La partecipazione dei magistrati addetti alla Segreteria del CSM alle procedure di nomina per il conferimento di uffici direttivi e il paradosso del divieto rovesciato (nota a Tar Lazio, 18 marzo 2024, n. 5355).
di Fabio Francario
Sommario: 1. La sentenza Tar Lazio n. 5355/2024 e il paradosso del divieto rovesciato - 2. L’interpretazione “evolutiva” delle norme sull’ordinamento giudiziario e l’esasperazione del sindacato di legittimità e il problema mai sopito dell’indipendenza della magistratura ordinaria. - 3. Il problema del sindacato giurisdizionale (amministrativo) sugli atti di autogoverno della magistratura ordinaria - 4. Anomalie del sistema – 5. Osservazioni conclusive.
1. La sentenza Tar Lazio n. 5355/2024 e il paradosso del divieto rovesciato
La sentenza che si annota esclude che il magistrato che abbia ricoperto l’incarico di Segretario generale del Consiglio Superiore della Magistratura possa concorrere al conferimento dell’ufficio di Procuratore Generale Aggiunto della Corte di Cassazione, ritenendo che ciò sia espressamente vietato dalle vigenti Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura recate dalla l. 24 marzo 1958 n. 195. Precisamente dall’art. 41 il quale, con specifico riferimento alla “posizione dei giuridica dei segretari”, dispone che “I magistrati addetti alla segreteria del Consiglio superiore non possono partecipare ai concorsi o agli scrutini, salvo che abbiano cessato di far parte della segreteria almeno un anno prima della scadenza del termine stabilito per presentare la domanda di partecipazione al concorso o allo scrutinio, ovvero che il Consiglio, della cui segreteria facevano parte, sia cessato prima della scadenza anzidetta”.
La univoca e consolidata prassi interpretativa del Consiglio Superiore della Magistratura ha invece pacificamente considerato non più esistente tale divieto, ritenendo tale norma abrogata per effetto della radicale riforma del sistema di progressione delle carriere dei magistrati successivamente intervenuta. In origine, il RD 30 gennaio 1941 n. 12 sull’ordinamento giudiziario prevedeva infatti ruoli distinti per i magistrati di tribunale, di appello e di cassazione e che il passaggio da un ruolo all’altro avvenisse “mediante concorso” o “mediante scrutinio a turno di anzianità”(cfr. artt. 131, 145, 176 e 184); e la citata l. 195/1958 statuiva, tanto per i magistrati componenti il Consiglio Superiore, quanto per quelli addetti alla segreteria, il divieto di partecipazione ai concorsi e agli scrutini (artt. 34 e 41). Per i soli magistrati componenti stabiliva anche il divieto di conferimento di uffici direttivi (art. 35), divieto che non veniva invece riproposto per i magistrati adetti alla segreteria. Tra la seconda metà degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta del secolo scorso, il sistema dei concorsi interni viene abolito, tanto per la progressione a magistrato di corte d’appello, quanto per quella a magistrato di cassazione (l. 570/1966 e 831/1973) e sostituito da un diverso sistema, secondo il quale le relative qualifiche si acquisiscono al maturare di una determinata anzianità di servizio e all’esito della positiva valutazione da parte del Consiglio Superiore della Magistratura dell’attività svolta. La progressione di carriera non viene quindi più a dipendere dall’espletamento dei concorsi e scrutini originariamente previsti dai sopra citati articoli 131 e seguenti della legge sull’ordinamento giudiziario[1].
Orbene, secondo la pronuncia che si commenta, la perdurante vigenza del divieto di cui all’art. 41 l. 195/1958 non precluderebbe più, ai magistrati che ricoprano la posizione di segretario generale, la progressione di carriera attraverso le valutazioni di professionalità (che consistono, si badi, pur sempre “in un giudizio espresso ai sensi dell’art. 10 l 24 marzo 1958 n. 195 dal Consiglio superiore della Magistratura”; art. 11 d lgs 5 aprile 2006 n. 160 Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati), ma ne precluderebbe invece la partecipazione alle procedure concorsuali per il conferimento delle funzioni degli uffici giudiziari. Nonostante l’art. 12 del citato d. lgs. 160/2006 preveda che ad esse possano partecipare “tutti i magistrati che abbiano conseguito almeno la valutazione di professionalità richiesta” e nonostante nessuna norma abbia mai vietato ai magistrati addetti alla segreteria di concorrere per il conferimento degli uffici, come invece previsto per i magistrati componenti il Consiglio. Il divieto di cui all’art. 41 viene dunque considerato ancora vigente, ma applicato alla diversa fattispecie del conferimento dell’ufficio (e non della progressione di carriera); producendo così un risultato paradossale, perché ciò che era in origine precluso (la progressione di carriera) viene ritenuto possibile e ciò che era possibile (il conferimento di ufficio) viene invece ritenuto vietato.
La decisione non pare ineccepibile sotto il profilo esegetico. Nemmeno appare condivisibile nella sua ratio di fondo, dal momento che esclude che la posizione rivestita nella Segreteria possa esser di per sé tale da condizionare la decisione del Consiglio nella valutazione necessaria per la progressione di carriera, salvo assumere poi che tale posizione sarebbe tale da poter condizionare la decisione del Consiglio sul conferimento dell’ufficio. Delle due l’una: o la posizione è tale da far ritenere che la vicinanza della Segreteria al Consiglio comprometta la serenità e l’imparzialità del giudizio di quest’ultimo; o non lo è. Ma è paradossale che, come già sottolineato, l’interpretazione evolutiva della norma porti a vietare ciò che prima non lo era e a permettere ciò che prima era vietato.
Ciò che più colpisce della pronuncia è però il fatto che il giudice amministrativo, attraverso una interpretazione “evolutiva” del termine concorso, finisce con il ridisegnare in parte qua le regole per il conferimento degli uffici giudiziari, in netto contrasto con la prassi applicativa e interpretativa finora univocamente e pacificamente seguita dall’organo di autogoverno della magistratura ordinaria[2]. Prassi della quale viene peraltro negata l’esistenza, che è invece fatto notorio e di comune esperienza nell’ambito della comunità giudiziaria.
2. L’interpretazione “evolutiva” delle norme sull’ordinamento giudiziario e l’esasperazione del sindacato di legittimità e il problema mai sopito dell’indipendenza della magistratura ordinaria.
La sentenza che si commenta non è certamente l’unico caso in cui si manifesta una marcata tendenza del giudice amministrativo a sindacare gli atti dell’organo di autogoverno della magistratura ordinaria in maniera talmente penetrante da sollevare dubbi sull’effettivo rispetto dei limiti del sindacato di legittimità e da riproporre sotto diverso e nuovo profilo il mai sopito problema dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura ordinaria.
Oltre al caso in esame, l’esperienza mostra infatti come il giudice amministrativo, chiamato sempre più spesso a decidere delle nomine agli uffici anche apicali e di vertice della magistratura ordinaria, esercita un sindacato difficilmente riconducibile nei ragionevoli limiti della ragionevolezza e sostanzialmente basato sul carattere più o meno persuasivo della motivazione, valutazione che evoca opinabilità e soggettività dell’apprezzamento e che riduce ad una mera clausola di stile l’affermazione del riconoscimento al Consiglio Superiore della Magistratura della “esclusiva attribuzione del merito delle valutazioni, su cui non è ammesso alcun sindacato giurisdizionale”.
I casi sono innumerevoli. Tra i più recenti e significativi, basti ricordare quelli riguardanti la nomina del Presidente e del Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, decisi dal Consiglio di Stato con le sentenze 14 gennaio 2022 nn. 267 e 268. Le sentenze ritengono pacifico che si sia in presenza di candidati tutti eccellenti e che vi sia stata effettiva comparazione dei rispettivi curricula ai fini della nomina; così come danno pacificamente atto che non vi sarebbero state violazioni dei criteri di nomina così come predefiniti dalla legge (in ptcl dall’art. 21 del T.U. che stabilisce che “ «Costituiscono specifici indicatori di attitudine direttiva […]: a) l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi; b) la partecipazione alle Sezioni Unite; c) l’esperienza maturata all’ufficio spoglio; d) l’esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi»). È pacifico dunque che il Consiglio Superiore della Magistratura abbia operato una effettiva comparazione e deciso applicando i criteri predeterminati per legge. Nel caso della nomina del Presidente, si ritengono tuttavia insufficientemente motivati i giudizi di prevalenza in quanto privi di “spiegazione concreta e circostanziata” laddove hanno ritenuto sostanzialmente equivalenti esperienze consistentemente diverse (funzioni di legittimità); ovvero privi di ragionevole e compiuta spiegazione dell’esito valutativo perché “l’oggettiva consistenza dei dati curriculari nei termini suindicati avrebbe richiesto una (ben diversa e) più adeguata motivazione in ordine alle conclusioni raggiunte dal Csm: seppure il dato quantitativo-temporale sul possesso degli indicatori specifici non ha infatti valore assorbente e insuperabile, né implica di per sé alcun automatismo sull’esito valutativo, occorre nondimeno una motivazione ragionevole e adeguata per poter giustificare una conclusione difforme dalle (univoche) emergenze dei dati oggettivi” (partecipazione alle Sezioni Unite); o ancora formulati “ al di là della opinabilità, e cioè del fisiologico esercizio della discrezionalità spettante all’amministrazione nel quadro degli indicatori previsti dal Testo unico” nel momento in cui si è ritenuto che una determinata sezione (la Sesta Civile) rivestisse un ruolo essenziale e strategico quale Sezione filtro perché tale valutazione sarebbe avvenuta “in assenza di criteri (predeterminati) in tal senso nell’ambito del Testo unico” e conduce evidentemente “ben oltre la discrezionalità valutativa nell’apprezzamento dell’uno o dell’altro profilo curriculare” (ufficio spoglio). Nel caso della nomina del Presidente aggiunto, si ritiene del pari che “l’oggettiva consistenza dei dati curriculari nei termini suindicati avrebbe richiesto una (ben diversa e) più adeguata motivazione in ordine alla conclusione di ritenuta equivalenza dei profili dei candidati, conclusione che non risulta invece allo stato esplicabile né ragionevolmente intellegibile alla luce dello scarno passaggio motivazionale speso dal Csm al riguardo Tanto in piùin un caso, quale quello in esame, in cui l’importanza del posto a concorso, gli eccellenti profili dei candidati in competizione e la indiscutibile rilevanza dei loro curricula impongono - oltre all’attenta, accurata e completa ricognizione di tutti gli aspetti della rispettiva carriera, anche attraverso la opportuna comparazione - un particolare obbligo di motivazione, puntuale ed analitico, tale da far emergere in modo quanto più preciso ed esauriente le ragioni della prevalenza di un candidato sull’altro”[3].
Motivazioni eccessivamente invasive della discrezionalità che dovrebbe esser propria di atti di alta amministrazione, quali comunemente sono ritenuti quelli di autogoverno del Consiglio superiore della Magistratura[4], e interpretazioni evolutive delle norme sull’ordinamento giudiziario, che creano divieti al conferimento degli uffici giudiziari non esistenti in passato, fanno sorgere il dubbio che un sindacato così penetrante sugli atti espressione dell’autogoverno della magistratura ordinaria possa comprometterne la garanzia dell’indipendenza. Tanto più se operato da un giudice, “speciale” secondo la Costituzione, le garanzie d’indipendenza del quale sono attenuate rispetto a quelle proprie della magistratura ordinaria[5].
3.- Il problema del sindacato giurisdizionale (amministrativo) sugli atti di autogoverno della magistratura ordinaria.
Rebus sic stantibus, il problema del sindacato del giudice amministrativo sugli atti del Consiglio superiore della Magistratura non si pone in materia di provvedimenti disciplinari, in quanto l'attività del Consiglio in tal caso viene qualificata come giurisdizionale e le decisioni vengono impugnate con ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione.
Il problema riguarda essenzialmente le decisioni, diverse da quelle disciplinari, incidenti sullo status di magistrato e trova adesso esplicita definizione nell’art 17 della legge sull’ordinamento giudiziario. Dopo aver previsto che “tutti provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della repubblica controfirmato dal Ministro; ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per grazia e giustizia” e dato per scontato che “la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo”, l’art. 17 della l. 195/1958 e smi, nel testo attualmente vigente, dispone come segue: “Per la tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti concernenti il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi si segue, per quanto applicabile, il rito abbreviato disciplinato dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Nel caso di azione di ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l'ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere. Non si applicano le lettere a) e c) del comma 4 dell'articolo 114 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo n. 104 del 2010”. La giurisdizione amministrativa è data dunque per pacifica, anche se residuano incertezze sui poteri decisori concretamente spendibili dal giudice amministrativo. L’esperibilità del giudizio di ottemperanza in quanto tale, e con essa la possibilità di sostituzione dell’organo di autogoverno nel conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi del giudice amministrativo, viene pacificamente dichiarata, anche se i limiti in ordine al contenuto ordinatorio e alla possibilità di determinare le modalità esecutive in presenza di sentenze non ancora passate in giudicato lasciano quantomeno il dubbio che possa realizzarsi una piena sostituzione [6].
Oggi come oggi non desta quindi certamente scandalo il fatto che il giudice amministrativo intervenga nei processi decisionali del Consiglio Superiore della Magistratura condizionando inevitabilmente le scelte dell’organo di autogoverno, essendo ormai pacifica e codificata l’impugnabilità delle sue decisioni. Rimane però il fatto che si è pur sempre di fronte a un tema delicato e complesso, che appare meritevole di particolare attenzione e cautela non già ratione personae, come una sorta di privilegio di casta riservato a persone particolarmente in alto nella scala sociale, ma perché l’autogoverno della magistratura è previsto nella Costituzione a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Questo è il senso della riserva operata dall’art. 105 Cost. allorquando statuisce che “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”[7]. La norma costituzionale non ha natura puramente organizzativa, come se fosse volta semplicemente a regolare la distribuzione delle competenze amministrative per il personale di magistratura, ma, attraverso il riconoscimento dell’autogoverno, è volta a rendere concreta la garanzia di autonomia e indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo (“ad ogni altro potere”), esplicitamente affermata nell’art. 104 Cost. e rinforzata dall’affermazione della soggezione del giudice “soltanto alla legge”, recata dall’art. 101 Cost.. Il problema rimane a tutt’oggi ancora aperto, come testimonia la soluzione di compromesso codificata nella stesura sopra ricordata dell’art. 17 della l. 195/1958[8].
La necessità di garantire anche al personale di magistratura il diritto alla tutela giurisdizionale, riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione come diritto fondamentale dell’individuo, deve dunque svolgersi in modo da non compromettere quell’autonomia e quell’indipendenza che la Costituzione vuole venga garantita alla magistratura ordinaria e deve essere quindi tenuto nella debita considerazione il fatto che, oggi come oggi, la concentrazione della tutela giuridizionale in capo al giudice amministrativo finisce con il presentare più di una anomalia. Specie se in un periodo come questo attuale si discute molto de jure condendo di nuove forme dell’autogoverno delle magistrature[9].
4.- Anomalie del sistema
L’anomalia si evidenzia sotto due distinti ma connessi profili; ovvero, può considerarsi duplice.
Sotto un primo profilo, deriva dalla impossibilità di negare il deficit di apparenza d’indipendenza del Consiglio di Stato, organo di vertice della magistratura amministrativa, rispetto al Governo.
Quello dell’apparenza d’indipendenza della magistratura amministrativa è un prolema antico, ma sempre attuale. È vero, infatti, che l’ordinamento delle magistrature speciali si è progressivamente avvicinato al modello di autogoverno della magistratura ordinaria, evidenziando un crescente distacco dal potere esecutivo nelle cui articolazioni erano precedentemente assorbite[10]. È innegabile, però, che le garanzie d’indipendenza dei giudici speciali sono attenuate e non sono le medesime previste per la magistratura ordinaria. Per i giudici speciali, l’art. 108, comma secondo, Cost. rinvia alla legge ordinaria (“La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso presso di esse e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia”) e la disciplina concretamente dettata dal legislatore ordinario non ha certamente assicurato l’indipendenza assoluta del Consiglio di Stato rispetto al Governo. Che, a differenza del giudice ordinario, vi sia quindi un deficit d’indipendenza del giudice amministrativo rispetto al potere esecutivo è un dato oggettivo, che viene generalmente e storicamente sottolineato dalla dottrina. Nonostante la questione di costituzionalità sia stata più volte dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, nei suoi termini di fondo la questione torna ad essere ciclicamente rimediata dalla dottrina[11]. Segno evidente che le motivazioni addotte dalla Corte, soprattutto nella pronuncia n. 177 del 19 dicembre 1973, resa con specifico riferimento al tema della nomina governativa dei Consiglieri di Stato e fatte proprie anche dalle successive sentenze, sono apparse poco convicenti nel momento in cui sostanzialmente si riassumono nella considerazione che “gli eventuali rapporti tra il prescelto e la pubblica amministrazione che abbiano preceduto la nomina o che, intervenuta questa potrebbero in ipotesi suscitare vincoli di sorta, si dissolvono nelle persone che siano idonee a ricoprire l’ufficio e all’atto in cui acquistano uno status”.
È evidente infatti che risolvere la garanzia d’indipendenza nel “potere trasfigurante”[12]dello status di magistrato lascia aperto il problema di fondo derivante dal fatto che le garanzie d’indipendenza riguardano innanzi tutto l’ufficio, prima ancora che le persone che siano ad esso preposte. È cioè evidente il limite di fondo di non distinguere tra indipendenza funzionale e istituzionale [13]. Per quanto sia stato quindi intrapreso un percorso di avvicinamento del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa al modello costituzionale dell’autogoverno tipizzato nel Consiglio Superiore della Magistratura, la mancata definitiva rescissione del cordone ombelicale del Consiglio di Stato con il Governo lascia al fondo irrisolti sempre gli stessi problemi, derivanti dalla nomina governativa dei Consiglieri di Stato, dal cumulo tra funzioni giurisdizionali e consultive, dagli incarichi extra giudiziali, della nomina del Presidente del Consiglio di Stato su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri previa delibera del Consiglio dei Ministri sentito il parere del Consiglio di Presidenza, dal conferimento dell’incarico di Segretario Generale con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di presidenza.
Dal momento che l’indipendenza non può dunque ridursi ad una qualità ideale che il giudice acquista per la semplice acqusizione delle guarentigie inerenti alla sua funzione, il deficit che si sconta sotto il profilo della apparenza d’indipendenza istituzionale non esclude che la concentrazione della giurisdizione sullo status e sul rapporto di servizio dei magistrati ordinari in capo al giudice amministrativo possa esser in astratto tale da compromettere la garanzia dell’indipendenza di cui all’art. 104 Cost..
Sotto un secondo profilo, l’anomalia è data dal fatto che la concentrazione della giurisdizione in capo al giudice amministrativo risulta priva dell’adeguato bilanciamento che potrebbe essere dato dalla competenza della magistratura ordinaria sulle controversie riguardanti il personale della magistrartura amministrativa. Allorquando si è discusso dell'impugnabilità innanzi al giudice amministrativo dei provvedimenti incidenti sullo status dei magistrati ordinari, la questione si è infatti posta non solo con riferimento al tema della intrinseca impugnabilità degli atti del Consiglio Superiore della Magistratura, ma anche sulla scelta di radicare la giurisdizione nel giudice amministrativo. Entrambi i profili sono stati presi in considerazione dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 44 del 14 maggio 1968 [14], la motivazione della quale sotto questo profilo offre importanti indicazioni. La pronuncia, com’è noto, risolve innanzi tutto il problema del conflitto tra l’esigenza di assicurare a tutti i cittadini, compresi quelli appartenenti alla categoria dei magistrati, la tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi legittimi e l’esigenza di evitare qualsiasi interferenza da parte non solo dei potere esecutivo, ma anche dello stesso potere giurisdizionale, a favore del primo. Affermando la prevalenza dell'esigenza di tutela giurisdizionale su quella d'indipendenza del Consiglio superiore della Magistratura, si è poi aperto l’ulteriore distinto problema della individuazione del giudice competente, la soluzione del quale a favore del giudice amministrativo, nella decisione, appare tutt’altro che scontata. Nella decisione, la individuazione del giudice amministrativo non deriva infatti automaticamente dal fatto che le difficoltà derivanti dalla non riducibilità del Consiglio Superiore ad una semplice pubblica amministrazione vengono superate valorizzando il carattere sostanzialmente amministrativo dell’attività svolta (in tal senso del resto v. già Corte Cost. 168/1963[15]), ma è frutto di una specifica autonoma valutazione di opportunità. La preferenza per il giudice amministrativo è frutto di una scelta che viene giustificata dalla necessità di evitare “la confluenza che verrebbe a verificarsi negli appartenenti allo stesso ordine di destinatari dei provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura e di giudici della regolarità dei medesimi”. Se la ratio decidendi è dunque quella di evitare la “confluenza” nel medesimo ordine giurisdizionale sulle decisioni dell'organo di autogoverno, va da sé che il medesimo principio dovrebbe impedire al giudice amministrativo di conoscere dei provvedimenti adottati dal proprio organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. Dovrebbe cioè impedire che il giudice amministrativo conosca delle decisioni sui giudici amministrativi creando una giurisdizione domestica[16].
5.- Osservazioni conclusive.
La criticità rappresentata dalle anomalie sopra descritte diventa ancor più evidente alla luce dell’orientamento della Corte Costituzionale volto a tutelare l’assetto pluralistico dell’ordinamento giurisdizionale. Mi riferisco alle note pronunce 6 luglio 2004 n. 204 e 18 gennaio 2018 n. 6, rese dalla Corte costituzionale per precisare i limiti del sindacato della Corte di cassazione sulla giurisdizione del giudice amministrativo, che è stato circoscritto e limitato negando l’esistenza di una unità organica della giurisdizione e ritenendo ravvisabile un’unità solo funzionale delle giurisdizioni[17]. Riprendendo le parole pronunciate da Costantino Mortati nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947 dell’Assemblea costituente, la Corte ha affermato che l’assetto pluralistico “non esclude anzi implica una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé”. Diventa infatti chiaro a questo punto che l’equiparazione dei diversi ordinamenti di magistratura in punto di autonomia e indipendenza non può non valere secondo un principio di reciprocità e non può valere a vantaggio esclusivamente della magistratura amministrativa. Che è invece proprio quel che si verifica nel momento in cui la magistratura amministrativa ha un suo proprio organo di autogoverno ed è giudice dei provvedimenti che questo adotta; laddove quella ordinaria, l’unica magistratura ad avere l’organo di autogoverno coperto dalla garanzia costituzionale, vede gli atti del suo organo di autogoverno soggetti al sindacato del giudice amministrativo, l’apparenza di assoluta indipendenza istituzionale del quale dal Governo continua ancor oggi a sollevare più di un dubbio in dottrina. Si è in presenza di una duplice anomalia, alla quale primo o poi occorrerà porre rimedio.
[1] Per una compiuta ricostruzione dell’evoluzione del sistema v. P. Filippi, La valutazione di professionalità, in E. Albamonte e P. Filippi (a cura di), Ordinamento giudiziario. Leggi , regolamenti e procedimenti, Torino, 2009, 351 ss.
[2] Per quanto si discuta se l’espressione organo di “autogoverno” sia propriamente utilizzata a proposito del Consiglio Superiore della Magistratura (per tutti v. A. Pizzorusso, Problemi definitori e prospettive di riforma del C.S.M., in Quad. Cost., 1989, 471 ss), è fuor di dubbio che esso sia concepito come “organo di garanzia costituzionale operante al fine primario di assicurare l’attuazione dei valori posti per l’ordine giudiziario dall’art. 104 Cost” (così F. Bonifacio, G. Giacobbe, Commento all’art. 105 Cost., in G. Branca (a cura di), Commentario della costituzione. La magistratura. Art 104-107, II, Bologna Roma, 1986, 118). Su tali profili v. di recente V. Campigli, L’autodichia degli organi costituzionali. Dal privilegio dell’organo alla tutela amministrativa dell’individuo, Napoli, 2023, 199 e ivi ulteriori riferimenti.
[3] Cfr. Il Consiglio di Stato (e la) nomina (del) Presidente e (del) Presidente aggiunto della Corte di Cassazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 14 01 2022 nn. 267 e 268), in GiustiziaInsieme, 15 gennaio 2022. Sempre in questa Rivista, in tema v. anche G. Tropea, Conferimento di incarichi direttivi e giudice amministrativo: il lungo addio all’ineffettività della tutela (nota a Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2020 n. 4584), in GiustiziaInsieme, 24 luglio 2020; M.R. Spasiano, Nomina dei compeonenti togati del Comitato direttivo della Scuola Superiore della magistratura: è l’autovincolo a imporre il procedimento selettivo a carattere comparativo, in GiustiziaInsieme, 2 febbraio 2021; F. Francario, Autogoverno della magistratura e tutela giurisdizionale. Brevi cenni sui profili problematici della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei magistrati, in GiustiziaInsieme, 2018; C. Riviezzo, Il sindacato del giudice amministrativo sugli atti di autogoverno, in GiustiziaInsieme, 2/2010.
[4] Per tutti v. G. Tropea, Conferimento di incarichi direttivi e giudice amministrativo, cit.
[5] Nel testo si fa ovviamente riferimento alla necessità di porre al riparo dalle sollecitazioni dell’ambito politico o comunque esterne non già la persona del giudice in quanto tale (per questo profilo si rinvia per tutti ai contributi raccolti nel recente fascicolo monotematico della rivista Questione Giustizia, 1/2024, Magistrati: essere ed apparire impararziali), ma l’istituzione di appartenenza, l’indipendenza della quale deve essere pur sempre anch’essa valutata, secondo principi pacificamente enunciati ed applicati dalle Corti europee (ex multis cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea - grande sezione, 5 novembre 2019, causa C-192/18, Commissione c. Repubblica di Polonia; Id., 19 novembre 2019, cause riunite C-585/18, C-624/18 e C-625/18; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, 20 agosto 2021, causa BEG spa vs Italia; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sezione seconda, sentenza 21 febbraio 2023, Catană contro Moldavia; per ulteriori riferimenti per tutti v. L. Montanari, La garanzia europea dell’indipendenza dei giudici nazionali, in DPCE on line, 1/2020, 957 ss), secondo la teoria cd dell’apparenza e non dell’effettiva sussistenza. Sull’attenuazione delle garanzie nel caso del Consiglio di Stato, organo di vertice della magistratura amministrativa, v. infra, sub § 4 e in ptcl dottrina citata sub nota 11.
[6] L’ammissibilità del giudizio di ottemperanza nel contenzioso sugli uffici direttivi e semidirettivi è stata esplicitamente affermata dalla Corte cost. nelle sentenze 8 settembre 1995 n. 419 e 15 settembre 1995 n. 435, rese su conflitto di attribuzione sollevato dal CSM nei confronti del Consiglio di Stato e decise sulla base del richiamo del principio di effettività della tutela giurisdizionale e della circostanza che si trattasse di porre in essere attività vincolate o meramente esecutive della pronuncia, prive pertanto di discrezionalità. Che il problema sia rimasto aperto è testimoniato dalla tormentata riscrittura dell’art. 17 della l. 195/1958 riportato nel testo, che approda alla versione attualmente vigente che esprime un evidente tentativo di raggiungere un compromesso tra contrapposte esigenze. Sul tema specifico dell’ammissibilità del giudizio di ottemperanza e dei suoi limiti per tutti v. A. Storto, I provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura e il giudizio di ottemperanza: storia di un conflitto di attribuzione che vuole rimanere tale, in B. Capponi, B. Sassani, A. Storto, R. Tiscini (a cura di), Il processo esecutivo. Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, 1365 ss. Sul tema in generale del sindacato sugli atti del CSM e dei suoi limiti, ex multis v. V. Spagna Musso, Sulla sindacabilità degli atti del C.S.M. da parte del Consiglio di Stato, in Giur cost., 1962, 1609 ss; A. M. Sandulli , Atti del Consiglio superiore della magistratura e sindacato giurisdizionale, in Giust. civ., 1963, II, 3 ss.; U. De Siervo, A proposito della ricorribilità in Consiglio di Stato delle deliberazioni del Consiglio superiore della Magistratura, in Giur. cost., 1968, 690 ss; E. Cannada - Bartoli, Tutela dei magistrati eletti al Consiglio superiore, giurisdizione del Consiglio di Stato e forma degli atti, in Foro amm., 1972, 109 ss; F.G. Scoca, Atti del CSM e loro sindacato giurisdizionale, in Dir. Proc. Amm., 1/1987, 5 ss; G. Ferrari, Consiglio Superiore della Magistratura, in Enc. Giur. Treccani, VIII, Roma, 1988; G. Cugurra, Atti del Consiglio Superiore della Magistraura e sindacato giurisdizionale, in Dir. Proc. Amm., 3/1984, 310ss; F. Patroni Griffi, Atti del CSM e sindacato giurisdizionale nel DL 24 giugno 2014 n. 90 in www.giustizia-amministrativa.it, 4 agosto 2014; R. De Nictolis, Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del CSM, in www.giustizia-amministrativa.it, 9 novembre 2019; E. Zampetti, Il controverso requisito della permanenza in servizio per il consigliere CSM, la decisione spetta al giudice ordinario, in GiustiziaInsieme, 19 novembre 2020; Id., Postilla a Il controverso requisito della permanenza in servizio per il consigliere CSM, la decisione spetta al giudice ordinario (nota a Cons. Stato, Sez. V, 7 gennaio 2021 n. 215), in GiustiziaInsieme, 23 febbraio 2021.
[7] V. ante , sub nota 2.
[8] V. sub nota 6.
[9] Per tutti v. T. F. Giupponi, Il Consiglio superiore della magistratura e le prospettive di riforma, in Quaderni costituzionali, n. 1/2021; M. Lipari, Verso l’Alta Corte disciplinare e dei conflitti? Unità funzionale della giurisdizione, responsabilità del giudice e autogoverno delle magistrature, in www.giustizia-amministrativa.it, 7 agosto 2022; M.A. Sandulli, Intervista a cura di P. Filippi e R. Conti nell’ambito del Forum sull’Istituzione dell’Alta Corte. La rivoluzione dell’assetto giurisdizionale in vista dell’istituzione di una giurisdizione speciale per i giudici, in Giustiziainsieme,28 marzo 2022; R. Greco, L’indipendenza del giudice amministrativo tra falsi problemi e criticità reali, in GiustiziaInsieme, 27 settembre 2023.
[10] Il Consiglio superiore della magistratura viene istituito con l. 24 marzo 1958 n. 195; il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa con l. 27 aprile 1982 n. 186; il Consiglio di presidenza della corte dei conti con l. 13 aprile 1988 n. 117; il Consiglio della magistratura militare con l. 30 dicembre 1988 n. 561. Per il quadro d’insieme ex multis v. G. Verde, L’unità della giurisdizione e la diversa scelta del costituente, in Dir. proc. Amm., 2003, 363 ss; R. Garofoli, Unicità della giurisdizione e indipendenza del giudice: principi costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema costituzionale, in Dir. proc. Amm., 1998, 144 ss; A. D’Aloia, L’autogoverno delle magistrature “non ordinarie” nel sistema costituzionale della giurisdizione, Napoli, 1995; S. Senese, Giudice (nozione e diritto costituzionale), in Dig. Disc. Pubbl., VII, Torino Utet, 1991, 218 ss; R. Pinardi, Sulla composizione degli organi di garanzia delle magistrature speciali, in Consulta online.
[11] Ex multis: A. M. Sandulli, Giudici amministrativi, concorsi, indipendenza, in Giur. It., 1973, III, 1, 129 ss; F. Sorrentino, I consiglieri di Stato e la Corte, in Dir. soc., 1974, 162 ss; G. Silvestri, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della giurisdizione nella Costituzione italiana, inScritti in onore di M.S. Giannini, Milano, 1988, III, 707 ss; G. Scarselli, La terzietà e l’indipendenza dei giudici del Consiglio di Stato, in Foro It., 2001, III, 269 ss; S. Raimondi, L’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia, Privilegio e condanna, Milano, 2009; A. Orsi Battaglini,Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005; M. Protto, Le garanzie di indipendenza e imparzialità del giudice nel processo amministrativo, in G. Piperata , A Sandulli (a cura di), Le garanzie delle giurisdizioni: indipendenza e imparzialità dei giudici, Napoli, 2012, 95 ss; M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 2013, 119 ss; E. Follieri, Le garanzie d’indipendenza del Consiglio di Stato, in Dir. proc. Amm., 4/2016, 1234 ss; A. Proto Pisani, G. Scarselli, La strana idea di consentire ai giudici amministrativi di comporre i collegi delle sezioni unite, in Foro it., 2018, V, 62 ss; P. Tanda, Profili istituzionali,processuali e comparatistici dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice amministrativo, in Giur. Cost., 2020, 3, 697 ss; G. Montedoro, E Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in Questione Giustizia, 1/2021, 15 ss; F. Volpe, Un marziano a spasso per il processo amministrativo (divertissement sul non-processo), in GiustiziaInsieme, 13 marzo 2024; L. Ferrara, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2024, 51 ss; A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2024, 94 ss.
[12] Così efficacemente G.P.Cirillo, I principi generali del processo amministrativo, in Il nuovo diritto processuale amministrativo, Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Padova, 2014, 28.
[13] S. Bartole, Indipendenza del giudice (teoria generale), in Enc. Giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, 1; R. Romboli – S. Panizza, Ordinamento giudiziario, in Dig. Disc. Pubbl., X Torino, 1995, 380 ss; U. Pototschnig, Il giudice interessato non è indipendente, in Giur. Cost., 1965, 1291 ss.
[14] Corte cost. 14.5.1968, n.44, in Foro it., 1968, I, 1396 ss.
[15] Pacificamente ammessa nei confronti del decreto presidenziale o ministeriale di recepimento, l'impugnativa è stata dunque ben presto estesa alla delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in quanto atto preparatorio del procedimento concluso dal decreto presidenziale o ministeriale (Cons Stato, Sez. IV, 14 marzo 1962 n. 248; Id., 22 novembre 1962 n. 752) e, successivamente, alla deliberazione in quanto tale, indipendentemente dalla circostanza che si traduca in un decreto presidenziale o ministeriale (Tar Lazio, Sez. I, 8 giugno 1983 n. 491).
[16] Cfr. Cass. SU 29 settembre 2000 n. 1049
[17] La letteratura sul tema è molto ampia. Mi limito pertanto a rinviare, anche per gli uteriori riferimenti, a F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in GiustiziaInsieme, 11 novembre 2020; Id., Quel pasticciacio della questione di giurisdizione. Parte seconda: conclusioni di un convegno di studi, in Federalismi, 34/2020; Id., Il pasticciaccio parte terza. Prime considerazioni su Corte di Giustizia UE, 21 dicembre 2021 C-497/20, Randstad Italia spa, in Federalismi, 9 febbraio 2022.