Le prime (dis)applicazioni del c.d. Decreto Cutro (Nota a margine dei decreti del Tribunale di Catania,sez. specializzata dell’immigrazione, nn. 10459, 10460 e 10461 del 29 settembre 2023)
di Carolina Cappabianca e Sveva Speranza[1]
Sommario: 1. L’inquadramento della vicenda - 2. Le novità introdotte dal d.l. 10 marzo 2023, n. 20- 3. Le motivazioni del Tribunale di Catania sulla disapplicazione del “decreto Cutro”. - 4. Riflessioni conclusive.
1. L’inquadramento della vicenda
La sezione specializzata dell’immigrazione del Tribunale di Catania con i decreti nn. 10459, 10460 e 10461 del 29 settembre 2023 non ha convalidato i provvedimenti emanati dal Questore della Provincia di Ragusa con cui venivano trattenuti presso i Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)[2] di Pozzallo tre immigrati provenienti dalla Tunisia, ritenendo le disposizioni del c.d. Decreto Cutro (d.l. 10 marzo 2023, n. 20) non conformi alle quelle di rango sovranazionale che regolano il fenomeno immigratorio.
Nel caso di specie, infatti, il Questore in applicazione del nuovo articolo 6-bis del d.lgs. 142/2015, aveva disposto il trattenimento di tre immigrati richiedenti protezione internazionale, in quanto sprovvisti di documento di riconoscimento e privi di garanzia finanziaria.
La motivazione con cui il Tribunale di Catania ha disposto i provvedimenti in esame si fonda – tendenzialmente – sul contrasto delle norme di cui al c.d. Decreto Cutro con le direttive europee n.n. 32 e 33 del 2013, ritenendo nello specifico che il trattenimento del richiedente asilo in frontiera possa essere adottato solo come extrema ratio e con un provvedimento debitamente motivato sul punto, dovendosi ad esso preferire la previsione di effettive e realistiche misure alternative.
Le recenti pronunce consentono di analizzare le prime applicazioni delle disposizioni del c.d. Decreto Cutro relative, in particolare, al trattenimento del richiedente protezione internazionale soggetto alla procedura accelerata di frontiera, indagandone le implicazioni sul piano della tutela delle libertà fondamentali della persona. Nonché di porre al centro della riflessione il non facile compito del giudice nazionale come garante del diritto europeo e della costituzione italiana in una materia, come quella dei flussi migratori, caratterizzata da una pluralità di fonti interne e sovranazionali.
2. Le novità introdotte dal d.l. 10 marzo 2023, n. 20
La legge n. 50/2023 (di conversione del d.l. 20/2023) ha operato l’ennesima riforma del sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati[3]. Si tratta, infatti - come da più parti evidenziato - del terzo provvedimento adottato nell’arco di sei anni che interviene sul d.lgs. n. 142/2015 che, a sua volta, ha recepito nel nostro ordinamento la disciplina europea dettata dalle direttive n.n. 32 e 33 del 2013.
In particolare, la legge n. 50/2023 interviene su più aspetti della disciplina dell’accoglienza, anzitutto ripristinando il c.d. sistema binario (previsto con il d.l. 113/2018 e venuto meno con il d.lgs. 130/2020), che si fonda su una distinzione tra i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale, riservando soltanto a quest’ultimi l’accesso ai servizi prestati dagli enti locali per favorirne l’integrazione (c.d. Sai, ovverosia l’ex Sprar)[4]. Per i primi, invece, continuano ad essere assicurate soltanto le prestazioni concernenti l’assistenza sanitaria, la mediazione linguistico-culturale e l’assistenza sociale.
La riforma, invero, ha coinvolto vari istituti del diritto d’asilo e dell’immigrazione, intervenendo sia su aspetti sostanziali che processuali della disciplina.
Più precisamente, con riguardo al caso di cui ci si occupa viene in rilievo il nuovo articolo 6-bis del d.lgs. 142/2017 - introdotto dal comma 1 dell’art. 7-bis del c.d. Decreto Cutro - che ha previsto una nuova ipotesi di procedura accelerata di esame delle domande di protezione internazionale presentate direttamente alla frontiera, o in zone di transito[5], da un richiedente asilo proveniente da un Paese di origine sicuro[6], insieme alla quale è stata prevista una nuova ipotesi di trattenimento[7], direttamente collegata allo svolgimento della procedura.
La norma stabilisce infatti che il soggetto «(…) può essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettere b) e b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, (…), al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato. (…) qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria (…)».
Viene dunque stabilito che il trattenimento può svolgersi direttamente alla frontiera e, trovando applicazione la c.d. procedura accelerata, che la Commissione territoriale, deputata all’esame della domanda, sia tenuta a decidere nel termine di sette giorni dalla sua ricezione, fermo restando che l’intera procedura non può protrarsi oltre quattro settimane.
Quanto alle caratteristiche di tale procedura, tre sono gli aspetti principali da evidenziare in generale: in primo luogo, la previsione di tempi strettissimi della procedura stessa, nonché per la proposizione del ricorso avverso il provvedimento adottato dalla Commissione territoriale (artt. 33 e s.s. del d.lgs. 25/2008)[8]; un onere motivazionale attenuato, considerando che l’amministrazione, nel rigettare la domanda è tenuta semplicemente a dare atto del fatto che il richiedente non ha dimostrato l’esistenza di condizioni soggettive che rendano quel Paese non sicuro per lui (art. 9, comma 2-bis, d.lgs. 25/2008); e, infine, nell’eccezione, rispetto alla regola generale di cui all’art. 35-bis, comma 3, d.lgs. 25/2008, all’effetto sospensivo automatico del provvedimento eventualmente impugnato.
Ciò premesso, per comprendere le ragioni del Tribunale di Catania – meglio specificate nel paragrafo successivo- è necessario sin d’ora precisare che la disciplina generale in materia di trattenimento, dettata dalla direttiva 2013/33/UE e dall’art. 6 del d.lgs. 142/2015, lo vieta nei confronti di un soggetto per il solo fatto di essere un richiedente asilo. Questa regola generale conosce delle deroghe, tra le quali, per quanto di nostro interesse, la possibilità di disporre il trattenimento «per decidere, nel contesto di una procedura, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio» (art. 8, par. 3, l. c), direttiva 2013/33/UE), fermo restando l’obbligo per gli Stati membri di assicurare il rispetto di garanzie minime per i trattenuti e di prevedere delle procedure alternative al trattenimento (artt. 8, par. 4, e 9 della medesima direttiva).
3. Le motivazioni del Tribunale di Catania sulla disapplicazione del “decreto Cutro”
Il Tribunale di Catania si è trovato dunque ad affrontare per la prima volta la nuova disciplina del trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nell’ambito della procedura accelerata prevista dal d.l. n. 20 del 2023 e, come anticipato, ha finito per accertarne la non conformità alle disposizioni di rango costituzionale e sovranazionale che regolano il fenomeno immigratorio e che, ancor più in generale, tutelano i diritti fondamentali di ogni persona. Ragion per cui la Giudice, più volte investita della questione, non ha convalidato i provvedimenti di trattenimento disposti dal Questore della Provincia di Ragusa di tre migranti tunisini in base alla nuova disciplina della procedura di frontiera[9], già in precedenza illustrata.
Le motivazioni, tendenzialmente identiche in tutti i casi esaminati, che hanno portato a tale conclusione sono molteplici e di vario genere, tanto che per chiarezza è possibile suddividerle in due categorie: nella prima vi rientrano le argomentazioni di carattere generale e sistemico, riguardando l’incompatibilità della nuova normativa interna con il quadro dei principi di matrice euro unitaria e costituzionale; nella seconda, invece, possiamo ricomprendere le conseguenziali criticità individuate e sollevate dal Tribunale sulla legittimità dei provvedimenti del Questore sotto il profilo motivazionale.
Quanto a tale ultimo aspetto, infatti, è sin da ora possibile anticipare che viene evidenziato come il provvedimento di trattenimento del Questore dovrebbe essere corredato da idonea motivazione[10] mentre nel caso di specie «difetta ogni valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, nonché della necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive»[11]. Infatti, la circostanza che il trattenimento sia codificato non ne fa venir meno il carattere di eccezione alla regola, di misura alla quale può farsi ricorso soltanto qualora sia necessario[12].
In particolare a tale conclusione si perviene richiamando l’interpretazione della Corte di Giustizia UE, secondo cui gli artt. 8 e 9 della direttiva 2013/33/ UE «devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura»[13]. Più precisamente, l’art. 9, paragrafo 2, della direttiva pone un obbligo di motivazione chiarissimo quando afferma che «Il trattenimento dei richiedenti è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa. Il provvedimento di trattenimento precisa le motivazioni di fatto e di diritto sulle quali si basa». Ed è proprio seguendo tale ragionamento e considerando che il provvedimento questorile - come già anticipato – non appare corredato da idonea motivazione circa la sussistenza di ulteriori ragioni che potessero giustificare il trattenimento del richiedente protezione internazionale, che il Tribunale non ne ha disposto la convalida.
Detto altrimenti, una volta rilevata tale incompatibilità sotto un duplice profilo, vale a dire la disposizione di un provvedimento limitativo della libertà personale in assenza di apposita motivazione – che sia peraltro idonea a sostenere l’inesistenza di alternative altrettanto adeguate – nonché la configurazione di una garanzia finanziaria in termini anch’essi contrastanti con la normativa comunitaria[14], il giudice ha deciso di disapplicare[15] il nuovo articolo 6-bis del d.lgs. 142/2015, applicando in luogo della disciplina nazionale le direttive europee n.n. 32 e 33 del 2013.
Infatti, la circostanza che i richiedenti protezione internazionale, oltre a non aver consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, non abbiano prestato idonea garanzia finanziaria – configurata a livello comunitario come misura alternativa al trattenimento e non come requisito amministrativo di cui il richiedente protezione internazionale deve essere in possesso affinchè gli vengano riconosciuti i diritti sanciti dalla direttiva 2013/33/UE - non è stata ritenuta sufficiente dal Tribunale per giustificare l’adozione di un provvedimento di trattenimento, in quanto tale fortemente restrittivo della loro libertà personale[16]. Più precisamente, ad essere ritenuto inammissibile non è di per sé il trattenimento di un richiedente protezione internazionale nell’ambito della procedura di frontiera - trattandosi di una misura consentita pacificamente dalla normativa comunitaria in presenza di determinati presupposti, requisiti e garanzie - ma che tale provvedimento, nei fatti all’origine delle pronunce commentate, sia stato adottato in assenza di quest’ultimi.
Oltre al profilo di illegittimità esaminato, peraltro, il Tribunale di Catania ne ha evidenziato altri due, la cui comprensione richiede di procedere gradualmente.
Anzitutto, sotto un primo profilo, nel provvedimento si evidenzia il mancato rispetto della disciplina della procedura di frontiera stabilita dall’art. 43 della direttiva 2013/32/UE, nella parte in cui quest’ultima ammette l’applicazione della procedura in esame – presupposto del trattenimento – in una zona diversa da quella dell’ingresso, ove il richiedente sia stato condotto coattivamente, soltanto nelle ipotesi indicate al co. 3 della medesima norma, che fa riferimento alla circostanza in cui siano arrivati contestualmente un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi e che tutti presentino domanda di protezione internazionale, in tal modo rendendo impossibile l’applicazione della regola generale disposta dal considerando n. 38 e dal paragrafo 1 dello stesso art. 43.
In dettaglio, guardando a queste disposizioni, la regola sarebbe che per l’esame dell’ammissibilità e/o merito delle domande di protezione internazionale, presentate alla frontiera o nelle zone di transito, gli Stati membri dovrebbero prevedere delle procedure che consentano di decidere sul posto ovvero che gli consentano di decidere alla frontiera o nelle zone di transito «(…) a) sull’ammissibilità di una domanda, ai sensi dell’art. 33, ivi presentata; b) sul merito di una domanda nell’ambito di una procedura a norma dell’art. 31, paragrafo 8»[17]. Ragion per cui, un eventuale trattenimento, fondato sull’art. 8, paragrafo 3, comma 1, lettera c), della direttiva 2013/33/UE, secondo cui questo può essere disposto, tra le altre ragioni espressamente elencate, soltanto «per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio», sarebbe stato compatibile con quanto stabilito dal suesposto art. 43 (direttiva 2013/32/UE) se - come non avvenuto nei casi esaminati - il Presidente della Commissione Territoriale avesse assunto una decisione sulla procedura da seguire per la valutazione dell’ammissibilità o fondatezza della domanda di protezione internazionale, propedeutica al riconoscimento del diritto di entrare nel territorio nazionale, e il trattenimento risultasse funzionale alla sua conclusione.
Da ultimo, nel provvedimento di non convalida viene evidenziato come, in ogni caso, la disciplina di cui all’art. 8 lett. c) della direttiva 2013/33/UE non può trovare applicazione nelle ipotesi di soccorso in mare – in cui rientrano le vicende oggetto di giudizio – nelle quali il diritto di ingresso nel territorio è disciplinato altrove (art. 10 ter del d.lgs. 268/1998 e Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979) e che il suddetto articolo va applicato alla luce dell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità nazionale[18] del principio sancito dall’art. 10, co. 3, Cost., in base alla quale «deve escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale»[19], dovendosi invece procedere necessariamente anche da tale punto di vista ad una valutazione caso per caso[20].
4. Riflessioni conclusive
Sono possibili alcune brevi osservazioni in chiave conclusiva.
Negli ultimi mesi, com’è noto, la questione immigratoria è stata ancor di più al centro del dibattito europeo ed italiano e la causa di ciò non è soltanto attribuibile all’approccio restrittivo delle recenti riforme[21], ma anche all’oggettivo incremento del bisogno di protezione e di arrivi irregolari nel territorio italiano[22]. Ciononostante, invece di individuare ed attivare un meccanismo in grado di ampliare i canali regolari di accesso - la cui previsione si sarebbe quantomeno avvicinata ad un approccio maggiormente sistematico al problema – il legislatore, in linea con l’approccio securitario delle precedenti riforme, si è posto l’obiettivo principale di contrastare il flusso immigratorio, anche attraverso l’accelerazione dei tempi di conclusione dei procedimenti volti al riconoscimento della protezione internazionale.
È chiaro dunque che le novità introdotte dal d.l. n. 20/2023 non fanno altro che confermare quanto sostenuto da più parti[23], secondo cui in materia si sono susseguiti, a partire dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. Bossi-Fini), più provvedimenti che mirano essenzialmente a limitare l’ingresso nel nostro territorio piuttosto che a disciplinare il fenomeno in modo sistematico e coerente con i diritti e le libertà fondamentali della persona che vengono in rilievo in queste dinamiche.
Insomma se è vero che si tratta di un fenomeno di difficile gestione è altrettanto vero che vi è una tendenza a farlo restare tale, anzitutto con l’implementazione della decretazione d’urgenza, giustificata dall’esigenza di assicurare protezione alla comunità che si sente minacciata, non più soltanto dal migrante irregolare ma anche da colui che richiede protezione[24]. Al punto che, oramai, alcuni autori[25] hanno iniziato a parlare, riferendosi alla disciplina “speciale” dei diritti dei migranti, di “diritto amministrativo del nemico”, caratterizzato dal ricorso continuo ad interventi emergenziali e derogatori per rispondere ad un bisogno di protezione contro un potenziale “nemico” comune.
Quanto poi allo specifico approccio alla questione del Tribunale di Catania, dall’analisi svolta è evidente che gli argomenti adoperati si fondando soprattutto sul contrasto tra la normativa nazionale, anche alla luce della sua interpretazione e conseguente applicazione, e il diritto comunitario.
Pertanto, a questo punto della riflessione, nasce spontaneo il dubbio sul se sarebbe stato o meno più opportuno che il Tribunale si rivolgesse alla Corte di Giustizia UE ai sensi dell’art. 267 TFUE, per risolvere il conflitto sorto ovvero sollevasse una questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 11, 13 e 117, primo comma, Cost, così da scongiurare anche il rischio che si generasse nei consociati uno stato di incertezza sulle regole di diritto effettivamente applicabili ai casi di specie, pregiudicando uno dei valori fondanti dello Stato di diritto, vale a dire quello della certezza del diritto.
Come noto, infatti, in caso di contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria, i possibili strumenti riconosciuti al giudice nazionale per la risoluzione del conflitto sono vari, questi deve anzitutto verificare se vi sia la possibilità di salvare la norma nazionale ricorrendo ad un’interpretazione della stessa in modo conforme alla disciplina dell’Unione europea, soltanto ove ciò non fosse possibile[26] e dopo aver accertato l’idoneità di quest’ultima a produrre effetti diretti (in quanto chiara, precisa e incondizionata) nel nostro ordinamento, è tenuto a disapplicare la norma interna e ad applicare quella comunitaria. In questo scenario sommariamente descritto, non essendo questa la sede opportuna per approfondire un tema così complesso[27], si inseriscono il rinvio pregiudiziale e l’incidente di costituzionalità che hanno un impatto maggiore sul sistema giuridico nazionale rispetto all’obbligo di interpretazione conforme e allo strumento della disapplicazione. Infatti, soltanto i primi due hanno efficacia generale, incidendo proprio sulla stessa esistenza nell’ordinamento interno della norma ritenuta anti comunitaria o incostituzionale, hanno insomma efficacia “erga omnes”.
La disapplicazione alla quale è invece ricorsa il Tribunale di Catania, da un lato, senza dubbio, consente di riconoscere al soggetto coinvolto nella singola vicenda, sottoposta alla cognizione del giudice, una tutela immediata ma, al contempo, non può impedire alla norma disapplicata di continuare a produrre i suoi effetti nei confronti dei soggetti dell’ordinamento, fintanto che non intervenga il legislatore abrogandola.
Pertanto, soprattutto considerando che successivamente il Tribunale di Catania ha continuato ad adottare decisioni simili[28] - ragionando in un’ottica di effettività della tutela giurisdizionale e di certezza del diritto, da intendersi in senso ampio e non soltanto come certezza di premesse legislative– si sarebbe potuto propendere per una scelta più incisiva, dal momento che i dubbi sollevati attengono chiaramente alle scelte legislative nazionali e alla loro compatibilità con il diritto dell’Unione europea.
Sono considerazioni che meriterebbero un più ampio e approfondito sviluppo che non può per il momento essere svolto in questa sede e che comunque richiederà ulteriori riflessioni, per le quali probabilmente vi sarà a breve occasione, considerando che l’Avvocatura dello Stato ha già presentato ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Tribunale di Catania.
[1] Seppur frutto di un lavoro unitario è possibile attribuire i primi due paragrafi a Sveva Speranza e i paragrafi 3 e 4 a Carolina Cappabianca.
[2] I Centri Permanenza e Rimpatrio sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (d.lgs. n. 286/1998 e art. 11 del d.lgs. n. 142/2015), rispetto ai quali pure è intervenuto il d.l. 20 del 2023, che all’art. 10 ne dispone il potenziamento e l’ampliamento. Al riguardo, ex multis, v. C. CELONE, La “detenzione amministrativa” degli stranieri irregolari nell’ordinamento italiano e dell’Unione europea ed il diritto fondamentale di ogni persona alla libertà ed alla tutela giurisdizionale, in Nuove Autonomie, 2013, p. 299 ss.; C. LEONE, La disciplina negli hotspot nel nuovo art. 10-ter d.lgs. n. 286/98: un’occasione mancata, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n.2/2017.
[3] Le principali modifiche sono contenute, in parte nel d.l. 13/2017, seguito dalla l. 47/2017, che ha rafforzato i diritti e le tutele dei minori nelle varie fasi dell’accoglienza, e in parte, nel d.lgs. 220/2017, che ha introdotto procedure accelerate per l’esame delle domande di protezione internazionale, risolvendo, al contempo, alcune criticità sollevate dalla l. 47/2017. Successivamente, è intervenuto il d.l. n. 113/2018 e poi il d.l. n. 130/2020 che hanno introdotto ulteriori significative modifiche, tra le quali anche la possibilità di disporre il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale in due nuove ipotesi, rispetto a quelle previste dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. 142/2015, motivate dalla necessità di determinare o verificare l'identità o la cittadinanza dello straniero richiedente protezione internazionale in luoghi determinati e per tempi definiti (art. 6, co. 3-bis, d.lgs. 142/2015). In dottrina, al riguardo, fra tutti v.; A. MARCHESI, La protezione internazionale dei diritti umani, Torino, 2021; N. ZORZELLA, La protezione umanitaria nel sistema giuridico italiano, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2018; S. CELENTANO, Lo status di rifugiato e l’identità politica dell’accoglienza, in Questiono Giustizia 2/2018; R. RUSSO, Le tormentate vicende delle norme di chiusura del diritto di asilo: Neverending story, su Giustizia insieme, 18 gennaio 2021.
[4] Il sistema di accoglienza e integrazione, diversamente nominato nel corso degli anni, è stato istituzionalizzato con la legge n.189/2002, che ha modificato il d.l. n. 416/1989, e si fonda su una condivisione di responsabilità tra Ministro dell’interno ed enti locali. In relazione alle conseguenze evidenti dell’approccio securitario al problema della gestione dei flussi immigratori sul sistema di accoglienza, sulla cui inadeguatezza si è più volte pronunciata anche la Corte EDU, v. M. INTERLANDI, La dimensione organizzativa dell’accoglienza degli immigrati nella prospettiva del diritto ad una “buona amministrazione”: il ruolo degli enti locali nel bilanciamento degli interessi della persona immigrata e delle comunità “ospitanti”, in P.A. Persona e Amministrazione, n.1/2020. L’a., nell’analizzare i profili organizzativi dell’accoglienza umanitaria e dei processi di integrazione sociale, si sofferma sulla necessità di tener conto, accanto al diritto ad una accoglienza dignitosa dell’immigrato, anche il diritto delle comunità “ospitanti” «ad una amministrazione efficiente, in grado di gestire i problemi derivanti dalla presa in carico dei bisogni di un flusso consistente di stranieri», garantendo quindi contestualmente la sicurezza, l’ordine pubblico e il benessere sociale. Al riguardo, inoltre v. M. GIOVANNETTI, Il prisma dell’accoglienza: la disciplina del sistema alla luce della legge n. 50/2023, in Questione Giustizia, n. 3/2020.
[5] Quanto alle zone di transito e di frontiera, queste sono stata istituite con decreto del Ministero dell’interno del 5 agosto 2019, rubricato «Individuazione delle zone di frontiera o di transito ai fini dell’attuazione della procedura accelerata di esame della richiesta di protezione internazionale», il cui art. 2 le individua nei seguenti luoghi: Trieste, Gorizia, Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanisetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari e Sud Sardegna. Sulle criticità di immediata evidenza della disciplina v. A. BRAMBILLA, Le nuove procedure accelerate di frontiera. Quali prospettive in un’ottica di genere?, in Questione giustizia, 3/2023, pag.134, ove l’a. le individua nella «incerta estensione territoriale o delimitazione delle zone di frontiera e di transito e l’individuazione di alcuni territori, quali quelli di Trieste e Gorizia, situati in prossimità non di confini esterni bensì di confini interni», aspetto quest’ultimo che secondo l’a. pone non pochi dubbi di compatibilità con le disposizioni del diritto dell’Unione europea, in particolare con il regolamento 2016/399/UE del 9 marzo 2016 (c.d. codice frontiere Schengen) e con il regolamento 2013/604/UE del 26 giugno 2013.
[6] Quanto alla nozione di Paese di origine sicura, si tratta di un concetto introdotto nel nostro ordinamento con la l. n. 132/2018 che ha disposto l’introduzione del nuovo art. 2-bis nel d.lgs. 25/2008, in attuazione degli artt. 36 e 37 della direttiva 2013/32/UE. In riferimento alle novità introdotte al riguardo dal c.d. Decreto Cutro, v. M. FLAMINI, La protezione dei cittadini stranieri provenienti da c.d. «Paesi sicuri» in seguito alle modifiche introdotte dal d.l. n. 20 del 2023, in Questione Giustizia, n.3/2023.
[7] Ci si riferisce chiaramente a quella prevista dall’art. 6-bis del d.lgs. 142/2015, introdotto dalla l. n. 50/2023.
[8] In particolare, ci si riferisce al nuovo articolo 35-ter del d.lgs. 25/2008, introdotto dall’art. 7-bis, l. e) del d.l. 20/2023 e che prevede che, per le ipotesi in cui il trattenimento sia disposto ai sensi dell’art. 6-bis del d.lgs. 142/2015, i termini per presentare ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale siano ridotti della metà.
[9] Per un primo approccio alla disciplina si suggerisce di confrontare A. PRATICÓ, Le procedure accelerate in frontiera introdotte dall’articolo 7-bis del decreto-legge n. 20 del 2023 convertito con legge n. 50 del 2023, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2023.
[10] Sul tema della motivazione dei provvedimenti amministrativi - il cui obbligo rinviene il suo fondamento normativo, a livello sovranazionale, nell’art. 41 CFDUE e, sul piano nazionale, negli artt. 97 Cost. e 3 l. 241/90 - ci si limita a rinviare a F. CAMMEO, Gli atti amministrativi e l'obbligo di motivazione, in Giur. it., III/1908, 253 ss; C. MORTATI, Obbligo di motivazione e sufficienza della motivazione degli atti amministrativi, in Giur. it., III/ 1943, 2 ss; A. ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano,1987; B.G. MATTARELLA, Il declino della motivazione, in Gior. dir. amm., 2007; A. CASSATELLA, Il dovere di motivazione nell'attività amministrativa, Padova, 2013; F. CARDARELLI, La motivazione del provvedimento, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, 2011, 374 ss.; G. COCOZZA, Contributo a uno studio della motivazione del provvedimento come essenza della funzione amministrativa, Napoli, 2020; G. COCOZZA, Il difetto di motivazione del provvedimento giurisdizionale e amministrativo. Simmetrie e spunti nei percorsi giurisprudenziali, in Il processo, n. 1/2023, 111 ss.
[11] In materia di immigrazione, ove il problema della protezione delle libertà personali si scontra con l’interesse primario dello Stato di assicurare un controllo effettivo dei confini nazionali, il principio di proporzionalità, quale canone normativo dell’esercizio del potere pubblico, assume infatti un ruolo particolarmente rilevante. Al riguardo, v. M. INTERLANDI, Fenomeni immigratori tra potere amministrativo ed effettività delle tutele, Torino, 2018, ove l’a. evidenzia come tra i principi generali dell’attività amministrativa «che potrebbero risultare funzionali a salvaguardare i diritti e gli interessi dello straniero dinanzi al potere pubblico, allorché esso si traduca in decisioni arbitrarie o ingiuste (…) il principio di proporzionalità è, sicuramente, quello che meglio sembra esprimere l’esigenza di tutelare i diritti e le libertà delle persone dinanzi ad interessi pubblici, che possono implicare l’adozione di provvedimenti limitativi della sfera soggettiva individuale, in quanto volto ad “imporre” all’amministrazione di contenere il sacrificio solo nella misura in cui risulti indispensabile per il raggiungimento dello scopo, che la stessa autorità è tenuta a realizzare.». Per ulteriori approfondimenti sul principio di proporzionalità in generale nel diritto amministrativo si rinvia, ex multis, a A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998; D.U. GALETTA, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998; S. VILLAMENA, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa, Milano, 2008; S. COGNETTI, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011; F. FANTI, Dimensioni della proporzionalità. Profili ricostruttivi tra attività e processo amministrativo, Torino, 2012.
[12] Al riguardo, infatti l’orientamento della giurisprudenza sovranazionale appare rigido: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 15 febbraio 2016, n. 84 secondo cui «(…) gli altri paragrafi dell’articolo 8 della direttiva 2013/33 apportano, come espongono i considerando 15 e 20 della direttiva in parola, limitazioni importanti al potere attribuito agli Stati membri di disporre il trattenimento. Dall’articolo 8, paragrafo 1, della citata direttiva, infatti, risulta che gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo fatto che questa ha presentato una domanda di protezione internazionale. Inoltre, l’articolo 8, paragrafo 2, della medesima direttiva, impone che il trattenimento possa essere disposto soltanto ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, salvo che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. L’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, prevede che gli Stati membri provvedono affinchè il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato».
[13] Corte di giustizia dell’Unione europea 14.5.2020 (cause riunite C-924/19 e C-925/19).
[14] La garanzia finanziaria, che il DM del 14 settembre 2023 ha stabilito ad un importo fisso di euro 4.938, suscettibile di aggiornamento biennale, non è infatti prevista dal legislatore italiano come misura alternativa al trattenimento che andrebbe applicata dopo aver constatato la necessità del trattenimento stesso ma, al contrario, come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti allo stesso conferiti dalla direttiva 2013/33. Pertanto in chiaro contrasto con quanto previsto dagli artt. 8 e 9 della medesima direttiva che, tra le garanzie previste affinchè il trattenimento si possa considerare legittimo in base all’art. 43 prevedono, tra più alternative, anche la possibilità di costituire una garanzia finanziaria. Peraltro, anche sotto questo profilo sorgono dubbi circa il rispetto del principio di proporzionalità, data la predeterminazione di un importo in misura fissa, non parametrata alla situazione specifica dei singoli soggetti richiedenti protezione internazionale.
[15] In argomento, fra tutti, v. C. PAGOTTO, La disapplicazione della legge, Milano, 2008; R. ROLLI e M. MAGGIOLI, La disapplicazione della norma nazionale contrastante con il diritto dell’Unione (nota a TAR Puglia-Lecce, sez. I, del 18 novembre 2020 n. 1321), in Giustizia insieme, 22 dicembre 2020, ove gli a. si soffermano sull’evoluzione del rapporto tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno, la cui comprensione è necessaria per avere una visione completa della disapplicazione delle norme nazionali in contrasto con le disposizioni comunitarie; D. GALLO, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali, Milano, 2018. Per completezza, quanto alla disapplicazione del provvedimento amministrativo, invece, v. A. ROMANO, La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice civile, in Dir. Amm., 1993; G. DE GIORGI CEZZI, Perseo e Medusa: il giudice ordinario al cospetto del potere amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 4/1999, 1023 ss.; S. CASSARINO, Problemi della disapplicazione degli atti amministrativi nel giudizio civile, 1993; F. CINTOLI, Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell’atto amministrativo, in Dir. Amm., n.1/2003. Nonché, sullo specifico tema del rapporto tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di immigrazione, cfr.: M. INTERLANDI, Fenomeni immigratori tra potere amministrativo ed effettività delle tutele, Torino, 2018, che si sofferma in particolare sulle criticità del sistema di tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di espulsione prefettizia ex art. 18, d.lgs. n. 150/2011.
[16] Al riguardo, invero, particolarmente interessante è la riflessione critica di M. SAVINO, Ancora su procedura di frontiera e misura alternativa della garanzia finanziaria: i limiti dell’approccio del Tribunale di Catania, ADiM Blog, Editoriale, ottobre 2023, che tende in parte a ridimensionare questo argomento, affermando che «Il fondamento di tale affermazione, tanto perentoria quanto oscura, risiederebbe nell’insanabile contrasto con gli art. 8 e 9 della direttiva accoglienza (2013/33/UE), interpretati alla luce dell’affermazione della Corte di giustizia secondo cui un richiedente asilo non può essere «trattenuto per il solo motivo che egli non può sovvenire alle proprie necessità (…)» (…), questa versione “radicale” della tesi della contrarietà al diritto UE incontra due limiti: è difficilmente armonizzabile con il dettato dell’art. 8 (4) della direttiva accoglienza, che ammette espressamente le “cauzioni”, e si fonda su una lettura incauta del dictum della Corte di giustizia appena richiamato. (…) nel caso italiano la mancata costituzione della garanzia finanziaria non può essere intesa come «il solo motivo» del trattenimento.» In base alle norme vigenti, infatti, il trattenimento può essere disposto soltanto se ricorrono altri due motivi o presupposti: il primo è la provenienza da un Paese terzo sicuro, condizione necessaria per applicare la procedura di esame accelerata e/o alla frontiera; la seconda è il mancato possesso del passaporto, operando la consegna del passaporto come misura alternativa “prioritaria”, sufficiente a escludere il trattenimento prim’ancora che venga in rilievo l’opzione della garanzia finanziaria».
[17] Art. 43, paragrafo 1, direttiva 2013/32/UE.
[18] Cass., Sez. Un., 26 maggio 1997, n. 4674.
[19] Trib. Catania, sez. immigrazione, n. 1046/2023.
[20] In relazione all’esigenza di valutare di volta in volta le peculiarità del caso concreto per il riconoscimento, più in generale, del diritto fondamentale alla protezione internazionale, anche se il richiedente proviene da un Paese considerato di origine sicuro, particolarmente interessanti sono le riflessioni di M. INTERLANDI, Protezione internazionale e prospettiva di genere nella tutela giurisdizionale delle donne migranti, in (a cura di) O. M. Pallotta, Crisi climatica, migrazioni e questioni di genere, Napoli, 2022, 125 ss. L’a. evidenzia, infatti, la rilevanza anche della prospettiva di genere nell’accertamento delle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale, ritenendo che «la specifica protezione giuridica riconosciuta alle donne migranti richieda, sia in ambito procedimentale che in ambito processuale, una valutazione del caso concreto, volta ad indagare la specifica condizione soggettiva della donna (…)»; nonché, nel medesimo senso, P.F. POMPEO, Protezione internazionale e vittime di tratta. Valutazione di credibilità, dovere di cooperazione istruttoria e forme di protezione, in Questione Giustizia, 12 maggio 2022.
[21] È noto infatti che le politiche pubbliche sull’immigrazione non sono espressione di un orientamento definitivo, essendo soggette anche all’indirizzo politico e all’influenza dell’opinione pubblica, in argomento v. A. CONTIERI, Cittadinanza amministrativa e diritto di voto: dall’uguaglianza nei diritti sociali alla difficile affermazione di un modello condiviso di accoglienza, in Studi in onore di Giuseppe Abbamonte, ESI-Tomo I, Napoli, 2019, pag. 414, ove l’a., dopo aver premesso che i «principi ispiratori dell’azione dei pubblici poteri sono quelli del rispetto della persona umana e dei valori della solidarietà, allorché è addirittura messa in pericolo la vita dei migranti come avviene oramai quotidianamente nei salvataggi in mare», chiarisce che invece «nelle politiche di accoglienza non può individuarsi un definito motivo ispiratore, poiché l’indirizzo politico si mostra incerto e mutevole, influenzato dai cambiamenti, spesso quotidiani degli orientamenti di un’opinione pubblica che appare altrettanto incerta e mutevole e comunque spaccata tra solidarietà e paura del diverso».
[22] Per consultare qualche dato sul punto, cfr.: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Annual_asylum_statistics; Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA), Relazione sull’asilo 2022, in https://euaa.europa.eu/sites/default/files/publications/2022-07/2022_Asylum_Report_Executive_Summary_IT_o.pdf; https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/2996/Frontiere-esterne-UE-nel-2022-oltre-300.mi-la-gli-attraversamenti-irregolari-di-migranti-e-rifugiati; Frontex, EU’s external borders in 2022: Number of irregular border crossings highest since 2016, 13 gennaio 2023, in https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/eu-s-external-borders-in-2022-number-of-irregular-border-crossings-highest-since-2016-YsAZ29.
[23] M. SAVINO, La libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano, 2021; F. ASTONE, Riflessioni in tema di urgenza, emergenza e protezione delle situazioni giuridiche soggettive (nell’ottica del pubblico diritto e avuto riguardo ai fenomeni immigratori ed alla cosiddetta amministrazione dell’emergenza), in Scritti in memoria di Giuseppe Abbamonte, Tomo I, Napoli, 2019, pag. 95 s.s., secondo cui la questione immigratoria rientrerebbe in quella categoria di situazioni che «si lasciano strutturalmente non fronteggiate e non risolte in modo da intervenire con continui provvedimenti in deroga, i cui effetti sono connotati da contorni giuridici inediti e da orizzonti temporali estesi, se non addirittura del tutto ignoti. In questi casi si potrebbe parlare infatti per ossimori di una «emergenza strutturale» di alcune situazioni e di una «straordinarietà normale» delle relative discipline giuridiche».
[24] Il rapporto tra sicurezza e libertà non è chiaramente un tema nuovo, nello specifico contesto dell’immigrazione si rinvia a M. INTERLANDI, Fenomeni immigratori tra potere amministrativo ed effettività delle tutele, Torino, 2018; più in generale, invece, cfr.: G. CORSO, Ordine pubblico, Bologna, 1979; G. TROPEA, Sicurezza e sussidiarietà. Premesse per uno studio sui rapporti fra sicurezza pubblica e democrazia amministrativa, ESI, 2010; V. BALDINI, Sicurezza e libertà nello Stato di diritto in trasformazione. Problematiche costituzionali delle discipline di lotta al terrorismo internazionale, Torino, 2005.
[25] Ex multis, v. M.C. CAVALLARO, Gestione dei migranti, emergenza sanitaria, e sicurezza pubblica: verso un diritto amministrativo del nemico?, in PA Persona e amministrazione, n. 1/2022, pag. 286 ss.
[26] CGUE, 24 gennaio 2012, C-282/10, Dominguez, punto 23, ove la Corte stessa chiarisce che la disapplicazione della norma interna si pone come successiva alla verifica della sua possibile interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea, o meglio «si pone solo se non risulta possibile alcuna interpretazione conforme di tale disposizione».
[27] La difficile opera di armonizzazione tra ordinamento giuridico italiano e ordinamento dell’Unione europea, considerando anche che pure quest’ultimo è dotato di organi giurisdizionali, richiederebbe già di per sé un lavoro monografico per essere affrontato in tutti i suoi aspetti essenziali. Pertanto, per un primo approccio al tema si suggerisce di v. A.A.V.V., Il diritto europeo e il giudice nazionale, Milano, 2023. Il volume da ottobre 2023 è reperibile anche sul sito www.scuolamagistratura.it.
[28] Cfr.: Tribunale di Catania, decreto n. 10798 dell’8/10/2023; Tribunale di Catania, decreto n. 10885 del 10/10/2023; Tribunale di Catania, decreto n. 10887 del 11/10/2023. Tra questi è poi possibile ricomprendere, quanto alle conclusioni, anche la decisione del Tribunale di Firenze n. 9787 del 20/09/2023.