Brevi riflessioni sull’efficacia ‘ultra partes’ del giudicato amministrativo di annullamento (annotando Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2024, n. 1706)
di Stefano Vaccari
Sommario: 1. Fattispecie concreta e risvolti processuali: il problema dell’estensione degli effetti del giudicato di annullamento al soggetto cointeressato non originariamente ricorrente. - 2. I limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento: efficacia ‘inter partes’ o ‘ultra partes’? Alcuni spunti di riflessione. – 3. In conclusione: le profonde incertezze intorno alla natura scindibile o inscindibile degli atti amministrativi tra criteri empirici e ampio ‘soggettivismo’ dell’interprete.
1. Fattispecie concreta e risvolti processuali: il problema dell’estensione degli effetti del giudicato di annullamento al soggetto cointeressato non originariamente ricorrente.
La sentenza annotata interviene sulla delicata e complessa questione dei limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento.
Per una migliore comprensione del ragionamento svolto dal Consiglio di Stato occorre, innanzitutto, descrivere brevemente la fattispecie oggetto del contenzioso in esame.
L’Autorità di Regolazione dei Trasporti (A.R.T.), dopo aver previamente definito i criteri per la determinazione dei canoni di accesso e utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria[1], riconosceva la conformità agli stessi del sistema tariffario presentato dal gestore Rete Ferroviaria Italia S.p.A. (R.F.I.) per gli anni 2016-2021.
Alcune società esercenti l’attività di trasporto ferroviario di merci impugnavano le suddette delibere dinanzi al T.a.r. per il Piemonte, ottenendone l’annullamento ‘in parte qua’, ossia con riferimento agli specifici contenuti regolatori corrispondenti ai vizi-motivi accolti. Di talché, l’autorità amministrativa e il gestore dell’infrastruttura venivano gravati dell’obbligo di rivalutare i medesimi piani tariffari secondo i criteri di costo e di contabilità risultanti dalla motivazione della sentenza di annullamento[2].
Al fine di ottemperare alle statuizioni giudiziali, R.F.I. aggiornava il piano tariffario secondo le prescrizioni conformative indicate dal giudice amministrativo e lo trasmetteva all’A.R.T. per le opportune verifiche allo scopo dell’approvazione, in seguito disposta. In tale contesto, veniva affrontato anche il tema dei ‘conguagli’ eventualmente dovuti da R.F.I. alle imprese ferroviarie in conseguenza della rimodulazione del sistema tariffario, stabilendo in particolare che tali somme, con riferimento al periodo temporale antecedente al 1° gennaio 2019 (i.e. la data di efficacia del nuovo piano tariffario), sarebbero state riconosciute unicamente in favore dei destinatari delle sentenze di annullamento[3].
Un’impresa ferroviaria, cointeressata ma non originariamente ricorrente avverso i primi atti amministrativi, impugnava le sopravvenute delibere dell’A.R.T. inerenti al procedimento di aggiornamento tariffario per lamentare l’illegittima e irragionevole limitazione dei conguagli (per il periodo antecedente all’anno 2019) alle sole parti dei conclusi giudizi. Segnatamente, la contestazione era riferita alla mancata estensione dei conguagli nei confronti di tutte le imprese ferroviarie del comparto, attesa la natura ‘indivisibile’ e ‘inscindibile’ dei (primi) provvedimenti oggetto di annullamento parziale, così come di quelli successivi diretti alla rimodulazione delle voci di costo del sistema tariffario, siccome aventi a oggetto servizi fruibili da parte di tutti gli operatori economici del settore.
Il T.a.r. per il Piemonte rigettava[4] il ricorso proposto dall’anzidetta impresa cointeressata (ma non parte dei precedenti giudizi), rilevando che gli invocati conguagli ‘retroattivi’ rappresentano un diritto di credito spettante unicamente – a titolo di ottemperanza – alle imprese ferroviarie che hanno impugnato i provvedimenti tariffari parzialmente caducati. Al contrario, le imprese ferroviarie non ricorrenti, in quanto ‘terze’, non possono a posteriori pretendere l’estensione in proprio favore degli effetti conformativi ed esecutivi del giudicato di annullamento intervenuto in un altrui processo, avendo prestato acquiescenza ai contenuti dei medesimi provvedimenti, non tempestivamente impugnati ma – al contrario – eseguiti mediante effettiva corresponsione delle tariffe per la fruizione dei servizi di accesso alla rete.
Secondo il giudice amministrativo di primo grado, in conclusione, «non solo manca del tutto l’inscindibilità di posizioni giuridiche tra la ricorrente e le parti dei giudizi in questione, ma la stessa chiede anche l’estensione nei suoi confronti degli effetti ordinatori e ‘di accertamento della pretesa azionata’, che […] sono riferibili esclusivamente ai soggetti che hanno agito nel giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato».
L’impresa ferroviaria soccombente ricorreva in appello avverso la suddetta sentenza, ritenuta affetta da ‘error in iudicando’ poiché, negando l’estensione ‘ultra partes’ degli effetti del giudicato di annullamento di provvedimenti di regolazione tariffaria (asseriti come) inscindibili, la c.d. regula iuris ivi affermata si sarebbe tradotta in una grave violazione del principio di non discriminazione.
Il Consiglio di Stato, da ultimo, ha dichiarato infondata nel merito l’impugnazione confermando integralmente la decisione resa dal giudice di prime cure. In particolare, si sostiene che gli atti amministrativi impugnati non sono caratterizzati dall’inscindibilità dei propri effetti, con conseguente assenza di efficacia ‘ultra partes’ del giudicato di annullamento[5]. A supporto di una siffatta qualificazione, è introdotta l’ulteriore precisazione secondo cui l’attributo dell’inscindibilità del provvedimento non dipende unicamente dal numero dei destinatari degli effetti dell’atto giuridico, bensì – più propriamente – dal suo contenuto, laddove non divisibile in una pluralità di statuizioni autonome e separabili.
Da ultimo, con un (forse) troppo ardito salto logico nell’argomentazione e senza un particolare sviluppo motivazionale[6], le delibere di regolazione tariffaria oggetto d’impugnazione vengono qualificate come atto ‘plurimo’, e dunque scindibile, in quanto riferite a una pluralità di soggetti titolari di autonome situazioni giuridiche soggettive, applicando – per l’effetto – il canone generale dell’efficacia ‘inter partes’ della cosa giudicata.
2. I limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento: efficacia ‘inter partes’ o ‘ultra partes’? Alcuni spunti di riflessione.
Il contenzioso appena descritto offre l’occasione di riflettere sull’annosa questione[7] dei limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento[8].
A tale riguardo, è noto che al processo amministrativo – in assenza di specifiche disposizioni dedicate all’istituto del giudicato all’interno del relativo Codice di rito (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) – si applichino gli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., rispettivamente dedicati alla cosa giudicata in senso formale e in senso sostanziale[9]. Pertanto, una volta che la sentenza è passata in giudicato, a seguito della proposizione dei mezzi di impugnazione ordinari o per decorso dei corrispondenti termini decadenziali, l’‘accertamento’ giudiziale fa «stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa» (art. 2909 c.c.)[10].
Con la suddetta disposizione è stata, dunque, codificata la tradizionale regola della limitazione soggettiva degli effetti del giudicato alle (sole) parti del giudizio, non potendo un accertamento reso tra determinati soggetti giovare o nuocere ai ‘terzi’: in altri termini, come ricorda il diffuso brocardo, ‘res inter alios iudicata tertio neque nocet neque prodest’.
Nondimeno, nella realtà giuridica si manifestano non pochi casi di (più o meno apparente) ‘interferenza’ della res iudicata rispetto ai terzi, da cui origina l’importante dibattito tra i processualisti[11] intorno ai criteri per una sicura perimetrazione dei limiti soggettivi del giudicato[12]. Con riferimento al processo amministrativo, basti considerare che l’annullamento di qualsiasi provvedimento, siccome atto funzionalizzato alla cura di un determinato interesse pubblico, incide – quantomeno da un punto di vista fattuale e descrittivo – su una pluralità di soggetti nella loro qualità di componenti di una (più o meno ampia) collettività[13].
Nonostante la generale efficacia ‘inter partes’ della cosa giudicata, la pubblica amministrazione talvolta estende discrezionalmente gli effetti prodotti da una determinata sentenza di annullamento in favore di terzi che versano in situazioni analoghe a quelle oggetto dell’altrui giudizio, ancorché riferite a rapporti giuridici autonomi. A rigore non si tratta di un’eccezione alla regola del vincolo alle parti del giudicato, in quanto l’anzidetta ‘estensione’ costituisce l’effetto giuridico che discende da una decisione amministrativa discrezionale volta a conformare taluni rapporti giuridici secondo la regola statuita dal giudice rispetto a una determinata fattispecie concreta.
Inoltre, questa possibilità non esprime l’adempimento di un obbligo giuridico gravante sull’amministrazione soccombente[14], bensì l’esercizio di una facoltà che si lega a una più generale valutazione di opportunità svolta nell’ambito di un procedimento di riesame in autotutela[15] avente a oggetto provvedimenti formalmente distinti – ma contenutisticamente identici (o, quantomeno, analoghi)[16] – a quello già caducato, purché sussista un interesse pubblico concreto idoneo a giustificare una siffatta decisione amministrativa.
E ancora, è opportuno precisare che i terzi interessati non sono titolari nei confronti dell’amministrazione di pretese sostanziali aventi la consistenza del diritto soggettivo all’estensione in proprio favore degli effetti favorevoli discendenti dall’altrui giudicato di annullamento[17], quanto di un interesse legittimo correlato all’esercizio o al mancato esercizio[18] (ove non si dovesse riconoscere una piena e insindacabile libertà nel c.d. ‘an’[19]) di un potere amministrativo discrezionale[20], censurabile nelle note forme dell’eccesso di potere, e in particolare alla stregua del principio di parità di trattamento[21].
Il problema dei limiti soggettivi del giudicato amministrativo si complica al cospetto di atti amministrativi c.d. inscindibili o indivisibili impugnati da uno o più ricorrenti, ma non da tutti i soggetti che risultino tecnicamente ‘cointeressati’, ossia abilitati – in forza di tale qualità[22] –all’impugnazione dei medesimi atti nel rispetto del termine decadenziale a cui è assoggettata l’azione di annullamento.
Per queste fattispecie, infatti, la giurisprudenza amministrativa[23] ha da tempo ammesso un’eccezione alla regola generale dell’efficacia ‘inter partes’ del giudicato[24], riconoscendo l’automatica estensione soggettiva ‘ultra partes’ – o, financo, ‘erga omnes’ per quanto concerne gli atti amministrativi c.d. normativi[25] – dello stesso.
Il suddetto orientamento si fonda sull’assunto per cui l’annullamento di un provvedimento amministrativo inscindibile non possa che valere per tutti i soggetti destinatari della sua efficacia precettiva[26], dovendosi altrimenti ammettere che un atto, pur caducato per alcuni (i.e. le parti del giudizio), esista ancora giuridicamente per altri (i.e. i terzi cointeressati non ricorrenti)[27]. Del resto, qualora l’atto impugnato fosse ‘divisibile’ si ricadrebbe nella situazione prima considerata, ossia con un giudicato di annullamento limitato soggettivamente alle sole parti del giudizio, salvo il potere amministrativo ampiamente discrezionale di estenderne le risultanze (a condizione che questa possibilità non sia espressamente vietata dal legislatore) in favore delle situazioni identiche o affini con efficacia ex nunc[28].
Nondimeno, la giurisprudenza ha precisato che la dichiarata efficacia ‘ultra partes’ del giudicato amministrativo è da intendersi limitata al solo effetto costitutivo-eliminatorio, non interessando anche gli ulteriori effetti conformativi ed esecutivi, i quali restano pertanto assoggettati alla regola generale dell’efficacia ‘inter partes’[29]. Di conseguenza, il cointeressato non ricorrente non può giovarsi della ‘forza esecutiva’[30] dell’accertamento declinato nell’altrui sentenza di cognizione o, comunque, dei vincoli alla riedizione del potere amministrativo[31]: a tal fine, avrebbe dovuto esercitare tempestivamente l’azione di annullamento impugnando i medesimi atti (sicché, della relativa omissione – come si suol dire – ‘imputet sibi’).
Questa impostazione, ripresa nelle sue linee portanti dalla sentenza annotata, suscita alcuni interrogativi sul piano dell’inquadramento teorico-dogmatico.
Invero, nelle fattispecie in esame, ciò che si riflette sul cointeressato non ricorrente rispetto ad atti amministrativi inscindibili o indivisibili (caducati su impugnazione altrui) sembrerebbe essere il mero ‘fatto’ della loro eliminazione dall’ordinamento, ma non l’accertamento delle ragioni giuridiche (da cui dipendono i conseguenti vincoli conformativi e preclusivi) in forza delle quali il giudice ha pronunciato la sentenza di annullamento[32].
In altri termini, nelle ipotesi considerate il giudicato non assumerebbe un’efficacia (in senso proprio) ‘ultra partes’, se non in un senso a-tecnico o descrittivo. Si tratta, come è stato autorevolmente osservato[33], dell’inevitabile rilevanza per il terzo della materiale privazione di efficacia di un atto incidente (anche) sulla sua sfera giuridica, ma non di una proiezione ultra-soggettiva dell’efficacia e dei vincoli caratterizzanti la res iudicata[34].
Del resto, l’effetto proprio del giudicato è l’attribuzione del carattere di stabilità e irretrattabilità (nel senso della preclusione) all’‘accertamento giudiziale’: il che è quanto stabilito dall’art. 2909 c.c., ove si dispone che la qualità di giudicato sostanziale (che fa ‘stato’ tra le parti) concerne l’«accertamento contenuto nella sentenza».
Assumendo questa impostazione, non dovrebbe dunque riconoscersi alcun fenomeno di estensione dei limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento di atti inscindibili, quanto rilevare la più semplice significatività del ‘fatto di annullamento’ come dato di diritto sostanziale, pena altrimenti far dipendere gli effetti della cosa giudicata dall’efficacia dell’atto precettivo impugnato[35].
Il valore fattuale[36] della privazione di effetti dell’atto per i terzi cointeressati (non ricorrenti), come è stato osservato[37], è analogo a quello che si produce a seguito dell’esercizio dei poteri di annullamento non giurisdizionali: si pensi all’autotutela amministrativa, la quale determina l’inefficacia dell’atto inscindibile rimosso (ad esempio, per annullamento d’ufficio, per intervento di organi di controllo o in esito a un ricorso gerarchico[38]) per tutti i soggetti interessati, senza che ciò sia accompagnato da efficacia di giudicato (siccome qualità riferibile ai soli atti espressione di funzione giurisdizionale).
La tesi dell’efficacia (sempre) ‘inter partes’ del giudicato amministrativo di annullamento si giustifica anche in ragione della generale natura di diritto soggettivo del processo amministrativo[39], in quanto giudizio diretto alla tutela e alla soddisfazione – nei limiti consentiti dal diritto sostanziale – della pretesa veicolata in giudizio dalla parte ricorrente in veste di titolare effettivo di un interesse legittimo leso dal cattivo o mancato esercizio dell’azione amministrativa.
Se l’oggetto del processo amministrativo è, dunque, la verifica della fondatezza della specifica pretesa sostanziale vantata dal ricorrente, allora l’accertamento giudiziale risulterà confinato alla relazione giuridica sussistente tra l’amministrazione e colui che invoca tutela giurisdizionale per la protezione e (contestuale) soddisfazione della ‘propria’ situazione giuridica soggettiva: il che prescinde dagli effetti di ordine materiale e fattuale che interessano (anche) eventuali terzi in conseguenza dell’annullamento di un atto giuridico precettivo, ma che non pertengono all’efficacia propria della cosa giudicata (limitata, come si è detto, all’accertamento giudiziale dispiegato ‘inter partes’).
La suddetta lettura, inoltre, farebbe venire meno la necessità di ricorrere alla già richiamata distinzione giurisprudenziale tra gli effetti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento di atti inscindibili, ossia tra un’efficacia costitutiva ‘ultra partes’ e un effetto conformativo ‘inter partes’. Infatti, postulando che l’effetto costitutivo, in quanto determinante l’inefficacia di un atto sul piano sostanziale, non rilevi per i terzi cointeressati (non ricorrenti) in forza del giudicato amministrativo[40], non occorre differenziare la portata soggettiva degli effetti del giudicato, che risulteranno sempre limitati alle sole parti del giudizio[41].
E ancora, si consideri che l’effetto conformativo rappresenta la traduzione ‘in positivo’ dei vizi di legittimità accertati ‘in negativo’ ai fini dell’annullamento dell’atto impugnato dalla parte ricorrente[42]: come si può notare, l’accertamento giudiziale (sotteso all’effetto caducatorio od ordinatorio) è sempre il medesimo e, come tale, non può parimenti dispiegare un’efficacia ‘inter partes’ e ‘ultra partes’[43].
Sul piano dei corollari, l’assenza di efficacia ‘ultra partes’ del giudicato amministrativo di annullamento di atti inscindibili fa sì che i terzi cointeressati (non ricorrenti) non possano far valere la nullità dei provvedimenti adottati in sede di riedizione del potere amministrativo per asserito contrasto con la cosa giudicata, siccome afferente a una sentenza resa tra altri e avente, dunque, efficacia di accertamento (solo) tra le rispettive parti processuali.
Certamente il ‘fatto d’annullamento’, di cui tali soggetti beneficiano sul piano materiale, impedisce all’amministrazione di considerare l’atto annullato – e, dunque, non più esistente nella realtà giuridica – come titolo per ulteriori determinazioni nei loro riguardi, fatte salve le prestazioni di adempimento delle obbligazioni sorte con il provvedimento (solo in seguito annullato) eseguite nel periodo temporale di efficacia pregressa. Rispetto a queste ultime, è possibile ritenere che i terzi cointeressati non ricorrenti abbiano prestato acquiescenza rispetto alla validità dell’atto amministrativo a fondamento del credito di titolarità della pubblica amministrazione, come è comprovato dal concreto adempimento, sì da non poter rivendicare a posteriori pretese di ordine restitutorio.
Infine, per quanto concerne i provvedimenti inscindibili adottati dall’amministrazione in sostituzione di quelli caducati, al fine di ottemperare all’effetto conformativo della sentenza amministrativa, i terzi cointeressati hanno senz’altro legittimazione a impugnarli in sede di cognizione, laddove ritenuti illegittimi per vizi afferenti ai loro (nuovi) contenuti sostanziali e lesivi della propria situazione giuridica soggettiva[44]. Nell’ambito dell’instaurato giudizio di cognizione, il precedente giudicato di annullamento reso tra altre parti potrà – tutt’al più – assumere il valore di ‘fatto’ o di argomento di prova a supporto delle censure addotte, ma non di atto giuridico fonte di vincoli conformativi o preclusivi cogenti a pena di nullità delle determinazioni amministrative difformi.
3. In conclusione: le profonde incertezze intorno alla natura scindibile o inscindibile degli atti amministrativi tra criteri empirici e ampio ‘soggettivismo’ dell’interprete.
Ferme restando le superiori considerazioni, è possibile in conclusione evidenziare un ulteriore elemento di criticità che traspare dall’orientamento giurisprudenziale in commento.
Invero, il riconoscimento di effetti ‘ultra partes’ al giudicato di annullamento è correlato alla previa qualificazione dell’atto amministrativo impugnato come ‘inscindibile’ o ‘indivisibile’.
Sennonché, non si registra al riguardo un’unanimità di vedute, sia in dottrina che in giurisprudenza[45]. La qualità dell’inscindibilità dell’atto amministrativo è, infatti, dipendente da una pluralità di criteri differenti[46], a loro volta considerati in via alternativa o in regime di cumulo, quali la natura del vizio dedotto, la tipologia di effetti e il contenuto dell’atto, il numero dei destinatari e il relativo legame, etc.[47] Ad esempio, nella sentenza annotata si assume che «[a]i fini della qualificazione di un atto come indivisibile non è, quindi, sufficiente che si caratterizzi per la presenza di una pluralità di destinatari dovendosi invece rinvenire detto carattere nella inscindibilità del suo contenuto, tale da non poter essere scisso in distinte ed autonome determinazioni».
Inoltre, con larga frequenza il carattere dell’inscindibilità è ricavato a contrario dalla natura non ‘plurima’[48] (bensì normativa, generale o collettiva) dell’atto amministrativo impugnato, in funzione della prevedibilità solo ‘ex post’ (e, dunque, non ‘ex ante’) dei suoi destinatari[49], ovvero dell’autonomia delle situazioni giuridiche di titolarità dei soggetti a cui esso si riferisce.
Si tratta, come è evidente, di criteri dalla forte valenza empirico-casistica[50] e connotati da scarsa precisione teorico-dogmatica[51].
Per tali ragioni, essi dipendono – nella loro applicazione concreta – da valutazioni ampiamente soggettive del singolo interprete, non offrendo sicurezza e prevedibilità agli operatori giuridici, esposti a oscillanti qualificazioni giurisprudenziali pur al cospetto di analoghe tipologie di provvedimenti (basti pensare ai contrasti[52] registrati in ordine alla divisibilità o meno degli atti amministrativi normativi e generali[53]).
Ne è un chiaro esempio il contenzioso riassunto in queste pagine, nell’ambito del quale le parti sostenevano – al fine di ammettere o negare l’efficacia ultra-soggettiva del giudicato di annullamento – le opposte tesi dell’inscindibilità e della scindibilità delle delibere di regolazione tariffaria, avendo infine il giudicante optato per la natura ‘plurima’ degli atti in questione (pur senza svolgere un’ampia motivazione sul punto) così da rafforzare la conclusione dell’assenza di effetti ‘ultra partes’ della cosa giudicata.
Vi è la sensazione, al riguardo, che l’accertamento dell’inscindibilità degli atti amministrativi sia in larga misura fondato su giudizi prognostici (ancorché non sempre esplicitati) relativi alla volontà ‘reale’ o ‘presunta’ dell’amministrazione[54]. In altri termini, si finisce – più o meno consapevolmente – per domandarsi se il soggetto pubblico da cui promana (e al quale si imputa) l’atto amministrativo abbia inteso legare le diverse disposizioni precettive per formare una decisione unitaria, e dunque inscindibile; ovvero se esse debbano intendersi quali autonomi precetti racchiusi in un unitario contesto ‘documentale’[55] per ragioni di efficienza organizzativa e procedurale, conservando ciascuna una propria autonomia sostanziale.
Tuttavia, come si è avuto modo di approfondire in altra sede[56], il rilievo della volontà (psicologica o ipotetica che sia[57]) rispetto agli atti amministrativi rappresenta una superata eco della c.d. ‘ipoteca pandettistica’[58] e dell’originaria trasposizione delle categorie del negozio giuridico di diritto privato[59], tradizionalmente inteso come espressione della ‘signoria del volere individuale’[60]. Rispetto all’originaria concezione negoziale, il percorso di progressiva ‘de-soggettivizzazione’ del potere amministrativo[61] ha determinato la perdita di centralità dell’elemento volontaristico del provvedimento, sempre più ricostruito come manifestazione ‘obiettivata’ di una statuizione precettiva[62].
Per tali ragioni, al fine di superare l’attuale stato di incertezza sul piano qualificatorio, si potrebbe riflettere sulla sostituzione dei criteri utilizzati dalla giurisprudenza con una nozione giuridica di inscindibilità di tipo oggettivo e astratto, e segnatamente basata sulla struttura della norma attributiva del potere[63] e dei relativi vincoli di tipicità[64].
[1] Si tratta dei servizi relativi al c.d. ‘pacchetto minimo di accesso’ ex art. 13, co. 1, del d.lgs. 15 luglio 2015, n. 112 (‘Attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico’) e di quelli ulteriori (diversi dal richiamato pacchetto minimo di accesso), anche di natura ausiliare o complementare, ex art. 13, co. 2, 9 e 11, del d.lgs. n. 112/2015.
[2] Cfr. T.a.r. Piemonte, sez. II, 5 ottobre 2017, nn. 1097 e 1098. Entrambe le sentenze sono state, in seguito, confermate in grado di appello (Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2021, nn. 4067-4069).
[3] Cfr. la Delibera A.R.T. n. 11 del 14 febbraio 2019, ove si dispone (punto n. 6) che «Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. provvede ai conseguenti conguagli, con riferimento all’impatto derivante dall’applicazione dei sopra richiamati correttivi al livello dei canoni e dei corrispettivi afferenti al periodo antecedente al 1° gennaio 2019, in favore dei titolari di rapporti negoziali destinatari degli effetti delle sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sez. Seconda), n. 1097 e n. 1098 del 2017, concordando con gli aventi diritto le relative modalità attuative».
[4] T.a.r. Piemonte, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 1136.
[5] Oltre a richiamare le note sentenze ‘gemelle’ dell’Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Ad. Plen., 18 marzo 2021, nn. 4-5, in Foro it., 2019, IV, c. 181 e ss., sulle quali si ritornerà amplius infra), si fa riferimento all’indirizzo giurisprudenziale della Sezione secondo cui i «casi di giudicato amministrativo aventi effetti ultra partes sono eccezionali e, pertanto, si giustificano in virtù dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto: in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame parimenti indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile che l’atto annullato possa esistere per i soggetti destinatari che non lo hanno impugnato» (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 20 settembre 2021, n. 6405, in Riv. giur. ed., 2021, VI, p. 1912 e ss.).
[6] Cfr. la sentenza in commento nella parte in cui si sostiene la «non ascrivibilità alla categoria dell’atto inscindibile dell’atto plurimo riferito ad una pluralità di soggetti ciascuno, come nel caso di specie, titolare di una situazione giuridica autonoma, e ciò in coerenza con il principio espresso dall’art. 2909 c.c. laddove prescrive che ‘l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa’».
[7] Per i termini essenziali del problema giuridico si rinvia alle chiare parole di E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, III ed., Padova, 1957, p. 287, ove – a proposito dell’efficacia soggettiva del giudicato amministrativo – si evidenzia che «[l]e due opinioni estreme sostenute dalla dottrina a questo proposito sono che l’efficacia del giudicato amministrativo si limiti inter partes, e che si estenda erga omnes». Ad avviso dell’autorevole dottrina, «entrambe queste opinioni, se applicate rigidamente, urtano contro obbiezioni insuperabili: poiché la limitazione del giudicato amministrativo a coloro che hanno partecipato al giudizio conduce in non pochi casi a dover considerare lo stesso atto amministrativo come non più esistente nei confronti di alcuni interessati, e tuttora esistente nei confronti di altri, ed inoltre dà luogo alla possibilità, per quanto in linea meramente teorica, di due o più giudicati contradditori sulla validità di uno stesso atto amministrativo; mentre l’estensione del giudicato erga omnes porta d’altro canto chi è rimasto estraneo al giudizio, nonostante la sua tacita acquiescenza al provvedimento impugnato, a fruire dell’esito favorevole del giudizio promosso da altri senza dividerne i rischi e le spese».
[8] Nell’ampia e stratificata bibliografia sul tema cfr., quantomeno, S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, p. 259 e ss.; L. Piscitelli, A. Marra, Limiti soggettivi del giudicato di annullamento degli atti generali delle Autorità di regolazione, in Riv. reg. merc., 2015, I, p. 37 e ss.; A. Travi, Il giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, IV, p. 931 e ss.; A. Lolli, I limiti soggettivi del giudicato amministrativo. Stabilità del giudicato e difesa del terzo nel processo amministrativo, Milano, 2002, passim; P.M. Vipiana, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, Milano, 1990, p. 225 e ss. (e, successivamente, Id., L’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti tariffari ancora al vaglio del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 1995, III, p. 519 e ss.); E. Stoppini, Appunti in tema di estensione soggettiva del giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 1992, II, p. 347 e ss.; R. Caranta, Atto collettivo, atto plurimo e limiti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento, in Giust. civ., 1989, IV, p. 916 e ss.; I. Cappiello, Sull’efficacia dell’annullamento giurisdizionale di atti divisibili, in Giur. agr., 1977, II, p. 308 e ss.; M.R. Morelli, Note minime in tema di giudicato in genere e di limiti soggettivi, in particolare, del giudicato amministrativo di annullamento, in Giust. civ., 1975, VII-VIII, p. 1169 e ss.; C. Anelli, L’efficacia della cosa giudicata con particolare riguardo ai limiti soggettivi del giudicato amministrativo, in Aa.Vv., Studi in onore di Antonino Papaldo, Milano, 1975, p. 381 e ss.; A. Elefante, Limiti soggettivi di efficacia del giudicato amministrativo, in Cons. Stato, 1970, I, p. 170 e ss.; C. Dal Piaz, Osservazioni su alcuni più recenti orientamenti in tema di efficacia soggettiva del giudicato amministrativo, in Rass. dir. pubbl., 1960, p. 200 e ss.; A. Lentini, L’estensione del giudicato amministrativo a coloro che non hanno preso parte al giudizio, in Corr. amm., 1955, p. 150 e ss.; R. Alessi, Osservazioni intorno ai limiti soggettivi di efficacia del giudicato amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1954, p. 51 e ss.; G. Vignocchi, Sull’efficacia soggettiva del giudicato amministrativo, in Cons. Stato, 1953, p. 635 e ss.; L. Raggi, I limiti soggettivi dell’efficacia di cosa giudicata delle decisioni delle giurisdizioni amministrative, in Giur. cass. civ., 1948, I, p. 418 e ss.; E. Guicciardi, I limiti soggettivi del giudicato amministrativo, in Giur. it., 1941, III, p. 17 e ss.; L. Mortara, Della influenza di una decisione della IV Sezione del Consiglio, che annulla un atto amministrativo concernente l’interesse di più persone, a favore di coloro che non parteciparono al ricorso o al giudizio, in Giur. it., 1899, I, p. 463 e ss.
[9] Così, molto chiaramente, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 4/2019 cit.: «[i]l giudicato amministrativo – in assenza di norme ad hoc nel codice del processo amministrativo – è sottoposto alle disposizioni processualcivilistiche, per cui il giudicato opera solo inter partes, secondo quanto prevede per il giudicato civile l’art. 2909 c.c.». L’art. 2908 c.c. conferma l’anzidetta regola con specifico riguardo agli effetti costitutivi delle sentenze: «[n]ei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».
[10] In giurisprudenza, si v. per tutte Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2005, n. 6506, in Foro amm. C.d.S., 2005, XI, p. 3383 e ss., ove si chiarisce che «ai sensi dell’articolo 2909 c.c. la sentenza fa pieno stato tra le parti senza che l’obbligo che ne consegue possa essere traslato, ai fini dell’esecuzione del giudicato, in capo a soggetto […] rimasto estraneo al giudizio di cognizione». Si potrebbe, invero, discorrere a lungo sul concetto di ‘parte’, in quanto formula polisensa e non sufficientemente precisata dall’art. 2909 c.c., come tale declinabile nell’accezione di parte ‘sostanziale’ (i.e. parte del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio) o di parte ‘processuale’ (i.e. parte del rapporto processuale in senso stretto). Sul punto si rinvia, quantomeno, alle riflessioni di A. Proto Pisani, Parte nel processo (dir. proc. civ.) (voce), in Enc. dir., 1981; e alla nota impostazione di G. Pugliese, Giudicato civile (dir. vig.) (voce), in Enc. dir., 1969, p. 881 e ss., favorevole a una nozione in senso ampio del concetto di ‘parte’ in funzione estensiva dei limiti soggettivi della cosa giudicata.
[11] Ne sono un chiaro esempio i significativi contributi sulla c.d. efficacia ‘riflessa’ del giudicato (sulla quale si v., in particolare, gli studi di F. Carnelutti, Efficacia diretta ed efficacia riflessa della cosa giudicata, II parti, in Studi di diritto processuale civile, I, Padova, 1925, p. 429 e ss.; e di F. Carpi, L’efficacia ‘ultra partes’ della sentenza civile, Milano, 1974). Più in generale, sui rapporti tra giudicato e soggetti ‘terzi’ cfr., per tutti, F.P. Luiso, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi, Milano, 1981; G. Monteleone, I limiti soggettivi del giudicato civile, Padova, 1978; ed E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935.
[12] In proposito, cfr. S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo, cit., p. 260, ove si rileva che «se così fosse veramente (cioè se il terzo rispetto alle parti processuali potesse rimanere sempre estraneo all’esito di un giudizio reso tra altri), non si porrebbe la necessità, che invece si pone, di costruire una teoria che riguardi i cosiddetti limiti soggetti del giudicato».
[13] A scanso di equivoci, è opportuno rimarcare che – ai fini in discorso – tali soggetti sono richiamati non in quanto titolari di situazioni giuridiche in senso proprio, bensì nella loro mera qualità di ‘amministrati’ nell’accezione lata del termine, e dunque interessati in senso generico alla legalità dell’azione amministrativa e alla miglior cura degli interessi pubblici (si v., amplius, S. Valaguzza, op. cit., p. XXXIII e ss., nonché p. 262).
[14] In giurisprudenza, cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2008, n. 4390, in Foro amm. C.d.S., 2008, IX, p. 2416, ove si rimarca che l’«estensione o meno degli effetti di un giudicato a soggetti estranei alla lite, ma titolari di posizioni giuridiche del tutto analoghe alla fattispecie decisa, non costituisce per l’Amministrazione adempimento di uno specifico obbligo». In senso analogo, più di recente, T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 2 novembre 2021, n. 11185, in Foro amm., 2021, XI, p. 1765 e ss., ove non si riconosce «in capo alla p.a. procedente, alcun obbligo giuridico di estendere a tutti i concorrenti il giudicato favorevole che abbia riguardato solo alcuni di essi posto che il giudicato stesso non può avere efficacia riflessa per coloro che, pur trovandosi nella medesima situazione dei ricorrenti vittoriosi, hanno omesso di farla valere entro il termine perentorio d’impugnazione».
[15] Così, ex multis, Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 2012, n. 2350, in Foro amm. C.d.S., 2012, IV, p. 858 e ss.: «la giurisprudenza consolidata riconosce che il principio della preclusione della estensione degli effetti del giudicato ai soggetti rimasti estranei al giudizio lascia aperta la possibilità che l’Amministrazione riesamini la propria determinazione alla luce dei principi contenuti nel giudicato riguardante gli altri soggetti, nell’esercizio degli ordinari poteri di autotutela, esternando e motivando adeguatamente le ragioni di pubblico interesse».
[16] Salvo che non esistano disposizioni normative recanti, per una specifica materia o per un dato settore ordinamentale, divieti espressi di estensione in via amministrativa dei giudicati di annullamento (ad esempio, per ragioni di contenimento della spesa pubblica). Un chiaro esempio è rappresentato dall’art. 1, co. 132, della l. 30 dicembre 2004, n. 311, oggetto di successive proroghe, il quale dispone che «[p]er il triennio 2005-2007 è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, di adottare provvedimenti per l’estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche».
[17] Si v., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 19 dicembre 2012, n. 6526, in Foro amm. C.d.S., 2012, XII, p. 3257 e ss., ove si chiarisce che l’«estensione del giudicato a soggetti ad esso estranei costituisce oggetto di una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione a fronte della quale non è configurabile una posizione di diritto soggettivo».
[18] L’eventuale contestazione d’irragionevolezza della decisione amministrativa di non estensione ai soggetti terzi degli effetti di un determinato giudicato amministrativo potrebbe essere parametrata sul confronto tra le posizioni di questi ultimi rispetto a quelle di coloro che, in quanto parti del giudizio, hanno beneficiato degli effetti della sentenza di annullamento (se si accede a questa impostazione, il sindacato del giudice amministrativo sarà comunque svolto nelle forme dell’eccesso di potere, senza alcuno sconfinamento nel ‘merito’ delle scelte discrezionali relative all’opportunità di non estendere il giudicato in via provvedimentale in ragione della presenza di determinate esigenze di interesse pubblico).
[19] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2751, in Foro amm., 2017, VI, p. 1260 e ss., ove si richiama l’orientamento giurisprudenziale che non riconosce un dovere di provvedere a fronte di un’«istanza di estensione ‘ultra partes’ del giudicato» (in questo senso, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 3 settembre 2001, n. 4592, in Giustizia-amministrativa.it).
[20] In taluni casi, il legislatore interviene con disposizioni sostanziali volte a regolare – in termini generali – l’operazione amministrativa di estensione (non doverosa) ‘ultra partes’ del giudicato di annullamento (ad esempio, imponendo specifiche modalità di svolgimento del contraddittorio procedimentale). Un rilevante esempio in materia di pubblico impiego è rappresentato dall’art. 22, co. 3, del d.P.R. 1° febbraio 1986, n. 13, ove si dispone che «[o]ve una pubblica amministrazione intenda procedere ad estendere in forma generalizzata gli effetti soggettivi di giudicati amministrativi in materia di impiego pubblico, le relative decisioni sono adottate previa consultazione con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale».
[21] Una volta che l’amministrazione, pur non essendo obbligata, dovesse discrezionalmente optare per l’estensione degli effetti del giudicato di annullamento nei confronti di alcuni soggetti terzi che versano in situazioni sostanziali identiche o similari, non sarà possibile introdurre discriminazioni irragionevoli tra i beneficiari di tale (non doverosa ex ante) decisione: gli ipotetici soggetti esclusi, infatti, potrebbero contestare l’eventuale provvedimento lesivo alla luce dell’auto-vincolo a cui si è assoggettata la stessa amministrazione, e dunque per violazione dei generali canoni di imparzialità e non discriminazione. In questo senso, in dottrina, P.M. Vipiana, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, cit., p. 300, secondo cui «sarebbe affetto da eccesso di potere il provvedimento con cui l’amministrazione, dopo aver esteso ad estranei alla lite il contenuto di un giudicato, rifiuti di applicarlo a soggetti che si trovino in situazioni assimilabili, in quanto una tale condotta amministrativa sarebbe viziata per incoerenza e parzialità». In giurisprudenza, cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 496, in Foro amm. C.d.S., 2004, p. 452 e ss., ove si sostiene che l’«estensione di un giudicato a soggetti che vanno considerati, come nella specie, estranei (e che al riguardo non possono vantare alcuna pretesa giuridicamente rilevante) attiene all’espletamento di un potere ampiamente discrezionale, sindacabile solo ove l’Amministrazione, nel dar luogo o meno all’estensione di un giudicato a soggetti estranei alla lite, illogicamente si determini in senso favorevole solamente per alcuni soggetti, omettendo, per contro, di considerare le posizioni di altri assimilabili a quelle positivamente valutate»; e Cons. Stato, VI, 9 marzo 2000, n. 1238, in Riv. cancellerie, 2001, p. 66, ove si chiarisce che il «provvedimento discrezionale di estensione ultra partesdel giudicato, pur espressione di un potere non vincolato in senso stretto dalla forza formale del giudicato, è funzionalmente diretto ad evitare, in omaggio al principio di imparzialità, differenziazioni di trattamento tra soggetti versanti in identica situazione».
[22] Come è noto, i soggetti cointeressati possono dimostrare giudizialmente la propria legittimazione ad agire, in quanto titolari di un interesse legittimo analogo a quello delle parti già ricorrenti, nonché l’interesse personale, attuale e concreto al conseguimento di un’utilità materiale o morale attraverso il processo.
[23] Nella ormai stratificata giurisprudenza cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 2012, n. 2350, in Foro amm. C.d.S., 2012, IV, p. 858 e ss., ove si ribadisce che «[l]a decisione di annullamento – che per i limiti soggettivi del giudicato esplica in via ordinaria effetti soltanto fra le parti in causa – acquista efficacia erga omnes solo nei casi in cui gli atti impugnati siano a contenuto generale inscindibile, ovvero a contenuto normativo, nei quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri» (in senso analogo Id., sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1469, in Foro amm. C.d.S., 2011, III, p. 947 e ss.).
[24] Cfr. G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo. II. La giustizia amministrativa, VIII ed., Milano, 1958, p. 330 e s., ove – dopo aver premesso che «può dirsi oggi consolidato nella giurisprudenza il principio, secondo cui le decisioni degli organi giurisdizionali amministrativi hanno efficacia di giudicato soltanto per i partecipanti al giudizio e non anche per i titolari di interessi identici ed egualmente lesi dall’atto impugnato» – si evidenzia che «[a] questa regola si fa eccezione soltanto nel caso in cui l’oggetto della controversia risulti unico e indivisibile: in tale ipotesi, ciò che fu giudicato in confronto di alcuni vale necessariamente in confronto di tutti gli interessi».
[25] In questo senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2024, n. 2730, in Giustizia-amministrativa.it: «[l]’annullamento di un regolamento comunale, fonte del diritto (seppur territorialmente delimitata), suscettibile di uso reiterato nel tempo per i caratteri che le sono propri della generalità, astrattezza ed innovatività, è efficace erga omnes, nel senso che ne comporta la rimozione dall’ordinamento in modo assoluto, cioè per chiunque possa, anche successivamente, esserne destinatario, ancorché non parte del giudizio in senso formale; comporta dunque la preclusione, per l’amministrazione, di continuare ad applicarlo».
[26] Un risvolto di ordine processuale è rappresentato dalla questione (affrontata, in particolare, da L. Piscitelli, A. Marra, Limiti soggettivi del giudicato di annullamento, cit., p. 49 e ss.) della procedibilità dei paralleli giudizi di impugnazione proposti avverso il medesimo atto amministrativo inscindibile nelle more annullato su ricorso di altri cointeressati (ovviamente, sul presupposto che tali distinti giudizi non siano già stati previamente riuniti ex art. 70 c.p.a.).
[27] Sulla ratio sottesa all’indirizzo giurisprudenziale in commento cfr., per tutti, R. Caranta, Atto collettivo, atto plurimo, cit., p. 916 («considerato però che il giudizio amministrativo si caratterizza come giudizio di annullamento dell’atto, e ritenuto che un atto non possa esistere per qualcuno (i soggetti rimasti estranei al giudizio) e non esistere per qualcun altro (le parti del giudizio), si conclude che, in deroga a quanto in via generale sostenuto, la sentenza di annullamento ha efficacia erga omnes»); e L. Piscitelli, A. Marra, Limiti soggettivi del giudicato di annullamento, cit., p. 41 («[l]a ratio di tale consolidata impostazione giurisprudenziale risiede nel fatto che la decisione giurisdizionale di annullamento di un atto a contenuto generale inscindibile, ovvero a contenuto normativo, non potrebbe produrre effetti circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario che non può esistere per taluni e non esistere per altri»). Si v., anche, A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, II ed., Napoli, 1954, p. 545 e s., ove si sostiene che, nelle ipotesi in cui sia impugnato un ‘atto unico’ (secondo la classificazione dell’a., ad esempio, un atto generale o collettivo), «esso non può cadere o durare se non in tutta la sua intierezza, e quindi se non nei confronti di tutti coloro che ne vengono toccati: di conseguenza lo annullamento di un regolamento, del provvedimento di scioglimento di un corpo di vigili urbani […] non potrà non estendere i suoi effetti a tutti i destinatari del provvedimento (abbiano o non partecipato al giudizio)».
[28] Cfr. P.M. Vipiana, L’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti tariffari, cit., p. 525: «[s]i tratta, invero, di un’ipotesi ben diversa da quella dell’estensione ultra partes di un giudicato amministrativo per opera di un atto discrezionale dell’amministrazione: ipotesi nella quale è questo atto che determina l’estensione ultra partes, con il corollario che l’estensione ad estranei alla lite, operata discrezionalmente dalla pubblica amministrazione, avrà effetto ex nunc».
[29] Il segnalato distinguo è stato, da ultimo, ripreso da Cons. Stato, Ad. Plen., n. 4/2019 cit., ove si evidenzia che nelle eccezionali ipotesi di efficacia ‘ultra partes’ del giudicato amministrativo l’«inscindibilità riguarda solo l’effetto di annullamento (l’effetto caducatorio), perché è solo rispetto ad esso che viene a crearsi la […] situazione di incompatibilità logica che un atto inscindibile possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri», dovendosi invece pervenire a conclusioni differenti con riguardo agli «ulteriori effetti del giudicato amministrativo (di accertamento della pretesa, ordinatori, conformativi) […]». Invero, gli effetti di «accertamento della pretesa e, consequenzialmente a tale accertamento, quelli ordinatori/conformativi operano sempre solo inter partes, essendo soltanto le parti legittimate a far valere la violazione dell’obbligo conformativo o dell’accertamento della pretesa contenuto nel giudicato». Si v., anche, T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III, 4 febbraio 2009, n. 1131, in Foro amm. T.a.r., 2009, II, p. 344 e ss., nella parte in cui si precisa che il «contenuto ordinatorio della pronuncia del GA, incidendo sul rapporto controverso (nei limiti in cui il potere discrezionale e la articolazione dei motivi di ricorso lo consentono), non può che essere legato al caso concreto su cui il giudice è chiamato a decidere». Diversamente opinando, infatti, si «snaturerebbe la stessa sostanza della sentenza amministrativa attribuendole, in caso di impugnazione di atti generali, una portata normativa che è del tutto estranea al contenuto della funzione giurisdizionale che il giudice amministrativo è chiamato ad esercitare». Si v., amplius, anche A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo. II-1. La situazione giuridica a rilievo sostanziale quale oggetto del processo amministrativo, Torino, 2022, p. 163 e ss., nt. 244, ove si riferisce dei due ‘aspetti’ del problema giuridico in discorso: «il primo è quello riferibile all’effetto costitutivo dell’atto, il quale, in ragione della stessa natura che lo caratterizza, semplicemente viene meno o rimane in piedi a seguito del giudizio, nella realtà giuridica che viene in considerazione; il secondo è quello della rilevanza soggettiva dell’effetto di accertamento a cui corrisponde il giudicato sostanziale, quale vincolo sulla realtà posta a suo oggetto, che può riguardare taluni soggetti, ma non altri». Secondo P.M. Vipiana, L’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti tariffari, cit., p. 533, tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale in esame non terrebbe conto del fatto che il «contenuto imperativo, e quindi di accertamento, della sentenza amministrativa è idoneo a generare fenomeni di efficacia ultra partes, poiché la pronuncia, laddove detta regole per il futuro agire della pubblica amministrazione, verrebbe – direttamente o, perlomeno, indirettamente – ad incidere anche, per il tratto della successiva attività di tale amministrazione, su soggetti diversi dalle parti in giudizio».
[30] Si ricorre alla locuzione utilizzata da S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo, cit., p. 276, secondo cui il valore della ‘forza esecutiva’ della sentenza è «riservato (tendenzialmente) alle sole parti del processo, dato che il processo esecutivo (anche ove si tratti del giudizio di ottemperanza) è un’appendice del giudizio di cognizione e, perciò, appartiene alla disponibilità delle parti processuali».
[31] Se si segue l’impostazione in discorso, occorre ammettere – come corollario logico-giuridico consequenziale – che i suddetti cointeressati non hanno legittimazione per esperire l’azione di ottemperanza in relazione ai doveri conformativi-esecutivi discendenti dalla sentenza di cognizione resa tra altre parti. In questi termini si v., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2019, n. 7675, in Foro amm., 2019, XI, p. 1794 e ss., ove si precisa che «legittimate, in via generale ed esclusiva, alla proposizione del giudizio di ottemperanza sono tutte e solo le parti la cui domanda sia stata accolta nel giudizio di cognizione concluso con la pronuncia oggetto della domanda di esecuzione, e non tutte quelle che abbiano tratto un vantaggio dalla medesima pronuncia, dal momento che il ricorso d’ottemperanza – sin dalla sua istituzione con la legge del 1889 – costituisce un rimedio volto ad ottenere l’esecuzione di una pronuncia giurisdizionale che abbia accolto una propria precedente domanda e che sia rimasta ineseguita» (in senso analogo, di recente, Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2023, n. 2642, in Giustizia-amministrativa.it). Contra, tuttavia, nella giurisprudenza più tradizionale, Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 1994, n. 276, in Foro amm., 1994, IV, p. 793, ove si rinviene la massima per cui i soggetti portatori di una situazione di vantaggio in ordine a un provvedimento annullato in sede giurisdizionale, ancorché non intimati né intervenuti in giudizio, sono legittimati a promuovere il ricorso per ottemperanza.
[32] Cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, XV ed., 2023, p. 389 e s., ove si evidenzia come alla giurisprudenza favorevole a riconoscere al giudicato amministrativo di annullamento di atti inscindibili o indivisibili un’efficacia ‘ultra partes’ o ‘erga omnes’ si «oppone chi propone di affrontare i problemi creati dall’annullamento di atti indivisibili attraverso la distinzione generale fra effetti dell’annullamento e autorità del giudicato». In altri termini, la sentenza di annullamento di un provvedimento con effetti ‘inscindibili’ «travolge tutte le utilità assegnate dall’atto annullato e, quindi, necessariamente coinvolge anche tutti i soggetti che ne fossero titolari: ciò attiene però agli effetti dell’annullamento». Diversamente, il giudicato «ha autorità (‘fa stato’) solo fra le parti processuali (nonché i loro eredi e aventi causa)», con la conseguenza che «a quanti non siano anche stati parti nel giudizio, non potrebbe essere opposto il giudicato: essi possono risentire, invece, degli effetti dell’annullamento».
[33] Il riferimento è ad A. Travi, Il giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, IV, p. 932, nella parte in cui – criticando la giurisprudenza richiamata in corpo – si sostiene che l’«annullamento dell’atto impugnato fa stato solo nei confronti delle parti; nei confronti dei terzi comporta la cessazione degli effetti dell’atto amministrativo, ma senza alcun vincolo di accertamento».
[34] Si v., ancora, A. Travi, op. ult. cit., p. 933, ove si precisa che i terzi «in realtà risentono solo dell’inefficacia dell’atto, non dei vincoli derivanti dal giudicato: l’estensione ai terzi degli effetti ‘materiali’ di un annullamento non presuppone assolutamente l’assegnazione al giudicatoamministrativo di un’efficacia ‘ultra partes’» (corsivi dell’a.).
[35] In questo modo si potrebbe altresì evitare di attribuire – a fronte della medesima fattispecie sostanziale – un’efficacia ‘ultra partes’ al giudicato di annullamento e, viceversa, un’efficacia ‘inter partes’ nell’opposta ipotesi di giudicato di rigetto.
[36] Diversa sembrerebbe l’impostazione di S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo, cit., p. 273, secondo cui la c.d. forza vincolante dell’accertamento costitutivo del giudicato di annullamento «non è la conseguenza di un fatto (l’eliminazione dell’atto) cui l’ordinamento attribuisce una certa rilevanza, essendo vero piuttosto il contrario; nel senso che l’eliminazione dell’atto è una costruzione giuridica a cui è conseguente, in via diretta e erga omnes, l’espulsione di un elemento dall’ordinamento giuridico (nel nostro caso, il provvedimento illegittimo annullato), che riconosceva quell’elemento esistente fino al momento del fenomeno giuridico che prende il nome di annullamento».
[37] A. Travi, Il giudicato amministrativo, cit., p. 932, in part. nt. 62.
[38] L’esempio è formulato seguendo la nota classificazione tripartita delle decisioni espressione di autotutela amministrativa sugli ‘atti’ (in decisioni di autotutela ‘spontanea’, decisioni di controllo e decisioni ‘contenziose’) teorizzata da F. Benvenuti, Autotutela (diritto amministrativo)(voce), in Enc. dir., 1959, p. 537 e ss., oggi in Id., Scritti giuridici, II, Milano, 2006, p. 1781 e ss.
[39] Fatta eccezione per i limitati ‘frammenti’ di giurisdizione oggettiva, pur presenti nell’ambito del generale impianto di diritto soggettivo del processo amministrativo (al riguardo cfr., amplius, M. Silvestri, I frammenti di una giurisdizione oggettiva nel processo amministrativo, in Giustamm.it, n. 5/2015).
[40] Come si è anticipato, nell’impostazione in discorso il giudicato investe l’accertamento sulla fondatezza degli specifici vizi-motivi prospettati dalle parti al fine di soddisfare la propria pretesa sostanziale veicolata in giudizio.
[41] Fatta salva la possibilità per il legislatore di derogare all’art. 2909 c.c. con riguardo a specifiche categorie di rapporti giuridici sostanziali (si pensi, ad esempio, all’art. 1306 c.c. rispetto alle obbligazioni solidali).
[42] In questi termini, molto chiaramente, M. Nigro, Giustizia amministrativa, III ed., Bologna, 1983, p. 387. Per un commento all’impostazione teorica del chiaro a., cfr. – se consentito – S. Vaccari, Il giudicato nel nuovo diritto processuale amministrativo, Torino, 2017, p. 157, ove si evidenzia che il contenuto conformativo della sentenza «può essere meglio compreso qualora si concentri l’attenzione sul fatto che, essendo l’annullamento dell’atto impugnato la conseguenza dell’accertamento (circa l’esistenza) di uno o più (affermati) vizi che interessano tale provvedimento, rovesciando a contrario quello che è stato accertato ‘in negativo’ (ossia, come illegittimità dell’azione amministrativa) si ricava, in positivo, il modo in cui il potere – in quegli aspetti del suo esercizio entrati all’interno del thema decidendum del concluso processo – si sarebbe dovuto esercitare».
[43] Cfr. A. Travi, Il giudicato amministrativo, cit., p. 933, ove si rileva che «[l]’effetto rinnovatorio-conformativo è un corollario dell’accertamento che comporta la caducazione dell’atto impugnato: la latitudine dei limiti soggettivi non può essere diversa».
[44] In questo senso, cfr. L. Piscitelli, A. Marra, Limiti soggettivi del giudicato di annullamento, cit., p. 50: «non sembra che il terzo incontri limiti nel contestare la modalità e gli esiti della rinnovazione in sede di giudizio di cognizione».
[45] Per una sintesi delle principali posizioni si v. P.M. Vipiana, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, cit., p. 280 e ss.
[46] Cfr. R. Caranta, Atto collettivo, atto plurimo, cit., p. 916, ove si chiarisce che l’«inscindibilità dell’atto in sé pare quindi tradursi nell’indivisibilità del termine passivo, oggetto, o destinatario […] dell’atto», precisando che «[n]on si tratta peraltro dell’unica soluzione astrattamente possibile: l’indivisibilità potrebbe altrettanto bene essere riferita al contenuto e, oppure, alle finalità dell’atto».
[47] Si v., ad esempio, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 4/2019 cit., nella parte in cui si rileva che l’estensione ‘ultra partes’ del giudicato «dipende spesso da una pluralità di fattori concorrenti, fra i quali rileva non solo la natura dell’atto annullato, ma anche, cumulativamente, il vizio dedotto, nonché il tipo di effetto prodotto dal giudicato della cui estensione si discute». Di talché, secondo l’orientamento tradizionale, gli «effetti inscindibili del giudicato amministrativo possono dipendere: a) in alcuni casi (ma raramente), solo dal tipo di atto annullato; b) altre volte, più frequenti, sia dal tipo di atto annullato, sia dal tipo di vizio dedotto; c) altre volte ancora, dal tipo di effetto che il giudicato produce e di cui si invoca l’estensione». Analogamente, nella giurisprudenza successiva, Cons. Stato, sez. VI, n. 6405/2021 cit.; e Id., sez. II, 2 febbraio 2022, n. 716.
[48] Sulla distinzione tra atto plurimo in senso stretto e atto ‘a contenuto plurimo’ si v., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 4 aprile 2024, n. 3105, in Giustizia-amministrativa.it, ove si chiarisce che l’«atto a contenuto plurimo si caratterizza per la concentrazione delle finalità che normalmente connotano atti distinti in un unico contesto, spesso anche motivazionale, giusta la stretta interconnessione e talvolta conseguenzialità, fra le (diverse) scelte operate dall’Amministrazione». In altri termini, esso rappresenta un atto che «non necessariamente ha anche una pluralità di destinatari, come avviene invece per l’atto plurimo stricto sensu inteso, ove la pluralità dei provvedimenti nasce dalla loro omogeneità di contenuto, che ne rende inutilmente dispendiosa la moltiplicazione in ragione del numero dei soggetti nella cui sfera giuridica si va ad incidere». Tale fattispecie «è stata oggetto di approfondimento in giurisprudenza in particolare con riferimento agli effetti di un possibile annullamento giurisdizionale, per regola efficace solo nei confronti di coloro che hanno impugnato l’atto, che può essere scomposto in tanti provvedimenti individuali quanti ne sono i destinatari».
[49] Cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2152, in Foro amm. C.d.S., 2013, IV, p. 1026. e ss.: «[c]he non si tratti di atto amministrativo generale, ma di atto ‘plurimo’ o ‘collettivo’, discende, del resto, dalla constatazione che mentre i destinatari dell’atto generale sono indeterminabili ex ante (ovvero al momento della sua adozione) e sono individuati solo ex post (cioè quando l’atto generale viene concretamente applicato), i destinatari dei decreti ministeriali in questione sono immediatamente individuabili, già al momento dell’adozione dell’atto».
[50] Cfr. E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, cit., p. 288 e s., ove si giudica l’opinione favorevole all’estensione soggettiva del giudicato in applicazione del principio di ‘indivisibilità’ come «arbitraria quanto al suo fondamento, che invano si ricercherebbe nel diritto positivo, ed empirica nella sua applicazione, posto che l’indivisibilità cui essa si richiama è sovente di elastica e non facile determinazione»; con la conseguenza di «condurre in pratica a risultati nettamente contrastanti con quegli stessi principî d’equità che pur costituiscono l’unica sua giustificazione».
[51] Con riferimento al criterio che identifica l’inscindibilità dell’atto amministrativo nella correlazione tra le statuizioni contenutistiche e la considerazione unitaria dei suoi destinatari si v. i rilievi critici di P.M. Vipiana, L’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti tariffari, cit., p. 532, secondo cui «[i]l criterio in questione appare, al contempo, approssimativo ed astratto», siccome «del tutto basato sulle scelte del giudice e disancorato dalla fattispecie reale, che non può soddisfare pienamente, anche se non si nega la difficoltà di reperirne uno preferibile»; e di S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo, cit., p. 300, ad avviso della quale il «criterio utilizzato per la distinzione tra atti plurimi e atti inscindibili appare malcerto, e risulta piuttosto il frutto di una interpretazione eccessivamente soggettiva ed opinabile del singolo interprete». Negli stessi termini, già L. Raggi, I limiti soggettivi dell’efficacia di cosa giudicata, cit., p. 420, ove si osservava che la «linea che distingue gli atti così detti plurimi dagli atti collettivi, i vizi divisibili e gli indivisibili ecc. è assai sottile e sfuggente e non si riesce a fissarla in modo preciso».
[52] Il problema è ben evidenziato da L. Piscitelli, A. Marra, Limiti soggettivi del giudicato di annullamento, cit., p. 38, nella parte in cui si dà atto che le «soluzioni elaborate dalla giurisprudenza in ordine agli effetti soggettivi del giudicato di annullamento di atti normativi e generali non sono esenti da contraddizioni e perplessità».
[53] Per la tesi dell’inscindibilità degli atti amministrativi generali si v., per tutti, M. Ramajoli, B. Tonoletti, Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, in Dir. amm., I-II, 2013, p. 107 e s., ad avviso dei quali «[u]n atto generale non può essere anche scindibile, perché altrimenti […] esso si riduce a una collezione di atti individuali privi di rapporto l’uno con l’altro, ovvero privi di generalità».
[54] Per un riferimento alla ‘volontà unitaria’ dell’amministrazione, si v. ad esempio Cons. Stato, sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4388, in Foro amm. C.d.S., 2011, VII-VIII, p. 2531 e ss., ove si sostiene che «gli atti con cui un’autorità amministrativa indipendente disciplina le modalità di esercizio di poteri di vigilanza e controllo sul settore di attività oggetto di regolazione presentano un carattere ontologicamente inscindibile, rappresentando l’espressione di una volontà unitaria da parte dell’autorità, la quale provvede in modo funzionalmente non frazionabile nei confronti di un complesso di interessi considerati non singolarmente, bensì come componenti di una platea unitaria ed indivisibile». In senso analogo, già Cass. civ., Sez. Un., 24 aprile 1979, n. 2313, in Giur. it. 1980, I, p. 278, ove si rinviene la tesi per cui l’atto inscindibile è espressione di una ‘volontà unica’ della P.A. volta a provvedere in modo unitario e indivisibile nei confronti di un complesso di soggetti considerati come componenti di un gruppo unitario.
[55] Sulle diverse dimensioni del provvedimento come ‘atto’, ‘testo’ e ‘regola’ cfr. l’importante contributo di M. Monteduro, Provvedimento amministrativo e interpretazione autentica. I. Questioni presupposte di teoria del provvedimento, Padova, 2012, p. 91, ma soprattutto p. 182 e ss. Si v., anche, M.S. Giannini, Atto amministrativo (voce), in Enc. dir., 1959, p. 178, per la messa in risalto dell’esigenza di non confondere «atto o provvedimento amministrativo con documento amministrativo».
[56] Il riferimento, se consentito, è a S. Vaccari, L’invalidità parziale del provvedimento amministrativo, Torino, 2024, p. 118 e ss., cui si fa rinvio anche per i principali richiami bibliografici e giurisprudenziali.
[57] Un chiaro esempio si rinviene in O. Ranelletti, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte II: Capacità e volontà nelle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Riv. it. sc. giur., 1894, p. 324 e ss. (oggi in Id., Scritti giuridici scelti. III. Gli atti amministrativi, Napoli, 1992, p. 186 e ss.), nella parte in cui si sostiene che l’interprete sia tenuto a ricercare l’‘intima volontà’ dell’organo amministrativo per poi confrontarla con quanto espressamente dichiarato. Sul superamento della suddetta impostazione, si v. per tutti R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, II ed., Torino, 2017, p. 232, ove si chiarisce che «[l]a volontà non può però essere intesa come volontà psicologica dell’agente di produrre determinati effetti», posto che «nessuna rilevanza assume l’atteggiamento psichico dell’agente, né la corrispondenza tra volontà dell’agente e il contenuto della determinazione».
[58] Cfr., ancora, R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 13: «[s]oprattutto a Giannini si deve la definitiva emancipazione dell’atto amministrativo dal negozio giuridico di diritto privato. Ci si libera così dall’ipoteca pandettistica e si cambia l’angolo visuale, per cui l’atto amministrativo si definisce in relazione alla sua funzione e non più alla sua struttura di dichiarazione di volontà».
[59] Sulla diversità tra il negozio giuridico di diritto privato e il provvedimento amministrativo si v., quantomeno, A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XIV ed., Napoli, 1984, p. 589; e M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, p. 290 e ss.; ma anche E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, II ed., Milano, 1971, p. 157 e s., p. 235 e p. 271. Un apporto fondamentale per la ricostruzione autonoma del provvedimento amministrativo si deve a R. Alessi, Spunti ricostruttivi per la teoria degli atti amministrativi, in Jus, 1941, III, p. 385 e ss. Per ogni ulteriore approfondimento sul tema si rinvia, comunque, a F.G. Scoca, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, I, p. 1 e ss.
[60] Si fa richiamo alla celebre impostazione di F.W. von Savigny, System Des Heutigen Römischen Rechts, trad. di V. Scialoja, Sistema del diritto romano attuale, Torino, 1886, I, p. 336 e s. Per ogni approfondimento sulla teoria ‘volontaristica’ si rinvia alla rigorosa analisi di F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, p. 107 e ss.
[61] Cfr. S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 341, ove si chiarisce che «[u]n po’ per non aver legato fino in fondo il provvedimento alle funzioni e all’organizzazione, un po’ per l’influenza esercitata dalla scienza privatistica, che analizza una realtà fatta (anche) di persone fisiche, il capitolo del diritto amministrativo relativo agli elementi dell’atto è pieno di espressioni antropomorfiche, quali volontà, vizio, o persino atto».
[62] S. Vaccari, L’invalidità parziale, cit., p. 137: «[s]i tratta, in altri termini, di un percorso ricostruttivo diretto a qualificare l’atto amministrativo nel senso di una realtà formale e oggettiva – coincidente con la ‘statuizione’ enunciata – e non in termini di prodotto del processo psichico dell’organo competente».
[63] Un rilevante spunto si rinviene in M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit., p. 402, ove si sostiene che l’inscindibilità è la «conseguenza di una indivisibilità che sta a monte, cioè l’indivisibilità del potere e della regola che lo regge e che il giudice accerta».
[64] Sia consentito rinviare, ancora, a S. Vaccari, L’invalidità parziale, cit., p. 151, ove si è osservato che «se non si condivide la tesi della ‘scindibilità in concreto’, in ragione del marcato empirismo e del soggettivismo che contraddistingue ogni impostazione fondata su un approccio casistico, non resta che assegnare alla categoria un significato di tipo astratto». In questo senso, è «possibile ritenere che il limite giuridico alla scindibilità del provvedimento amministrativo sia ravvisabile nella tipicità strutturale (comprensiva anche del profilo teleologico-funzionale) fondata sulla norma attributiva del potere».