Sommario: 1. Premessa introduttiva e delimitazione dell’ambito dell’indagine. – 2. I principi (generali e non) del diritto dei contratti pubblici prima dell’ultima codificazione: linee di sviluppo. – 3. Il ruolo dei principi nell’attività contrattuale della pubblica amministrazione ed il loro difficile bilanciamento. – 4. I principi generali nel decreto legislativo n. 36 del 2023: conferme e novità. – 5. Segue: in particolare, i tre principi cardine (risultato, fiducia ed accesso al mercato) e la loro funzione di criteri interpretativi ed applicativi. – 6. Conclusioni (inevitabilmente problematiche): può davvero parlarsi di un «cambio di paradigma»?
1. Premessa introduttiva e delimitazione dell’ambito dell’indagine
Com’è stato notato da acuta dottrina, con riguardo alla formulazione dei principi, sin dai primi anni di questo secolo si è registrata un’inversione di tendenza nel rapporto tra legislatore, da un lato, e giurisprudenza e (seppure con un apporto limitato rispetto al passato) dottrina[1]. Taluno ha ritenuto «un atto di orgoglio» l’enunciazione, da parte del legislatore, dei principi, che in fondo «costituiscono il tentativo di positivizzare quel che [per lungo tempo] si era considerato appannaggio del diritto naturale»[2]; tal’altro, l’ha definito, invece, «un atto di umiltà» compiuto dal «vecchio sovrano esautorato – in parte – dalla stessa dinamica storica» come «eloquente atto di abdicazione da parte del legislatore alla propria – fino a ieri orgogliosa - autosufficienza»[3].
Si può convenire con l’una o con l’altra affermazione, così com’è del tutto legittimo chiedersi se con quest’opera di positivizzazione davvero «si riequilibra in modo irreversibile il rapporto tra diritto scritto e diritto giurisprudenziale»[4].
Ai fini della presente indagine, tuttavia, è più utile notare come l’opera legislativa di catalogazione dei principi sia avvenuta su due piani: uno generale, come nella legge sul procedimento amministrativo o nel codice del processo amministrativo, ed uno settoriale, come nei codici dell’ambiente, dell’amministrazione digitale e, appunto, dei contratti pubblici[5]. Ed osservare, subito dopo, come sia inevitabile che i principi “catalogati” dalla normativa settoriale entrino in contatto con altri principi generali dell’azione amministrativa, costringendo spesso il giudice a stabilire l’esito di tale confronto, che finisce evidentemente per condizionare o integrare l’applicazione degli stessi principi di settore[6]. Per restare alla materia dei contratti pubblici, basti pensare a come il principio di certezza del diritto, considerato una sorta di “superprincipio” e comunque un principio generale del diritto dell’Unione, sia stato talora ritenuto cedevole dai giudici europei[7] e come financo il principio di concorrenza, per lungo tempo vero e proprio totem del diritto europeo degli appalti, abbia subito – come dirò meglio a breve – un deciso ridimensionamento a causa dell’emersione di altri valori.
Si tratta di spunti che cercherò di riprendere compatibilmente con il tempo assegnatomi per la mia relazione, che, ovviamente, non potrà occuparsi che dei principi generali contenuti nei primi dodici articoli – in sostanza, il Titolo I della Parte I del Libro I – del nuovo codice (com’è noto, nonostante la Commissione ambisse alla massima concentrazione, principi affiorano anche in altri punti dell’articolato normativo), soffermandosi soltanto su quelli “cardine”, a cui sono dedicati i primi tre articoli.
2. I principi (generali e non) del diritto dei contratti pubblici prima dell’ultima codificazione: linee di sviluppo
Com’è a tutti noto, originariamente l’interesse pubblico che orientava l’attività contrattuale della pubblica amministrazione era spendere meno possibile e farlo nel migliore dei modi, tant’è che la disciplina di tale attività, considerata una branca della contabilità pubblica, era contenuta nella legge di contabilità del 1923 e nel relativo regolamento di attuazione[8].
Anche se il definitivo superamento della c.d. concezione contabilistica non si è avuto nemmeno con l’attuazione delle direttive comunitarie cc.dd. di prima generazione[9], ma soltanto grazie al primo codice dei contratti pubblici del 2006[10], già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, con il progressivo aumento dell’influenza comunitaria sui sistemi nazionali, il principio di libera concorrenza, che per lungo tempo era stato strumentale all’interesse finanziario delle stazioni appaltanti, ha iniziato a rappresentare anche un presidio dell’interesse dei singoli operatori economici a competere in condizioni di parità[11].
Da allora in poi, per almeno tre generazioni di direttive, la libera concorrenza, unitamente agli altri principi “mercatisti” ad essa strumentali (come quelli di economicità, efficienza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, flessibilità e semplificazione), è stata tutelata sempre più intensamente dall’Unione europea, assumendo un ruolo pervasivo, come «principio generale che va a caratterizzare tutte le politiche economiche degli stati membri»[12] ed a «plasma[re] tutte le regole dei contratti pubblici»[13]. Ciò fino a quando, a seguito della recessione economica mondiale conseguente alla crisi finanziaria del 2007/2008, tutte le contraddizioni del modello economico dominante a livello globale sono venute a galla, inducendo il legislatore europeo a rivedere il catalogo delle sue priorità[14]. Da qui il deciso ridimensionamento del dogma della tutela della concorrenza e la collocazione della contrattualistica pubblica in un contesto multivaloriale che la vede ormai funzionalizzata al perseguimento di obiettivi una volta ritenuti esterni rispetto alla disciplina di settore, come il sostegno all’occupazione, la riduzione della povertà, l’efficientamento energetico, e via dicendo[15]. Secondo una condivisibile lettura di tale evoluzione normativa, l’art. 18 della direttiva 2014/24/UE, rubricato «Principi per l’aggiudicazione degli appalti» e poi trasposto nell’art. 30 del codice dei contratti pubblici del 2016, ha dato vita ad un contesto nel quale il principio di concorrenza svolge «una funzione meramente evocativa», consistente nel richiamare sinteticamente gli altri principi ispiratori senza aggiungere loro alcuna ulteriore valenza prescrittiva: in sostanza, la concorrenza non è altro che «la ricaduta pratica dell’applicazione dei principi di imparzialità e di parità di trattamento, di pubblicità e di trasparenza al singolo atto di scambio»[16].
Il suddescritto arretramento della tutela della concorrenza e del mercato nella gerarchia dei valori perseguito dalla disciplina – europea e, quindi, nazionale – della contrattualistica pubblica, l’affiancamento alla tradizionale anima “mercatista” di ulteriori, sempre più rilevanti, esigenze[17], tra cui di recente anche la prevenzione della corruzione, ci ha consegnato un codice – quello attualmente vigente, anche se per un solo trimestre ancora – sviluppato fra tre «poli concettuali», cioè tre esigenze diverse: tutela del mercato, salvaguardia della finanza pubblica e soddisfacimento delle istanze di matrice ambientale e sociale[18]. Un codice nel quale, non a caso, il principio di libera concorrenza non è messo al primo posto dall’art. 30 (che sostanzialmente conferma l’elencazione dei principi contenuta nell’art. 2 del codice del 2006, aggiungendo alcune prescrizioni intese a dar attuazione alle direttive di ultima generazione[19]), ma – in coerenza con l’art. 18 della direttiva europea - «relegato tra quei principi che le stazioni appaltanti devono “altresì” rispettare, quasi che il legislatore intendesse evidenziarne la minore pregnanza rispetto ai principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza»[20]. Coglie probabilmente nel segno, allora, la dottrina che, muovendo dalla premessa che elementi di contaminazione tra regole pro-concorrenziali e obiettivi di politiche pubbliche o di bilanciamento si rinvengono ormai da tempo nel diritto europeo (basti pensare alla rilevanza del criterio di aggiudicazione fondato sul miglior rapporto qualità-prezzo, dichiaratamente inteso ad privilegiare la qualità degli appalti pubblici), afferma che «il codice del 2016 sembra in realtà tenere in conto soprattutto la “sana” concorrenza, quella cioè che risulta inverata proprio attraverso i molteplici profili sotto i quali è trattata dal codice stesso la qualità delle prestazioni all’interno di relazioni contrattuali affidabili e sostenibili»[21].
Non mancano, peraltro, letture marcatamente critiche di un fenomeno significativamente definito di «sovraccaricamento assiologico», consistente nel fatto che, con le direttive di ultima generazione, le esigenze sociali, ambientali, di sviluppo sostenibile e di tutela della legalità hanno assunto un ruolo centrale, finendo per rendere la materia dei contratti pubblici «ricca, forse addirittura strabordante, di principi»[22].
I bilanci proveremo a farli alla fine; per il momento, come premessa dell’analisi del nuovo codice, ci limitiamo a constatare che il precedente aveva innegabilmente previsto, come quello del 2006, un significativo – probabilmente, financo eccessivo[23] e, sotto certi aspetti, controproducente[24] – ricorso ai principi (generali e non[25]), affidandone la definizione all’A.N.AC.[26].
3. Il ruolo dei principi nell’attività contrattuale della pubblica amministrazione ed il loro difficile bilanciamento
La relazione al nuovo Codice evidenzia che «[i] principi generali di un settore esprimono […] valori e criteri di valutazione immanenti all'ordine giuridico, che hanno una “memoria del tutto” che le singole e specifiche disposizioni non possono avere, pur essendo ad esso riconducibili. I principi sono, inoltre, caratterizzati da una prevalenza di contenuto deontologico in confronto con le singole norme, anche ricostruite nel loro sistema, con la conseguenza che essi, quali criteri di valutazione che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, hanno anche una funzione genetica (“nomogenetica”) rispetto alle singole norme. Il ricorso ai principi assolve, inoltre, a una funzione di completezza dell’ordinamento giuridico e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni».
Nell’ambito della contrattualistica pubblica, i principi hanno invero svolto molteplici ruoli, sui quali in questa sede non è possibile dilungarsi. Ci si limita, pertanto, a ricordare che, a parte la funzione stabilizzatrice che, rimanendo immutati pur al verificarsi di un eccesso di normazione, essi possono svolgere[27], i principi, grazie alla loro «forza espansiva», hanno, innanzitutto, contribuito a far sì che l’ordinamento sovranazionale, pur in mancanza di disposizioni specificamente rivolte al diritto dei contratti pubblici nei Trattati, avesse una forte incidenza sulla materia, “europeizzandola” intensamente[28].
Ai fini della nostra indagine, preme piuttosto evidenziare come i principi, che dovrebbero ordinare la materia[29] e «costituire il faro nella nebbia se c’è incertezza»[30] e per questo vengono sovente preferiti dai giudici all’interpretazione sistematica, siano sovente in potenziale conflitto tra loro, tanto da indurre la dottrina, anche recente, ad auspicare una loro gerarchizzazione ad opera del legislatore[31]. Da qui l’inevitabile ricorso a tecniche di bilanciamento, con tutti i problemi che ne derivano[32].
Un’esigenza di bilanciamento si può porre, in primis, all’interno degli stessi principi catalogati nel codice dei contratti pubblici. Ciò è costantemente accaduto, ad es., quando la stazione appaltante ha dovuto scegliere tra l’applicazione delle prescrizioni che prescrivono adempimenti formali a carico dei partecipanti alla gara, a garanzia della par condicio tra gli stessi, e del principio di massima partecipazione. In siffatte ipotesi, la prevalenza di un principio rispetto ad un altro con esso incompatibile è stata valutata in ragione della portata e della rilevanza che ciascuno di essi assume nel caso concreto, verificando, inoltre, se taluno dei principi in contrasto risulti rafforzato nell’applicazione da altro principio in materia[33]. Ad esempio, a fronte della violazione di oneri formali imposti a pena di esclusione dalla lex specialis, il giudice amministrativo ha affermato la prevalenza del principio di formalità, in quanto accompagnato dalla garanzia della par condicio, su quello del favor partecipationis[34]. In altri casi, lo stesso giudice amministrativo ha fatto prevalere il principio della massima partecipazione su quello di parità di trattamento, privilegiando la soluzione favorevole all’ammissione alla gara in luogo di quella che tende all’esclusione di un concorrente: ciò, ad esempio, in presenza di una clausola di gara ambigua, incerta o comunque non univoca[35] o nel caso in cui la violazione delle singole clausole che comminano l’esclusione non comporti la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante[36]. E’ il principio di proporzionalità, in definitiva, a costituire il parametro di riferimento per operare un bilanciamento tra le esigenze di massima partecipazione, da un lato, e quelle di par condicio, dall’altro, consentendo di «garantire l’effettiva concorrenza nel caso di specie, ossia la contendibilità dell’appalto non in astratto, ma in concreto, ossia con riguardo agli operatori economici del settore che, per un verso siano in grado di offrire i beni richiesti dalla stazione appaltante e, per altro verso, siano in possesso dei requisiti necessari alla partecipazione alla procedura»[37].
Analoghi problemi di bilanciamento si pongono sovente con il vigente art. 30 del decreto legislativo n. 50 del 2016: si pensi al criterio privilegiato di aggiudicazione dei contratti sopra-soglia, cioè l’offerta economicamente più vantaggiosa, che vede i principi di economicità e di efficienza potenzialmente sacrificati alla qualità ed all’efficacia (anche sociale) dell’intervento, in una tensione dialettica che viene sciolta nella scelta di aggiudicazione attraverso, appunto, l’intermediazione del rispetto dei principi di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, dalla cui applicazione vengono tratte una serie di regole più dettagliate in ordine alle relative modalità organizzative e funzionali, come ad es. quelle sulla commissione di gara e sui criteri di valutazione delle offerte[38].
La tensione fra principi è palpabile, in particolare, laddove l’economicità si confronta con le esigenze sociali ed altri interessi collettivi assunti come obiettivi di politiche pubbliche, condizionando il rispetto del principio di concorrenza. Si pensi al campo degli appalti e delle concessioni dei servizi sociali, dov’è evidente la difficoltà di comporre elementi inerenti ad un’ispirazione solidaristico-fiduciaria con elementi inerenti ad una logica economico-concorrenziale[39].
È inevitabile, poi, che principi settoriali, id est specificamente contemplati dalla normativa in materia di appalti pubblici, entrino in contatto con altri principi generali dell’attività amministrativa, che ne possano condizionare ovvero integrare l’applicazione: si pensi, ad es., al principio del contraddittorio in sede di formulazione del giudizio di anomalia delle offerte[40].
Un problema di bilanciamento (rectius: gradualità), infine, può venire in rilievo persino nell’applicazione dello stesso principio: si pensi, ad es., al principio di trasparenza-concorrenza, la cui generalizzata applicazione, avvalorata dalla sua dimensione costituzionale, può incentivare il fenomeno della collusione tacita tra gli operatori economici, ciò che ha indotto taluno a ritenere opportuno calibrare i livelli di trasparenza sulle caratteristiche del mercato rilevante nel quale si colloca il contratto[41].
4. I principi generali nel decreto legislativo n. 36 del 2023: conferme e novità
Vedremo poi se a torto o a ragione, la Parte I, dedicata ai principi generali, è ritenuta, pressochè unanimemente, la novità più significativa del nuovo Codice, che dichiaratamente ambisce ad enunciare principi guida per l’interpretazione ed applicazione degli istituti. Nella relazione, il legislatore assume che, «nella consapevolezza dei rischi che sono talvolta correlati a un uso inappropriato dei principi generali (e in particolare alla frequente commistione tra principi e regole), ha inteso affidare alla Parte I del Libro I il compito di codificare solo principi con funzione ordinante e nomofilattica», dando «un contenuto concreto e operativo a clausole generali altrimenti eccessivamente elastiche» oppure utilizzando «la norma-principio per risolvere incertezze interpretative […] o per recepire indirizzi giurisprudenziali ormai divenuti “diritto vivente”». Attraverso la codificazione dei principi, il nuovo Codice mira dichiaratamente a «favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità (amministrativa e tecnica) in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi, inefficienze». L’idea sarebbe «quella non tanto di richiamare i principi “generalissimi” dell’azione amministrativa (già desumibili dalla Costituzione e dalla legge n. 241/1990), ma di fornire una più puntuale base normativa anche a una serie di principi “precettivi”, dotati di immediata valenza operativa», al fine di «realizzare, fra gli altri, i seguenti obiettivi: a) ribadire che la concorrenza è uno strumento il cui fine è realizzare al meglio l’obiettivo di un appalto aggiudicato ed eseguito in funzione del preminente interesse della committenza (e della collettività) (cfr. art. 1, comma 2); b) accentuare e incoraggiare lo spazio valutativo e i poteri di iniziativa delle stazioni appaltanti, per contrastare, in un quadro di rinnovata fiducia verso l’azione dell’amministrazione, il fenomeno della cd. “burocrazia difensiva”, che può generare ritardi o inefficienze nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti (cfr. art. 2, comma 2)».
Principi generali, dunque, intesi «non solo come affermazioni generali e astratte, ma come indicazioni concrete per gli esecutori, per gli operatori, per gli interpreti»[42], il cui pregio – secondo uno dei primi commentatori – non sarebbe soltanto quello di «dare ordine ed equilibrio ad una disciplina ricca di tensioni significative all’interno dei singoli istituti», ma anche quello di «colloca[re] opportunamente il contratto pubblico nella teoria generale del contratto in generale, mettendo a disposizione dell’applicazione e dell’interpretazione sistematica altri sistemi di principi – quelli del contratto – destinati – pur nella loro applicabilità solo parziale – a tracciare con ancora maggiore certezza le linee di un discorso sistematico»[43].
Già nel commentare lo schema di codice, si è parlato di radicale innovazione dell’impostazione di fondo della contrattualistica pubblica, di «sistema ispirato a principi nuovi» e, con specifico riguardo ai principi generali contenuti nei primi dodici articoli, si è detto che «[s]ono tutti principi importantissimi e palesemente innovativi»[44].
Sia consentito un garbato, parziale dissenso.
Indubbiamente, la funzione dei principi in esame – come descritta nella relazione – appare diversa da quella dei principi dei precedenti codici, che in sostanza «servivano a perimetrare l’ambito di applicazione del testo normativo e le definizioni dei lemmi utilizzati nel testo» stesso[45].
Parimenti innovativa è l’ambizione del nuovo Codice – che in tal senso è andato ben oltre la stessa legge delega, che chiedeva al legislatore semplicemente di recepire i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di contratti pubblici – di dettare «una sorta di scala assiologica» idonea a generare principi giuridici ed indirizzi ermeneutici in materia[46].
Coerenti con tale ambizioso proposito sono la collocazione e la consistenza dei principi generali del nuovo Codice, che testimoniano l’importanza che viene ad essi riconnessa dal legislatore[47].
Quanto al primo profilo, la scelta è stata significativamente diversa da quella fatta dal codice vigente – nel quale, come si è detto, i principi sono enunciati nell’art. 30 – e più simile a quella del primo codice, in cui i principi erano pure posti all’inizio (art. 2); quanto al secondo aspetto, il Codice che esaminiamo oggi si distingue da entrambi i precedenti perché dedica ai soli principi generali (altri principi s’incontrano in diverse parti del testo, come ad es. quello di digitalizzazione, al quale verrà dedicata la prossima relazione[48]) ben dodici articoli, peraltro composti da più commi contenenti indicazioni oltremodo dettagliate[49].
Andando ai singoli principi, tuttavia, è probabilmente un’esagerazione dire che siano tutti «palesemente innovativi»: tali – a nostro avviso – possono ritenersi soltanto alcuni di essi, che in certa misura indirizzano l’impostazione di fondo del nuovo Codice (e verranno perciò esaminati separatamente[50]), mentre molti altri – tra i quali quelli che possono definirsi «nuovi» soltanto perché non comparivano tra i principi dei precedenti codici – si limitano in realtà a recepire espressamente nello specifico ambito della contrattualistica pubblica, magari declinandoli in modo più esaustivo,principi generali dell’attività amministrativa o principi individuati dalla giurisprudenza in materia di contratti pubblici già applicabili a tale ambito[51]. Si pensi, ad es., ai principi di buona fede e di tutela dell’affidamento (art. 5), già recepiti dalla legge sul procedimento (art. 1, comma 2-bis)[52] e, non certo da ultimo[53], dalla giurisprudenza amministrativa e da tempo immemorabile applicati all’attività contrattuale della pubblica amministrazione e, segnatamente, alle gare d’appalto[54].
5. Segue: in particolare, i tre principi cardine (risultato, fiducia ed accesso al mercato) e la loro funzione di criteri interpretativi ed applicativi
La relazione al Codice non esita a definire «[f]ondamentale, in questo rinnovato quadro normativo, […] l’innovativa introduzione dei principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato (la cui pregnanza è corroborata dalla stessa scelta sistematica di collocarli all’inizio dell’articolato) i quali, oltre a cercare un cambio di passo rispetto al passato, vengono espressamente richiamati come criteri di interpretazione delle altre norme del codice e sono ulteriormente declinati in specifiche disposizioni di dettaglio (ad esempio, in tema di assicurazioni)».
In considerazione di ciò, nel ristretto tempo a disposizione, mi soffermerò esclusivamente su questi tre principi cardine e sulla funzione loro attribuita dall’art. 4.
Il principio del risultato, enunciato all’art. 1, comma 1, è definito nella relazione «l’interesse pubblico primario del codice», la «finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio delle loro attività», e sintetizzato nel-«l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza».
Esso rappresenta, dunque, «una sorta di grundnorm di tutto il Titolo I»[55], la «stella polare» che deve guidare l’interprete nella lettura del nuovo Codice[56], il quale – secondo un’accreditata opinione – deve ritenersi fondato sulla dichiarata priorità del c.d. «principio realizzativo», che in tal modo finisce per rappresentare «il fine (pubblico) per il quale l’amministrazione contrae», a cui tutti i restanti profili di pubblico interesse (dalla trasparenza alla concorrenza, passando financo per la legalità) sono da ritenere subordinati[57].
Secondo una condivisibile lettura, il riconoscimento del necessario primato logico della funzione di committenza pubblica insito nell’affermazione del principio del risultato determina un ribaltamento della gerarchia degli interessi affermatasi negli ultimi quindici anni a causa del recepimento del diritto europeo, interessato a tutelare la concorrenza e le libertà di circolazione e per nulla al buon andamento delle pubbliche amministrazioni nazionali: sembra che il nostro legislatore si sia finalmente reso conto che «la gara, per quanto doverosa per il diritto europeo e quindi italiano, è un mezzo, non un fine e che lo Stato banditore dovrebbe operare al servizio dello Stato committente»[58]. Già prima dell’avvento del nuovo Codice, del resto, avveduta dottrina aveva sostenuto con dovizia di argomentazioni che tutela della concorrenza e prevenzione della corruzione non possono sacrificare l’interesse principale: quello di eseguire gli appalti[59]. Oggi, in tempi di P.N.R.R., il mercato dei contratti pubblici e tutta l’azione che lo contorna dev’essere a fortiori necessariamente goal-oriented, dovendo il risultato rappresentare lo scopo primario dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, «parte della legittimità stessa dell’atto amministrativo»[60]. Assai opportunamente, pertanto, «si vuole adesso ricordare ai destinatari del codice che questo non è uno strumento per assicurare il trasparente gioco della concorrenza nelle gare d’appalto, ma per fare in modo che queste rendano possibile la realizzazione delle opere e l’acquisizione di beni e servizi nel più breve tempo, con il miglior rapporto qualità e prezzo, rispettando la legge nonché gli stessi principi della libera concorrenza e della trasparenza»: in pratica, il codice «esiste per declinare i precetti costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione – non a caso richiamati nel successivo terzo comma dell’articolo – quale fonte di legittimazione del principio del risultato adesso reso esplicito»[61].
Discutendo di questo principio, riecheggiano inevitabilmente i dibattiti sulla c.d. amministrazione «di risultato», anche se la configurazione concreta del risultato in termini di interesse pubblico alla realizzazione dell’opera, all’espletamento del servizio e/o al conseguimento della fornitura, unitamente alla precisazione che lo stesso dev’essere conseguito «con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo» (art. 1, comma 1), contribuiscono a dare un contorno ben definito al principio stesso[62]. La disposizione codicistica, in altri termini, identifica il risultato in un quid ben preciso, facendogli assumere il significato di «efficienza economica»[63].
Come evidenziato nella relazione, il risultato dev’essere pur sempre conseguito «nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza».
Il ruolo svolto in questo contesto dal principio di legalità ha invero suscitato talune perplessità, nella misura in cui esso avrebbe meritato un richiamo più evidente anzichè essere pariordinato ai principi di trasparenza e concorrenza quale mero parametro da rispettare per raggiungere il risultato[64]: in tal modo, da un lato, si corre il rischio di «porre il tema della legalità, sia pure nell’accezione formale, in contrapposizione a quello del risultato»; dall’altro, si trascura di considerare che trasparenza e concorrenza sono a loro volta strumentali alla legalità e «serventi rispetto alla democraticità, all’imparzialità e all’efficienza dell’amministrazione»[65].
Sul principio di trasparenza c’è poco da dire, essendo evidente che lo stesso è uno strumento fondamentale per garantire procedure conoscibili ed accessibili, ergo scongiurare rischi di favoritismi ed arbitri da parte delle stazioni appaltanti[66]. Quanto alla concorrenza, è parimenti palese che essa, per quanto subordinata e funzionale al risultato, mantiene con esso un forte legame: se il primo – come si è detto – rappresenta l’obiettivo primario, la seconda costituisce pur sempre il metodo per conseguirlo, rilevando quindi il risultato «virtuoso», cioè che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, ma sempre nel rispetto delle regole concorrenziali[67]. La concorrenza, in sostanza, dev’essere rispettata in quanto è funzionale al conseguimento del miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti: essa, infatti, aumenta, da un lato, la possibilità di ottenere la migliore prestazione al miglior prezzo e, dall’altro, il numero degli operatori economici ai quali è consentito partecipare alle gare, quindi aggiudicarsi l’appalto[68].
Nonostante sia ormai pacifico che essa non è più un principio “tiranno”, potendo in alcuni casi risultare recessiva rispetto ad altri principi e valori, la concorrenza finisce comunque per risultare rafforzata dal nuovo Codice, che innovativamente la presenta nella veste di principio giuridico e ne specifica connotati e funzioni[69].
Al comma 3, dopo una menzione «del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità», dei quali il principio del risultato costituisce attuazione, si aggiunge che quest’ultimo «è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea», introducendo in tal modo un ulteriore temperamento al principio in esame, che – com’è stato segnalato sin dai primissimi commenti – andrà tenuto presente anche nella lettura del comma 4, che stabilisce che «[i]l principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale»[70]. Sotto quest’ultimo aspetto, il risultato assume anche il valore di fine e di principio: il riferimento alla comunità ed all’Unione europea, intesi come ordinamenti originari e non particolari, potrebbe voler dire che il risultato è «il valore che viene alla comunità dalla scelta del miglior contraente, quello idoneo a garantire il miglior lavoro o servizio in termini di fruibilità collettiva»[71].
Come già riferito[72], l’introduzione dei principi generali in esame mira, tra l’altro, ad «accentuare e incoraggiare lo spazio valutativo e i poteri di iniziativa delle stazioni appaltanti, per contrastare, in un quadro di rinnovata fiducia verso l’azione dell’amministrazione, il fenomeno della cd. “burocrazia difensiva”, che può generare ritardi o inefficienze nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti»[73].
A tale obiettivo tende, in particolare, il principio di fiducia, da intendersi come «reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici» (art. 2, comma 1); correttezza che, d’altronde, costituisce da sempre la “stella polare” dell’azione amministrativa, specie in materia di appalti[74].
La relazione parla al riguardo di «un segno di svolta rispetto alla logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni […] e che si è caratterizzata da un lato per una normazione di estremo dettaglio, che mortificava l’esercizio della discrezionalità, dall’altro per il crescente rischio di avvio automatico di procedure di accertamento di responsabilità amministrative, civili, contabili e penali che potevano alla fine rivelarsi prive di effettivo fondamento», le quali hanno generato «“paura della firma” e “burocrazia difensiva”», a loro volta «fonte di inefficienza e immobilismo e, quindi, un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente».
Si tratta di un fenomeno ben noto, ampiamente analizzato in dottrina[75], al quale – stando sempre alla relazione – il nuovo Codice vorrebbe porre rimedio dando, «sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che – fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità – miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici, introducendo una “rete di protezione” rispetto all’alto rischio che accompagna il loro operato».
Il principio è strettamente correlato a quanto detto dal comma 4 dell’art. 1 in ordine al principio del risultato quale «criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto»[76].
Significativa mi pare l’espressa connotazione in termini di reciprocità della fiducia, che conferma quello che, a nostro avviso, costituisce un corollario del procedimento amministrativo «paritario» agognato da Feliciano Benvenuti[77]: la reciprocità degli obblighi procedimentali gravanti su amministrazione e cittadino. Ed infatti, come in passato abbiamo cercato di dimostrare, ad un’amministrazione trasparente e corretta deve rapportarsi un cittadino – nella specie, un operatore economico – altrettanto trasparente e corretto[78]. A nostro avviso, non è accettabile che il privato possa invocare la parità delle armi solo quando gli fa comodo, pretendendo l’applicazione unilaterale del principio di buona fede/correttezza nei rapporti giuridici esclusivamente a suo favore[79]. Trattasi di un’impostazione condivisa sia dalla dottrina – che ha in più occasioni evidenziato che la costruzione di un rapporto di cittadinanza impone il comune impegno e le reciproche responsabilità del cittadino e delle istituzioni[80], sicchè i doveri di correttezza e di buona fede nello svolgimento del procedimento gravano non solo sulla pubblica amministrazione, ma anche sul cittadino[81] – che dalla giurisprudenza, secondo cui la relazione che si instaura tra amministrazione e privato non può essere fonte in via esclusiva della tutela dell’affidamento di quest’ultimo, ma «deve produrre necessariamente effetti su di un piano di reciprocità»[82].
Definito il principio della reciproca fiducia e chiaritane la funzione, i successivi commi 3 e 4 dell’art. 2, onde evitare che quanto affermato «abbia valore puramente ottativo o inutilmente retorico»[83], quasi a volere «tranquillizzare gli animi», dettano, rispettivamente, ulteriori criteri di valutazione della responsabilità e regole per la promozione della fiducia nell’azione legittima: la prima disposizione, in particolare, mira a «rasserenare coloro che, all’interno delle pubbliche amministrazioni, per necessità spesso si trovano, soprattutto nelle realtà meno strutturate, a dover svolgere compiti oggettivamente superiori alle proprie competenze, dall’altro ricordare comunque la regola del “caso concreto” che sempre deve guidare ogni valutazione del comportamento tenuto dall’agente»[84].
Poche righe sono dedicate dall’art. 3 al principio dell’accesso al mercato, che del resto svolge una funzione complementare rispetto agli altri principi cardine: lo stesso utilizzo del verbo «favoriscono» in luogo di altri maggiormente assertivi è indicativo del ruolo ancillare del principio in esame, che – come quello di concorrenza[85] – rappresenta uno strumento per raggiungere il miglior risultato possibile e non un valore in sé[86]. Invero, ancorchè sia indubbio che l’accesso alle gare del maggior numero di imprese in condizioni di parità non può che favorire la selezione della migliore offerta per la realizzazione dell’opera o per l’espletamento del servizio o della fornitura[87], il legislatore italiano avrebbe, forse, dovuto valorizzare maggiormente il principio in esame, non foss’altro perché lo stesso diritto primario dell’Unione europea prevede che devono essere assicurate alle PMI tutte le potenzialità del mercato unico, tra cui espressamente «l’apertura degli appalti pubblici nazionali» (art. 179, comma 2, T.F.U.E.)[88].
Trattasi, sostanzialmente, della funzionalizzazione dei principi classici di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità e trasparenza, proporzionalità enumerati dalla stessa disposizione codicistica, tant’è che nella relazione si afferma chiaramente che «il principio dell’accesso al mercato rappresenta a sua volta un risultato che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono perseguire attraverso la funzionalizzazione dei principi più generali richiamati».
Detto questo dei singoli principi cardine, va dedicato un cenno all’art. 4, che codifica la «forza ordinante dei principi» e, secondo un avveduto commentatore, rappresenta la novità positiva del nuovo Codice[89].
Si tratta di una disposizione sicuramente rilevante nella sistematica codicistica, nella misura in cui evidenzia le aspettative di rinnovamento radicale sottese al nuovo articolato normativo, anche se la scelta di non elevare a criteri interpretativi ed applicativi anche i principi enunciati nei successivi articoli dello stesso Titolo I al fine di evidenziare maggiormente i tre principi fondanti non è stata unanimemente condivisa[90].
Ciò premesso, è solo per esemplificare che si segnalano alcune disposizioni codicistiche che in futuro dovrebbero essere lette attraverso la lente dei principi anzidetti.
Tra i singoli istituti che, d’ora in poi, andranno interpretati ed applicati in base al principio del risultato (ed al correlato principio di economicità) può annoverarsi il soccorso istruttorio, che svolge una vera e propria funzione economica e va considerato, pertanto, «entro una logica proattiva rispetto alla necessità del perseguimento di quello che è qualificabile in termini di risultato economico “migliore”»[91]. Recente giurisprudenza ha, infatti, riconosciuto che, nelle procedure ad evidenza pubblica, tale istituto è strumentale alla realizzazione del principio di massima partecipazione (ora consacrato nell’art. 10 del nuovo Codice), che costituisce una precondizione necessaria per assicurare alla stazione appaltante la più ampia concorrenza tra imprese, cioè appunto «il miglior risultato economico»[92], inteso come «miglior risultato sostanziale» dell’operazione contrattuale[93].
Soccorso istruttorio la cui interpretazione, peraltro, potrà essere orientata anche dal principio della fiducia, a conferma delle persistenti, ineliminabili esigenze di bilanciamento tra i vari principi generali.
Il principio della fiducia, poi, potrà a sua volta fungere da criterio interpretativo ed applicativo anche di altri istituti chiave, come il conflitto di interessi, le cause di esclusione e – perché no? – il contratto di avvalimento. Nell’ottica della fiducia riposta dalla stazione appaltante nell’azione degli operatori economici, infatti, può essere letta – a nostro avviso – la recente affermazione giurisprudenziale secondo cui ««[l]a certificazione di qualità, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall’apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale – che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro –, non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l’effettuazione del servizio o della fornitura. Occorre infatti che il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l’avvalimento rassicuri la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara»[94].
Quanto, infine, al principio dell’accesso al mercato, la sua funzione di criterio interpretativo ed applicativo si concretizzerà attraverso i principi classici che dovranno essere rispettati per favorirlo, tra cui in particolare il principio di proporzionalità, che – come rimarcato dalla relazione - «obbliga le stazioni appaltanti e gli enti concedenti a predisporre la documentazione di gara in modo tale da permettere la maggiore partecipazione possibile tra gli operatori economici, soprattutto di piccola e media dimensione». Esso orienterà quindi, soprattutto, l’interpretazione e l’applicazione della lex specialis di gara.
6. Conclusioni (inevitabilmente problematiche): può davvero parlarsi di un «cambio di paradigma»?
Solo una decina di giorni fa, in un convegno dell’A.I.D.U. dedicato, tra l’altro, al governo del territorio tra Stato e regioni, un collega lamentava la mancanza di una puntuale fissazione, da parte del testo unico dell’edilizia, dei principi fondamentali della materia. Omissione che, in quell’ambito, ha costretto la Corte costituzionale ad intervenire frequentemente per garantire uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale in alcuni profili specifici dell’attività edilizia: in primis, i titoli abilitativi ed il regime a cui assoggettare i singoli interventi edilizi.
Non è, dunque, in discussione l’utilità della fissazione, in un codice di settore (nella specie, dei contratti pubblici), dei principi generali della materia, ma tutt’al più, nel merito, l’individuazione dei singoli principi, la loro effettiva natura di principi generali[95], la gerarchia fra essi e – se si vuole – la loro portata più o meno innovativa.
Il poco tempo a disposizione impedisce di rispondere a tutti gli interrogativi, ma non possiamo far a meno di dubitare dell’utilità stessa di alcuni principi.
Mentre può convenirsi, ad es., sull’utilità dell’art. 7, che se non altro serve a «riequilibrare il peso del principio di auto-organizzazione delle pp.aa. rispetto a quello della tutela della concorrenza»[96], e dell’art. 9, che nel sancire il «diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali» sembra aprire «la breccia di una giustizia contrattuale solidale»[97], vien da chiedersi: l’art. 6 era proprio necessario? In presenza di un quadro normativo ed interpretativo reso finalmente chiaro dal legislatore e dalla giurisprudenza costituzionale[98], c’era davvero bisogno di ribadire che i rapporti giuridici tra pubbliche amministrazioni e soggetti non lucrativi si possono fondare anche sui modelli non concorrenziali, peraltro anche creando confusione in ordine ai casi («attività a spiccata valenza sociale», concetto giuridico oltremodo indeterminato) in cui si dovrebbe applicare il codice del Terzo settore?
Come si è visto, quasi tutti i primi commentatori del nuovo Codice hanno definito fortemente innovativa l’introduzione, all’inizio dello stesso, di numerosi principi generali ed in un recente convegno sul tema si è parlato di «cambio di paradigma».
Per quanto concerne il primo aspetto, ho già detto che – a mio avviso – buona parte dei principi generali (ad es., buona fede e tutela dell’affidamento, tassatività delle cause di esclusione, massima partecipazione) non possono ritenersi effettivamente innovativi e non manca chi dubita che siano tali anche i cc.dd. principi cardine.
Andando a ritroso, a dubitare dell’innovatività del principio dell’accesso al mercato è, innanzitutto, chi vi parla.
L’art. 3, infatti, non fa altro che compendiare sotto tale onnicomprensiva locuzione alcuni dei fondamentali principi della materia dei contratti pubblici (concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità e trasparenza, proporzionalità) che il nostro ordinamento, anche sulla spinta del diritto europeo, ha da tempo recepito. La stessa relazione – laddove afferma che «[i]l principio in questione risponde all’esigenza di garantire la conservazione e l'implementazione di un mercato concorrenziale, idoneo ad assicurare agli operatori economici pari opportunità di partecipazione e, quindi, di accesso alle procedure ad evidenza pubblica destinate all’affidamento di contratti pubblici» - conferma che non s’introduce nulla di veramente nuovo.
Induce a dubitare della portata innovativa del principio della fiducia la condivisibile osservazione che una sua declinazione si trova già nell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, che menziona la buona fede quale principio cui devono essere improntati i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione[99].
La medesima dottrina, infine, ha osservato che lo stesso principio del risultato – che a detta di tutti è quello che dovrebbe rappresentare la “svolta”, la «nuova principale bussola della disciplina dei contratti pubblici» – è in fondo espressione della c.d. amministrazione «di risultato», che non rappresenta certo una novità per il diritto amministrativo, al pari dei correlati criteri dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità, di cui parlavano già i precedenti codici dei contratti pubblici e, prim’ancora, la legge n. 241 del 1990: tale principio poteva, pertanto, già ritenersi implicitamente sotteso alla disciplina della contrattualistica pubblica[100]. In definitiva, salvo che non si voglia pensare – come maliziosamente adombrato, ma immediatamente escluso, da Giuliano Grüner giovedì scorso[101] – che la norma intenda dire più di quello che dice[102], cioè che in nome del risultato verrà esercitato un sindacato giurisdizionale più flebile nei confronti dell’operato delle stazioni appaltanti che abbiano comunque “portato a casa” il c.d. «risultato», l’art. 1 non fa altro che ribadire che concorrenza e legalità non bastano perchè si possa parlare di «buona amministrazione».
Anche quest’ultima osservazione è di per sé esatta, ma la novità – quella sì innegabile – non sta tanto nel principio di risultato astrattamente considerato, quanto nella priorità allo stesso attribuita rispetto alla garanzia delle procedure: in quella nuova gerarchia tra principi che – come ha ben notato Giulio Napolitano[103] – emerge chiaramente dalla formula «criterio prioritario» contenuta nel comma 4 dell’art. 1, è stata salutata con favore, per non dire con entusiasmo, da Luca Perfetti, non riscontrata, invece, dalla dottrina appena citata[104] e che noi auspichiamo trovi concreta applicazione nel convincimento che essa valga a limitare la discrezionalità degli interpreti delle disposizioni codistiche. Com’è stato recentemente ribadito, infatti, «[f]ino a quando non si chiarirà a quale principio è necessario dare prevalenza, se non ci sarà, in sostanza un ordine di priorità dei principi da perseguire e applicare, nell’impianto normativo ci saranno sempre zone d’ombra, contraddizioni e complicazioni conseguenza non dell’incapacità del legislatore di fare chiarezza, bensì della necessità di far convivere aspetti non sempre coniugabili e dunque “semplificabili” dalla normativa»[105].
Per quanto concerne il cambio di paradigma, infine, è ancora troppo presto per dire se ci sarà davvero.
A prescindere dall’autentica originalità ed innovatività di alcuni principi generali, è, infatti, di tutta evidenza che, per renderci conto della loro effettiva portata applicativa, cioè di quanto riescano ad incidere sull’interpretazione ed applicazione delle disposizioni codicistiche, dovremo attendere un po’[106].
Non dimentichiamo, in primo luogo, che nel 2024 verranno pubblicate le nuove direttive europee in materia di appalti, che dovranno essere recepite anche in Italia e potranno incidere sul nuovo Codice, che siamo stati costretti ad approvare prima per rispettare gli impegni assunti all’atto di presentazione del P.N.R.R..
A prescindere da questo, per un vero cambio di passo occorre ben altro che il semplice «orientamento al risultato». Ne è perfettamente consapevole lo stesso legislatore, che nella relazione ricorda che «la legge, anche se riordinata e semplificata grazie a un codice, è un elemento necessario ma non sufficiente per una riforma di successo, giacché tutte le riforme iniziano “dopo” la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e si realizzano soltanto se le norme sono effettivamente attuate “in concreto”. Emblematico in questa prospettiva è il caso dei contratti pubblici, per la cui reale riforma occorre avverare, attraverso una intensa attività operativa, almeno tre condizioni essenziali “non legislative”, che costituiscono peraltro l’oggetto di impegni in sede di PNRR: i) una adeguata formazione dei funzionari pubblici che saranno chiamati ad applicare il nuovo codice; ii) una selettiva riqualificazione delle stazioni appaltanti; iii) l’effettiva attuazione della digitalizzazione, consentendo, pur nel rispetto di tutte le regole di sicurezza, una piena interoperabilità delle banche dati pubbliche»[107].
Solo in presenza di queste ulteriori condizioni il rafforzato ruolo dei principi in materia di contratti pubblici, attraverso l’equilibrata interpretazione giurisprudenziale[108], potrà favorire la piena attuazione del principio di buon andamento e condurre verso un’amministrazione moderna, la cui compiuta realizzazione non può essere affidata – com’è ormai da tempo evidente – ad un ordinamento fatto di sole regole, frammentate e dettagliate[109].
*(Relazione al Seminario di studi su: «Il diritto dei contratti pubblici alla luce del nuovo Codice» - Cosenza, 16 maggio 2023).
[1] A. Massera, I principi generali, in Dir. amm., 2017, 438.
[2] G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, 155.
[3] P. Grossi, Sull’odierna ‘incertezza’ del diritto, in Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Annuario 2014, Napoli, 2015, 21.
[4] M.P. Chiti, I principi, in M.A. Sandulli – R. De Nictolis (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019, I, 290.
[5] A. Massera, ibidem.
[6] A. Massera, op. cit., 440.
[7] Corte giust. UE, Sez. X, 14 novembre 2013, in causa C-221/12, Belgacom NV, in https://eur-lex.europa.eu.
[8] A. Barettoni Arleri, Linee evolutive della contabilità dello Stato e degli enti pubblici, Milano, 1980, 177: «i contratti, per la connessa erogazione di spesa e acquisizione di entrate che necessariamente comportano – donde la loro classificazione nell’ordinamento contabile in contratti passivi ed attivi – rilevano per la consistenza del patrimonio dei soggetti pubblici e, quindi, trovano la loro corretta disciplina in quel settore dell’ordinamento positivo che delinea il regime giuridico della gestione finanziaria e patrimoniale pubblica».
[9] Per intendersi, quelle recepite in Italia dalla l. n. 584/1977.
[10] F. Mastragostino – E. Trenti, La disciplina dei contratti pubblici fra diritto interno e normativa comunitaria, in F. Mastragostino (a cura di), Diritto dei contratti pubblici, 3ª ed., Torino, 2021, 3.
[11] M. Giustiniani, Art. 30, in Codice dei contratti pubblici, diretto da F. Caringella, Milano, 2022, 260.
[12] G. Morbidelli, Il project financing: considerazioni introduttive, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2005, 1795.
[13] A. Bartolini, I contratti pubblici nel pensiero di Giuseppe Morbidelli, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2019, 164. Il principio di concorrenza è stato, peraltro, interpretato in chiave accrescitiva degli obblighi di carattere formale della pubblica amministrazione, nell’ottica di prevenzione di possibili distorsioni ed abusi e di controllo della discrezionalità amministrativa (c.d. spill over effect): D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della pubblica amministrazione, ivi, 2004, 851 ss.
[14] M. Giustiniani, ibidem.
[15] M. Giustiniani, op. cit., 261.
[16] M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza (Relazione al 61° Convegno di Studi amministrativi su: «La nuova disciplina dei contratti pubblici fra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione» - Varenna, 17-19 settembre 2015), in www.astrid-online.it, n. 19/2015, 12-13.
[17] M. Cafagno – A. Farì, I principi e il complesso ruolo dell’amministrazione nella disciplina dei contratti per il perseguimento degli interessi pubblici (artt. 29, 30, 34, 50, 51), in M. Clarich (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, 2ª ed., Torino, 2019, 202.
[18] M. Giustiniani, op. cit., 262.
[19] Anche se, incomprensibilmente, non menziona il principio di parità di trattamento: S. Dettori, Art. 30, in Codice dei contratti pubblici commentato, a cura di L.R. Perfetti, 2ª ed., Milano, 2017, 293, il quale, tuttavia, osserva che tale principio «rimane comunque immanente nella materia degli appalti pubblici, sia in quanto immediatamente discendente dal principio di concorrenza, di cui è corollario, sia in quanto comunque esso si ritrova in una serie di ulteriori disposizioni del Codice relative sia all’affidamento sia all’esecuzione dell’appalto».
[20] M. Giustiniani, ibidem; in termini analoghi, M.P. Chiti, op. cit., 312, ad avviso del quale una delle maggiori svolte delle ultime direttive consiste proprio nel fatto che «la concorrenza diviene uno degli interessi che le amministrazioni aggiudicatrici devono difendere, non l’unico e neanche quello in posizione di primazia rispetto agli altri».
[21] A. Massera, Principi procedimentali, in M.A. Sandulli – R. De Nictolis (diretto da), op. cit., 341.
[22] D. Capotorto, Lo Stato “consumatore” e la ricerca dei suoi principi, in Dir. amm., 2021, 161-167.
[23] S. Dettori, Il ruolo dei principi nella disciplina dei contratti pubblici, in Nuove autonomie, 2012, 89 ss.
[24] Nella misura in cui, «[a] fronte di previsioni legislative che tendono alla litania ritualistica, con elencazione – talora disordinata – di molti principi, si è tentati di non prenderle molto sul serio. In tal modo, si rischia di perdere l’impatto a tutto spettro dei principi, dato che non sempre la normativa di settore li riprende direttamente»: M.P. Chiti, op. cit., 289.
[25] Come ben notato da M.P. Chiti, op. cit., 287, «[i]l termine “principi” è polisemico anche nel linguaggio giuridico e variamente utilizzato nella normativa e nella giurisprudenza. Per di più, è usato senza particolare precisione e talora con l’aggettivo qualificativo “generale/i”». Ad es., l’art. 1 l. n. 241/1990 è rubricato «Principi generali dell’attività amministrativa», mentre l’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 è rubricato «Principi».
[26] Linee Guida n. 4, approvate con delib. 26 ottobre 2016, n. 1097, in www.anticorruzione.it.
[27] G. De Vinci, I principi, in Appalti e contratti pubblici. Commentario sistematico, a cura di F. Saitta, Milano, 2016 (e-book), cap. III, § 2.
[28] A. Massera, Principi, cit., 331, che nel prosieguo osserva che soltanto i principi di non discriminazione (sulla base della nazionalità) e di proporzionalità trovano posto nei Trattati e si connotano, quindi, come veri e propri principi fondamentali del diritto europeo, mentre altri principi – come, in particolare, quelli di parità di trattamento e di trasparenza – hanno origine nel diritto derivato e si connotano, quindi, come principi generali del diritto amministrativo (ivi, 345).
[29] La «forza ordinante del principio sulla materia codificata», la quale viene da quella forza non soltanto determinata, ma spiegata ed orientata nei suoi sviluppi successivi, quanto a validità ed interpretazione, è stata recentemente posta in risalto da A. Cioffi, Prima lettura del nuovo Codice dei contratti e dei suoi tre principi fondamentali, in www.apertacontrada.it, 16 gennaio 2023, § 1.
[30] L. Carbone, La scommessa del “Codice dei contratti pubblici” e il suo futuro (Relazione al Convegno su: «Il nuovo codice degli appalti – La scommessa di un cambio di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?» - Roma, 27 gennaio 2023), in www.giustizia-amministrativa.it, 12.
[31] L.R. Perfetti, Sul nuovo Codice dei contratti pubblici. In principio, in Urb. e app., 2023, 5 ss.
[32] Il tema è immenso e non può essere qui nemmeno accennato; per più puntuali indicazioni, sia consentito rinviare a F. Saitta, Interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, Napoli, 2023, 97 ss.
[33] G. De Vinci, ibidem, che segnala a tal proposito un’autorevole pronuncia che, dovendo decidere in merito al rinnovo degli atti di gara nelle procedure da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a fronte della giurisprudenza prevalente che, per tali procedure, riteneva necessaria la rinnovazione della gara a partire dalla ripresentazione delle offerte, a garanzia del rispetto dei principi di segretezza e di imparzialità nella valutazione delle offerte medesime, ha ritenuto, invece, che, anche per tale categoria di procedure, il rinnovo degli atti debba limitarsi alla sola valutazione dell’offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla gara (Cons. Stato, Ad. plen., 26 luglio 2012, n. 31, in www.giustizia-amministrativa.it). Secondo tale decisione, «a tale conclusione […] si perviene non in base ad una valutazione di prevalenza dell’uno o l’altro dei principi ricordati, valutazione che non si sottrae comunque ad una certa opinabilità, bensì alla stregua dei principi di fondo, espressione del “giusto processo”, nella giustizia amministrativa»; principi che vengono individuati nella rilevanza della situazione soggettiva azionata, che racchiude la pretesa di concorrere a quella specifica gara, e nell’effettività della tutela che dev’essere garantita. Appare, dunque, evidente l’intento del giudice amministrativo di risolvere il conflitto tra due principi (quello della segretezza, dunque dell’imparzialità, e quello dell’economicità e dell’efficienza, declinato nel senso della conservazione degli atti giuridici) attraverso il ricorso ad un terzo principio (quello del giusto processo), declinato in modo da risultare prevalente rispetto a quelli in conflitto.
[34] Anche prima della positivizzazione (ad opera del d.l. n. 70/2011, convertito con l. n. 106/2011, c.d. «Decreto Sviluppo») del principio di tassatività delle clausole di esclusione nell’ambito delle pubbliche gare, la giurisprudenza ha fissato il principio secondo cui le clausole della lex specialis, ancorché contenenti comminatorie di esclusione, non possono essere applicate meccanicamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, e devono essere valutate alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare, per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, dev’essere accordata la preferenza al favor partecipationis (in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2012, n. 5389, in www.lexitalia.it, n. 10/2012).
[35] T.A.R. Toscana, Sez. I, 3 febbraio 2010, n. 184, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I, 1 febbraio 2007, n. 763, ibidem; Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006, n. 127, ibidem.
[36] T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 15 maggio 2008, n. 4511, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I, 27 luglio 2006, n. 6583, ibidem; Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2003, n. 7134, ibidem.
[37] S. Dettori, Art. 30, cit., 298.
[38] A. Massera, op. ult. cit., 382-385.
[39] A. Massera, op. ult. cit., 343; amplius, D. Caldirola, Stato, mercato e Terzo settore nel decreto legislativo n. 117/2017: per una nuova governance della solidarietà, in www.federalismi.it, n. 3/2018; Id., Servizi sociali, riforma del Terzo settore e nuova disciplina degli appalti, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 733 ss.
[40] A. Massera, op. ult. cit., 347 ss., con interessanti indicazioni di pertinenti pronunce del giudice europeo.
[41] R. Caranta, Transparence et concurrence, in Comparative Law on Public Contracts, a cura di R. Noguellou e U. Stelkens, Bruxelles, 2010, 145 ss.
[42] L. Carbone, ibidem.
[43] L.R. Perfetti, op. cit., 9.
[44] Così S. Perongini, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici, in www.lamministrativista.it, 2 gennaio 2013, § 1.
[45] A. Saitta, I criteri interpretativi: risultato, fiducia e accesso al mercato (scritto in corso di pubblicazione in un commentario al nuovo Codice a cura de Il Sole 24 Ore, gentilmente concessomi in visione dall’A.).
[46] A. Saitta, op. cit.. Si allude qui, in particolare, ai primi tre articoli, letti alla luce del quarto, su cui v. infra, § 5.
[47] A.M. Chiariello, Una nuova cornice di principi per i contratti pubblici, in Dir. econ., 2023, 144.
[48] Come riferito nella relazione, «[p]iù nel dettaglio, la codificazione dei principi si articola in due titoli distinti: il Titolo I, dedicato ai principi generali veri e propri (risultato, fiducia, accesso al mercato, buona fede e tutela dell’affidamento, solidarietà e sussidiarietà orizzontale, auto-organizzazione amministrativa, autonomia negoziale, conservazione dell’equilibrio contrattuale, tassatività delle cause di esclusione, applicazione dei contratti collettivi di lavoro), e il Titolo II, che invece codifica principi comuni a tutti i Libri del codice in materia di campo di applicazione, di responsabile unico dell’intervento e di fasi della procedura di affidamento».
[49] La differenza d’impostazione è evidenziata da G. Carlotti, I principi nel Codice dei contratti pubblici: la digitalizzazione(Relazione al Convegno su: «I principi nel Codice dei contratti pubblici» - Firenze, 14 aprile 2023), in www.giustizia-amministrativa.it, 1-2, il quale peraltro, pur ritenendo «adeguate» la collocazione e la rilevanza date ai principi nel disegno codicistico, reputa maggiormente significativa la circostanza «che ai principi stessi sia stata assegnata la finalità di esprimere, con potenti valenze nomogenetiche, i fondamentali valori giuridici della specifica disciplina di settore».
[50] Infra, § 5.
[51] A.M. Chiariello, ibidem.
[52] Cfr. G. Tulumello, La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica, in www.giustamm.it, n. 5/2022.
[53] Non bisogna attendere, infatti, Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, in www.giustiziainsieme.it, 17 marzo 2022, con nota di M. Baldari, Ultimi approdi in materia di responsabilità precontrattuale della p.a. (Nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 21); l’affermazione che i canoni della buona fede e dell’affidamento non risultano confinati ai soli rapporti tra privati, ma assurgono a vero e proprio principio dell’ordinamento, è ben più risalente (già T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 luglio 1999, n. 903, in Trib. amm. reg., 1999, I, 3943).
[54] A. Crosetti, Principio di buona fede e contrattazione pubblica, in Studi in onore di C.E. Gallo, a cura di M. Andreis, G. Crepaldi, S. Foà, R. Morzenti Pellegrini e M. Ricciardo Calderaro, Torino, 2023, I, 246 ss.
[55] A. Saitta, op. cit.
[56] S. Perongini, ibidem.
[57] Così L.R. Perfetti, op. cit., passim, ma spec. 11.
[58] G. Napolitano, Committenza pubblica e principio del risultato (Relazione al Convegno su: «Il nuovo codice degli appalti – La scommessa di un cambio di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?» - Roma, 27 gennaio 2023), in www.astrid-online.it, § 2, il quale osserva come ciò sia, invece, da tempo ben presente al legislatore francese, che nel 2019 ha recepito la normativa europea in un articolato normativo significativamente intitolato Code de la commande publique (su cui N. Gabayet, Les principles du droit des contrats publics en France, in www.ius-publicum.com, 2019).
[59] F. Cintioli, Per qualche gara in più. Il labirinto degli appalti pubblici e la ripresa economica, Soveria Mannelli, 2020.
[60] L. Carbone, op. cit., 13.
[61] A. Saitta, op. cit.. Principio di buon andamento di cui del resto – come evidenziato nella relazione – «il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”».
[62] S. Perongini, op. cit., §§ 4 e 5, al quale si rinvia per l’indicazione della copiosissima letteratura sull’amministrazione «di risultato».
[63] A. Cioffi, op. cit., § 2.1.
[64] Non solo. A ben guardare, mentre in relazione alla trasparenza ed alla concorrenza il comma 2 dell’art. 1 chiarisce per quali moitivi essi siano necessari ai fini della piena soddisfazione del principio del risultato, analoga esplicazione non viene fatta per il principio di legalità: secondo A.M. Chiariello, op. cit., 148, «perché troppo ovvio».
[65] A. Saitta, op. cit.. Di diverso avviso è S. Perongini, op. cit., § 7, ad avviso del quale, avendo l’art. 1 del nuovo Codice «inglobato nel perimetro della legalità il risultato amministrativo», l’antinomia tra i due principi viene risolta dalla legge.
[66] A.M. Chiariello, op. cit., 149.
[67] F. Vetrò – G. Lombardo – M. Petrachi, L’avvio del nuovo Codice tra concorrenza, legalità e istanze di semplificazione: l’equilibrio instabile dei contratti pubblici, in Dir. econ., 2023, 55.
[68] A.M. Chiariello, op. cit., 148.
[69] S. Perongini, op. cit., § 8.
[70] M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in www.giustiziainsieme.it, 21 dicembre 2022, § 2.
[71] A. Cioffi, op. cit., § 2.1.
[72] Retro, § 4.
[73] Così, testualmente, nella relazione.
[74] Da ultimo, T.A.R. Liguria, Sez. I, 3 marzo 2023, n. 280, in www.giustamm.it, n. 3/2023.
[75] Ex plurimis, M. Dell’Atti, La burocrazia difensiva: fenomeno astratto o minaccia concreta? Cosa ne pensano gli operatori economici e le stazioni appaltanti, in A. La Spina – B.G. Mattarella (a cura di), Il codice dei contratti pubblici secondo gli operatori. Un’indagine sul campo, Roma, 2022, 73 ss.; A. Battaglia – S. Battini – A. Blasini – V. Bontempi – M.P. Chiti – F. Decarolis – S. Mento – A. Pincini – A. Pirri Valentini – G. Sabato, «Burocrazia difensiva»: cause, indicatori e rimedi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2021, 1295 ss.; M. Cafagno, Risorse decisionali e amministrazione difensiva. Il caso delle procedure contrattuali, in Dir. amm., 2020, 35 ss.; G. Bottino, La burocrazia «difensiva» e la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici, in Analisi giur. econ., n. 1/2020, 117 ss.; S. Battini – F. Decarolis, Indagine sull’amministrazione difensiva, in Riv. it. public management, n. 2/2020, 342 ss.
[76] A. Saitta, op. cit.
[77] Cfr. si vis, F. Saitta, Il procedimento amministrativo «paritario» nel pensiero di Feliciano Benvenuti, in Amministrare, 2011, 466-468.
[78] F. Saitta, Del dovere del cittadino di informare la pubblica amministrazione e delle sue possibili implicazioni, in F. Manganaro – A. Romano Tassone (a cura di), I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto d’informazione (Atti del Convegno di Copanello, 25-26 giugno 2004), Torino, 2005, 111 ss..
[79] Sul carattere bilaterale del principio di leale collaborazione tra cittadino e pubblica amministrazione, cfr. G. Taccogna, Il principio di leale collaborazione nella recente giurisprudenza amministrativa, in Foro amm. – CdS, 2008, 1313 ss.
[80] V. Antonelli, Contatto e rapporto nell’agire amministrativo, Padova, 2007, 235.
[81] S. Confortin, Principio di completezza dell’istruttoria ed onere di cooperazione privata nel procedimento amministrativo, in Foro amm. – TAR, 2007, 459 ss.; S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezza nella dinamica del potere amministrativo, Torino, 2008, spec. 510-523; M. Monteduro, Sul processo come schema di interpretazione del procedimento: l’obbligo di provvedere su domande «inammissibili» o «manifestamente infondate» (Intervento al Convegno su: «Procedura, procedimento e processo» - Urbino, 15 giugno 2007), in Dir. amm., 2010, 176-179.
[82] T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 1 luglio 2010, n. 2817, in Foro amm. – TAR, 2010, 2610.
[83] A. Saitta, op. cit.
[84] P. Conio, Codice dei contratti pubblici: i nuovi principi del procurement, in www.forumpa.it, 14 aprile 2023, la quale, peraltro, non può far a meno di notare che le parole utilizzate sembrano presentare imperfezioni linguistiche – non essendo chiaro a quale tipo di norma si contrapponga la norma «di diritto» (norma tecnica? norma di rango secondario?) né a quali «auto-vincoli amministrativi» si faccia riferimento (quelli nei bandi di gara?) – che potrebbero generare criticità applicative.
[85] A. Cioffi, ibidem, ad avviso del quale, peraltro, sarebbe necessario un coordinamento tra l’art. 3 e l’art. 1, comma 2, che, così come sono formulati, sono fonte di potenziali contrasti e antinomie in quanto, ai sensi del successivo art. 4, fungono entrambi da criteri interpretativi ed applicativi.
[86] P. Conio, op. cit.
[87] A. Saitta, op. cit.
[88] In argomento, amplius, A. Coiante, L’accesso delle PMI al mercato dei contratti pubblici tra la concorrenza per il mercato e la discrezionalità amministrativa: lo strumento della suddivisione in lotti quale “chiave di volta” che non risolve, in Dir. e soc., 2021, 795 ss.
[89] Così A. Cioffi, op. cit., § 3.
[90] Cfr., ad es., A. Saitta, op. cit., e A.M. Chiariello, op. cit., 159-160.
[91] E. Frediani, Il soccorso della stazione appaltante tra fairness contrattuale e logica del risultato economico, in Dir. amm., 2018, 627.
[92] Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 2017, n. 3641, in www.giustizia-amministrativa.it.
[93] Cons. Stato, Sez. V, 11 settembre 2015, n. 4249, in www.giustizia-amministrativa.it.
[94] Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 502, in www.giustizia-amministrativa.it.
[95] Come ha opportunamente ricordato M.P. Chiti, op. cit., 327, se «i principi sono diffusi, puntuali e di carattere non omogeneo, viene meno la loro funzione caratterizzante […] di “aliquid a quo aliud sequitur”».
[96] Così, nel commentare recente giurisprudenza formatasi prima dell’avvento del nuovo Codice, C.P. Guarini, Il principio eurounitario di «libera amministrazione delle autorità pubbliche» nelle direttive UE nn. 23 e 24 del 2014 su contratti e appalti pubblici e l’impatto sulla normativa interna di recepimento in tema di in house providing, in Euro-Balkan Law and Economics Review, n. 1/2019, 78 ss.
[97] A. Giordano, In tema di rinegoziazione delle concessioni pubbliche. Profili giuscontabili nel prisma dello schema di codice dei contratti pubblici, in Riv. C. conti, 2023, 1, 97.
[98] In argomento, da ultimo, M. Carrer, Terzo settore e principio di sussidiarietà. Profili problematici nella sistematizzazione costituzionale, in Società e diritti, 15 (2023), 30 ss.; A.I. Arena, Su alcuni aspetti dell’autonomia del Terzo settore. Controllo, promozione, modelli di relazione con il potere pubblico, in Riv. AIC, n. 3/2022, 36 ss.
[99] A.M. Chiariello, op. cit., 155; contra, A. Cioffi, op. cit., § 2, secondo cui «[i]l principio è nuovo».
[100] A.M. Chiariello, op. cit., 152.
[101] I principi generali del nuovo Codice dei contratti pubblici (Relazione alla Giornata di studi su: «Il nuovo codice degli appalti» - Roma, 11 maggio 2023).
[102] M. Sbisà, Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita, Roma-Bari (2007), rist. 2010.
[103] Op. cit., § 3.
[104] Secondo A.M. Chiariello, op. cit., 160, il nuovo Codice, infatti, «non appare necessariamente affermare una gerarchia tra i principi. […] non indica una maggiore dignità di taluni principi rispetto ad altri, ma esplicita meramente, con riferimento a taluni, la natura di criteri interpretativi e applicativi del Codice per rimarcare come le norme di questo devono in ogni caso essere infine ricondotte ai principi di cui agli artt. 1, 2 e 3. […] Sembrebbe dunque che – non diversamente da quanto accaduto fino a ora nelle esperienze delle precedenti edizioni del Codice, in cui tra i principi non vi è gerarchia – possa spettare all’eventuale interprete desumere la maggiore dignità di uno o di un altro principio a seconda dei casi, sulla base di una valutazione in concreto, che tenga in considerazione anche la fonte di provenienza nazionale o comunitaria dei principi da applicare».
[105] F.F. Guzzi, Il regime delle esclusioni non automatiche alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, in www.ambientediritto.it, n. 2/2023, 17.
[106] A.M. Chiariello, op. cit., 160.
[107] Sul punto si è recentemente soffermato G. Montedoro, Intervento dello Stato e trasformazioni dell’amministrazione, in www.giustiziainsieme.it, 4 maggio 2023.
[108] A. Saitta, op. cit.
[109] L. Torchia, La nuova direttiva europea in materia di appalti servizi e forniture nei settori ordinari (Relazione al 61° Convegno di Studi amministrativi su: «La nuova disciplina dei contratti pubblici fra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione» - Varenna, 17-19 settembre 2015), in www.astrid-online.it.