Sillogismi, inferenze e illogicità argomentative, nella prospettiva di sviluppo della discrezionalità tecnica nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Nota a T.A.R. Lazio, sez. Quarta Ter, Ordinanza 27 luglio 2023, n. 4567
di Luca Gili e Edgardo Marco Bartolazzi Menchetti
Con l’ordinanza 27 luglio 2023, n. 4567, emessa nel giudizio distinto con n. 9566/2023 reg. ric., il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Quarta Ter) ha respinto la domanda cautelare presentata dal partecipante ad un concorso bandito dal Ministero della Cultura nel giudizio per l’annullamento di una prova scritta concorsuale.
Il ricorrente agiva per l’annullamento degli atti con cui era stato disposto il mancato superamento, da parte sua, della prova scritta, derivato dal mancato raggiungimento nella valutazione, per un solo punto, della soglia di sbarramento.
La doglianza del ricorrente verteva specificamente su un quesito di “capacità logico deduttiva e di ragionamento critico-verbale”, per il quale la risposta fornita dal concorrente era stata considerata errata. L’Amministrazione chiedeva di identificare, tra una serie di risposte, quella che seguirebbe logicamente dall’enunciato: “se dici la verità, andrà tutto bene”. L’unica risposta corretta, secondo l’Amministrazione, era la seguente: “non è andato tutto bene, quindi non hai detto la verità”. Il ricorrente sosteneva invece che tale risposta fosse sbagliata e che fosse corretta invece quella da lui prescelta: “se non dici la verità le cose potrebbero andare male ma non necessariamente”.
Il caso permette di svolgere alcune considerazioni in ordine alla formulazione del quesito ed alla sua interpretazione da parte del concorrente, sia sotto il profilo logico-inferenziale, sia per quanto attiene i profili giuridici sottostanti alla formazione delle prove concorsuali che vengono somministrate ai concorrenti. I due aspetti vengono affrontati separatamente dai due autori, per i rispettivi profili di competenza.
Una analisi logica di un quesito a risposta multipla e di una ordinanza
Luca Gili
Prescindendo dalla validità della risposta prescelta dal ricorrente[i] (essa, infatti, all’interno della logica modale aristotelica, appare compatibile con l’affermazione contenuta nel quesito proposto dall’Amministrazione, e quindi seguirebbe logicamente da essa),[ii] l’ordinanza ha correttamente respinto il ricorso, entrando nel merito del quesito e argomentando che la risposta prescelta dall’Amministrazione era corretta. Ma se l’ordinanza è impeccabile nelle sue conclusioni e nel dispositivo che da esse dipende, ci sembra che l’argomentazione contenga più di una confusione di ordine logico, che questa nota si propone di dissipare.
Dopo aver correttamente sostenuto che il giudice amministrativo non può entrare nel merito della correttezza delle risposte selezionate da un gruppo di esperti, come più volte ribadito dalla Giurisprudenza (l’ordinanza richiama le sentenze n. 2296 e n. 2302 del 29 marzo 2022, e n. 531 del 16 gennaio 2022 della sesta sezione del Consiglio di Stato), il giudice prosegue chiarendo che in casi di manifesta illogicità il tribunale può intervenire. Non essendo presente alcuna irragionevolezza o incongruità nella risposta considerata corretta dalla Amministrazione, contrariamente a quanto sostenuto nella doglianza, il ricorso avrebbe senz’altro dovuto essere respinto, come effettivamente previsto dal dispositivo.
A questo proposito, tuttavia, occorre rilevare che l’argomentazione seguita dal TAR risulta assai difettosa dal punto di vista delle distinzioni e dei concetti logici richiamati.
Nell’ordinanza si legge quanto segue:
“la risposta considerata corretta dall’Amministrazione identifica, invero, l’esito di un ragionamento logico aristotelico, completando un sillogismo categorico o perfetto, ovverosia un discorso consequenziale che parte da due premesse, una maggiore – “se dici la verità” -ed una minore – “andrà tutto bene” – per arrivare all’unica conclusione logicamente necessaria: “non è andato tutto bene, quindi sicuramente non hai detto la verità”. Le due premesse, nel sillogismo perfetto qual è quello proposto al candidato dal quiz in contestazione, sono date per certe e portano deduttivamente ad una conclusione che è logica e necessaria. Tanto a differenza del sillogismo retorico (detto anche “dialettico”), diverso da quello categorico e perfetto somministrato al ricorrente, rispetto al quale, essendo le “premesse” date per probabili (e non per certe come nella fattispecie), avrebbe potuto essere valutata corretta, quale conseguenza deduttiva, una risposta probabilistica (“se non dici la verità le cose potrebbero andare male ma non necessariamente”) qual [sic] è quella prescelta dal ricorrente”.
In questo brano si riscontrano numerosi errori.
Innanzi tutto, il quesito proposto dalla Amministrazione non è un sillogismo aristotelico, perché l’argomento non rientra in nessuna delle tre figure del sillogismo descritte dallo Stagirita nei capitoli 4-7 del primo libro dei suoi Analitici Primi, ossia nel testo in cui viene esposta la dottrina del sillogismo categorico. Siamo piuttosto di fronte a un ragionamento di logica proposizionale ed è noto che Aristotele non ha sviluppato un calcolo proposizionale,[iii] che fu piuttosto il contributo che dopo di lui gli Stoici diedero alla storia della logica.[iv] In gergo tecnico, il quesito proposto dalla Amministrazione è una contrapositio e la sua validità riposa sulle tavole di verità dei connettivi logici (in particolare della negazione e della implicazione materiale). Dati due valori di verità per le variabili proposizionali (il Vero e il Falso) e una variabile proposizionale “p”, l’operatore di negazione (“non…”) è definito come segue:
p | Non p |
Vero | Falso |
Falso | Vero |
Date due variabili proposizionali “p” e “q”, l’implicazione materiale (“se…, allora…”) sarà invece definita come segue:
p | q | Se p, allora q |
Vero | Vero | Vero |
Vero | Falso | Falso |
Falso | Vero | Vero |
Falso | Falso | Vero |
Date queste definizioni, comunemente accettate nel calcolo delle proposizioni, e assegnata la lettera p all’enunciato “dici la verità” e la lettera q all’enunciato “andrà tutto bene”, il quesito e la risposta corretta scelti dall’Amministrazione formano il seguente enunciato:
- se (se p, allora q), allora (se non-q, allora non-p).
- se (se p, allora q), allora è possibile che (se non-p, allora non-q).
- se (se p, allora q), allora (se non-p, allora non-q).
Questo enunciato, noto come contrapositio, è vero in virtù delle definizioni dei connettivi logici (“non…” e “se…, allora…”) che in esso occorrono.
L’ordinanza fa riferimento erroneamente al sillogismo categorico che è identificato col sillogismo perfetto. Aristotele invece chiama “perfetti” o “completi” (teleioi) i sillogismi che non abbisognano di procedimenti ulteriori per mostrare la loro correttezza (si veda in proposito Aristotele, Analitici Primi, A 1, 24b23-24b26): tali sono, secondo lo Stagirita, i sillogismi di prima figura, ossia, secondo la nomenclatura tradizionale, Barbara, Celarent, Darii e Ferio. Il quesito proposto dall’Amministrazione non si configura come alcuno di questi sillogismi, anzitutto perché non è un sillogismo categorico. Se anche è vero che nella letteratura secondaria più datata il sillogismo categorico è stato presentato anche come una implicazione materiale,[v] le premesse figuravano nella protasi, laddove la apodosi conteneva soltanto la conclusione.
L’ordinanza oppone poi il sillogismo perfetto o categorico a quello retorico o dialettico. Anche in questo caso siamo di fronte a una serie di confusioni. Come si è detto, il sillogismo perfetto si oppone, al più, ai sillogismi imperfetti, cioè ai sillogismi che hanno bisogno di elementi ulteriori (ad esempio, di riduzioni alla prima figura) per dimostrare il carattere necessario del nesso inferenziale. Il sillogismo categorico, invece, si oppone ai sillogismi modali, che Aristotele tratta in Analitici Primi A, 8-22. Il sillogismo retorico secondo Aristotele è un entimema, ossia un sillogismo con una premessa implicita (cfr. Aristotele, Retorica, A, 1, 1354a12-1354a31), e non è sinonimo di sillogismo dialettico: la dialettica è anzi il “corrispettivo” della retorica nell’ottica di Aristotele e non si confonde con quest’ultima (cfr. Aristotele, Retorica, A, 1, 1354a1-1354a11). Se invece si guarda al contenuto delle premesse, come sembra voler fare l’ordinanza, abbiamo infine una opposizione tra sillogismo dimostrativo (con premesse vere e necessarie e conclusione necessaria) e sillogismo dialettico (con premesse “probabili” ovvero “endossali” – anche in questo caso la distinzione è tracciata da Aristotele in Analitici Primi, A, 1).
A questo punto però l’ordinanza commette un ulteriore errore che, se non pregiudica la correttezza della decisione di respingere il ricorso, ci appare però foriero di possibili decisioni sbagliate anche in sede giurisprudenziale, qualora il contendere vertesse non tanto sulla presunta scorrettezza della risposta scelta dall’Amministrazione, quanto sulla necessità di determinare se anche la risposta selezionata dal ricorrente sia corretta. L’errore dell’ordinanza, nel gergo logico, consiste nella confusione tra forma e materia dell’inferenza, ovvero tra la validità dell’argomento e la verità delle premesse e della sua conclusione. Un argomento probabile, se logicamente corretto, inferisce necessariamente una conclusione probabile, tanto quanto un argomento corretto con premesse necessarie e conclusione necessaria inferisce necessariamente la conclusione necessaria. Nel lessico medievale, si sarebbe detto che altra cosa è la necessitas consequentiae (ovvero la necessità dell’inferenza) e altra la necessitas consequentis (ossia la qualificazione della conclusione di un argomento come necessaria). In quest’ottica, anche se la conclusione “se non dici la verità le cose potrebbero andare male ma non necessariamente” è probabile, essa può comunque seguire necessariamentedall’enunciato proposto dall’Amministrazione nel quesito. Evitando il lessico fuorviante della probabilità scelto nell’ordinanza, potremmo piuttosto qualificare con un operatore modale di possibilità la conclusione considerata scorretta dalla Amministrazione ma prescelta dal ricorrente. L’intero enunciato, che includa il quesito dell’Amministrazione e la risposta prescelta dal ricorrente, sarebbe quindi il seguente:
L’inserzione dell’operatore di possibilità, come intravede la stessa ordinanza (“avrebbe potuto essere valutata corretta, quale conseguenza deduttiva, una risposta probabilistica”), complica le cose. Se l’Amministrazione avesse formulato il quesito senza di esso, la risposta prescelta dal ricorrente si qualificherebbe come una falsa contrapositio e sarebbe quindi scorretta nel calcolo classico delle proposizioni:
L’enunciato (iii) è falso in virtù delle definizioni date nelle tavole di verità già menzionate per i connettivi logici impiegati. Ma l’enunciato (ii), a ben vedere, potrebbe essere corretto in alcune logiche[vi]. E se l’enunciato (ii) è corretto in un modello di interpretazione del linguaggio adottato (come noi riteniamo che sia), l’intera consequentia sarà necessaria.
Ciò ovviamente non inficia il dispositivo dell’ordinanza, che rimane corretto nella sostanza. Ma come talvolta accade in una connessione sillogistica invalida, la conclusione è vera, ma non segue necessariamente dalle premesse, né le premesse assunte sono vere[vii].
Discrezionalità tecnica, prove concorsuali e uno sguardo sul contributo dell’Intelligenza artificiale.
Edgardo Marco Bartolazzi Menchetti
1. Il caso esaminato dal T.A.R. del Lazio offre spunti di riflessione sul procedimento di ragionamento sotteso alla predisposizione dei quesiti concorsuali. La fattispecie è già stata oggetto delle considerazioni compiute, sotto il profilo logico-critico, da Luca Gili, sicché pare interessante approfondire anche le prospettive che si delineano dal punto di vista giuridico, tanto più sotto una veste di attualità, data dall’incombente contributo che l’intelligenza artificiale potrà essere in grado di fornire in materia.
La predisposizione dei quesiti di cui si compone una prova concorsuale è un’attività che richiede il possesso di competenze qualificate, così come l’esame dei candidati che redigano un elaborato scritto, o che siano sottoposti ad una prova orale. Tali incombenti sono disciplinati dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, che nel testo come da ultimo modificato, in esito al D.P.R. 16 giugno 2023, n. 82, prevede, per quanto qui di rilievo, che le prove siano valutate da commissioni composte “da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra dipendenti di ruolo delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime” e che alle stesse commissioni sia demandata la preparazione delle tracce di ciascuna prova scritta, in numero di tre e che siano “elaborate con modalità digitale”.
La fase, eventuale, della “preselezione” viene adottata nelle prove concorsuali ove si preveda un significativo afflusso di candidati, al fine di rendere possibile alla commissione di procedere con gli esami, scritti o orali che siano, con adeguato tempo e approfondimento[viii]. Le indicazioni ministeriali mostrano che anche tali prove preselettive devono essere tuttavia costruite con criterio, dunque senza privilegiare coloro che abbiano “il tempo di svolgere uno studio mnemonico, che non necessariamente corrispondono a quelli più preparati e più capaci”, e includendo, al fine di valutare “non solo la preparazione, ma anche le capacità e le competenze” dei candidati, “sia quesiti basati sulla preparazione (generale e nelle materie indicate dal bando), sia quesiti basati sulla soluzione di problemi, in base ai diversi tipi di ragionamento (logico, deduttivo, numerico)”[ix]. I quesiti, sia nel caso di prova scritta o orale, che di preselezione scritta, vengono poi sottoposti ai singoli candidati mediante estrazione a sorte[x], con predisposizione casuale delle singole schede contenenti i quesiti a risposta multipla, e tramite sorteggio, da parte di almeno due candidati, delle tracce delle prove scritte.
2. Coerentemente con il quadro normativo delineato, dal quale emerge in particolare il necessario possesso, da parte dei membri della commissione, di specifiche competenze tecniche, l’operato del gruppo degli esaminatori, sia nella predisposizione dei quesiti, che nella correzione dell’elaborato con cui il candidato risponda ad essi, rientra, secondo quanto indicato dal T.A.R. del Lazio con l’ordinanza in commento, nell’esercizio della discrezionalità tecnica. Caratteristica principale di tale categoria è quella di essere, per definizione, sottratta al sindacato giurisdizionale in quanto avente ad oggetto valutazioni tese non ad apprezzare il pubblico interesse, ma soltanto un fatto, sotto i profili della tecnica, e inoltre non verificabile in modo indubbio[xi].
Va quindi evidenziato che il T.A.R. dapprima, riferendosi alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, rammenta che “rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione la corretta formulazione dei quesiti, con conseguente impossibilità per il giudice amministrativo di compiere un sindacato sulla esattezza delle risposte ritenute corrette dalla commissione di esperti che li ha elaborati”, facendone discendere che “in relazione alla elaborazione dei quesiti oggetto di prova concorsuale, sono rilevabili vizi di legittimità solo in presenza di veri e propri errori, che possano ritenersi accertati in modo inequivocabile in base alle conoscenze proprie del settore di riferimento e ferma restando la non erroneità di scelte discrezionalmente compiute, in rapporto alle peculiari finalità delle prove da espletare”. Successivamente, lo stesso Giudice, pur formalmente limitando la propria valutazione ad una disamina circa la possibile sussistenza di “manifesta irragionevolezza, illogicità e incongruità del quesito contestato”, afferma, nel merito, che “la risposta considerata giusta dall’Amministrazione appare, in effetti, come l’unica corretta e completa, costituendo, invece, le altre risposte dei meri “distrattori””.
3. La decisione si muove quindi sul sottilissimo confine tra discrezionalità tecnica nell’individuazione della risposta corretta di un quesito concorsuale, e possibilità di individuare con certezza, in applicazione delle semplici conoscenze proprie del settore, la soluzione. Nel caso considerato, il T.A.R. ritiene di poter individuare, in quella prescelta dall’Amministrazione, la risposta oggettivamente corretta, e così perviene al rigetto del ricorso.
Presupposto di tale operato è che il Tribunale abbia considerato l’individuazione della risposta corretta come possibile in maniera oggettiva, senza dunque “sconfinare nel merito amministrativo, ambito precluso al giudice amministrativo, il quale non può sostituirsi ad una valutazione rientrante nelle competenze valutative specifiche degli organi dell’Amministrazione a ciò preposti, e titolari della discrezionalità di decidere quale sia la risposta esatta ad un quiz formulato”[xii]. Spiega infatti la decisione in commento che “in relazione alla elaborazione dei quesiti oggetto di prova concorsuale, sono rilevabili vizi di legittimità solo in presenza di veri e propri errori, che possano ritenersi accertati in modo inequivocabile in base alle conoscenze proprie del settore di riferimento e ferma restando la non erroneità di scelte discrezionalmente compiute, in rapporto alle peculiari finalità delle prove da espletare”. La prospettiva corretta da assumere non è pertanto nel senso che il Giudice amministrativo può ritenere corretta una risposta ove essa sia oggettivamente individuabile, bensì che esso può censurare come illegittima l’attività di predisposizione della prova concorsuale ove la risposta individuata dall’amministrazione risulti, in maniera oggettivamente accertabile, errata.
Nel caso considerato, dunque, la risposta che l’amministrazione aveva individuato come corretta viene confermata dal T.A.R. in quanto inattaccabile. Infatti, dovendosi assumere, nel contesto del quesito, come vere le due premesse (se dici la verità / tutto andrà bene) risulta con esse logicamente compatibile, far discendere la conseguenza “non è andato tutto bene” dall’assunto “sicuramente non hai detto la verità”. Ciò è ritenuto sufficiente per considerare immune da censure l’operato della commissione.
4. La fattispecie esaminata, però, oltre a quelle propriamente logiche e giuridiche viste sopra, suscita riflessioni in prospettiva futura. In particolare, nell’epoca del digitale, ci si chiede se le stesse considerazioni potrebbero valere laddove i quesiti di una prova concorsuale vengano predisposti mediante strumenti “ad intelligenza artificiale”.
Nel caso in commento, infatti, il Tribunale Amministrativo è stato interessato della verifica circa la correttezza del ragionamento svolto da una commissione esaminatrice “umana”, per appurare che la risposta ad un quesito presentata come corretta dall’Amministrazione non potesse essere messa in discussione, ma analoga indagine potrebbe essere richiesta nel caso in cui un quesito fosse predisposto da un computer, a maggior ragione se vertente su quegli ambiti di ragionamento che, come indicato sopra, devono essere esaminati al fine di valutare non solo la stretta preparazione del candidato per la prova, ma anche le sue capacità e competenze parimenti “umane”.
4.1. Sul punto, va presupposto il richiamo a tutte le indicazioni già fornite dalla giurisprudenza amministrativa in tema di motivazione della decisione fondata su algoritmi, e pertanto la necessità che il criterio di “ragionamento” della macchina sia reso noto a chi debba subirne le conseguenze. La giurisprudenza del Consiglio di Stato[xiii] ha infatti ritenuto che “il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico” e che, conseguentemente, “il giudice deve poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo, di cui si è ampiamente detto”. Tale regola sembra infine poter essere specificata, secondo gli indirizzi espressi in tema di chiara e specifica individuazione del trattamento di dati personali compiuto da strumenti ad intelligenza artificiale, nel senso per cui a dover essere resi conoscibili “in chiaro” sono i dati di partenza considerati dalla macchina, e il procedimento con cui da essi si pervenga ad un risultato o si risolva un determinato problema[xiv].
4.2. A fronte della descritta situazione, la predisposizione di quesiti di prove concorsuali, a maggior ragione se “di logica”, da parte di sistemi ad intelligenza artificiale pone rilevanti interrogativi, fondati essenzialmente sulle modalità proprie di funzionamento di tali macchine.
Infatti, senza poterci addentrare più nello specifico data la profonda tecnicità del tema, da più parti si è osservato che quello che appare un “ragionamento” del software è in realtà la mera applicazione di criteri statistici, e il risultato di prove comparative che esso compie tra numerosissimi risultati, per individuare quale maggiormente si avvicini a quello che, sempre secondo statistica, e secondo le “nozioni” inserite ed eventualmente apprese, il sistema riconosca come più prossimo a quello individuabile come ottimale[xv], senza tuttavia comprendere effettivamente il significato dei dati oggetto di valutazione.
Studi molto noti hanno messo in luce che a questi sistemi manca ancora, ad esempio, la capacità di compiere valutazioni etiche, limiti che precludono – ancora – di assimilare il loro operato a quello della mente umana[xvi].
Deve quindi ritenersi, in una prospettiva tecnica ancor prima che giuridica, che la predisposizione di quesiti in particolari ambiti, ove possano assumere un rilievo maggiore le valutazioni più strettamente logiche e causali, e non meramente nozionistiche, i quali dovrebbero essere comunque presenti secondo le vedute indicazioni ministeriali, potrebbe suscitare problemi ove demandata a meccanismi di intelligenza artificiale.
4.3. In tale prospettiva, risultano pienamente condivisibili e attuali, nonostante la velocità con cui il mondo della tecnologia evolve, gli indirizzi che emergono dalla giurisprudenza amministrativa, ma anche dalla produzione normativa, in fieri, interna e dell’Unione Europea.
Sotto il primo aspetto, può citarsi l’orientamento tracciato dal T.A.R. del Lazio[xvii], secondo cui l’utilizzo di procedure informatiche, rispetto ai procedimenti amministrativi, deve sempre collocarsi “in una posizione necessariamente servente rispetto agli stessi”. La stessa giurisprudenza, con notevole lungimiranza, ha infatti posto in rilievo l’importanza de “l’attività dianoetica[xviii] dell’uomo” nell’ambito dei procedimenti che richiedono, per l’adozione del provvedimento finale, un’attività “talora ponderativa e comparativa di interessi e conseguentemente necessariamente motivazionale”. Sembra di poter cogliere, in questo passaggio, un rinvio proprio a quegli studi, citati poco sopra, che sul presupposto del riscontro di una carenza razionale nel meccanismo di funzionamento delle attuali Intelligenze Artificiali[xix], si concentrano sulla ricerca di strumenti per dotare gli stessi software di capacità di inferenza causale.
Nello stesso senso si sviluppano le riflessioni contenute nel “Libro Bianco sull’Intelligenza artificiale” in corso di sviluppo da parte dell’Agenzia per l’Italia Digitale[xx], ove la soluzione etica per i problemi che l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale pone alla Pubblica amministrazione è rinvenuta nell’adozione di un approccio “antropocentrico, secondo cui l’Intelligenza Artificiale deve essere sempre messa al servizio delle persone e non viceversa”[xxi]. In senso analogo depongono le indicazioni provenienti dall’Unione Europea, che menziona tra i requisiti fondamentali delle applicazioni ad Intelligenza Artificiale, a maggior ragione se destinate all’impiego in procedure pubbliche, la presenza di “intervento e sorveglianza umani”, volti in particolare ad “aiutare le persone a compiere scelte migliori e più consapevoli nel perseguimento dei loro obiettivi”[xxii].
5. Sulle premesse esposte risulta, allo stato, che l’intervento e il controllo umano restano imprescindibili, sia nella predisposizione dei procedimenti che portano l’Intelligenza Artificiale agli esiti deduttivo-statistici suoi propri, che nella finale valutazione di tale risultato[xxiii].
Il che, tornando ai quesiti concorsuali oggetto della decisione in commento, porta a concludere che non sarebbe possibile, tantomeno con riguardo ad un quesito di logica, delegare interamente ad una macchina “non senziente” la predisposizione di un elaborato destinato a fungere da prova concorsuale. Sotto tutti i profili, dunque tecnico, giuridico e, infine, etico, morale e di dignità della persona umana, quest’ultima garantita da norme fondamentali[xxiv] e comunque considerata valore universale[xxv] - emergendo sotto tale aspetto il diritto dell’uomo ad essere giudicato da un suo pari[xxvi] - tutti gli indirizzi appaiono concordanti nel rendere necessario che il quesito sia predisposto dal pubblico incaricato, o comunque da esso validato mediante propria personale valutazione, compiuta alla luce delle specifiche conoscenze possedute, e dunque suscettibile di conferma e validazione nel sistema di riferimento.
La competenza umana, richiesta attualmente in capo all’esaminatore nella individuazione dei quesiti e delle risposte, e in futuro nella validazione di quelli eventualmente predisposti dall’intelligenza artificiale, resta pertanto, almeno allo stato, imprescindibile.
[i] Il punto, però, non è secondario. Il giudice ritiene che esista un’unica risposta corretta, ossia quella individuata dall’Amministrazione: “la risposta considerata giusta dall’Amministrazione appare, in effetti, come l’unica corretta e completa, costituendo, invece, le altre risposte dei meri “distrattori”, la cui funzione è proprio quella di “distrarre” il candidato dall’individuazione dell’unica risposta corretta”. A noi sembra che questa affermazione, che pure non inficia il dispositivo, sia contestabile.
[ii] L’argomento per validare la risposta scelta dal ricorrente, alla luce delle definizioni che saranno date nel seguito di questa nota, potrebbe essere il seguente:
1. Se (se p, allora q), allora (se non-p, allora o q o non-q). Tautologia
2. Se (se p, allora q), allora (se non-p, allora è necessario che sia possibile che [o q o non-q]). Da 1, sistema B di logica modale proposizionale
3. Se (se p, allora q), allora (se non-p, allora è possibile che [o q o non-q]). Da 2, per assioma modale T (eliminazione del necessario)
4. Se (se p, allora q), allora (se non-p, allora è possibile che [non-q]). Da 3, per la definizione aristotelica di “possibile”, in virtù della quale “è possibile x” se e solo se “è possibile x ed è possibile non-x”.
[iii] Si consultino, per questa affermazione, le classiche storie della logica di Jozef Bocheński (Formale Logik, Freiburg [CH] - Munich, K. Alber, 1956), di Martha e William Kneale (The Development of Logic, Oxford, Clarendon Press, 1962) e il manuale collettivo curato da Dov Gabbay e James Woods (Handbook of the History of Logic. Volume 1. Greek, Indian and Arabic Logic, Amsterdam, Elsevier, 2004).
[iv] Aristotele argomenta in Analitici Primi A, 23 che tutte le inferenze corrette possano essere ricondotte ad uno dei modi che rientrano nelle tre figure del sillogismo. Prout verba sonant, ciò significa che anche una inferenza di calcolo proposizionale debba in linea di principio essere ricondotta al sillogismo categorico, ma il ragionamento di Aristotele si muove soltanto all’interno della logica dei termini e non contempla affatto il calcolo proposizionale. Quando i commentatori di Aristotele si trovarono a discutere il teorema proposto in Analitici Primi A, 23 dopo l’introduzione del calcolo proposizionale da parte degli Stoici ebbero più di un problema a giustificare l’assunto dello Stagirita, tanto che Alessandro di Afrodisia (III sec. d.C.), ad esempio, sostenne che gli argomenti degli Stoici erano “superflui”, né potevano rientrare tra le inferenze definite da Aristotele in Analitici Primi A, 1, 24b19-24b22, perché non inferivano nulla di “nuovo” rispetto a quanto già contenuto nelle premesse (e la novità, per Alessandro che in questo è un fedele seguace dello Stagirita e della sua impostazione terministica, consiste in una nuova connessione predicativa tra termini). In questo modo non era negata l’affermazione che tutte le inferenze non superflue possono essere ricondotte alla forma sillogistica proposta in Analitici Primi A, 4-7. Intorno a tale problema ci sia permesso rimandare a L. Gili, La sillogistica di Alessandro di Afrodisia, Olms, Hildesheim, 2011.
[v] Si veda in particolare J. Łukasiewicz, Aristotle’s Syllogistic from the Standpoint of Modern Formal Logic, Oxford, Clarendon, 1957. L’impostazione di Łukasiewicz, che qui si richiama, in virtù del cosiddetto principle of charity, per segnalare l’approccio storiografico che più somiglia a ciò cui l’ordinanza sembra alludere, è oggi in larga parte abbandonata e la maggior parte dei tentativi di ricostruire il sillogismo aristotelico adottando i formalismi contemporanei ricorre alla deduzione naturale, presentando quindi il sillogismo categorico come una regola deduttiva in cui, date due premesse di una certa struttura, segue una conclusione di una certa struttura.
[vi] Si veda in proposito l’argomento esposto nella nota 2.
[vii] Si consideri il seguente argomento invalido.
Premessa maggiore: Qualche essere umano è un sasso
Premessa minore: Qualche sasso è razionale.
Conclusione: Tutti gli esseri umani sono razionali.
Il modo è invalido (in virtù della regola: nihil sequitur geminis ex particularibus unquam) e le premesse sono scorrette, ma la conclusione è vera. Il dispositivo dell’ordinanza non differisce molto dalla conclusione di questo esempio.
[viii] Secondo la direttiva n. 3 del 24 aprile 2018 del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, “La preselezione dovrebbe essere rivolta a selezionare un numero di candidati non talmente grande da rendere il concorso difficile da gestire e la preselezione inutile, né talmente piccolo da rendere poco competitivo lo svolgimento successivo del concorso”.
[ix] Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, direttiva n. 3/2018, cit.
[x] Art. 12, D.P.R. n. 487/1997.
[xi] Cfr. A. Pubusa, (voce) Merito e discrezionalità amministrativa, in Dig. Disc. Pubb., IX, 1994, 411. Viene peraltro osservato che ove oggetto della valutazione fossero fatti semplici, verificabili in modo indubbio secondo le conoscenze tecniche e scientifiche, la tecnica diverrebbe fonte di regole obiettivamente verificate e comunemente accettabile, aprendo la possibilità del sindacato giurisdizionale (C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985, 1).
[xii] Cons. di Stato, sez. VI, sent. 29 marzo 2022, n. 2302, richiamata nella decisione qui commentata.
[xiii] Cons. di Stato, sentenza 8 aprile 2019, n. 2270.
[xiv] Cass., ord. 10 ottobre 2023, n. 28358, secondo cui “Ciò che rileva, invece, è che sia possibile tradurre in linguaggio matematico/informatico i dati di partenza, cosicché il tutto divenga opportunamente comprensibile alla macchina, grazie ai soggetti esperti programmatori, secondo le sequenze e le istruzioni tratte dai dati "in chiaro"”, e ancora, risulta necessario che il soggetto interessato “sia in grado di conoscere l'algoritmo, inteso come procedimento affidabile per ottenere un certo risultato o risolvere un certo problema, che venga descritto all'utente in modo non ambiguo ed in maniera dettagliata, come capace di condurre al risultato in un tempo finito”.
[xv] Interessanti, in merito, gli spunti forniti da A. D. Signorelli, Sarà mai realizzata un’intelligenza artificiale che pensa come una persona?, in Il Tascabile, 2021, che spiega, ad esempio, che quella che appare come intelligenza dei sistemi quali ad esempio GPT-3 è allo stato piuttosto il risultato “di un immenso taglia e cuci statistico”. Ulteriori indicazioni tecniche in questo senso in B. Bergstein, What AI still can’t do, in MIT Technology Review, 2020, che spiega che l’utilizzo tradizionale dell’IA è riconducibile alle tecniche di deep learning, con le quali, partendo da un enorme ammontare di dati relativi a situazioni familiari, si può pervenire a previsioni molto accurate, e che le sfide di questa tecnologia risiedono, ora nell’evoluzione della capacità di affrontare in maniera più approfondita i rapporti di causalità, divenendo in grado di comprendere l’evoluzione di situazioni molto più caotiche e imprevedibili, quali quelle riscontrabili nel mondo reale, e di formulare ipotesi sugli esiti dei differenti andamenti che una medesima situazione avrebbe potuto assumere. L’autore da ultimo citato pone altresì in luce la differenza nel procedimento di individuazione delle risposte mediante meccanismi correlativi e causativi, questi ultimi, inerenti la capacità di comprendere compiutamente meccanismi di causa ed effetto, approfonditi da J. Pearl, An introduction to causal inference, in The international Journal of Biostatistics, 2010 e ancora non suscettibili di efficace e concreta implementazione nei software ad intelligenza artificiale, pure oggetto di intensi studi, quali quelli rappresentati in E. Bareinboim-J. Pearl, Causal inference and the data-fusion problem, in PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 2016 o E. Bareinboim – J.D. Correa - D. Ibeling, On Pearl’s hierarchy and the foundations of causal inference, in Aa. Vv., Probabilistic and Causal Inference: The Works of Judea Pearl, New York, 2022, 507.
[xvi] G. Tamburrini, Etica delle macchine. Dilemmi morali per robotica e intelligenza artificiale, Roma, 2020.
[xvii] In particolare, T.A.R. Lazio - Roma, sentenza n. 9224 del 10.09.2018, che ha applicato principi già espressi in precedenti decisioni (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III bis, sent. 20 luglio 2016, n. 8312; Cons. di Stato, Sez. VI, sent. 7 novembre 2017 n. 5136; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III bis, sent. 8 agosto 2018, n. 8902)
[xviii] Formula con evidente rinvio a quelle virtù proprie dell’intelletto umano secondo la dottrina morale aristotelica, che ne enumera cinque, ovvero: l’arte (τέχνη), la scienza (ἐπιστήµη), la saggezza pratica o prudenza (φρόνησις), l’intelletto (νοῦς) e la sapienza (σοφὶα).
[xix] Eloquente il passaggio in cui il TAR del Lazio indica che “Il Collegio è del parere che le procedure informatiche, finanche ove pervengano al loro maggior grado di precisione e addirittura alla perfezione, non possano mai soppiantare, sostituendola davvero appieno, l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere” (sent. n. 9224/2018, cit.).
[xx] Reso disponibile per pubblica consultazione all’indirizzo https://whitepaper-ia.readthedocs.io/.
[xxi] AgID, Libro Bianco sull’Intelligenza artificiale, Cap. III, “Sfida 1: Etica”.
[xxii] Comunicato della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al comitato delle Regioni: Creare fiducia nell’intelligenza artificiale antropocentrica, COM/2019/168 final adottato il 08.04.2019, che prosegue specificando il requisito nei seguenti termini: “I sistemi di IA dovrebbero [..] promuovere lo sviluppo di una società fiorente ed equa sostenendo l'intervento umano e i diritti fondamentali e non ridurre, limitare o fuorviare l'autonomia umana”.
[xxiii] Anche su questo punto, sono particolarmente significative le osservazioni della giurisprudenza amministrativa, secondo cui il funzionario “deve seguitare ad essere il dominus del procedimento stesso, all’uopo dominando le stesse procedure informatiche predisposte in funzione servente e alle quali va dunque riservato tutt’oggi un ruolo strumentale e meramente ausiliario in seno al procedimento amministrativo e giammai dominante o surrogatorio dell’attività dell’uomo; ostando alla deleteria prospettiva orwelliana di dismissione delle redini della funzione istruttoria e di abdicazione a quella provvedimentale, il presidio costituito dal baluardo dei valori costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (T.A.R. Lazio, sent. n. 9224/2018).
[xxiv] Quali l’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
[xxv] Così nella CEDU, come si desume dalla necessità di protezione del diritto alla vita “per il pieno riconoscimento della dignità inerente a tutti gli esseri umani” (Premessa al Protocollo n. 13 adottato a Vilnius il 3 maggio 2002), ma come è pure accettato dalla nostra giurisprudenza costituzionale (tra le ultime, Corte Cost., sent. 21 luglio 2023, n. 159, ove i più gravi crimini internazionali vengono indicati come “lesivi di valori universali come il rispetto della dignità umana e dei diritti umani”).
[xxvi] Può essere a questo proposito richiamato l’insegnamento di Montesquieu, che interrogandosi sulla legittimità della previsione per cui i Lords inglesi avrebbero potuto essere giudicati solo da una commissione di loro pari osservava che “I grandi sono sempre esposti all’invidia; e se fossero giudicati dal popolo, potrebbero correre pericolo e non godrebbero del vantaggio che ha il più piccolo dei cittadini di un paese libero, quello di essere giudicato dai suoi pari. Bisogna dunque che i nobili siano chiamati non davanti ai tribunali ordinari della nazione, ma davanti a quella parte del Corpo legislativo che è composto di nobili (lib. II, e. 6)” (così P.O. Vigliani, Questioni sulla giurisdizione penale del Senato del Regno, in Annali di giurisprudenza italiana, I, 1866/67, nt. 4).