Sommario: 1. Una diversa prospettiva sulla sinteticità e chiarezza. - 2. Il dibattito sui predicati tra processo amministrativo e civile. - 3. Aspetti critici e gli orientamenti sulla infra-petizione. - 4. Il giudice non può offrire “benevolenza” a una delle parti. - 5. Quale distinzione tra l’irragionevole estensione dell’atto e la chiarezza e sinteticità espositiva? - 6. Il ritorno al punto di partenza.
1. Una diversa prospettiva sulla sinteticità e chiarezza
Una prospettiva originale sul tema della sinteticità e chiarezza degli atti processuali emerge da un recente decreto cautelare del Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana[1]. Tale decreto adotta un’interpretazione innovativa dei poteri del giudice riguardo alle conseguenze del superamento dei limiti quantitativi degli atti processuali, contribuendo così ad arricchire e ad agitare il dibattito in corso.
Il citato decreto monocratico dichiara inammissibile un’istanza di concessione di misure cautelari monocratiche per “eccesso quantitativo” dell’appello “proposto il giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza gravata” che “al netto delle parti escluse ai sensi dell’articolo 4 del D.P.C.S. 22 dicembre 2016 consta di 100.846 caratteri (spazi esclusi), cui si aggiungono i 6.917 caratteri della “premessa” (questi ultimi rilevanti almeno per la parte eccedente i 4.000 caratteri consentiti dall’articolo 4, comma 1, terzo alinea, del cit. D.P.C.S.), dunque per un totale di caratteri computabili pari a 103.763: sicché l’atto processuale in esame eccede di 33.763 caratteri il limite dimensionale (di 70.000 caratteri) fissato dall’art. 3, comma 1, lettera b), del cit. D.P.C.S. (nonché, altresì, di 3.763 caratteri quello, di 100.000 caratteri, autorizzabile ai sensi dell’art. 5, comma 1, dello stesso D.P.C.S.)”[2].
Non è tanto il dato fattuale del superamento della quantità (il c.d. eccesso di lunghezza) a destare particolare curiosità (e per certi versi preoccupazione), quanto la conseguenza giuridica e il fondamento interpretativo posto alla base della conseguenza stessa che, com’è noto, costituiscono per il processo amministrativo il nodo problematico derivante dalla formulazione normativa e dalla interpretazione giurisprudenziale non uniforme[3]. È un tema solo in apparenza poco dibattuto tra gli studiosi del processo amministrativo[4] e quelli del processo civile[5] che si cimentano in un numero di predicati spesso vaghi o usati come sinonimi o che son destinati a creare ossimori e che si identificano nella chiarezza, sinteticità, comprensibilità, non prolissità, non ripetitività, brevità, comprensibilità degli atti stessi o ancora nell’essere gli atti o le loro motivazioni concisi o succinti.
Nulla di nuovo[6]: questione dibattuta che inizia ad assumere maggior rilievo con l’avvento della sentenza breve ovvero quella “succintamente motivata” (cfr. art. 21-bis l. Tar).
2. Il dibattito sui predicati tra processo amministrativo e civile
Il dibattito sui predicati ora enunciati invece comincia a formarsi con maggiore enfasi con la fine della macchina da scrivere e con l’avvento dell’informatica e delle banche dati che consentono di redigere atti mediante operazioni di “taglia e incolla” e che nel quotidiano portano verso una crescita bulimica degli atti di parte (e certe volte delle sentenze) togliendo spesso ogni argine ai fiumi di righe e pagine che cominciano a inondare i documenti digitali e le loro stampe cartacee. Fenomeno che si accentua a seguito del passaggio dal bollo, commisurato al numero delle righe per pagina (o commisurato al foglio uso protocollo), al contributo unificato, che invece da tale numero prescinde essendo quantificato in misura forfettaria dando spesso la sensazione di aver pagato abbastanza e di poter scrivere senza limiti. Il dibattito si accentua ulteriormente con il passaggio dall’atto cartaceo all’atto digitale e alla mancanza di sensazione del peso fisico delle cartelle e dei fascicoli.
Invece nello specifico del processo in cassazione lo spauracchio del principio dell’autosufficienza e il conseguente reiterarsi di provvedimenti di inammissibilità ha inclinato gli avvocati a predisporre ricorsi di decine (a volte centinaia) di pagine nei quali ritrascrivere i documenti, gli atti ed i provvedimenti dei precedenti gradi di giudizio spesso anche per intero.
Nel processo amministrativo il principio di sinteticità e di chiarezza è stato codificato all’art. 3, c. 2 c.p.a. (Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione) ed è previsto per gli atti di parte e per quelli del giudice. Per quanto riguarda gli atti di parte i requisiti formali sono stati disciplinati in un susseguirsi di cambiamenti e con “non poche difficoltà ricostruttive” si è arrivati alla formulazione attuale di cui all’art. 13-ter dell’allegato n. 2 attuato per quanto riguarda i limiti dimensionali con il D.P.C.S. 22 dicembre 2016[7].
Il principio di sinteticità e chiarezza trova fonte in una norma ordinaria e può considerarsi “sicuramente” un principio generale definito innovativo e che rientra nell’economia dei mezzi processuali e che costituisce un corollario dell’effettività della tutela giurisdizionale e della ragionevole durata del processo che ne è una sub specie e come tale non avrebbe di per sé fondamento costituzionale[8]. Lo sviluppo di detto principio è stato significativo in quanto è andato anche “oltre il processo amministrativo”[9] e con un moto circolare di contaminazione è arrivato a sfiorare il ricorso per Cassazione e a “toccare” il processo civile in generale[10] e (con orientamenti definiti stravaganti[11]) a interessare il processo tributario[12].
Il sistema del processo amministrativo è visto come un modello avanzato che potrebbe porre rimedio “alla crisi di funzionalità del processo civile e soprattutto di quello di legittimità, afflitto da un arretrato spaventoso e difficilmente gestibile”[13]. La dottrina e gli operatori del processo civile seguono “l’esperienza del supremo Consesso amministrativo” che “non ha esitato (…) a qualificare la sinteticità degli atti come uno dei modi - e forse tra i più importanti - per arrivare ad una giustizia rapida ed efficace”. Ma notano altresì che “nel processo civile è tutto più difficile” a causa delle “antichissime radici” che hanno sviluppato “l’inclinazione alla prolissità e alla complessità dell’argomentazione”[14].
Di recente il processo civile con le riforme orizzontali previste dal PNRR ha assunto una propria disciplina compiuta prevedendo tutta una serie di interventi (agli artt. 163, c. 2, n. 4, 167, c. 1, 366 c.p.c.) e, in particolare, all’ art. 121 c.p.c. ha previsto i principi di chiarezza e sinteticità degli atti del giudice e delle parti quali principi generali, mentre all’art. 46 disp. att. al c.p.c. ha previsto la forma e i criteri di redazione degli atti giudiziari[15].
La Relazione illustrativa alla riforma precisa che tale principio di delega è stato introdotto in un’ottica di accelerazione del processo, tenendo conto altresì dello sviluppo e del consolidamento del processo civile telematico, che impone nuove e più agili modalità di consultazione e gestione degli atti processuali da leggere tramite video, tanto per le parti quanto per i giudici[16].
La legge delega ha altresì espressamente previsto il divieto di sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell’atto, quando questo ha comunque raggiunto lo scopo, e che della violazione delle specifiche tecniche, o dei criteri e limiti redazionali, si possa tener conto nella disciplina delle spese[17]. Tale principio di delega è stato recepito nella nuova formulazione dell’art. 46 disp. att. c.p.c. [18].
Anche il Codice della giustizia contabile contiene un’espressa norma[19].
I principi di sinteticità e chiarezza informano altresì l’ordinamento dell’Unione Europea e della Cedu. La CorteGUE richiede un numero massimo di pagine[20], le Linee guida[21] prevedono che “nei limiti del ragionevole, le memorie dovrebbero essere il più sintetiche possibile” e di mantenere “uno stile semplice in modo che il documento sia agevolmente traducibile – periodi chiari e incisivi sono la scelta migliore”. La CorteEDU impone l’utilizzo di un formulario di ricorso, richiedendo una sintetica esposizione dei fatti e dei motivi e un numero massimo di pagine per i documenti integrativi[22].
Interessante notare l’art. 132 c.p.c. svizzero (rubricato Atti viziati da carenze formali o da condotta processuale querulomane o altrimenti abusiva) nel quale gli atti illeggibili, sconvenienti, incomprensibili o prolissi vanno sanati entro il termine fissato dal giudice, altrimenti, l’atto si considera non presentato[23].
Per andare oltre il sistema processuale si può notare che esiste anche una specifica regola tecnica UNI 11482:2013 sugli “Elementi strutturali e aspetti linguistici delle comunicazioni scritte delle organizzazioni” che interviene (in via volontaria per quanto riguarda l’applicabilità) sui linguaggi delle organizzazioni i quali genericamente sono tecnico-amministrativi e indipendentemente dall’argomento condividono alcune caratteristiche che dovrebbero essere disciplinate. In particolare queste regole tecniche permettono di definire concretamente la chiarezza.
Inoltre nella pubblica amministrazione ci sono stati tentativi di migliorare il linguaggio burocratese[24], come anche nell’ambito legislativo con tecniche di buona redazione.
In effetti la questione si sposta sulle tecniche di redazione degli atti e su quella disciplina moderna che si chiama legal design[25]. Essa si ritrova ad esempio nel regolamento sui compensi degli avvocati nella parte in cui prevede il sistema premiante del compenso dell’avvocato per gli atti processuali redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione, la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati e la navigazione all’interno dell’atto[26].
La questione è comunque anche culturale e non solo precettiva. Calamandrei nell’Elogio dei giudici scritto da un avvocato insegna che “la brevità e la chiarezza, quando riescono a stare insieme, sono i mezzi sicuri per corrompere onestamente il giudice”. Scialoja dal canto suo insegna che “il diritto è l’arte di tracciare i limiti ed un limite non esiste se non in quanto sia chiaro” e “tutto ciò che è oscuro può appartenere forse ad altre scienze, ma non al diritto”[27].
Il punto è che giurista (o meglio una parte di essi o alcune categorie o parti di esse) non è propenso al bello nel linguaggio. Il valore della bellezza assume importanza per favorire lo sviluppo della conoscenza. Per i giuristi il bello non è un obiettivo ricercato anzi è percepito quasi come un disvalore, perché si sospetta ambiguo, non necessariamente completo, serio, affidabile, preferisce un linguaggio contorto[28].
3. Aspetti critici e gli orientamenti sulla infra-petizione
Ritornando al processo amministrativo, com’è noto, ci sono alcuni aspetti critici che a fronte della recente riforma del processo civile potrebbero trovare spunto e soluzione con quel moto circolare di rinvio esterno a doppio senso.
È pacifico che il principio di sinteticità e chiarezza, come detto, è previsto da fonte primaria e trova corollario in una serie di principi citati. Meno pacifica è la conseguenza della violazione: nessuna norma di rango primario sul processo amministrativo prevede esplicitamente che la violazione del principio di sinteticità possa dar luogo alla inammissibilità – in parte qua – della domanda. Le conseguenze della violazione del principio si individuano all’art. 26 c.p.a., con riguardo all’aspetto della condanna alle spese di lite e all’art. 13-ter, c. 5, all. II c.p.a., laddove è previsto che l’omesso esame del giudice delle questioni contenute nelle pagine dell’atto eccedenti i limiti dimensionali prescritti o autorizzati non rappresenta motivo di impugnazione.
Non più pacifica è altresì l’interpretazione del citato comma 5 sulla condotta del giudice.
L’interpretazione delle conseguenze della violazione di tali norme, compresi i requisiti e i limiti dimensionali degli atti, è stata affidata alla dottrina e alla giurisprudenza che si è concretizzato in diversi filoni generando orientamenti contrastanti e qualche volta radicali come nel caso in commento.
Secondo una prima teoria il superamento dei limiti dimensionali determinerebbe l’inammissibilità delle specifiche censure o delle deduzioni svolte dalla parte[29] ricevendo però la critica dell’assenza di una norma dalla quale sarebbe possibile far derivare la conseguenza dell’irricevibilità o inammissibilità in parte qua dell’atto processuale di parte eccedente i limiti dimensionali previsti.
Tale filone aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto per violazione del dovere di specificità dei motivi di ricorso ex artt. 40, c. 1, lett. d) e 101, c. 1, c.p.a. e altresì del dovere di sinteticità di cui all’art. 3, c. 2, c.p.a sulla scorta di quel filone dell’ Adunanza plenaria[30] e ripreso dalle Sezioni unite della cassazione[31] della considerazione della “giurisdizione come risorsa a disposizione della collettività, che proprio per tale ragione deve essere impiegata in maniera razionale, sì da preservare la possibilità di consentirne l’utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale”.
In base a un altro orientamento della giurisprudenza amministrativa è stato di contro escluso che la violazione dei limiti dimensionali comporti la irricevibilità, in parte qua, dell’atto, in quanto vanno in concreto soppesato le dimensioni dell’atto con la complessità della vicenda[32]. Se l’iniziale impostazione legislativa faceva leva unicamente sulla condanna alle spese di lite (art. 26 c.p.a.), secondo questa teoria giurisprudenziale “l’art. 13-ter, in modo estremamente innovativo sul piano sistematico, sanziona in termini (non di nullità, bensì) di “inutilizzabilità” le difese sovrabbondanti” (c.d. infra-petizione) in quanto il giudice è autorizzato a presumere che la violazione dei limiti dimensionali (ove ingiustificata) sia tale da compromettere l’esame tempestivo e l’intellegibilità della domanda”[33].
La posizione assunta coglie il problema di fondo della mole di affari trattati e sintomatico ne è il passaggio dell’ordinanza che rileva come “ciascuna Sezione del Consiglio di Stato ‒ non contemplando il nostro ordinamento processuale alcun meccanismo di filtro (a differenza della stragrande maggioranza delle Supreme Corti europee) ‒ ogni settimana deve scrutinare nel merito un numero elevatissimo di cause (nell’ordine delle centinaia), ciascuna delle quali (salvo che gli avvocati non compaiano o vi rinuncino) è ammessa alla discussione orale”.
Esiste anche un orientamento che prevede sanzioni di irricevibilità o inammissibilità per il superamento non autorizzato dei limiti dimensionali, ma con alcune cautele, come l’invito a riformulare le difese o a sintetizzare con memoria o a concedere alla controparte la possibilità di replicare sulla parte eccedente[34] oppure trascurare i profili di inammissibilità, poiché il ricorso è privo di fondamento nel merito[35].
4. Il giudice non può offrire “benevolenza” a una delle parti
Nel caso di specie[36] il Giudice ha negato la tutela cautelare monocratica applicando “la sanzione” dell’inammissibilità dell’istanza di concessione di misure cautelari monocratiche “perché contenute nelle pagine finali dell’atto di appello, ossia in quelle che certamente eccedono il relativo limite dimensionale normativamente stabilito”. La lettura che egli ha dato all’art. 13-ter, c. 5, delle norme di attuazione del c.p.a. è alquanto diversa da quanto si stava consolidando sino ad ora. Si era abbastanza convinti - ma pare non sia proprio così - che il c. 5 “si limiti a stabilire che il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti”, e che “l’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione” (la deroga rispetto all’obbligo generalmente esistente in campo al giudice di pronunciare su tutta la domanda – c.d. legittimità dell’infra-petizione), lasciando così “apparentemente intendere che il giudice possa, pur se solo facoltativamente, esaminare anche le questioni poste nelle pagine in eccesso”.
Invece la posizione assunta dal decreto presidenziale vede configurare nel comma 5 “un obbligo (negativo) del giudice, piuttosto che una sua facoltà, di non esaminare le questioni (e, dunque, di non conoscere delle domande) trattate nelle porzioni dell’atto processuale che eccedano i suoi limiti normativamente fissati”, ovviamente “fatte salve, naturalmente, le facoltà “riparatorie” concesse dall’art. 7, comma 1, del cit. D.P.C.S., e segnatamente dal relativo secondo periodo”.
Detta posizione sarebbe frutto di “una più meditata considerazione” in base alla quale “si deve piuttosto ritenere che la normativa citata non abbia demandato al giudice di poter conoscere, o meno, delle questioni ulteriori a quelle svolte nei limiti dimensionali dell’atto processuale secondo il suo soggettivo apprezzamento”, ma ne avrebbe previsto un “obbligo (negativo) del giudice”.
Detto obbligo si troverebbe nei “fondamentali principi di terzietà e di imparzialità del giudice” che in “un processo di parti (ossia di c.d. giurisdizione soggettiva)” non può offrire “benevolenza” a una delle parti in quanto la benevolenza offerta “conseguirebbe ineluttabilmente un pregiudizio (da reputarsi “ingiusto”, perché ottenuto a fronte della violazione di una norma del codice processuale) per le (altre) controparti processuali”[37].
Il decreto presidenziale sembra suggerire che già il solo mancato rispetto dei limiti quantitativi degli atti processuali potrebbe portare a una potenziale dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione. Questo perché il superamento di tali limiti non tanto potrebbe compromettere la chiarezza delle questioni quanto invece ostacolare il principio di leale collaborazione tra le parti coinvolte nel processo e il giudice. Tale situazione rappresenterebbe un impedimento per un dibattito completo ed efficace, con l’ulteriore obiettivo di evitare l’imposizione di oneri processuali superflui sia allo Stato che alle parti coinvolte.
Da ciò si desumerebbe che il superamento della quantità prevista (del c.d. peso o lunghezza) comporti l’inammissibilità per la parte eccedente, e nel caso di specie della complessiva tutela cautelare presidenziale, azionata il “giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza gravata”. Elemento quest’ultimo che, non conoscendo gli atti di causa, potrebbe intendersi come atto particolarmente urgente redatto da un legale veloce e capace oppure come atto “buttato su in un solo giorno” con la probabile tecnica del copia incolla.
In ogni caso il decreto presidenziale commentato ritiene che i limiti dimensionali possono costruire un requisito formale necessario e sufficiente per il raggiungimento dello scopo dell’atto processuale.
Va detto che la giurisprudenza invece pare attestarsi su una posizione diversa da quella sostenuta dal decreto presidenziale commentato: considera la violazione della sinteticità quale sintomatica della sussistenza di un vizio dell’atto che si manifesta solo ove venga compromessa l’intelligibilità delle questioni dedotte. La giurisprudenza, pur conferendo certamente rilievo al principio di sinteticità che supporta la necessità di essere concisi, sembra suggerire che questo principio non si limiti solo alla brevità dell’atto. La mancanza di sinteticità potrebbe rendere parte dell’atto processuale inammissibile o irricevibile solo se le questioni sollevate diventano oscure e poco comprensibili, violando così i requisiti di forma e contenuto testualmente stabiliti dalla legge.
5. Quale distinzione tra l’irragionevole estensione dell’atto e la chiarezza e sinteticità espositiva?
Andrebbe fatta debita distinzione tra l’irragionevole estensione dell’atto e la (non) chiarezza e sinteticità espositiva[38].
È assodato che “la sinteticità non è più un mero canone orientativo della condotta delle parti, bensì è oramai una regola del processo amministrativo”[39] e che di conseguenza le parti dovrebbero rispettare le regole sui limiti o chiederne autorizzazione per il loro superamento, poiché il giudice è autorizzato a presumere che la violazione dei limiti dimensionali, allorquando ingiustificata, sia tale da compromettere l’esame tempestivo nonché l’intellegibilità della domanda[40].
Come procede il Giudice di fronte ad una presunzione del genere?
Il Consiglio di Stato, in una recente ordinanza, si è espresso con la raccomandazione che “non è opportuno sorprendere le parti con atteggiamenti drastici o punitivi, ma, in linea con il principio di leale collaborazione e con un canone di adeguatezza, appare più giusto concedere un breve rinvio, per permettere alle medesime di operare un ragionevole riequilibrio dimensionale delle difese”[41].
Si è anche espresso, in altra decisione, di “ritenere irragionevole non considerare le ultime pagine qualora l’esiguo sforamento dipenda dall’inserimento di immagini” e nel caso da un’elevata complessità tecnica[42].
Purtroppo, a mio avviso, non è sempre assodato in giurisprudenza, mentre lo è più in dottrina[43], che la sinteticità non possa essere assimilata alla brevità e che l’assenza di brevità comporti l’intellegibilità dell’atto processuale e quindi la sua inammissibilità, irricevibilità o addirittura nullità, e questo sulla base di una mera presunzione generata dal legislatore che ha considerato la non sinteticità un fatto sintomatico di una possibile non intellegibilità del contenuto dell’atto processuale[44]. Tuttavia la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto il suo scopo.
Brevità e sinteticità non paiono assumere il medesimo significato e anche il giudice amministrativo ha specificato che “l’essenza della sinteticità, sancita dal codice di rito, non risiede nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l’ampiezza dell’atto che le veicola” [45].
Pertanto è sintetico l’atto non solo se esclude ripetizioni o ridondanze non utili, ma anche quando la dimensione è proporzionata alla numerosità e alla complessità delle questioni trattate.
Sul punto Fabio Francario ci ricorda che è necessario stabilire se nel ragionamento sul tema ci si vuole riferire allo scopo immediato della regola sui limiti dimensionali, che è garantire la brevità, o a quello finalistico del principio, che è assicurare l’ottimale comprensibilità dell’atto. Egli afferma che è importante evitare di considerare la regola della brevità come un’unica manifestazione del principio di sinteticità. In effetti, questo principio non si riduce semplicemente al rispetto di limiti numerici di pagine, spazi o battute, ma si riferisce alla corretta proporzione tra le questioni da affrontare e gli argomenti scelti per farlo in modo equilibrato[46].
Dovrebbe essere assodato che la sinteticità è considerata come una caratteristica formale di un atto processuale, e la sua mancanza non avrà conseguenze negative per l’atto stesso, a meno che non comporti la mancanza di elementi concreti che supportino l’allegata illegittimità[47].
In questo senso, non sembrano esserci nuovi requisiti formali che devono essere considerati necessari per il raggiungimento dello scopo dell’atto processuale.
Se l’esposizione delle questioni è oscura e confusa, compromettendo la loro comprensibilità, la domanda può essere dichiarata inammissibile a causa dell’incertezza che provoca. Tuttavia, se l’atto, nonostante superi i limiti dimensionali, contiene domande formulate in modo chiaro e comprensibile per il giudice, non ci sono motivi per evitare di pronunciarsi sull’intera domanda[48].
Attenta dottrina ci ricorda che rimane da dimostrare che un testo, per essere sintetico debba anche essere breve, e che quindi il problema della sintesi si possa risolvere semplicemente dando i numeri: un testo lungo può essere sintetico se tratta numerosi argomenti e un testo breve può essere prolisso se il suo contenuto è semplice[49].
Sebbene sinteticità e chiarezza siano, per quanto appena esposto, criteri distinti (o almeno distinguibili), essi vengono correntemente adoperati assieme per formare “un’endiadi, in cui la prima è quasi sempre premessa alla seconda”[50].
Sul fronte del processo civile si notano importanti cambiamenti che potrebbero essere utili al processo amministrativo adottando le tecniche dell’analogia legis e l’analogia juris in un percorso a doppio senso tra il processo civile e quello amministrativo.
Dalla lettura delle norme sulla riforma del processo civile (in particolare gli artt. 121 c.p.c. e 46 disp. att. c.p.c.), e sulla scia della giurisprudenza della Cassazione[51], emerge che il principio di chiarezza e il principio di sinteticità nel nuovo processo civile sono distinti e autonomi tra loro.
La chiarezza richiede che il testo sia facilmente comprensibile e privo di ambiguità, mentre la sinteticità richiede che il testo non contenga ripetizioni inutili e non sia eccessivamente prolisso.
La mancanza di chiarezza può portare alla nullità dell’atto se rende incerto il suo contenuto o le ragioni che lo motivano. In tal caso, si può applicare l’art. 164 c.p.c., che prevede un termine per l’integrazione dell’atto di citazione.
D’altra parte, viene notato come la mancanza di sinteticità nel processo civile non abbia una sanzione specifica. Secondo l’articolo 46 disp. att. al c.p.c., la violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non ne comporta l’invalidità, e il termine "limiti" sembra riferirsi alle dimensioni dell’atto. Di conseguenza, la lunghezza eccessiva dell’atto da sola non può determinarne l’inammissibilità[52]. Qui si pone il problema del potere del giudice. Si nota che manca una norma che riconosca al giudice il potere di invitare le parti a riformulare un atto se risulta eccessivamente prolisso o ridondante. Sul punto si potrebbe argomentare che il potere del giudice di sollecitare e gestire il processo, sia stabilito dall’art. 175, c. 1, c.p.c. che gli conferisce il potere di chiedere alle parti di riformulare un atto se risulta eccessivamente lungo o ridondante. Il giudice deve infatti garantire lo svolgimento sollecito e leale del processo, e ciò dipende anche dalla mole degli atti delle parti che deve leggere[53].
Una ulteriore sintesi può essere colta in una recentissima sentenza della Cassazione (Cass., Sez. II, Ord., 16 marzo 2023, n. 7600) la quale richiama il principio del codice del processo amministrativo ribadendo l’assenza di specifica sanzione.
Questa sentenza “intende dare continuità” al consolidato principio di diritto in base al quale: “In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (ex plurimis Sez. 5, Ord. n. 8009 del 2019)”[54].
6. Il ritorno al punto di partenza
“Gli scritti difensivi “obesi” esistono, ma la ...dieta è sbagliata”[55]. Il discorso, per il processo amministrativo ritorna al punto di partenza anche in considerazione di quanto accade nel processo civile. Il punto fermo dovrebbe individuarsi nell’assunto che non ci sono norme che espressamente prevedono la sanzione dell’inammissibilità per il solo fatto del superamento dei limiti, e l’inammissibilità è disciplinata dagli artt. 40 e 44 c.p.a. per quelle ipotesi indicate. Fuori da questi casi si ha una creazione pretoria di altra ipotesi di nullità. Infatti, la disposizione sui limiti quantitativi (involontariamente) introduce una nullità indiretta rafforzata “dall’autorizzazione a presumere”. In tal modo si può arrivare a sostenere che l’atto non sia intellegibile perché ha superato i limiti (e quindi non si capisce)[56].
Inoltre riemerge la questione sul comportamento del giudice. Come già detto, il giudice deve infatti garantire lo svolgimento sollecito e leale del processo, ma purtroppo ciò dipende anche dalla mole degli atti delle parti che deve scrutinare.
Al giudice, almeno dalla lettura fino ad ora data dalla giurisprudenza (la disposizione ha introdotto una deroga rispetto all’obbligo generalmente esistente in campo al giudice di pronunciare su tutta la domanda - il mancato esame delle difese sovrabbondanti non è infatti censurabile come vizio di infra-petizione)[57] e dalla dottrina[58], non è vietato conoscere la parte eccedente i limiti potendo egli conoscere o anche non conoscere la parte eccedente. Ove il giudice la conosca si pone la questione sulla garanzia dell’integrità del contraddittorio nei confronti delle altre parti che avrebbero potuto non accettare il contradittorio sulla parte eccedente ma non averlo regolarmente eccepito.
La posizione assunta dal decreto commentato fornisce una lettura diversa della disciplina in termini di vero obbligo del giudice di non (dover) considerare la parte eccedente sul presupposto della tutela del contraddittorio e del fatto di non poter essere benevoli con le parti anzi con una delle parti.
In sintesi, entrambe le teorie si rifanno sull’integrità del contradittorio assumendo posizioni conservative (l’equilibrio va assicurato tagliando) o più progressiste (l’equilibrio va assicurato integrando).
La dottrina sul punto invece già in tempi non sospetti aveva argomentato in senso negativo sull’obbligo del giudice a non esaminare oltre il recinto: “Se la voluntas legis fosse stata effettivamente questa, la norma andava scritta esattamente al contrario; vietando cioè la condotta ritenuta inammissibile (conoscere oltre i limiti dimensionali), e non già rimuovendo un obbligo esistente (pronunciare su tutta la domanda)”[59]. Lo stesso dicasi per la sanzione della nullità[60].
Questione del tutto diversa invece nella novella del processo civile dove non solo si nega la sanzione, ma si pone la questione sul fondamento del potere del giudice a richiamare le parti all’ordine[61].
Si è dell’avviso che la norma sui limiti degli atti nel processo amministrativo sia nata con una presunzione apparentemente innocente o tarata per ipotesi estreme[62] ma che nel tempo ha portato verso la creazione di una nullità indiretta; altrettanto lo è l’evoluzione della giurisprudenza su posizioni che sostengono l’obbligo del giudice di non esaminare la parte eccedente.
Da un lato abbiamo la posizione propensa a “sorprendere” le parti con provvedimenti trancianti come nel caso del decreto che ha “tagliato” la domanda cautelare, perché oltre i limiti dimensionali, e non permette di essere benevoli.
Dall’altro lato vi è quella posizione più accomodante ispirata alla leale collaborazione , che invita le parti a riformulare le difese nei predetti limiti dimensionali, con il divieto di introdurre fatti, motivi ed eccezioni nuovi rispetto a quelli già dedotti.
In tale contesto di orientamenti comportamentali contrastanti non va sottaciuta l’esauribilità della risorsa giustizia, e l’irritabilità del giudicante, di fronte la crescita smisurata del numero e della dimensione degli atti. Va altresì evidenziato il comportamento assunto dai patrocinatori che non di rado è lontano dai “precetti” di Calamandrei o di Scialoja, i quali spesso sottostimano il rischio di imbattersi nella responsabilità professionale verso il cliente, e di vedersi negata la copertura assicurativa del danno.
Attenta dottrina ha già espresso seri dubbi sulla legittimità costituzionalmente, con riferimento agli artt. 21 e 24 Cost., della norma che “imponga al difensore la connotazione e le peculiarità della sua difesa”[63]. E questa potrebbe essere una via che ad oggi, a quanto mi consta, non è stata percorsa.
In alternativa sarebbe auspicabile un intervento della Plenaria sulla falsariga della recente Cassazione.
Infine, una soluzione molto semplice potrebbe trovarsi nel rispondere alla tecnologia digitale (del copia incolla, dell’uso della copiatura dalle banche dati) con gli stessi strumenti informatici: creare dei formulari-recinti con spazi limitati al numero di parole o battiture previste dalle disposizioni tecniche (similmente già previsto nei giudizi Cedu) oppure introdurre dei sistemi di conteggio ed editing che impediscano il caricamento dell’atto quando è in esubero (tecnica del semaforo rosso) oppure dei sistemi più blandi di mero avvertimento per il redattore di aver superato le dimensioni (tecnica del manometro), dall’altro canto esistono altresì degli ausili informatici in grado di sintetizzare o riassumere i testi o parti di esse e che potrebbero costituire un valido strumento di supporto alla primitiva tecnica del copia incolla.
[1] CGARS, Sez. giur., decreto, 4 aprile 2023, n. 104.
[2] Purtroppo l’epilogo non sarà mai noto in quanto in sede cautelare collegiale “la parte ha dichiarato di rinunciare all’istanza cautelare annessa al ricorso in epigrafe, come da verbale di udienza, purché con salvezza di quella annessa al riproposto appello n. …”, cfr. CGARS, Sez. giur., ord., 4 aprile 2023, n. 150.
[3] Come rileva F. Francario, Il principio di sinteticità, in Enc. Giur., Treccani, Roma, 2018, 683 ss il quale è sostenitore della teoria diametralmente opposta a quella assunta nel decreto in commento. Si v. altresì in modo più approfondito stesso A. Principio di sinteticità e processo amministrativo. Il superamento dei limiti dimensionali dell’atto di parte, in Dir. proc. amm., n. 1/2018, 129 ss.
[4] Tra i numerosi contributi in dottrina, si v. F. Gambardella, Giudizio cautelare e principio di sinteticità degli atti processuali (nota a CGARS ord.36/2021 e decr. 31/2021), reperibile qui https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1628-giudizio-cautelare-e-principio-di-sinteticita-degli-atti-processuali-nota-a-cgars-ord-36-2021-e-decr-31-2021; I. Impastato, Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare: la scure del giudice amministrativo sui “limiti dimensionali di sinteticità” degli atti processuali di parte (e sul diritto di difesa), in Judicium, 2021; F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, in Il Processo, n. 3/2019, 539 ss.; G. Milizia, Il dovere di sinteticità non riguarda solo gli scritti difensivi ma anche i documenti depositati, nota a T.A.R. Palermo, 17 settembre 2019, n. 2203, inD&G, 176, 2019, 17; M. Sinisi, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzie di effettività della tutela, Torino, 2017; G. Corso, Abuso del processo amministrativo?, in Dir. proc. amm., 1, 2016, 1 ss; G. Ferrari, Sinteticità degli atti nel giudizio amministrativo, in Il Libro dell’anno del Diritto 2016, in https://www.treccani.it/enciclopedia/sinteticita-degli-atti-nel-giudizio-amministrativo_%28Il-Libro-dell’anno-del-Diritto%29/; M. Sanino, La «sinteticità» degli atti nel processo amministrativo: è davvero una novità?, in Foro it., 2015, V, 379; R. De Nictolis, La sinteticità degli atti di parte e del giudice nel processo amministrativo, Relazione al Convegno presso la Corte di Cassazione “Giornata europea della giustizia civile”, Roma, 26 ottobre 2016, in www.giustizia-amministrativa.it; M. Nunziata, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo sui contratti pubblici, in www.l’amministrativista.it, 2016; G.P. Cirillo, I principi generali del processo amministrativo, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Milano, 2014, 42-45; F.G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza e ostacolo all’accesso, in Dir. proc. amm., 2014, 4, 1414, F. Cordopatri, La violazione del dovere di sinteticità degli atti e l’abuso del processo, in Federalismi.it, 2014; Giusti, Principio di sinteticità e abuso del processo amministrativo, in Giur. it., 2014, 149-155; A.G. Pietrosanti, Sulla violazione dei principi di chiarezza e sinteticità previsti dall’art. 3, comma 2, c.p.a., in Foro amm. TAR, 2013, 3611; G.P. Cirillo, Dovere di motivazione e sinteticità degli atti, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012; F. Merusi, Sul giusto processo amministrativo, in Foro amm., CDS, 2011, 13533 ss.
[5] M. Taruffo, Note sintetiche sulla sinteticità, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 2/2017, 453 ss, G. Finocchiaro, Il principio di sinteticità nel processo civile, in Rivista di Diritto Processuale Civile, 2013, 4-3, 853; G. Ianni, Il principio di sinteticità degli atti e le sue conseguenze nel processo civile, in ilprocessocivile.it, 5 gennaio 2017, 4.
[6] M. Sanino, La «sinteticità» degli atti nel processo amministrativo: è davvero una novità?, in Foro it., 2015, V, 379.
[7] Per una ricostruzione si rinvia a R. De Nictolis, La sinteticità degli atti di parte e del giudice nel processo amministrativo, cit.supra, F. Principio di sinteticità e processo amministrativo. Il superamento dei limiti dimensionali dell’atto di parte,cit.
[8] F. Francario, Il principio di sinteticità, cit.
[9] Come notava la Cass. sez. un., ord., 11 aprile 2012 n. 5698 “la sintesi va assumendo nell’ordinamento è del resto attestato anche dall’art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica …” e inoltre la recentissima Cass., sez. II, ord., 16 marzo 2023, n. 7600, infra.
[10] In un primo momento in relazione al processo amministrativo telematico la Cassazione ha espresso l’orientamento che le regole di redazione di ricorso e atti difensivi del processo amministrativo si applicano al ricorso per cassazione, invece con successiva sentenza (sez. II, 25 novembre 2019, n. 306859) ha stabilito che non può trovare applicazione in sede di ricorso per cassazione, in mancanza - allo stato - di una previsione di legge primaria atta a formalizzare l’applicabilità della inammissibilità del ricorso per violazione degli stessi criteri di fronte alla Corte di cassazione.
[11] La Commissione Tributaria Regionale Veneto n. 367/2022, con stravagante pronuncia, ha disposto l’inammissibilità dell’appello, reputando che: a) esiste un principio di sinteticità degli atti processuali, che governa il giudizio di cassazione;
b) la violazione di detto principio comporta l’inammissibilità dell’atto processuale; c) tale principio deve caratterizzare l’intero processo e quindi anche i gradi di merito; d) il principio della sinteticità è anche attestato dall’art. 3, n. 2 del Codice del processo amministrativo del 2010; e) la mera consistenza dell’appello in 172 pagine viola di per sé il principio di sinteticità e detta violazione è rafforzata dalla produzione documentale sopra enunciata; f) infine, la produzione di una ulteriore memoria illustrativa deve esser valutata nell’ambito della condotta processuale tenuta dalla parte e si riflette sulla determinazione delle spese di litem cfr. S. Muleo, Stravaganze in tema di inosservanza del principio di sinteticità degli atti processuali tributari (nota a CTR Veneto n. 367/2022), in Riv. Telematica diritto tributario, 2022.
[12] N.DURANTE, Il paradigma della sinteticità degli atti giudiziari. Applicabilità al processo tributario?, in Innovazione e diritto, 2018, 2, 205.
[13] Sul punto Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21297 che dato atto della carenza di prescrizioni esplicite di sinteticità nel processo civile, individua i riferimenti normativi esistenti come introdotti espressamente nel c.p.a. e soprattutto desume le prime dal principio di ragionevole durata del processo e da quello di leale collaborazione tra le parti processuali e tra quelle ed il giudice richiamando altra giurisprudenza (Cass. n. 11199/12 e Cass. n. 9488/14).
[14] F. De Stefano, La sinteticità degli atti processuali civili di parte nel giudizio di legittimità. Commento a Cassazione, sentenza n. 21297/16, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-sinteticita-degli-atti-processuali-civili-di-parte-nel-giudizio-di-legittimita_24-11-2016.php.
[15] L’intervento normativo trae origine dallo specifico criterio di delega, contenuto alla lett. d) del c. 17, dell’articolo unico della legge delega n. 134/2021, che ha delegato il governo a prevedere che i provvedimenti del giudice e gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei princìpi di chiarezza e sinteticità.
[16] Relazione tecnica allo schema di decreto legislativo recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206. Dossier dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati A.G. n. 407 del 6 settembre 2022
[17] Sulla recente riforma L.R. Luongo, Il «principio» di sinteticità e chiarezza degli atti di parte e il diritto di accesso al giudice (anche alla luce dell’art. 1, co. 17 lett. d ed e, d.d.l. 1662, in Judicium, 2021, A. Polini e M. Zaglio, L’atto giudiziario come genere letterario : gli stilemi fissati dal D.Lgs. 149/2022, in https://deiustitia.it/2023/03/latto-giudiziario-come-genere-letterario-gli-stilemi-fissati-dal-d-lgs-149-2022/.
[18] Per una precisa ricostruzione si rinvia a L.R. Luongo, Il «principio» di sinteticità e chiarezza degli atti di parte e il diritto di accesso al giudice (anche alla luce dell’art. 1, co. 17 lett. d ed e, d.d.l. 1662), in Judicium - Il processo civile in Italia e in Europa, https://www.judicium.it/il-principio-di-sinteticita-e-chiarezza-degli-atti-di-parte-e-il-diritto-di-accesso-al-giudice-anche-alla-luce-dellart-1-co-17-lett-d-ed-e-d-d-l-1662/.
[19] Cfr. art. 5, c. 2, Dovere di motivazione e sinteticità degli atti e dispone che “Il giudice, il pubblico ministero e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”.
[20] Istruzioni pratiche alle parti relative alle cause proposte davanti alla Corte del 25.11.2013, in GUUE 31.1.2014.
[21] Linee guida per gli avvocati che compaiono dinanzi alla Corte di Giustizia Ue nei procedimenti di rinvio pregiudiziale redatte dalla delegazione permanente presso la Corte di giustizia Ue del CCBE (Consiglio degli ordini forensi d’Europa) al fine di rendere più semplice ed efficace la difesa presso la Corte stessa.
[22] Art. 47 regolamento di procedura, in https://www.echr.coe.int/documents/rules_court_ita.pdf.
[23] Codice di diritto processuale civile svizzero del 19 dicembre 2008 (Codice di procedura civile, CPC), in https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/2010/262/it#art_132. Per un’analisi si v. F. De Stefano, La sinteticità degli atti processuali civili di parte nel giudizio di legittimità. Commento a Cassazione, sentenza n. 21297/16, cit.
[24] Si ricorda il codice di stile del dipartimento della funzione pubblica del ministro Sabino Cassese del 1993, dal manuale di stile del Dipartimento della funzione pubblica del 1997, dalla Guida alla redazione dei testi normativi della Presidenza del consiglio dei ministri approvata con circolare 2 maggio 2001, dalla Direttiva Frattini del 8 maggio 2002 sulla Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi.
[25] Si discute se il legal design sia una propria disciplina o un metodo o una tecnica o un atteggiamento mentale. In ogni caso è una combinazione di più saperi che consente, grazie all’uso di determinati strumenti e tecniche, di progettare prodotti di contenuto giuridico con l’obiettivo che siano: 1. precisi sotto il profilo tecnico giuridico; 2. comprensibili, efficaci immediatamente fruibili sotto il profilo comunicativo e 3. che raggiungano l’obiettivo principale della chiarezza, dell’usabilità e della semplificazione. Si crea una sfida tra la padronanza delle competenze giuridiche e la capacità di redazione di testi giuridici.
[26] D.m. Giustizia n. 37/2018, Regolamento recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 che all’art. art. 1 co. 1 bis prevede che “Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è di regola ulteriormente aumentato del 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonchè la navigazione all’interno dell’atto”.
[27] Si v. in Diritto pratico e diritto teorico, in Rivista del diritto commerciale, 1911, I, 942.
[28] Normalmente la bellezza è presente nelle discipline architettoniche e urbanistiche: si dice che una città bella è una città dove si sviluppano comunità più prosperosa e dove è favorita la crescita economica e sociale. Applicare questo concetto ai contenuti giuridici?
[29] Riassume in modo efficace il Cons. St., sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636, di fronte ad un appello di di 217 pagine: In ordine alla natura, al fondamento ed alla consistenza dei doveri di sinteticità, chiarezza e specificità (degli scritti delle parti e in particolare degli atti di impugnazione), ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, il Collegio non intende discostarsi dai principi elaborati dalla giurisprudenza civile ed amministrativa (cfr. Cass., sez. II, 20 ottobre 2016 n. 21297; sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20589; sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698; Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2016, n. 1268; sez. III, 21 marzo 2016, n. 1120; sez. VI, 4 gennaio 2016 n. 8; sez. V, 2 dicembre 2015, n. 5459; sez. V, 30 novembre 2015, n. 5400; sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4153; Cons. giust. amm., 14 settembre 2014, n. 536; 19 aprile 2012, n. 395), secondo cui:
a) gli artt. 3, 40 e 101 c.p.a. intendono definire gli elementi essenziali del ricorso, con riferimento alla causa petendi (i motivi di gravame) ed al petitum, cioè la concreta e specifica decisione richiesta al giudice; con particolare riguardo alla stesura dei motivi, lo scopo delle disposizioni è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi, oltre ad essere poco sintetici non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. “motivi intrusi”, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminano tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano nel rischio di revocazione;
b) la chiarezza e specificità degli scritti difensivi (ed in particolare dei motivi) si riferiscono all’ordine delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato (sentenza o provvedimento che sia), alle difese delle controparti; ne consegue che è onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, così evitando la prolissità e la contraddittoria commistione fra argomenti, domande, eccezioni e richieste istruttorie;
c) l’inammissibilità dei motivi di appello non consegue solo al difetto di specificità di cui all’art. 101, co. 1, c.p.a., ma anche alla loro mancata “distinta” indicazione in apposita parte del ricorso a loro dedicata, come imposto dall’art. 40 c.p.a. applicabile a giudizi di impugnazione in forza del rinvio interno operato dall’art. 38 c.p.a.; conducano alla inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi, come sancito dagli artt. 3 e 40 c.p.a. (Cons. Stato, sez. V, 30 novembre 2015 n. 5400);
d) il dovere di sinteticità sancito dall’art. 3, comma 2, c.p.a., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.), è a sua volta corollario del giusto processo, ed assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica; tale impostazione è conforme alla considerazione della <<…giurisdizione come risorsa a disposizione della collettività, che proprio per tale ragione deve essere impiegata in maniera razionale, sì da preservare la possibilità di consentirne l’utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale>> (l’idea della funzione giurisdizionale quale “risorsa scarsa” è stata sviluppato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in due recenti pronunce, 25 febbraio 2014, n. 9 e 27 aprile 2015, n. 5, e ripreso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nelle sentenze 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 e, da ultimo, nella sentenza 20 ottobre 2016 n. 21260);
e) gli oneri di specificità sinteticità e chiarezza incombenti sulla parte ricorrente (e sul suo difensore, che tecnicamente la assiste in giudizio) trovano il loro fondamento:
I) nell’art. 24 Cost., posto che solo una esposizione chiara dei motivi di ricorso o, comunque, delle ragioni che sorreggono la domanda consente l’esplicazione del diritto di difesa delle altre parti evocate in giudizio;
II) nella loro strumentalità alla attuazione del principio di ragionevole durata del processo, ex art. 111, comma secondo, Cost., poiché un giudizio impostato in modo chiaro e sintetico, quanto alla causa petendi ed al petitum, rende più immediata ed agevole la decisione del giudice, evita l’attardarsi delle parti su argomentazioni ed eccezioni proposte a mero scopo tuzioristico, rende meno probabile il ricorso ai mezzi di impugnazione e, tra questi, in particolare al ricorso per revocazione, a maggior ragione se proposto con finalità meramente dilatorie del passaggio in giudicato della decisione;
III) nella necessità della difesa “tecnica”, il che contribuisce a rendere evidente la natura della professione legale quale “professione protetta”, ai sensi dell’art. 33, comma quinto, Cost. e degli artt. 2229 e seguenti del codice civile (cfr. Corte cost., 17 marzo 2010 n. 106);
f) l’esigenza “forte” della brevità degli scritti difensivi non è solamente una caratteristica dell’ordinamento processuale italiano; si pensi alle istruzioni pratiche relative ai ricorsi ed alle impugnazioni adottate - il 15 ottobre 2004 (G.U. L 29 dell’8 dicembre 2004) e modificate il 27 gennaio 2009 (G.U. L 29 del 31 gennaio 2009) - dalla Corte di giustizia dell’Unione europea;
g) in definitiva, lungi dal porsi come un “ostacolo” alla esplicazione del diritto alla tutela giurisdizionale, i principi di specificità chiarezza e sinteticità sono funzionali alla più piena e complessiva realizzazione del diritto di difesa in giudizio di tutte le parti del processo, in attuazione degli artt. 24 e 111 Cost., e sostengono, una volta di più, le ragioni della necessità di difesa tecnica e, dunque, della natura “protetta” della professione intellettuale legale.
[30] Cons. St., A.p.,25 febbraio 2014, n. 9 e 27 aprile 2015, n. 5.
[31] Cass. sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 e 20 ottobre 2016 n. 21260.
[32] CGARS (ord.) 15 settembre 2014, n. 536; Cons. St., sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2969.
[33] Per una ricostruzione delle teorie si v. G. Lofaro, La disciplina dei limiti dimensionali e redazionali degli atti nel processo amministrativo tra chiarezza sinteticità, in Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it, XXI, 3/2021, 30 ss.
[34] Cons. St., sez. VI, 13 aprile 2021, n. 3006, cfr. F. Valerini, L’avvocato deve fare il riassunto se vuole che le sue difese siano esaminate, in Diritto & Giustizia, 76, 2021, 6.
[35] Cons. St., sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1450, a conferma di T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, n. 5497/2012. Secondo questa decisione: “Si può tuttavia prescindere da profili di inammissibilità, ivi compresi quelli sollevati dalla difesa di RFI, essendo il ricorso infondato nel merito”.
[36] CGARS, Sez. giur., Decreto, 4 aprile 2023, n. 104.
[37] Il corsivo è mio.
[38] Cfr. Cass. sez. un., ord. 30 novembre 2021, n. 37552, secondo la quale “il ricorso deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.”. V anche Cass. civ., sez. trib., sent., 21 marzo 2019, n. 8009, Cass. civ., 20 ottobre 2016, n. 21297; Cass., sez. un., 17 gennaio 2017, n. 964; Cass., I, 13 aprile 2017, n. 9570; Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2017, n. 18962.
[39] Cons. St., sez.VI, ord. 13 aprile 2021, n. 3006.
[40] Ibidem
[41] Ibidem
[42] Cons. St., sez.III, 12 ottobre 2020, n. 60434.
[43]A. Giusti, Principio di sinteticità e abuso del processo amministrativo, nota a Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210, in Giur. it., 2014, 148; F. Saitta, Rito appalti e dovere di sinteticità: gli scritti difensivi “obesi” esistono, ma la ...dieta è sbagliata, in. Lexitalia.it, 7/2015; M. A. Sandulli, Le nuove misure di deflazione del contenzioso amministrativo: prevenzione dell’abuso di processo o diniego di giustizia ?, cit., passim.; G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, Napoli, 2015, 535.
[44] Cfr. F. Francario, Il principio di sinteticità, cit., passim.
[45] Cons Stato, sez. III, 12 giugno 2015, n. 2900.
[46] F. Francario, Il principio di sinteticità, cit., passim.
[47] Ibidem.
[48] G. Lofaro, La disciplina dei limiti dimensionali e redazionali degli atti nel processo amministrativo tra chiarezza sinteticità, cit.
[49] M. Taruffo, Note sintetiche sulla sinteticità, in Riv. Trim. dir. e proc. civile, 2, 2017, 464.
[50] Gruppo di lavoro sulla sinteticità degli atti processuali (DM 9 febbraio 2016, 28 luglio 2016, 19 ottobre 2016), Relazione, Roma, 16 febbraio 2018, p. 3.
[51] Cass. sez. un., Ord. 30 novembre 2021, n. 37552.
[52] Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, Relazioni sulle novità normative della riforma “Cartabia”. Diritto e procedura civile, 2023, p. 76 e ss.
[53] Ibidem.
[54] Pertanto è regola che l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.
[55] F. Saitta, Rito appalti e dovere di sinteticità: gli scritti difensivi “obesi” esistono, ma la ...dieta è sbagliata, cit.
[56] Per F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, cit., 539 s., solo il difetto di chiarezza può determinare l’inammissibilità ex artt. 40, c. 2, e 101 c.p.a. e l’unica sanzione per il gravame prolisso è rappresentata dalla condanna alle spese di lite.
[57] Cons. St., sez. VI, 13 aprile 2021, n. 3006.
[58] Per tutti in modo chiaro: F. Francario, Il principio di sinteticità, cit., passim.
[59] Ibidem.
[60] Prosegue Francario, op. cit.: “E se la voluntas fosse stata quella di creare una nuova ipotesi di nullità, ciò avrebbe dovuto in ogni caso comportare l’espressa comminatoria della nullità medesima. Per come la si voglia interpretare, la norma non contiene una espressa comminatoria di nullità”.
[61] Nel riformulato processo civile si è appurato che manca una norma che riconosca al giudice il potere di invitare le parti a riformulare un atto se risulta eccessivamente prolisso o ridondante, ma si potrebbe argomentare che il potere del giudice di sollecitare e gestire il processo trovi fonte nell’art. 175, c. 1, c.p.c. che gli conferisce il potere di chiedere alle parti di riformulare un atto se risulta eccessivamente lungo o ridondante.
[62] Alcuni esempi di limiti superati tratti dalle sopra citate decisioni: l’eccessiva lunghezza dell’atto di appello, che consta di ben 82 pagine, caratterizzate da diverse reiterazioni delle medesime argomentazioni ovvero dall’eccessivo sviluppo delle stesse, con conseguente esposizione in modo talvolta non specifico (cfr. Cons. St., n. 1450/2021), il ricorso in appello conta 37 pagine; la memoria difensiva di controparte conta 32 pagine; la memoria finale dell’appellata conta 31 pagine; la memoria di replica dell’appellante conta 21 pagine (Cons. St., n. 3006/2021); appello di 217 pagine (Cons. St., n. 4636/2016); il ricorso si dilunga per ben 94 pagine, certamente eccessive a fronte di una sentenza di 14 pagine e con un unico motivo di impugnazione, reca una esposizione dei fatti di causa sovrabbondante e ripetitiva che si estende da pagina 13 a pagina 33 …(Cass. sez. un., n. 37552/2021).
[63] M.A. Sandulli, Le nuove misure di deflazione del contenzioso amministrativo: prevenzione dell’abuso del processo o diniego di giustizia?, in Federalismi.it https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=21035&dpath=document&dfile=23102012113431.pdf&content=Le%2Bnuove%2Bmisure%2Bdi%2Bdeflazione%2Bdel%2Bcontenzioso%2Bamministrativo%3A%2Bprevenzione%2Bdell%E2%80%99abuso%2Bdi%2Bprocesso%2Bo%2Bdiniego%2Bdi%2Bgiustizia%3F%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B, 2012.