Sommario: 1. La fattispecie. - 2. Precisazioni sulla relazione intercorrente fra regione e struttura commissariale. - 3. La natura (ampiamente) discrezionale del potere amministrativo in materia di ripartizione delle risorse e determinazione dei tetti di spesa in ambito sanitario. - 4. I limiti del sindacato giurisdizionale tra ponderazione degli interessi e razionalità della decisione amministrativa.
1. La fattispecie
La sentenza in nota[1] offre l’opportunità di riflettere sull’ampia discrezionalità amministrativa in materia di ripartizione delle risorse e determinazione dei tetti di spesa in ambito sanitario, con la precisazione – non priva di risvolti anche sotto il profilo della legittimazione processuale – che il giudizio concerne atti emanati dal Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi della Regione Calabria.
Con ricorso principale è stato impugnato il decreto[2] recante la determinazione dei livelli massimi di finanziamento alle Aziende Sanitarie Provinciali per l’acquisto di prestazioni erogate dalla rete di assistenza ospedaliera privata accreditata con oneri a carico del Servizio Sanitario Regionale per il triennio 2022-2024, come rettificato[3]; con motivi aggiunti la ricorrente titolare di una struttura sanitaria accreditata ha agito avverso il successivo decreto commissariale[4]volto a esplicitare il criterio seguito per detta ripartizione del budget, di portata tale da superare il provvedimento censurato in via principale[5].
L’articolazione delle censure può riassumersi nei seguenti termini.
In primo luogo, nel riferirsi in via esclusiva al valore della produzione effettuata in un certo periodo pregresso senza distinzioni fra prestazioni erogate nel rispetto dei limiti negoziali pattuiti e prestazioni rese extra budget, l’amministrazione consentirebbe l’attribuzione di risorse più cospicue nei confronti di strutture convenzionate che, in modo sistematico, avrebbero disatteso le linee programmatiche e i limiti di spesa imposti. Da qui gli asseriti profili di illogicità, arbitrarietà e ingiustizia del criterio impiegato che premierebbe taluni operatori inadempienti rispetto a un assetto predeterminato a scapito di quanti, come la ricorrente, vi hanno diligentemente ottemperato.
In secondo luogo, il dato della produzione storica delle singole strutture sarebbe, in ogni caso, inidoneo ad assicurare i fabbisogni sanitari a livello territoriale, né risolverebbe il problema della mobilità passiva regionale[6], donde ulteriori profili di irragionevolezza dell’azione commissariale incapace di considerare imprescindibili aspetti quali la localizzazione delle strutture, le carenze territoriali, l’accessibilità, il bacino e il tipo di utenza, la vocazione, le tecnologie e, soprattutto, il numero di posti letto disponibili.
A quest’ultimo riguardo merita fin d’ora precisare che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, la determinazione del budget non può ritenersi commisurata all’insieme dei posti letto esistenti nella provincia di riferimento, né ai posti letto accreditatati, ma è condizionata dalle risorse effettivamente a disposizione e dalla razionalità dei criteri fissati per la loro suddivisione[7]. Infatti, le esigenze di contenere la spesa pubblica, per quanto stringenti, non escludono che le scelte operate dallo stesso commissario ad acta debbano estrinsecare in maniera coerente e intellegibile le ragioni sottese alla determinazione adottata[8].
2. Precisazioni sulla relazione intercorrente fra regione e struttura commissariale
Ricostruita nei suddetti termini la fattispecie, prima di analizzare le statuizioni inerenti al merito della controversia, è opportuno concentrare l’attenzione sulla questione riguardante la legittimazione passiva al ricorso della Regione Calabria. Il difetto all’uopo riscontrato dal giudice di prime cure potrà comprendersi all’esito di un conciso inquadramento della relazione intercorrente fra regione e struttura commissariale.
I programmi operativi di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del servizio sanitario regionale, ridenominati piani di rientro[9], istituiti dalla legge finanziaria 2005[10] contengono sia le misure di riequilibrio del profilo di erogazione dei LEA, per renderli conformi con la programmazione nazionale e con il vigente d.P.C.M. riguardante la loro definizione[11], sia le misure per ottenere l’equilibrio di bilancio sanitario. In Calabria, l’accordo sul piano di rientro dal disavanzo è stato perfezionato il 17 dicembre 2009 e recepito con DGR n. 97 del 12 febbraio 2010.
La disciplina dei piani di rientro introduce significative innovazioni nel rapporto tra unitarietà e differenziazione in materia sanitaria[12]. Le regioni sottoposte alla procedura di risanamento perdono parte della loro autonomia decisionale, fino alla nomina governativa di un commissario ad acta per l’attuazione del piano, essendo legate all’adozione di misure organizzative e provvedimenti condizionanti l’offerta assistenziale rivolta agli utenti del servizio. Il commissariamento si giustifica in ragione dell’omessa realizzazione degli obiettivi prefigurati nel piano di rientro, cioè sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali che, in tal modo, si sottraggono a un’attività imposta sia da esigenze di finanza pubblica connesse alla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, sia dai livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla salute[13].
Il riconoscimento di significativi spazi di intervento alle regioni in relazione alle politiche sanitarie rinviene un limite indefettibile nell’esigenza di garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale i LEA, prestazioni necessarie per rispondere ai bisogni fondamentali di promozione, mantenimento e recupero della tutela della salute[14], in coerenza con gli artt. 3, comma 2, e 117, comma 2, lett. m), Cost.[15], rispetto ai quali il tema della differenziazione si pone soprattutto in termini di efficiente erogazione del servizio. Le regole del d.P.C.M. sopra richiamato, tuttavia, non hanno trovato applicazione omogenea nelle diverse aree del Paese, con conseguente attivazione di interventi sostitutivi riconducibili all’art. 120, comma 2, Cost.
Il potere sostitutivo che tale norma riconosce al Governo mira a salvaguardare, al netto dei criteri di allocazione delle competenze[16], taluni interessi unitari che il sistema costituzionale affida alla responsabilità dello Stato[17] cui spetta, nel particolare ambito dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria, il compito di «risolvere nel minor tempo possibile la crisi dissipativa di un certo ente autonomo, sì da rimetterlo in condizione di tornare a garantire i beni da questo, invece, al momento compromessi»[18]. La giurisprudenza costituzionale, in tal senso, consente di evidenziare l’inscindibile legame tra il conferimento di una determinata attribuzione e la previsione di un intervento sostitutivo volto ad assicurare che la finalità cui essa è preordinata non sacrifichi l’unità e la coerenza dell’ordinamento[19].
Nell’ambito in questione, quindi, la garanzia dei livelli essenziali di assistenza si intreccia con il fine di garantire la tenuta del quadro complessivo delle risorse pubbliche. È il piano di rientro dai deficit di bilancio, insieme ai connessi programmi operativi[20], a orientare le strategie regionali di spesa e di programmazione sanitaria, circostanza non sconfessabile neppure dal legislatore regionale[21]. Una diversa soluzione rischierebbe di pregiudicare la tenuta del sistema fondato sull’art. 120, comma 2, Cost., costituendo un grave ostacolo non solo alla piena attuazione dell’autonomia finanziaria regionale, ma anche al superamento dei divari territoriali nell’erogazione di prestazioni inerenti a diritti sociali[22] e, nello specifico, a un diritto (alla salute) fondamentale della persona umana, in scia all’art. 2 Cost., che si dispiega sia nei rapporti fra privati, sia nelle relazioni giuridiche fra questi ultimi e la pubblica amministrazione[23].
Esiste, infatti, una “componente essenziale” ad assicurare l’effettività dei diritti sociali[24], ossia un “nucleo indefettibile” di garanzie[25] incomprimibile e intangibile che consente di precisare, ulteriormente, come «la dialettica tra Stato e Regioni sul finanziamento dei LEA dovrebbe consistere in un leale confronto sui fabbisogni e sui costi che incidono sulla spesa costituzionalmente necessaria, tenendo conto della disciplina e della dimensione della fiscalità territoriale, nonché dell’intreccio di competenze statali e regionali in questo delicato ambito materiale»[26]. Ciò per garantire una programmazione effettiva e la reale copertura finanziaria dei servizi sanitari che, in virtù della natura della situazione da tutelare, deve riguardare sia la quantità che la qualità di prestazioni costituzionalmente necessitate, in uno scenario improntato alla riduzione dei divari territoriali e all’equità[27].
L’incapacità dell’amministrazione territoriale di raggiungere determinati standard meritevoli di tutela (anche) in ambito sanitario, pertanto, giustifica una temporanea surroga nell’esercizio di funzioni assegnate alla titolarità di enti sub-statali. Dunque, la relazione intercorrente fra la struttura commissariale e la Regione è di tipo intersoggettivo e non interorganico[28]. Ciò significa che provvedimenti commissariali come quelli esaminati nella sentenza in nota non sono imputabili all’ente territoriale[29] che, di conseguenza, non ha legittimazione passiva, ossia il ricorso è inammissibile nei suoi confronti[30].
3. La natura (ampiamente) discrezionale del potere amministrativo in materia di ripartizione delle risorse e determinazione dei tetti di spesa in ambito sanitario
Il modello di SSN delineatosi a partire dal d.lgs. n. 502/1992 si ispira alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio sanitario. Sotto il primo aspetto rileva il diritto alla scelta della struttura di fiducia, pubblica o privata, per la fruizione dell’assistenza sanitaria. Il perseguimento del principio della necessaria programmazione sanitaria è stato, invece, perseguito tramite l’adozione di piani annuali preventivi finalizzati a un controllo tendenziale sul volume complessivo della domanda quantitativa delle prestazioni mediante la fissazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria e l’elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici che, inizialmente previsto per le sole aziende ospedaliere[31], è stato poi esteso a tutti i soggetti, pubblici e privati, accreditati[32].
Si è registrata, inoltre, la progressiva accentuazione del carattere autoritativo della programmazione sanitaria[33]. In particolare, a norma dell’art. 32, comma 8, della l. 27 dicembre 1997, n. 449, le Regioni, in attuazione di tale programmazione e in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della l. n. 549/1995, s.m.i., individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, compresi i presidi ospedalieri, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della l. n. 662/1996[34].
Alle regioni, quindi, è stato affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in materia di limiti alla spesa sanitaria, in linea all’esigenza che l’attività dei soggetti operanti in ambito sanitario si svolga nel rispetto di una pianificazione finanziaria. In altri termini «spetta a un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni»[35].
La giurisprudenza amministrativa ha considerato detta funzione programmatoria un dato ineludibile per assicurare una corretta gestione delle risorse disponibili, affermando, in linea di principio, la legittimità dei tetti di spesa nei confronti di strutture private accreditate date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica[36], per quanto il diritto fondamentale alla salute, come anticipato, non possa essere scalfito nel suo nucleo essenziale. Al di là della questione più specifica della legittimità dei tetti di spesa fissati in corso di esercizio finanziario[37], ciò significa che le regioni godono di un ampio potere discrezionale nell’esercizio della predetta funzione, dovendo individuare un punto di sintesi in esito alla comparazione di interessi quali il contenimento della spesa pubblica, il diritto alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative di operatori orientati dalla logica imprenditoriale e l’efficienza delle strutture sanitarie[38].
In una Regione come la Calabria interessata dal regime “emergenziale” – che, invero, si protrae da oltre un decennio[39] – del piano di rientro dal disavanzo e dal successivo commissariamento, in base a quanto già osservato, l’individuazione delle somme destinate all’acquisto delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture accreditate spetta al Commissario ad acta, così da «rendere stringenti i criteri di fissazione del tetto massimo di spesa posto a monte dell’erogazione dei singoli budgets destinati alle strutture private»[40].
In tale prospettiva, si è precisato che «la ragionevolezza delle scelte operate in materia di tetti di spesa e ripartizione del budget, trattandosi di determinazioni che tengono conto della ponderazione tra i diversi tipi di interessi e prestazioni eterogenee, come tali riservate ad una sfera di discrezionalità politico-amministrativa particolarmente ampia, (…) non emerge guardando al singolo interesse e al concreto effetto lesivo che la stessa comporta per il singolo operatore economico, ma solo considerando tale interesse insieme agli altri, valutando le alternative possibili e realistiche per contemperarle»[41]. Si è inoltre evidenziato che «chi intende operare nell’ambito della sanità pubblica deve pur accettare i limiti in cui la stessa è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, persino in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore rango quali i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. Le strutture private, che operano e cooperano in regime di accreditamento all’erogazione del servizio sanitario, non possono ignorare questa fondamentale esigenza pubblica (…) sottesa alla previsione di stringenti tetti di spesa»[42].
Alla stregua di simili statuizioni, la sentenza in nota afferma che un criterio – come quello in esame – di distribuzione delle risorse basato sul valore medio della produzione effettuata in un certo periodo, quand’anche eccedente il budget fissato dall’amministrazione[43], non può ritenersi palesemente illogico o irrazionale, poiché idoneo a rappresentare uno degli elementi utili ad apprezzare l’efficienza degli operatori nel mercato di riferimento, senza pregiudizio per la concorrenzialità tra singole strutture sanitarie.
4. I limiti del sindacato giurisdizionale tra ponderazione degli interessi e razionalità della decisione amministrativa
Il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e private, dunque, deve conciliarsi con il principio di programmazione[44] volto ad assicurare razionalità al sistema sanitario. È necessario ora precisare se le prestazioni eccedenti il budget prefissato dall’amministrazione possano legittimamente rilevare, come ritenuto dalla sentenza in nota, ai fini della determinazione delle risorse spettanti alle strutture accreditate. Nel caso di specie, infatti, la p.a. ha optato per il criterio della produzione effettiva nel riparto delle risorse disponibili, sì da ottimizzare pro futuro le potenzialità delle strutture nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, mentre per la ricorrente una simile opzione avrebbe valorizzato una forma di illecito contrattuale.
In base a tali premesse è opportuno chiarire, innanzitutto, il regime delle prestazioni extra budget e, successivamente, la ragionevolezza del menzionato criterio in relazione ai poteri decisori del giudice amministrativo.
In merito al primo profilo, dagli artt. 8-quinquies e 8-sexies del d.lgs. n. 502/1992 si desume la regola per cui non è consentita la remunerazione delle prestazioni in argomento, in quanto la funzionalità del sistema di programmazione sanitaria si fonda sul rispetto dei tetti di spesa preventivati. Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare, al riguardo, che l’osservanza di questi tetti costituisce un vincolo ineludibile che stabilisce la misura delle prestazioni che il SSN può erogare e permettersi di acquistare[45], al punto di giustificare l’omessa previsione dei criteri remunerativi riguardanti le prestazioni extra budget, circostanza ritenuta coerente con il fine di perseguire obiettivi di equilibrio finanziario attraverso un’attività di programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante[46] e, come anticipato, connotata da significativi margini di discrezionalità.
In questa parte del ragionamento si innesta il secondo profilo relativo al tipo di sindacato giurisdizionale che può svolgersi in riferimento all’esercizio di tale potere, il quale risulta circoscritto agli aspetti del provvedimento idonei a rivelare un’evidente illogicità, irragionevolezza o erroneità[47]. Una volta escluso che l’amministrazione sia incorsa in un simile vizio della funzione[48], il giudice amministrativo non può sostituire il proprio giudizio alle valutazioni spettanti alla p.a.
Ciò non implica, ovviamente, preclusioni in ordine alla verifica della congruità delle valutazioni strumentali ad assicurare la razionalità della decisione amministrativa[49]. La vigenza di un canone generale di ragionevolezza[50], del resto, è stata da tempo affermata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato[51], che attraverso il sindacato sull’eccesso di potere ha fatto emergere un obiettivo di adeguamento sostanziale dell’agire pubblico rispetto alla funzione esercitata[52].
Tale sindacato sulla “accettabilità” della scelta schiude significativi spazi al giudice amministrativo, e ciò costituisce la ragione della “forza intrinseca” del giudizio sull’eccesso di potere[53] che ha imposto una rilettura della teoria della validità provvedimentale con il passaggio dalla legittimità formale a quella sostanziale[54]. Spetta, tuttavia, alla parte ricorrente dimostrare la palese ingiustizia, irrazionalità o illogicità di una scelta, come quella in contestazione, basata sulla produzione effettiva ai fini del riparto delle risorse fra strutture private accreditate; il che non è avvenuto: «non appare, infatti, del tutto irrazionale che l’Amministrazione, non disponendo di specifiche evidenze sulla qualità delle prestazioni offerte dai vari soggetti accreditati, abbia deciso di distribuire le risorse finanziarie disponibili prendendo a riferimento il dato della produzione effettiva, quale indice della capacità delle singole strutture sanitarie di erogare prestazioni sanitarie»[55].
La considerazione delle prestazioni erogate extra budget, in tal senso, consente di apprezzare pienamente l’efficienza delle imprese sanitarie e, nella prospettiva secondo cui il perseguimento degli interessi pubblici coesistenti in materia non può sottostare agli interessi privati, cedevoli e recessivi rispetto ai primi[56], si dimostra coerente con il fine ultimo di tutelare il diritto fondamentale alla salute.
[1] Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 20 marzo 2023, n. 435.
[2] DCA 17 ottobre 2022, n. 133.
[3] DCA 18 ottobre 2022, n. 137.
[4] DCA 9 dicembre 2022, n. 185.
[5] Da cui discende l’improcedibilità del ricorso principale.
[6] Cfr. il Report Osservatorio GIMBE 1/2023 Il regionalismo differenziato in sanità (Fondazione GIMBE: Bologna, febbraio 2023, disponibile sul sito www.gimbe.org/regionalismo-differenziato-report). La mobilità sanitaria interregionale avvera spesso forme di “turismo” sanitario non sovrapponibili a quelle considerate dalla giurisprudenza amministrativa e, in linea di principio, non consentite anche in ragione di «intuibili esigenze di natura economico-finanziaria a tutela dell’erario e di parità di trattamento dei cittadini/utenti» (Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2014, n. 19; Id. 22 gennaio 2014, n. 296; Id. 11 marzo 2014, n. 1146; Id. 17 marzo 2014, n. 1320; Id. 21 luglio 2014, n. 3881), in considerazione della richiesta di autorizzazione a effettuare cure specialistiche all’estero, né con il consolidato principio di libera scelta del paziente che comprende la scelta della struttura, pubblica o privata, a cui rivolgersi.
[7] Cfr., ex multis, Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 17 maggio 2017, n. 1351.
[8] Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 17 giugno 2020, n. 2020, che sul punto richiama Id. 26 settembre 2018, n. 1636.
[9] L’art. 1, comma 796, della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), istitutiva un fondo per il triennio 2007-2009 da ripartirsi fra le regioni interessate da elevati disavanzi, ne ha subordinato l’accesso «alla sottoscrizione di apposito (…) piano di rientro dai disavanzi» puntualizzando il relativo contenuto.
[10] E resi effettivi con l’Intesa fra Stato e Regioni del 23 marzo 2005.
[11] Il d.P.C.M. 12 gennaio 2017 recante «definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza» di cui all’art. 1, comma 7, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ha sostituito il d.P.C.M. 29 novembre 2001. La “griglia LEA” si compone di 22 indicatori, in base ai quali viene elaborato un unico risultato che riassume la valutazione dei servizi erogati in ciascuna delle tre aree assistenziali (prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera): sono adempienti le regioni che conseguono un risultato complessivo pari o superiore a 160. Diversamente da tale sistema valutativo, il monitoraggio fondato sul Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), introdotto in via sperimentale con d.m. 19 marzo 2019 e operativo dal 1° gennaio 2020, è basato su 88 indicatori, dei quali 22 “core”, ossia impiegati per valutare l’erogazione dei LEA in ciascuna delle suddette aree assistenziali, che sostituiscono la “griglia LEA” in vigore fino al 2019, e 66 “no core” che non concorrono alla formazione dei punteggi finali, bensì costituiscono una base informativa per la valutazione complessiva dei SSR e dei loro fabbisogni assistenziali. Il NSG attribuisce un punteggio ad ogni area assistenziale e considera adempiente la regione che totalizza un punteggio, per ciascuna area, pari almeno a 60 (con valore massimo di 100). L’ultima verifica adempimenti LEA disponibile si riferisce all’anno 2019. Per un confronto tra i risultati della Griglia LEA per il periodo 2015-2019 e il monitoraggio sperimentale per il 2019 in base al NSG, si veda il Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei Servizi Sanitari Regionali (esercizi 2020-2021) elaborato dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti, deliberazione n. 19/SEZAUT/2022/FRG, 74 ss.
[12] Cfr. V. Antonelli - E. Griglio, Tutela della salute, in L. Vandelli - F. Bassanini (a cura di), Il federalismo alla prova: regole, politiche, diritti nelle Regioni, Bologna, 2012, 52 s.
[13] Cfr., ex multis, Corte cost. 19 gennaio 2017, n. 14; Id. 22 novembre 2016, n. 266; Id. 11 novembre 2015, n. 227. Riecheggia qui il monito della dottrina secondo cui «il tema del commissario ad acta, o ad actus, si iscrive prevalentemente nel vasto panorama dell’inefficienza nell’esercizio di attività che rilevano anche – o soltanto – nell’interesse alieno ed in particolare di funzioni della pubblica amministrazione» (V. Caputi Jambrenghi, Commissario ad acta, in Enc. dir., agg. VI, 2002, 285).
[14] Cfr. V. Antonelli - E. Griglio, Tutela della salute, cit., 46.
[15] Cfr. E. Pesaresi, La “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” e la materia “tutela della salute”: la proiezione indivisibile di un concetto unitario di cittadinanza nell’era del decentramento istituzionale, in Giur. cost., 2, 2006, 1733 ss. Pone in evidenza il nesso tra i principi di unità, uniformità e uguaglianza anche D. D’Orsogna, Principio di uguaglianza e differenziazioni possibili nella disciplina delle autonomie territoriali, in F. Astone - M. Caldarera - F. Manganaro - A. Romano Tassone - F. Saitta (a cura di), Principi generali del diritto amministrativo ed autonomie territoriali, Torino, 2007, 8 e 22.
[16] Non è superfluo ricordare che ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica rappresentano materie di potestà legislativa concorrente.
[17] Cfr. Corte cost. 27 gennaio 2004, n. 43, con nota di F. Merloni, Una definitiva conferma della legittimità dei poteri sostitutivi regionali, in Le Regioni, 4, 2004, 1074 ss.
[18] Corte cost. 23 luglio 2021, n. 168, con nota di A. Carosi, Risanamento finanziario, garanzia dei livelli essenziali e poteri sostitutivi: riflessioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale n. 168 del 2021, in Bilancio com. persona, 2, 2021, 50 ss.
[19] Cfr. V. Antonelli, Livelli essenziali, materie trasversali e altri fattori unificanti, in Il federalismo alla prova, cit., 395.
[20] Ai sensi dell’art. 2, commi 88 e 88-bis, della l. 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), i programmi operativi costituiscono «prosecuzione e necessario aggiornamento degli interventi di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del piano di rientro al fine di tenere conto del finanziamento del servizio sanitario programmato per il periodo di riferimento, dell’effettivo stato di avanzamento dell’attuazione del piano di rientro, nonché di ulteriori obblighi regionali derivanti da intese fra lo Stato, le regioni e le province autonome». Sulla configurazione dei programmi operativi come atti di esecuzione dei piani di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria, fonte di attribuzione di potere e limite alle prerogative del commissario ad acta, S. Villamena, Il Commissariamento della sanità regionale. Conflittualità ed approdi recenti anche con riferimento al c.d. decreto Calabria, in www.federalismi.it (osservatorio di diritto sanitario), 2019, 7.
[21] Cfr. Corte cost. 20 ottobre 2020, n. 217, e, da ultimo, Id. 14 febbraio 2023, n. 20.
[22] Cfr. Corte cost. 26 novembre 2021, n. 220, la quale, nel solco già tracciato da Id. 1 giugno 2018, n. 117, sottolinea che i livelli essenziali delle prestazioni «costituiscono un elemento imprescindibile per uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali».
[23] Cfr. R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Torino, 2007, 62 ss. Si veda già R. Ferrara, Salute (diritto alla), in Dig. disc. pubbl., vol. XIII, Torino, 1997, spec. 531: «mentre il diritto alla salute sembra conservare, tutto sommato, caratteri di assolutezza e di inviolabilità nei rapporti interpersonali fra privati, alla luce dell’art. 32 Cost. interpretato come norma precettiva, questo stesso principio costituzionale evapora e degrada al rango di mera disposizione programmatica allorchè si applichi alle relazioni intersoggettive fra i cittadini-utenti e la pubblica amministrazione». Sulla connotazione del diritto alla salute come “diritto finanziariamente condizionato” si veda F. Merusi, I servizi pubblici negli anni '80, in Quad. reg., 1985, 54. Spetta al legislatore svolgere un bilanciamento che tenga conto dell’esigenza di equilibrio della finanza pubblica e, in tal senso, il diritto alle prestazioni sanitarie non può ritenersi illimitato e assoluto (cfr. N. Aicardi, La sanità, in S. Cassese, a cura di, Trattato di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2000, 382), ma la ristrettezza dei mezzi e delle risorse non potrebbe, comunque, incidere su tale diritto sociale al punto di comprometterne il “nucleo essenziale” (Corte cost. 17 luglio 1998, n. 267).
[24] Come espressamente riconosciuto da Corte cost. 16 dicembre 2016, n. 275, in relazione al diritto all’istruzione del disabile consacrato nell’art. 38 Cost.
[25] Cfr. Corte cost. 26 febbraio 2010, n. 80.
[26] Corte cost. 12 luglio 2017, n. 169.
[27] Sul valore dell’uguaglianza e, in particolare, sulla forza acquisita da quella sostanziale «e quindi dalla necessità di trattare in modo uguale gli uguali, ma in modo diseguale i diseguali», G. Amato, Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni, Bologna, 2014, 196. Sul nesso fra tutela della salute e uguaglianza sostanziale, C. Bottari, Principi costituzionali e assistenza sanitaria, Milano, 1991, 49 ss. Sul rapporto fra art. 3 Cost., Stato sociale e fondamento dei diritti sociali, senza pretesa di esaustività, G. Corso, I diritto sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 757; F.A. Roversi Monaco, Compiti e servizi. Profili generali, in L. Mazzarolli - G. Pericu - A. Romano - F.A. Roversi Monaco - F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, II, Bologna, 2005, 7.
[28] Tar Molise, sez. I, 15 febbraio 2013, n. 119, secondo cui «dal punto di vista organizzativo la struttura commissariale, nonostante sia organo statale, si avvale degli uffici e del personale della regione inadempiente che ne è anche tenuta a sopportare i costi di funzionamento (…). La rilevata autonomia organizzativa e l’esercizio di poteri propri e non delegati nell’attuazione del piano di rientro induce pertanto a ritenere la struttura commissariale unico legittimato passivo nei giudizi aventi ad oggetto la legittimità degli atti adottati dal commissario ad acta. I ricorrenti eccepiscono che la notifica alla Regione Molise sarebbe idonea a garantire la regolare costituzione del contraddittorio in quanto gli atti adottati dal commissario ad acta dovrebbero imputarsi alla Regione medesima; in senso contrario deve osservarsi che la relazione che intercorre tra la regione e la struttura commissariale è di tipo intersoggettivo e non interorganico».
[29] Come precisato da Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2015, n. 1832, rientra nella competenza esclusiva del commissario ad acta la realizzazione del mandato conferito con la nomina sostitutiva ai sensi dell’art. 120, comma 2, Cost. Si legge, ancora, nella citata sentenza del Tar Molise n. 119/2013 che il commissario ad acta è l’unico soggetto titolare di legittimazione passiva, in quanto «centro di imputazione autonomo sia rispetto alla regione, i cui uffici operano a supporto organizzativo della struttura commissariale in relazione di mero avvalimento (cfr. Tar Molise, 23 dicembre 2010, n. 1565), sia rispetto alla Presidenza del Consiglio dei ministri (…) cui compete il solo procedimento di nomina e la prodromica attività istruttoria relativa all’accertamento della sussistenza dei presupposti normativi di cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2001, di attuazione dell’art. 120 Cost., per disporre l’intervento sostitutivo». Sull’autonomia operativa, decisionale e organizzativa della struttura commissariale rispetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5424.
[30] Cfr. G. Avanzini, Il commissario straordinario, Torino, 2013, 113, che ricorda la pronuncia del Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 25 giugno 2013, n. 712, secondo cui il ricorso avverso i decreti assunti dal Presidente della Giunta in qualità di commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro non va notificato presso la Regione Calabria, bensì la competente Avvocatura dello Stato ex art. 1 della l. 25 marzo 1958, n. 260, richiamato per i giudizi amministrativi dall’art. 10, comma 3, della l. 3 aprile 1979, n. 103, trattandosi di atti riconducibili all’amministrazione statale.
[31] Ai sensi dell’art. 6, comma 5, della l. 23 dicembre 1994, n. 724.
[32] Ai sensi dell’art. 2, comma 8, della l. 28 dicembre 1995, n. 549. Il principio della pianificazione preventiva è stato confermato, con modifiche, dall’art. 1, comma 32, della l. 23 dicembre 1996, n. 662.
[33] È quanto si legge nella pronuncia del Cons. Stato, ad. plen., 12 aprile 2012, n. 3, e, nello specifico, nel § 2.1 della parte in diritto che sta orientando la ricognizione normativa in argomento.
[34] Ibidem.
[35] Così sempre Cons. Stato, ad. plen, n. 3/2012 per cui «l’atto programmatorio regionale rappresenta, in definitiva, un primo e fondamentale strumento di orientamento per le strutture sanitarie pubbliche e private».
[36] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. I, adunanza del 26 gennaio 2022, n. 1077/2022; Tar Campania, Napoli, sez. I, 29 novembre 2022, n. 7423; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 31 ottobre 2022, n. 3053; Tar Lazio, Roma, sez. III-quater, 2 maggio 2022, n. 5401.
[37] In relazione alla quale è sorto un contrasto giurisprudenziale dovuto a due diversi orientamenti. Per il primo la fissazione di tetti di spesa in via retroattiva, soprattutto intervenendo in un periodo avanzato dell’anno, sarebbe illegittima poiché idonea a sottrarre a operatori del SSN la possibilità di programmare, con ragionevole anticipo e congrua ponderazione, la propria attività (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 marzo 2004, n. 1667; Id. 31 gennaio 2003, n. 499). In base al secondo orientamento, già avallato da Cons. Stato, ad. plen., 2 maggio 2006, n. 8, la fissazione in corso d’anno di tetti che dispieghino i propri effetti anche sulle prestazioni già erogate non potrebbe considerarsi, in quanto tale, illegittima, giacchè essa rappresenta la conseguenza fisiologica dei tempi non comprimibili che permeano le diverse fasi procedimentali previste dalla legge rispetto alla definizione dei fondi utilizzabili (cfr. gli artt. 32, comma 8, l. n. 449/1997, 12, comma 3, d.lgs. n. 502/1992 e 39, comma 1, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, da leggere in combinato con l’art. 115 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112). Questo secondo orientamento è stato confermato da Cons. Stato, ad. plen., n. 3/2012 con la precisazione che «la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonché esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli. Inoltre, la considerazione dell’interesse dell’operatore sanitario a non patire oltre misura la lesione della propria sfera economica anche con riguardo alle prestazioni già erogate fa sì che la latitudine della discrezionalità che compete alla regione in sede di programmazione conosca un ridimensionamento tanto maggiore quanto maggiore sia il ritardo nella fissazione dei tetti».
[38] Così, oltre alla sentenza in nota, Cons. Stato, sez. III, 7 dicembre 2021, n. 8161; Id. 4 novembre 2018, n. 6427; Id. 4 luglio 2017, n. 3274.
[39] E solo per questa Regione ha determinato l’adozione, in rapida successione, di due atti con forza di legge, meglio noti come “decreti Calabria”, ossia il d.l. 30 aprile 2019, n. 35, convertito con modificazioni dalla l. 25 giugno 2019, n. 60, e il d.l. 10 novembre 2020, n. 150, convertito con modificazioni dalla l. 30 dicembre 2020, n. 181. L’art. 2, comma 1, del d.l. 8 novembre 2022, n. 169, come convertito dalla l. 16 dicembre 2022, n. 196, ha disposto con alcune eccezioni la proroga delle misure per il SSR calabrese in questione, in origine applicabili per ventiquattro mesi, di sei mesi. Un’ulteriore proroga, fino al 31 dicembre 2023, è stata disposta dall’art. 3 del d.l. 10 maggio 2023, n. 51, recante «disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale», convertito con modificazioni dalla l. 3 luglio 2023, n. 87.
[40] Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2016, n. 1244.
[41] Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3859.
[42] Cons. Stato, sez. III, 21 luglio 2017, n. 3617.
[43] Vedi infra.
[44] Cfr. Corte cost. 26 maggio 2005, n. 200.
[45] Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13884.
[46] Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2019, n. 27997.
[47] Cfr., ex multis, Tar Campania, Napoli, sez. I, 5 giugno 2019, n. 3054.
[48] La ricostruzione dell’eccesso di potere quale vizio della funzione, come noto, è stata elaborata da F. Benvenuti, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1950, 1 ss.
[49] Cfr. F. Trimarchi Banfi, Ragionevolezza e razionalità delle decisioni amministrative, in Dir. proc. amm., 2, 2019, 313 ss.
[50] Cfr. F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, 514, e ancor prima, con riferimento al rapporto fra eccesso di potere e sindacato sul ragionevole perseguimento del fine, E. Presutti, I limiti del sindacato di legittimità, Milano, 1911, 78.
[51] Cfr. A. Romano, Art. 26 (t.u. Cons. St. r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), in Id., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 1992, 266 (II ed., 2001, 195), il quale evidenzia l’emersione, nel panorama giurisprudenziale, del principio di ragionevolezza per le scelte discrezionali amministrative che «ben presto ha assunto tutta l’ampiezza che deve essergli riconosciuta: come limite non solo intrinseco, ma anche altrettanto generale della loro legittimità; e, in tal modo, il giudice amministrativo che lo ha elevato a tanta portata, lo ha formato come strumento mediante il quale poter operare un sindacato parimenti generale di quelle scelte discrezionali medesime, senza peraltro travalicare i limiti della propria giurisdizione detta, appunto, di (sola) legittimità (…). Il principio di ragionevolezza delle scelte discrezionali amministrative viene a porsi come l’angolo visuale più comprensivo dal quale poter valutare tutte le numerosissime ipotesi che si riconducono all’eccesso di potere, come vizio appunto generale della discrezionalità amministrativa». Sulla ragionevolezza come «elemento fondamentale del processo decisorio della pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere discrezionale», si veda anche F. Astone, Il principio di ragionevolezza, in M. Renna - F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 372.
[52] Cfr. G. Pastori, Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Foro amm., 11, II, 1987, 3170.
[53] Cfr. A. Police, Amministrazione di “risultati” e processo amministrativo, in M. Immordino - A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati (Atti del Convegno, Palermo, 27-28 febbraio 2003), Torino, 2004, 112.
[54] Per ulteriori sviluppi, cfr. i contributi di A. Pajno, Ciò che resta dell’eccesso di potere, F.G. Scoca, Qual è il problema dell’eccesso di potere? e F. Merusi, L’eccesso di potere è morto? E se è morto, chi l’ha ucciso? in F. Francario - M.A. Sandulli (a cura di), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa. In ricordo di Leopoldo Mazzarolli, Napoli, 2017, 233 ss.
[55] Così la sentenza in nota. Non si discute la possibilità di optare per un diverso criterio e neppure si tratta di verificare se il criterio prescelto sia il più idoneo a contemperare gli interessi in gioco. Occorre, invece, appurare un’eventuale irrazionalità, illogicità o ingiustizia della decisione amministrativa, la cui dimostrazione rappresenta un onere per la parte ricorrente.
[56] Come è stato pure evidenziato da Cass. civ., sez. III, n. 13884/2020.