinabili, si può sostenere che essa abbia un carattere dinamico e relativo. Attività riservata non è già quella assolutamente sottratta alla cognizione giudiziale, ma quella che residua all’esito del giudizio in rapporto agli effetti conformativi della sentenza[23].
La concezione dinamica non priva pertanto l’amministrazione del potere di decidere sulla questione sottoposta alle sue cure dopo che il giudice abbia deciso sulla controversia, nei termini desumibili dall’art. 88, comma 2, lett. f), c.p.a. ed entro i limiti stabiliti dal giudicato. Al contempo, è proprio la mancata attuazione dell’ordine esecutivo contenuto nella sentenza ad abilitare il giudice dell’ottemperanza a decidere su tutto il merito della questione attraverso l’emanazione di nuovo atto, la modifica o la riforma di quello impugnato, nei termini generalmente stabiliti dall’art. 34, comma 4, c.p.a.
Solo in tal senso pare giustificabile la funzione surrogatoria e sanzionatoria propria del giudizio di ottemperanza, che, nel tutelare il ricorrente vittorioso, sanziona al contempo l’amministrazione inadempiente, a chiusura del sistema di tutele garantito dall’ordinamento[24].
Dalle menzionate disposizioni emerge, come la riserva dinamica si esaurisca nell’ambito del giudizio di ottemperanza e, in particolare, nel momento in cui il giudice trattiene la causa al fine della decisione sul merito della lite: se resta fermo il potere dell’amministrazione di adempiere spontaneamente al giudicato e di decidere in senso favorevole al ricorrente con cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.a., non sembrano sussistere ragioni per assegnarle un nuovo termine per adempiere, ritardando ulteriormente la soluzione del conflitto esecutivo[25].
Quanto osservato rende incompatibile l’assegnazione del nuovo termine e la nomina differita del commissario con le caratteristiche di un giudizio di ottemperanza da situare in un sistema integrato di garanzie: l’autonomia dell’amministrazione è tutelata prima del e durante il processo cognizione, esaurendosi nel corso del giudizio di ottemperanza e nel momento in cui si accerti la mancata esecuzione dell’ordine del giudice ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. f), c.p.a.
La riprova di quanto rilevato può cogliersi con riferimento alla disciplina dell’esecuzione forzata prevista dal c.p.c., in quanto espressiva di principi generali comuni ad ogni processo di attuazione del giudicato ai sensi dell’art. 39 c.p.a.
Dagli artt. 480 e 482 c.p.c. emerge, al riguardo, come il termine per adempiere al giudicato ineseguito sia indicato nel precetto della parte vittoriosa in cognizione, e non dal giudice dell’esecuzione, che può anzi anticipare l’avvio dell’attività esecutiva nei casi in cui il ritardo pregiudichi gli interessi dell’attore vittorioso. Allo stesso modo, dall’art. 612 c.p.c. emerge come l’esecuzione degli obblighi di fare rimasti inadempiuti dalla parte soccombente sia immediatamente assegnata all’ufficiale giudiziario, sentita la parte obbligata e senza che ad essa vengano assegnati ulteriori termini per adempiere.
Se queste disposizioni non possono essere invocate per escludere che la p.a. possa adempiere spontaneamente al giudicato nelle more dell’ottemperanza, ciò non toglie che esse possano essere ritenute espressive del principio per cui la parte che agisce per l’esecuzione del giudicato sia titolare di una pretesa a che il conflitto esecutivo venga deciso immediatamente dal giudice o dal suo ausiliario, senza margini di assegnazione di nuovi termini per adempiere a favore della parte che ha dato avvio al conflitto esecutivo rimanendo inerte o non collaborando.
É appena il caso di osservare come i predetti principi si applichino sicuramente ai casi in cui il giudice amministrativo opera quale giudice dell’esecuzione degli obblighi scaturenti da un giudicato civile nei confronti dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. c), del c.p.a. Non sembrano tuttavia sussistere ragioni di ordine teorico per negare la loro espansione a tutti i casi in cui si chieda l’esecuzione del giudicato amministrativo.
Quanto osservato non esclude affatto che il giudice sia titolare, ad altri fini, di più ampi poteri inerenti alla definizione delle modalità di attuazione del giudicato, nei termini desumibili dalla generica formulazione dell’art. 114, comma 4, lett. a) del c.p.a.: tali poteri vanno ricondotti al tipo di azione esercitata in sede di cognizione ed alle caratteristiche dei singoli giudicati, in coerenza con la tendenziale atipicità delle tutele che connota il processo amministrativo (specie in giurisdizione esclusiva).
Non pare, infine, che, contro la soluzione prospettata, possa invocarsi la disciplina dell’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. e dell’art. 614 bis c.p.c. in materia di astreintes[26].
Parte della giurisprudenza, in linea con la pronuncia in commento, ritiene che proprio la disciplina della penalità di mora giustifichi la nomina differita del commissario, così da cumulare in via graduata e condizionale rimedio compulsorio e sostitutivo[27].
Resta tuttavia fermo che un simile cumulo, ai sensi dello stesso art. 114, comma 4, lett. e), può essere disposto solamente ove ne faccia richiesta la parte[28]. Ne deriva, pertanto, che non spettano al giudice né la scelta del rimedio delle astreintes in assenza di specifica richiesta, né, soprattutto, l’opzione di differire d’ufficio la nomina del commissario in difetto di correlate penalità di mora richieste preventivamente dalla parte.
Nel caso di specie, pertanto, la nomina differita si sarebbe al più potuta giustificare se le stesse appellanti avessero chiesto l’erogazione di penalità di mora a garanzia di una sollecita definizione del conflitto esecutivo, con assegnazione di un nuovo termine di adempimento, alla cui scadenza sarebbe stato nominato il commissario. Mancando – almeno a quanto consta – una richiesta di tal genere, il giudice non avrebbe dovuto ulteriormente differire la nomina del commissario, dando all’amministrazione un’ulteriore possibilità per decidere.
4. Dal caso alla questione sistematica: sulla perdurante ambiguità dell’ottemperanza quale cognizione mista ad esecuzione.
Nel dibattito scientifico si afferma, periodicamente, la necessità di avvicinare il giudizio di ottemperanza all’archetipo del processo esecutivo, ritenendo che solo attraverso questa via si possa giungere a garantire al ricorrente vittorioso una tutela piena – se si vuole, effettiva ai sensi dell’art. 1 c.p.a. – delle proprie prerogative[29].
La vicenda della nomina differita rappresenta un’appendice del fenomeno, che non va sottostimata specie in quanto solleva una serie di interrogativi in ordine alle più ampie caratteristiche dell’ottemperanza, a fronte della sua perenne ambiguità: va infatti da sé che la pronuncia della Plenaria, nell’attribuire alla p.a. un termine ultimo di adempimento, sottende la natura prevalentemente cognitoria del giudizio ed espone la parte vittoriosa all’emanazione di un nuovo provvedimento da impugnare in un processo ulteriore, a guisa di un loop in parte mitigato dall’attuale disciplina dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990[30].
Non è possibile affrontare il tema dell’oggetto e della natura del giudizio di ottemperanza in termini analitici. Sembra tuttavia opportuno segnalare le principali criticità dell’attuale disciplina e delle sue prassi interpretative, quantomeno nella prospettiva dell’immediatezza della tutela attesa dal ricorrente già penalizzato dalla mancata attuazione di un giudicato di annullamento o condanna al facere.
La prima questione, già implicita nelle osservazioni che precedono, concerne la disciplina del provvedimento emanato sulla base di una rinnovata valutazione istruttoria ed espressivo di una riconsiderazione della situazione controversa.
Come noto, ove si assuma che l’atto sia illegittimo, senza che si incorra in una patente violazione o elusione del giudicato, non resterebbe che impugnarlo innanzi al giudice di cognizione con autonomo ricorso: così, ad esempio, nel caso in cui il Ministero che ha beneficiato di un nuovo termine per decidere sull’istanza delle appellanti emani un provvedimento che dispone misure compensative ritenute eccessivamente gravose e tali da rendere quasi irrilevante l’attività formativa svolta all’estero[31].
Al di là delle incertezze sottese a questo orientamento ed alla linea di discrimine fra mancata esecuzione e cattiva esecuzione della sentenza, neutralizzabili mediante la conversione del rito, resta fermo il problema dei costi derivanti dall’apertura di un nuovo giudizio di cognizione dopo che si sia già ottenuto un giudicato favorevole: costi che non gravano solo sulla parte privata, ma che finiscono per incidere anche sul buon andamento amministrativo, pur sempre turbato dal prolungarsi del conflitto e dalle incertezze sottese all’esito della lite[32].
Vi è da chiedersi se non sia opportuno interpretare l’art. 114, comma 6, c.p.a., che demanda al giudice la cognizione di tutte le questioni inerenti all’ottemperanza, in senso estensivo, concentrando in questa fase del giudizio tutte le impugnazioni degli direttamente consequenziali all’annullamento del provvedimento antecedente[33]. A ben guardare, si tratterebbe di una logica non dissimile da quella che già caratterizza la concentrazione delle tutele nell’ambito della disciplina dei motivi aggiunti[34].
In tal senso andrebbe valorizzato l’assunto per cui il giudizio di ottemperanza non può essere «il luogo per tornare e mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso»[35]. Nella medesima direzione andrebbe seguito l’orientamento per cui il giudicato di annullamento comprende anche il deducibile, da intendere come «tutto ciò che - ancorché non espressamente dedotto o non espressamente affermato in sentenza - costituisce un oggettivo, logico ed ineliminabile presupposto o corollario della decisione assunta, venendo così a produrre l’effetto conformativo del successivo esercizio del potere»[36].
A partire da queste premesse, recente giurisprudenza ha sottolineato come l’essenza del giudizio di ottemperanza vada individuata proprio «nella conformazione dell’ulteriore esercizio del potere amministrativo, del quale il giudicato costituisce un parametro di limite ed adeguamento»[37].
Se così è, si può ipotizzare come siano suscettibili di essere contestate in ottemperanza tutte le possibili forme di inadempimento dell’effetto conformativo del giudicato.
Resterebbe comunque ferma la necessità di un’autonoma impugnazione, in sede di cognizione, di quei provvedimenti che non rappresentano tanto una riedizione del potere oggetto di precedente censura, quanto la prima manifestazione di un potere che non era stato effettivamente speso nel corso del procedimento contestato, non essendosi ancora formate risultanze istruttorie suscettibili di valutazione da parte del giudice dell’ottemperanza[38]. Questo, anche in rapporto al divieto di pronuncia giudiziale su poteri non ancora esercitati, ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a.[39].
Andrebbero opportunamente rimeditati gli orientamenti – fatti propri soprattutto dalla giurisprudenza di primo grado – che individuano nel giudizio di ottemperanza «un rimedio generale volto a presidiare il principio di effettività della tutela, in modo tale da evitare che la pronuncia giurisdizionale resa in sede di cognizione rimanga disattesa»[40].
Lo stesso Consiglio di Stato sembra prendere atto del problema nel momento in cui attribuisce alla sentenza amministrativo l’efficacia di «titolo per l’azione esecutiva, non per la prosecuzione del giudizio di cognizione», cosicché lo stesso giudizio di ottemperanza deve considerarsi «volto a tradurre in atto le statuizioni già contenute, ancorché implicitamente o prospetticamente, nella sentenza definitiva, senza che si possa incidere sui tratti liberi dell’azione amministrativa, lasciati impregiudicati dalla decisione, e nei limiti in cui l’ulteriore svolgimento dell’azione sia comunque già desumibile, nei suoi tratti essenziali, dalla sentenza da portare ad esecuzione»[41].
A suggello di questi indirizzi può osservarsi come le Sezioni Unite tendano a negare l’eccesso di potere giurisdizionale del giudice dell’ottemperanza ai danni della p.a. quando si sostituisca all’amministrazione inadempiente rispetto agli effetti conformativi scaturenti dalla sentenza di annullamento o condanna al facere. Si ritiene, in particolare, che «in ossequio al principio dell’effettività della tutela giuridica, il giudizio di ottemperanza, al fine di soddisfare pienamente l’interesse sostanziale del soggetto ricorrente, non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incompleti od addirittura elusivi del contenuto della decisione del giudice amministrativo»[42].
Così argomentando, anche nella contestata ipotesi in cui si possa assegnare alla p.a. un termine ultimo per provvedere, nulla impedirebbe di concentrare nello stesso giudizio di ottemperanza le censure prospettabili nei confronti di atti non satisfattivi dell’interesse del ricorrente, ancorché non emanati in elusione o aperta violazione del giudicato.
Un’altra criticità attiene ai poteri del giudice e dello stesso commissario ad acta[43].
Nella vigenza del nuovo codice, le risalenti dispute in ordine alle caratteristiche della giurisdizione di merito, come giudizio sul fatto o sull’opportunità dell’azione amministrativa, vanno storicizzate: l’accesso pieno al fatto, ossia al merito della controversia, appare possibile sia in sede di cognizione che di ottemperanza, sulla base dei poteri istruttori di cui gode il giudice amministrativo e di un doveroso coordinamento fra le esigenze di effettività della tutela e le caratteristiche della riserva di amministrazione; il limite della valutazione dell’opportunità della decisione – sia essa tecnica opinabile o puramente discrezionale – rimane fermo per il giudice di legittimità, mentre nulla esclude che possa essere superato dal giudice di merito, proprio in quanto titolare del potere di emanare il provvedimento in luogo dell’amministrazione, o di riformarlo e modificarlo nella sua interezza[44].
Da questo punto di vista traspare l’autentica portata dell’indirizzo per cui il giudice amministrativo «ha il dovere assoluto di imporre [all’amministrazione soccombente] l’esecuzione [della sentenza], nel senso che deve assicurare la soddisfazione degli interessi che il privato fa valere, godendo al riguardo di poteri valutativi che si estendono al merito, cioè alla formulazione di valutazioni di opportunità finalizzate ad assicurare il rispetto di quanto deciso con la sentenza da eseguire»[45].
Anche in siffatta prospettiva, la chiave di volta per comprendere i limiti della cognizione e dei poteri del giudice è data dall’art. 34 c.p.a. e dal contenuto dei singoli tipi di sentenza. Se la sentenza del giudice di ottemperanza, in quanto sentenza che surrogatoria dell’amministrazione inadempiente, può avere ad oggetto anche le valutazioni opinabili o di opportunità, il giudice va messo nelle condizioni di decidere in conformità alla legittimazione che gli è eccezionalmente attribuita dal sistema[46].
La nomina del commissario appare pertanto cruciale, in quanto la selezione dell’ausiliario del giudice quale soggetto dotato di competenze tecniche o di adeguata esperienza amministrativa consente di conformare il giudicato in via definitiva, sempre salvi i reclami dell’amministrazione ed i rimedi a favore di terzi[47].
Quello che pare difettare, nel vigente sistema, è la garanzia dell’effettività dell’azione del commissario, che dovrebbe poter contare sulla leale cooperazione dei funzionari dell’amministrazione inadempiente per la presa in carico della situazione controversa e la formazione di una decisione legittima[48].
La centralità del ruolo del giudice e del commissario nell’attuazione dell’effetto conformativo rimasto inadempiuto conferma non solo l’insussistenza dei presupposti per rimettere nuovamente in termini l’amministrazione inadempiente, come pure la più generale necessità di adeguare l’oggetto del giudizio ed i poteri del giudice e del suo ausiliario ad una rinnovata esigenza di immediatezza delle tutele disponibili.
[1] Che il tema resti essenziale e dibattuto lo conferma, da ultimo, l’importante libro di M. Luciani, Ogni cosa al suo posto. Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri, Milano, 2024.
[2] Entrambi i passaggi sono ripresi da Cons. Stato, Ad. Plen., 28 dicembre 2022, n. 18.
[3] Sul giudizio di ottemperanza nella sua evoluzione storica, tralasciando in questa sede gli studi dedicati agli effetti del giudicato, cfr., fra i contributi più risalenti, AA. VV. Atti del convegno sull’adempimento del giudicato amministrativo, Milano, 1962; R. Villata, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, 78 ss. AA.VV., XXXVII Convegno di studi amministrativi sul tema “il giudizio di ottemperanza”, Milano, 1983; F. Bartolomei, Giudizio di ottemperanza e giudicato amministrativo, Milano, 1987, nonché – nella dottrina più recente – almeno L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003; Per quanto concerne i poteri del giudice dell’ottemperanza nel vigente codice cfr. almeno B. Marchetti, Sub art. 112 e seguenti, in G. Falcon, B. Marchetti, F. Cortese, a cura di, Commentario breve al Codice del processo amministrativo, Padova, 2021, 874 ss.; C. Delle Donne, L’esecuzione: il giudizio di ottemperanza, in B. Sassani, R. Villata, Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, 1243 ss.; G. Mari, Il giudizio di ottemperanza, in M.A. Sandulli, a cura di, Il giudizio amministrativo. Principi e regole, Napoli, 2024, 663 ss.
[4] Cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 12 maggio 2023, n.4976; in termini anche Cons. Stato, Sez. VII, 5 giugno 2023, n. 5506.
[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 29 novembre 2023, n. 10281
[6] Già in passato si era evidenziato come queste sentenze non fossero pienamente satisfattive: cfr. R. Villata, L’esecuzione, cit., 264.
[7] Potrebbe porsi, da questa prospettiva, il problema della discrezionalità del giudice, intesa come potere di scelta fra i differenti mezzi idonei alla soluzione della controversia. La questione apre problemi di teoria generale del diritto sui quali non ci si può dilungare in questa sede, fermo restando l’estensione dei poteri discrezionali del giudice rischia di porsi in contrasto con i criteri direttivi stabiliti dall’art. 101 Cost. e con la necessità di tipizzare, in maniera più netta di quanto non accada, i presupposti della scelta dell’uno o dell’altro strumento di gestione del conflitto. Sulla discrezionalità del giudice e le sue implicazioni cfr. M. Barcellona, Dalla società del mutamento all’interpretazione funzionale del diritto, in U. Izzo, a cura di, Il diritto fra prospettiva rimediale e interpretazione funzionale, Napoli, 2023, 55 ss.; R. Bin, A discrezione del giudice. Ordine e disordine. Una prospettiva “quantistica”, Milano, 2013; F. Saitta, Interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, Napoli, 2023, specie 412 ss.
[8] In ottemperanza, la corrispondenza fra chiesto e pronunciato può riguardare la delimitazione dell’oggetto del giudizio in rapporto al comportamento inadempiente dell’amministrazione, ma non pare estendersi alla conformazione delle tecniche di tutela previste dall’art. 114, comma 4, c.p.a., se non in rapporto all’erogazione di astreintes. Il giudice esercita, pertanto, poteri officiosi e di stretto merito. A quanto consta, il tema non è particolarmente sviluppato in giurisprudenza, per quanto sotteso a T.r.g.a. Trento, 2 agosto 2021, n. 128; T.r.g.a. Trento, 12 luglio 2019, n. 102.
[9] Cfr. F. Saitta, op. cit., 414.
[10] Sul contenuto precettivo della sentenza, specie in rapporto ai suoi effetti conformativi, cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 21 giugno 2024, n. 5544; Cons. Stato, Sez. VI, 8 luglio 2023, n. 7636; Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2023, n. 1155.
[11] Che il precetto contenuto nel giudicato perimetri i poteri del giudice dell’ottemperanza appare pacifico, per quanto resti aperto il problema dell’interpretazione del precetto, da riferire anche al contesto decisionale in cui si colloca l’amministrazione nel momento in cui deve dare esecuzione alla sentenza con effetto conformativo. Sulla perimetrazione cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 484; Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2018, n. 2391. Sul concetto di conflitto esecutivo cfr. R. Villata, L’esecuzione, cit., 264.
[12] Sul rapporto fra effetti del giudicato ed attività di esecuzione cfr. già M. Nigro, Il giudicato amministrativo e il processo di ottemperanza, in AA.VV., XVII Convegno, cit., 78 ss.; A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo. II. L’accertamento del rapporto e l’esecuzione della sentenza, Milano, 1962, 244 ss., 445 ss. e 650 ss.; R. Villata, L’esecuzione, cit., 250 ss. Nella dottrina successiva cfr. almeno M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, 246 ss.; L. Ferrara, Dal giudizio cit., 191 ss.; B. Sassani, Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto. Contributo allo studio della tutela dichiarativa nel processo civile e amministrativo, Padova, 1989, 143 ss.; R. Villata, Riflessioni in tema di giudizio di ottemperanza ed attività successiva alla sentenza di annullamento, in Dir. Proc. Amm., 1989, 369 ss. Da ultimo cfr. pure A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo. II.1. La situazione giuridica a rilievo sostanziale quale oggetto del processo amministrativo, Torino, 2022, 243 ss.; S. Vaccari, Il giudicato nel nuovo diritto processuale amministrativo, Torino, 2017, 258 ss.
[13] Così, al fine di individuare quell’effetto conformativo che fissa gli adempimenti istruttori ed i parametri cui l’amministrazione deve attenersi nel riesercizio del potere conseguente all’annullamento ed alla formazione del giudicato, A. Cassatella, Sub art. 34, in G. Falcon, B. Marchetti, F. Cortese, Commentario breve, cit., 368 ss.
[14] Si realizzerebbe, pertanto, una piena integrazione fra amministrazione e giurisdizione, fermo restando che rimane alla prima un potere di prima decisione sulla fattispecie contemplata dalla norma attributiva del potere. Il tutto in coerenza con l’assunto per cui l’amministrazione esprime un potere proattivo, la giurisdizione un potere reattivo che postula un pregresso conflitto giuridico. In tema cfr. B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, Padova, 2001; Id., Norme imprecise, qualificazione dei fatti ed estensione della cognizione del giudice amministrativo, in E. Bruti Liberati, M. Clarich, a cura di, Per un diritto amministrativo coerente con lo Stato costituzionale di diritto. L’opera scientifica di Aldo Travi, Pisa, 2022, 155 ss.
[15] Restano estranee all’oggetto dell’ottemperanza le situazioni in cui il giudice si sia limitato ad annullare il provvedimento per vizi attinenti ad una fase procedimentale antecedente a quella della formazione del materiale istruttorio ed all’esercizio delle prerogative dell’amministrazione, che conserva pertanto una più ampia potestà decisionale, non surrogabile in ottemperanza, ma suscettibile di autonoma cognizione nel momento di riesercizio del potere. Così, nel caso di vizi di incompetenza, o di omessa comunicazione di avvio del procedimento tale da incidere sul contraddittorio procedimentale, o, ancora, di mancata acquisizione di atti endoprocedimentali (pareri, nulla osta) capaci di incidere sul contenuto della decisione, specie se a contenuto tecnico o discrezionale.
[16] Cfr. sempre A. Cassatella, Sub art. 34, cit., 368. Va da sé che ove le alternative permangano, in rapporto ai vizi oggetto di accertamento ed alla sussistenza di un margine residuo di scelta fra soluzioni equipollenti, non si potrebbero affermare la cognizione del giudice dell’ottemperanza né la sostituzione dell’amministrazione, trattandosi di questioni non coperte dal giudicato sia in rapporto a quanto dedotto che in rapporto a quanto implicitamente deducibile dagli effetti della pronuncia. Sulla riduzione del potere discrezionale nel corso del procedimento o per effetto dell’accertamento compiuto dal giudice ed i relativi effetti conformativi, che potrebbero privare l’amministrazione di alternative decisionali, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 1321. Nella dottrina recente cfr. le perspicue e condivisibili riflessioni di A. Zito, La scelta discrezionale della p.a. tra principio di esauribilità del potere e controllo effettivo del suo esercizio: per una ridefinizione del concetto di discrezionalità, in Dir. Amm., 2023, 29 ss.
[17] Sul tema, ampiamente dibattuto, cfr. da ultimi i contributi raccolti in A. Moliterni, a cura di, Le valutazioni tecnico-scientifiche tra amministrazione e giudice, Napoli, 2021, e, da ultimi, in R. Chieppa, A. Cassatella, A. Moliterni, a cura di, Il sindacato giudiziale sull’attività amministrativa, Milano, 2024.
[18] Su tecnica e legittimazione istituzionale del decisore cfr. D. de Pretis, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, Padova, 1995; C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985.
[19] Su questa concezione ampia di ottemperanza cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2023, n. 384; Cons. Stato, Sez. II, 14 novembre 2022, n.9939; Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2016, n. 2769.
[20] Per una ricognizione dei poteri del giudice amministrativo, anche in rapporto alla dilazione della nomina del commissario, cfr., nella giurisprudenza antecedente alla codificazione, Cass. civ., Sez. I, 28 gennaio 2009, n. 2187; Cass. civ., Sez. I, 23 gennaio 2009, n. 1733; Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1519.
[21] Il tema è stato oggetto di recenti rimeditazioni critiche da parte della dottrina, in parte favorevole al riconoscimento della riserva di amministrazione e della conseguente limitazione dei poteri cognitivi del giudice, in parte estremamente critica verso il fenomeno, ritenuto ostacolo alla realizzazione di una piena ed effettiva tutela del ricorrente soprattutto nei casi in cui l’amministrazione non eserciti una piena discrezionalità, ma sia titolare di poteri valutativi tecnici suscettibili di cognizione giudiziale mediante l’opportuno utilizzo di c.t.u., verificazioni e – in sede di ottemperanza – mediante l’intervento del commissario ad acta. Per una ricognizione del dibattito cfr. A. Cassatella, Poteri del giudice amministrativo e riserva dinamica di amministrazione, in F. Astone, F. Manganaro, R. Rolli, F. Saitta, F. Tigano, Riflessioni sul diritto amministrativo che cambia. Atti del XXV convegno di Copanello 30 giugno-1 luglio 2023, Milano, 2024, 235 ss.
[22] Non si ignora che una delle ragioni metagiuridiche della scelta di ordinare il nuovo adempimento è rappresentata dalle difficoltà che i commissari incontrerebbero nell’esecuzione delle sentenze, trattandosi di soggetti estranei all’amministrazione inottemperante, che può talora mostrarsi poco collaborativa. Si ritiene tuttavia necessario separare i piani del discorso, seguendo – per quanto possibile – la legge di Hume. Si evita pertanto di dedurre da una prassi (contraria all’imparzialità ed al buon andamento amministrativo) una regola di condotta (che inficia il livello di effettività delle tutele).
[23] Si tratta di una tesi già espressa in due seminali studi degli anni Ottanta sul rapporto fra prerogative dell’amministrazione e sindacato di legittimità: cfr. F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Id., Scritti giuridici, Padova, 2001, 222 ss., ma risalente al 1983; A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987, specie 255 ss.
[24] Che accanto ad una funzione prettamente surrogatoria il giudizio di ottemperanza abbia una funzione sanzionatoria discende dalle caratteristiche stesse del rimedio, posto a tutela del soggetto che patisce l’inadempimento della parte pubblica già condannata al facere e soggetta tanto alla legge quanto agli effetti conformativi del giudicato: per questa ricostruzione cfr. già M. Nigro, La giustizia amministrativa, IV ed. Bologna, 1994, 322 ss.
[25] Su questo sbarramento temporale, con efficacia preclusiva decorrente dalla nomina del commissario, cfr. T.a.r. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 9 maggio 2012, n. 438; T.a.r. Sicilia, Catania, Sez. III, 4 ottobre 2007, n. 1560. Sulla permanenza del potere nel corso del giudizio di ottemperanza cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 maggio 2023, n. 5334; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VIII, 17 maggio 2023, n. 2994; Cons. Stato, Sez. II, 20 gennaio 2023, n. 714.
[26] In tal senso, nella parte in cui si assume che le astreintes possano essere emesse anche all’esito del giudizio di cognizione, proprio al fine di incentivare l’amministrazione ad attuare gli effetti ripristinatori e conformativi della sentenza, cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen., 9 maggio 2019, n. 7. Sulle astreintes cfr. S. Foà, A. Ubaldi, L’emancipazione dell’astreinte amministrativa: un modello sui generis?, in Resp. Civ. Prev., 2015, 8 ss.; F. Saitta, Interprete senza spartito, cit., 417 ss.
[27] Cfr. T.a.r. Campani, Napoli, Sez. III, 25 gennaio 2023, n.549; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2942; T.a.r. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 26 settembre 2016, n. 1852; T.a.r. Lazio, Roma, Sez. II, 5 novembre 2014, n. 11099.
[28] Il giudice potrà quindi pronunciarsi nei limiti della richiesta: per un’applicazione recente, in cui il rimedio compulsorio è preferito a quello sostitutivo comunque oggetto di domanda, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 marzo 2023, n. 2242.
[29] Limitando i riferimenti ad alcuni contributi monografici, e fatti salvi gli ulteriori rinvii, cfr. almeno L. Ferrara, Dal giudizio, cit., specie 44 ss.; B. Sassani, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto. Ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva, Milano, 1997, 109 ss. Fra i contributi recenti cfr. almeno A. Carbone, Potere e situazioni soggettive, cit., 243 ss.; S. Vaccari, Il giudicato, cit., 341 ss.
[30] Cfr. M. Ramajoli, Preavviso di rigetto, preclusioni, giusto procedimento e giusto processo, in Dir. Proc. Amm., 2022, 595 ss.; F. Trimarchi Banfi, La funzione amministrativa dopo la riforma del preavviso di diniego, in Dir. Proc. Amm., 2023, 809 ss.
[31] In giurisprudenza cfr., fra le sentenze recenti, Cons. Stato, Sez. VII, 13 maggio 2024, n. 4259; Cons. Stato, Sez. II, 17 aprile 2024, n. 3497.
[32] Per una recente rivisitazione del tema cfr. R. Fusco, Il sindacato giurisdizionale sulla riedizione del potere amministrativo a seguito del giudicato, in Dir. Proc. Amm., 2024, 67 ss. Sulla conversione cfr. S. Franca, La conversione dell’azione tra potere officioso e principio della domanda: dal criterio della continenza alla centralità della vicenda sostanziale, in Dir. Proc. Amm., 2024, 141 ss.
[33] Parte della giurisprudenza, anche recente, valorizza a tal fine la formazione progressiva del giudicato, attribuendo al giudice dell’ottemperanza il potere di integrare il precetto della sentenza da eseguire: cfr. T.a.r. Campania, Napoli, Sez. III, 10 luglio 2023, n. 4124; T.a.r. Lazio, Roma, Sez. II, 14 febbraio 2023, n. 2535; Cons. Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2015, n.362. Per una discussione critica di questo orientamento cfr. R. Villata, Riflessioni, cit., 378 ss.
[34] Sulla necessità di riconsiderare la disciplina del c.p.a. anche in rapporto agli obiettivi individuati nella legge delega all’emanazione del d.lgs. n. 104/2010, con specifico riferimento alla concentrazione delle tutele, cfr. F.G. Scoca, Scossoni e problemi in tema di giurisdizione del giudice amministrativo, in Il Processo, 2021, 1 ss.
[35] Così già Cons. Stato, Ad. Plen., 9 giugno 2016, n. 11; Cons. Stato sez. IV, 30 agosto 2023, n. 8050.
[36] Per questa espressione Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2, pur propensa a distinguere rinnovata cognizione da ottemperanza. Per ulteriori applicazioni in ordine all’interpretazione del deducibile quale sviluppo logico del dedotto, cfr. Cons. Stato, Sez. III, 7 luglio 2020, n. 4369; Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321. Nella medesima prospettiva pare orientato, pur con differenti argomentazioni, S. Menchini, Potere sostanziale e sistema delle tutele, in Dir. Proc. Amm., 2020, 803 ss.
[37] Cfr. Cons. Stato, Sez. II, 19 gennaio 2024, n. 628.
[38] Così, nei già menzionati casi in cui l’annullamento abbia ad oggetto la fase di iniziativa, o comunque preparatoria della decisione, a prescindere dalla sua natura vincolata, tecnica o discrezionale. Sul piano del diritto positivo, la tesi discende dal fatto che solo con la definitiva formazione delle risultanze dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 241/1990, la questione sottoposta alle cure della p.a. può ritenersi matura per la formazione della decisione e dunque oggetto di piena conoscenza sia da parte del giudice di legittimità che – in rapporto ad eventuali effetti conformativi – dal giudice di ottemperanza. In difetto di risultanze, appare dunque sensato ritenere che il giudicato di annullamento copra unicamente il dedotto, e non un deducibile che, in rapporto all’istruttoria non ancora compiuta o esaurita dalla p.a., non esiste. É appena il caso di osservare come, nel caso in esame, le risultanze fossero pienamente a disposizione della p.a., che rimaneva tuttavia inerte rispetto al completamento dell’attività che le era stato imposto dalla Plenaria del 2022 e rimaneva ineseguito sia ai fini della valutazione del curriculum delle due aspiranti all’insegnamento che della fissazione di misure compensative comunque correlabili al livello di formazione raggiunto e documentato. Il che avrebbe consentito la nomina immediata e non differita del commissario. In questa prospettiva potrebbero essere ridimensionate le preoccupazioni di quella dottrina che – non erroneamente – paventa che il principio di effettività della tutela possa divenire una sorta di grimaldello per aggirare principi come la legalità processuale e la separazione dei poteri: in tal senso, ma con ampi rinvii ad un dibattito pluridecennale, cfr. da ultimo L. Galli, I poteri del giudice dell’ottemperanza tra esecuzione delle sentenze amministrative ed effettività della tutela, in Dir. Proc. Amm., 2024, 367 ss.
[39] Sul punto cfr. P. Cerbo,
[40] Cfr. T.a.r. Puglia, Bari, Sez. III, 29 novembre 2023, n. 1379; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VII, 25 gennaio 2023, n. 541; T.a.r. Lazio, Roma, Sez. III, 8 ottobre 2022, n. 11098.
[41] Cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 3 aprile 2023, n. 3409.
[42] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 19 maggio 2023, n. 13785; Cass. civ., Sez. Un., 29 marzo 2017, n. 8112.
[43] Cfr. da ultimo T. Tornielli, La figura del commissario ad acta e la garanzia di effettività della tutela tra rito contro il silenzio e giudizio di ottemperanza, in Dir. Proc. Amm., 2023, 156 ss.
[44] Per questa impostazione cfr. già A. Piras, Interesse legittimo, cit., 680.
[45] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2015, n. 653.
[46] Sulla pienezza dei poteri del giudice dell’ottemperanza cfr. Cons. Stato, Sez. II, 17 aprile 2024, n. 3497; T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 10 luglio 2021, n. 212. Sulle prerogative del commissario cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 dicembre 2000, n. 6835.
[47] Sulle implicazioni della qualificazione del commissario ad acta quale ausiliario del giudice, ai sensi dell’art. 21 c.p.a., e dell’attività conseguente, cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2021, n. 8.
[48] Che la leale cooperazione sia necessaria non è dubbio. Non sembra, tuttavia, che sotto il profilo sanzionatorio vi siano adeguate misure per sollecitare i funzionari maggiormente neghittosi a cooperare con il commissario, che pur potrebbe farsi assistere dalla forza pubblica per garantire l’attuazione del giudicato, ferma la possibile responsabilità penale dei funzionari stessi ai sensi dell’art. 328 c.p.: il problema viene affrontato da T.a.r. Sicilia, Catania, Sez. III, 24 gennaio 2020, n. 196; T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, 12 ottobre 2017, n. 871; T.a.r. Sicilia, Catania, Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 415; T.a.r. Sicilia, Catania, Sez. III, 28 ottobre 2009, n. 1778