Abusi edilizi e criterio della vicinitas. L’interesse al ricorso del terzo avverso provvedimenti edilizi tra prerogative proprietarie e tutela dell’interesse legittimo (Cons. St., Sez. II, 17 ottobre 2022 n. 8841)
di Maria Grazia Della Scala
Sommario: 1. La vicenda. L’abuso edilizio e il controverso interesse al ricorso del terzo. – 2. Il requisito della vicinitas tra legittimazione al ricorso e interesse ad agire. – 3. La rinunzia all’azione. – 4. L’azione di annullamento come azione risarcitoria. – 5 La pretesa compensatio lucri cum damnocome criterio di determinazione delle condizioni dell’azione. – 6. La dimensione sostanziale dell’interesse legittimo.
1. La vicenda. L’abuso edilizio e il controverso interesse al ricorso del terzo.
La recente pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. II, n. 8841/2022, torna ad occuparsi dell’annoso tema dell’interesse al ricorso in capo al terzo avverso decisioni dell’amministrazione in materia urbanistico-edilizia, riguardando il caso, apparentemente semplice nell’ambito delle teorizzazioni sul requisito della vicinitas, di ricorso proposto dal proprietario confinante, oltre che comproprietario della parte comune interessata dall’intervento edilizio. Nega tuttavia tale interesse, con riflessioni dense d’interesse.
La vicenda in esame prende le mosse dalla realizzazione da parte di un proprietario - condomino di un intervento edilizio in una porzione di sottotetto di proprietà comune, consistente in un bagno, un disbrigo, due ripostigli e una scala di collegamento interna con il suo appartamento sottostante; tale intervento in parte sovrastava l’appartamento di altra condomina, la quale segnalava al Comune l’abusività delle opere, sollecitando l’esercizio dei relativi poteri sanzionatori.
Il Comune ordinava all’autore la rimessione in pristino dei luoghi stante l’assenza di titolo abilitativo per l’intervento realizzato; successivamente, gli negava la concessione in sanatoria, per carenza di un idoneo titolo di proprietà (con decisione non censurata dal TRGA di Trento: sent. n. 361/2014). A seguito di ulteriori due provvedimenti di diniego di concessione in sanatoria, il Comune ordinava nuovamente, a distanza di circa nove anni dalla precedente ordinanza, la rimozione delle opere realizzate qualificandole come “consistenti in occupazione con cambio di destinazione d’uso di una porzione di sottotetto condominiale…”. Tale provvedimento, diversamente dal precedente, richiamando un parere della Commissione edilizia che non ravvisava contrasto con rilevanti interessi urbanistici, consentiva, in alternativa alla rimessione in pristino, la fiscalizzazione dell’abuso.
Tale ultimo atto veniva impugnato dall’interessata, deducendosi violazione dell’art.129, commi 1, 3 e 5 della legge provinciale n. 1/2008, la quale, a fronte di nuove opere realizzate in assenza di titolo abilitativo, non consentono l’applicazione della sanzione pecuniaria[1].
Il giudice di prime cure respingeva l’eccezione di inammissibilità avanzata dal Comune resistente e dal controinteressato per la carenza di legittimazione e/o di interesse al ricorso, motivando ampiamente in relazione alla sussistenza delle condizioni dell’azione.
Riconosceva pacifica la legittimazione al ricorso in ragione della vicinitas, non reputandosi revocabile in dubbio la sussistenza di quella posizione particolarmente “qualificata e differenziata (avente consistenza di interesse legittimo), correlata al bene della vita oggetto di esercizio del pubblico potere, idonea a distinguere il ricorrente da ogni altro consociato” (richiamando Cons. St., ad plen. n.3/2022). D’altra parte, aderendo alla teorica distinzione tra legittimazione e interesse al ricorso, ammetteva che la situazione di fatto idonea a radicare la legittimazione consentisse, nel caso di specie, di ricavarvi parimenti quel vulnus che fonda l’interesse all’azione.
L’individuazione dell’attualità e concretezza della lesione della situazione giuridica soggettiva non veniva considerata, nel caso di specie, esclusa dal risarcimento già ottenuto dalla ricorrente in sede civile. Osservava il giudice di primo grado, anzitutto, come si fosse trattato di una soddisfazione solo parziale, commisurata alla diminuzione di valore di mercato dell’immobile di proprietà dell’interessata in ragione dell’abuso, oltre al riconoscimento di una esigua somma per crepe e fessurazioni determinate dal maggior carico edilizio. Nessun ristoro – che sarebbe stato di ben altra consistenza – la medesima aveva ottenuto quale comproprietaria dell’area occupata dalle nuove opere. Il giudice civile non aveva invero deciso sulla domanda di ordine di rimessione in pristino stante la proprietà condominiale, e non sua esclusiva, delle porzioni di sottotetto interessate dall’intervento.
Rileva soprattutto come il TAR abbia riconosciuto l’interesse ad agire della ricorrente per la rimozione dell’atto amministrativo altresì considerando quest’ultima eterogenea rispetto ai rapporti civilistici conosciuti dal giudice ordinario. Il ricorso veniva quindi ritenuto fondato nel merito.
La decisione di appello ribalta la sentenza di primo grado, accogliendo il motivo dedotto di erroneità della pronuncia in ordine all’ammissibilità del ricorso. Comune al giudice di prime cure è l’idea della necessaria distinzione tra le condizioni dell’azione, ammettendosi in ragione della vicinitas l’immediatezza del riconoscimento della legittimazione ad agire in capo al proprietario confinante, laddove l’interesse al ricorso è identificato con lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento e di cui il terzo invocava la rimozione attraverso gli effetti ripristinatori e conformativi del giudicato di annullamento.
Nel caso in esame il Consiglio di Stato ritiene non configurarsi tale interesse, osservando che la ricorrente in primo grado avrebbe già ottenuto il risarcimento del danno derivante dalle opere realizzate; che tale risarcimento avrebbe conseguito sul presupposto della conservazione delle opere, implicitamente consentendola per il fatto stesso di aver accettato il risarcimento; che il risultato ultimo cui aspirerebbe l’interessata sarebbe dunque il cumulo tra “il già conseguito risarcimento per equivalente e il risarcimento in forma specifica mediante riduzione in pristino”, da negare al fine di scongiurare che il dualismo delle giurisdizioni si risolva in uno “strumento di locupletazione” volto a ottenere ciò che è precluso in un’unica azione, ovvero appunto la sommatoria di risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente.
Si osserva che il giudice di primo grado avrebbe pretermesso la dimensione sostanziale dell’interesse legittimo, comune al diritto soggettivo, e non riducibile a interesse alla legittimità dell’azione amministrativa.
2. Il requisito della vicinitas tra legittimazione al ricorso e interesse ad agire.
Nessuna questione problematica pone anzitutto la considerazione, condivisa dai giudici dei due gradi, circa la sussistenza in capo all’interessata della legittimazione al ricorso in ragione della titolarità di un di un interesse legittimo asseritamente leso, stante il requisito della vicinitas; soluzione che appare anzi lapalissiana a fronte non solo della contiguità spaziale - anzi adiacenza - tra opere abusive e proprietà dell’interessata, ma anche della comproprietà dell’area riguardata dall’intervento. E’ noto come la vicinitas, quale criterio di individuazione di una situazione giuridica soggettiva idonea a legittimare l’azione davanti al giudice amministrativo, sia andata nel tempo dilatandosi, incrementando le possibilità di tutela avverso atti amministrativi, in genere ampliativi, destinati a produrre i propri effetti tipici nella sfera giuridica altrui[2]. La negazione della legittimazione del terzo[3] appariva invero inadeguata sia a frenare la deturpazione del territorio dovuta a illegittimità diffusa, sia a proteggere interessi che, per la relativa consistenza, non pareva potessero essere ritenuti estranei alla considerazione da parte dell’ordinamento. La successiva estensione a una platea progressivamente più ampia di individui - in ragione della “prossimità del sito” prescelto per la realizzazione dell’intervento o dello “stabile o significativo collegamento con l’insediamento abitativo”, con il contesto territoriale nel quale si realizzava l’intervento - era la risposta più immediata all’audace previsione del legislatore del 1967 che con la l. n. 765 (art. 10), di modifica dell’art.31 della L.U. n. 1150/1942, aveva attribuito a “chiunque” la possibilità di ricorrere avverso titoli edilizi illegittimi. Tale soluzione interpretativa[4], volta a scongiurare l’affermarsi di quell’azione popolare[5] che sarebbe stata idonea a far lievitare il contenzioso e che era percepita come incoerente con la giurisdizione di tipo soggettivo propria del giudice amministrativo, non era tuttavia condivisa da unanime dottrina[6]. Voci autorevoli intendevano la norma di legge piuttosto in modo aderente alla sua lettera, sia pur circoscrivendone la portata secondo ragionevolezza[7], come manifesta e aspirata intenzione di reprimere efficacemente, appunto, il dilagante abusivismo e le non rare illegittimità amministrative[8].
La legittimazione comunque così conformata dal giudice amministrativo quale dilatazione dell’interesse legittimo, tende ad assorbire interessi una volta considerati diffusi[9], in tendenziale corrispondenza con il progressivo incremento degli interessi individuali protetti dall’ordinamento[10]. Si produce così il suo sviluppo: dalle impugnazioni di titoli edilizi a quelle di strumenti urbanistici[11], di atti di localizzazione di opere pubbliche, discariche di rifiuti, stazioni radio, ecc., infine di autorizzazioni commerciali e abilitanti l’esercizio di attività economiche, traducendosi la vicinitas nell’appartenenza al “bacino di utenza”, ovvero nel riferimento alla zona in cui l’impresa trae il proprio profitto[12].
Si è dunque finito per affidare alla vicinitas il ruolo di criterio generale di selezione delle situazioni soggettive tutelate in ogni caso in cui appaiono assumere rilievo, ai fini della differenziazione dell’interesse individuale, profili geografico-spaziali[13]; il che trova particolare conferma nella indifferenza palesata dalla giurisprudenza all’avvenuta abrogazione dell’art. 31 L.U. da parte del TUEL, d.p.r. n. 380/2001[14].
Tralasciando la menzione delle tesi per le quali legittimazione al ricorso e interesse ad agire finirebbero per confluire e confondersi[15], può dirsi senz’altro accolta nel nostro ordinamento positivo la loro teorica distinzione e insieme concorrenza nel connotare anche il processo amministrativo come giurisdizione di tipo soggettivo[16], chiamato a offrire al ricorrente un risultato utile, un vantaggio effettivo dalla pronuncia di accoglimento per l’interesse sostanziale individuale[17]. Accanto alla legittimazione “ordinaria”[18] che “collega la posizione di chi presenta ricorso all’ordinamento giuridico” – l’interesse a ricorrere sposta, dunque l’attenzione “sul rapporto fra l’azione giudiziaria esercitata e lo scopo perseguito in concreto dal soggetto agente”[19]; è “lo stato di fatto” in cui versa la situazione giuridica soggettiva fatta valere[20].
Comunemente l’interesse è riconosciuto in re ipsa laddove il ricorrente che impugni un atto dell’amministrazione incidente sul territorio sia il proprietario confinante[21] del terreno oggetto dell’intervento, ma tendenzialmente è parimente rinvenuto secondo una vicinitas latamente intesa, quale più elastico criterio selettivo[22], finendo per radicarsi nella medesima situazione di fatto da cui scaturisce la legittimazione.
Con l’estendersi della legittimazione sembra essere però progressivamente più sentita la necessità di una puntuale indagine sull’interesse al ricorso, affermandosi posizioni diverse, favorevoli a una sua rigorosa individuazione, in via non solo teorica ma in concreto[23]. Si afferma, in alcuni indirizzi della giurisprudenza, la necessaria dimostrazione del “vulnus specifico” “inferto dagli atti impugnati”[24]. In ulteriori posizioni, si specifica che il criterio della vicinitas sintetizza, con riguardo all’interesse ad agire, situazioni in cui “nella normalità dei casi” “secondo il comune apprezzamento” il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato sussiste “senza bisogno di speciali motivazioni”; andrebbe tuttavia allegato, essendovi necessità di dimostrazione solo in caso di specifica contestazione[25].
Se la necessaria allegazione o almeno l’agevole rilevabilità dell’interesse al ricorso riguarda ancora principalmente le ipotesi in cui la vicinitas non coincida, in linea di principio, con l’immediata “contiguità”, una volta affermatosi in via astratta e generale l’onere del ricorrente di provare l’interesse, non vi è invero controversia nella quale il duplice apprezzamento delle condizioni dell’azione possa dal giudice essere a priori omesso.
Al di là di astratti criteri, in ipotesi idonei a introdurre indebiti confini alle ipotesi di ammissibilità dei ricorsi[26], l’interesse all’azione discende dalla peculiarità delle situazioni fattuali e corrisponde a una indagine in negativo: la sua verifica non dovrebbe muovere dalla ricerca dei vantaggi della sentenza di accoglimento, ma registrare “i casi in cui è certo che nessun vantaggio può essere tratto dalla sentenza” alla situazione giuridica soggettiva azionata[27].
Questa utilità non deve poi corrispondere al bene individuale in ipotesi protetto dalle norme di esercizio della funzione violate, invece preordinate al miglior perseguimento dell’interesse generale”, ma a quell’interesse materiale che è presupposto della legittimazione[28]. L’accertamento dell’effettività del pregiudizio, poi, non è condizione di accesso al giudizio, attenendo al merito della controversia[29].
Nel caso in esame, peraltro, l’interesse è stato considerato insussistente, non perché non allegato o dimostrato il pregiudizio a un interesse individuale giuridicamente protetto ma perché ritenuto estinto dalla condanna al risarcimento, anche considerata l’accettazione del risarcimento come implicita rinuncia a coltivare l’azione.
3. La rinunzia all’azione.
Un breve riflessione merita così, anzitutto, proprio l’argomento della rinuncia all’azione implicita nell’accettazione del risarcimento[30]. In linea di principio, nulla pare impedire la rinuncia all’azione per il ristoro del diritto soggettivo leso[31], né al diritto stesso, pur nei modi che saranno in seguito chiariti.
Secondo parte della dottrina, diverso discorso varrebbe per l’interesse legittimo. La soluzione è influenzata dalla particolarità della situazione giuridica soggettiva legittimante il ricorso al giudice amministrativo[32], sede in cui la distinzione tra titolarità della situazione giuridica sostanziale e titolarità del diritto di azione, conquista della riflessione processualcivilistica[33], appare piuttosto necessaria e immanente. Ove si controverta dell’esercizio/mancato esercizio del potere, sembra invero di ostacolo all’abdicazione della situazione giuridica individuale l’intimo legame con l’interesse pubblico[34].
È indiscussa in ogni caso la disponibilità dell’azione giurisdizionale, essendo ammessa la rinuncia che colpisca, appunto, il solo strumento processuale[35].
In ogni caso, la rinuncia all’azione, per poter essere effettivamente rilevata in sede giurisdizionale, deve esprimersi in forma esplicita, sia pur non richiedente formule sacramentali, ovvero per facta concludentia, rinvenibili tuttavia quando vi sia assoluta incompatibilità tra il comportamento dell’attore e la volontà di proseguire nella domanda. La rinuncia implicita presuppone comunque il sostanziale riconoscimento dell’infondatezza dell’azione da parte dell’attore/ricorrente e l’emersione della volontà di non voler proseguire nella richiesta di tutela giurisdizionale[36]. In tal senso è limpido l’art.84 co.3 c.p.a. secondo cui: “Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti, il giudice può desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa”[37].
Non pare che l’accettazione di un risarcimento, in forma diversa e in misura inferiore al preteso, integri una condotta univoca idonea a integrare rinuncia al residuo risarcimento ottenibile in veste di condomino, tantomeno a un’azione d’impugnazione di un provvedimento amministrativo che peraltro investe interessi ulteriori rispetto a quello meramente economico-proprietario.
Tanto basta per osservare come il Consiglio di Stato abbia voluto far dire troppo alla semplice percezione di un risarcimento. Non ha considerato, oltre il mancato pieno appagamento del diritto, l’eterogeneità delle situazioni giuridiche soggettive tutelate, coerente con la diversa natura delle norme che si assumono violate, e l’alterità soggettiva della parte resistente nel giudizio amministrativo rispetto al convenuto davanti al giudice civile; non ha tenuto conto, dunque, che trattavasi di un’azione nettamente diversa[38].
4. La pretesa compensatio lucri cum damno come criterio di determinazione delle condizioni dell’azione.
La pronuncia in esame nega poi l’interesse al ricorso facendo sostanziale applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, istituto dalle origini risalenti[39], privo di autonomia dogmatica ma accolto come espressione descrittiva di una delle possibili modalità d’impiego del meccanismo causale nella fase di produzione dei pregiudizi, modellando la pretesa risarcitoria in ragione del danno effettivo emergente, tenuto conto “di tutte le conseguenze dell’illecito, ivi comprese quelle eventualmente vantaggiose per il danneggiato”[40]. La compensatio riposa anzitutto sull’assunto che l’istituto della responsabilità civile risponde alla primaria finalità compensativa, di reintegrare il patrimonio del danneggiato nella misura idonea a eliminare le conseguenze pregiudizievoli prodottesi nella sua sfera giuridica, trasferendo il danno derivante dalla condotta illecita dal suo patrimonio a quello del danneggiante. Se la funzione preventiva appare secondaria, quella sanzionatorio-punitiva, che potrebbe giustificare sacrifici maggiori per il danneggiante, si assume che possa essere solo eccezionalmente disposta dalla legge[41].
Pur non trattandosi di un istituto tipizzato, la giurisprudenza, a fronte di posizioni più articolate nella dottrina, ha sempre convenuto che nell’apprezzamento delle conseguenze economiche negative-dirette e immediate – dell’illecito, si debbano considerare anche i vantaggi percepiti, che contribuiscono a ridurre “l’area dei danni effettivamente cagionati dalla condotta del responsabile”, anche laddove abbiano natura non patrimoniale[42] quale espressione di un principio generale dell’ordinamento[43] e corollario logico dell’art.1223 c.c.[44]. Nelle più recenti posizioni della giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, laddove la condotta illecita non produca sia danni che vantaggi ma una pluralità di voci di danno, la formula si risolve nell’esigenza di evitare un cumulo di voci compensativo-risarcitorie[45], costringendo il pluriobbligato a corrispondere più di quanto necessario a ristorare il patrimonio del danneggiato, il quale si avvantaggerebbe così di un indebito arricchimento (c.d. principio dell’indifferenza)[46]. L’indebito arricchimento peraltro potrebbe prodursi anche nell’ipotesi di rapporti trilaterali, come nei casi in cui, in ragione dell’illecito, sia percepita una indennità da obbligato diverso rispetto al soggetto tenuto al risarcimento del danno[47]. Deve quindi considerarsi vantaggio quanto il danneggiato abbia nell’insieme ottenuto in conseguenza del fatto illecito.
È vero poi che la compensatio è ormai comunemente intesa dalla giurisprudenza sia ordinaria che amministrativa quale eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, come d’ufficio la ha in effetti applicata la II Sezione, oltre che proponibile per la prima volta in appello[48], rappresentando piuttosto un’attività difensiva rientrante nel disposto dell’art.1223 c.c.[49].
Tra i presupposti per la sua operatività, secondo le posizioni più recenti, vi sono tuttavia l’unicità della condotta da cui origina il pregiudizio e che giustifica l’attribuzione di vantaggi al soggetto leso[50], che l’eventuale vantaggio derivi direttamente dall’illecito, sia pur ex lege o ex contractu[51], che quest’ultimo sia di natura omogenea rispetto all’interesse sostanziale leso. Il primo requisito nel caso in esame non pare in effetti ricorrere, avversando l’interessata due diverse condotte: quella illecita del condomino e quella illegittima dell’amministrazione; nemmeno il secondo, nella misura in cui l’eventuale vantaggio deriverebbe qui non direttamente dall’illecito bensì dall’esecuzione di un ordine di demolizione[52], emanato in ragione degli effetti conformativi della sentenza di annullamento di un provvedimento illegittimo. Né il terzo, laddove il fine dell’annullamento del provvedimento e i suoi effetti non si risolvono nella compensazione di un pregiudizio patrimoniale[53]. A voler risalire in ogni caso, con sommo sforzo, alla condotta illecita dell’autore dell’abuso, sembra dunque mancare nel caso di specie anzitutto il rischio di sovracompensazione dovuta a una duplice attribuzione patrimoniale, se non in via del tutto remota e indiretta.
Infine, pur considerando applicabile l’istituto in esame, rileggendo l’annullamento come risarcimento in forma specifica, è di tutta evidenza che il giudice avrebbe dovuto farne uso non ai fini di una decisione in rito, negando l’interesse al ricorso, quanto di una decisione sul merito, in sede di quantificazione del danno, essendo pacificamente la compensatio una tecnica liquidatoria.
Infine, va considerato come nella normalità dei casi il principio comporti che dalla somma riconosciuta a titolo risarcitorio siano sottratte le utilità o le forme compensative altrimenti percepite (usualmente a titolo indennitario). Ove le ultime fossero state già corrisposte il relativo obbligato – si osserva - potrebbe agire per ripetere l’importo corrisposto al danneggiato[54].
5. L’azione di annullamento come azione risarcitoria.
La qualificazione della domanda di annullamento come domanda di risarcimento in forma specifica comporta in realtà una mutatio libelli che, malgrado alcune esitazioni della giurisprudenza[55], è estranea ai poteri del giudice in sistemi improntati al principio dispositivo; azione di annullamento e azione risarcitoria non sono invero pianamente assimilabili[56]. Lo ha ben chiarito l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2015 rimarcando la diversità, nei due casi, degli elementi della domanda. Nella domanda di annullamento la causa petendi sarebbe l’illegittimità del provvedimento impugnato; nella domanda risarcitoria, invece, l’illiceità del fatto. Diverso appare poi il petitum: nell’azione costitutiva, appunto l’annullamento degli atti o provvedimenti impugnati; nell’azione risarcitoria, la condanna al risarcimento in forma generica o specifica, eterogenea rispetto all’eliminazione dell’atto dal mondo giuridico. Differenti ancora appaiono gli accertamenti richiesti al giudice[57] e l’incidenza della sua pronuncia: il risarcimento – si sottolinea - è infatti disposto su ordine del giudice ed è diretto a restaurare la legalità violata dell’ordinamento, onde ricostruire una situazione quanto più possibile analoga a quella che precedeva la commissione dell’illecito; “l’annullamento, invece, è restaurazione dell’ordine violato ad opera del giudice”[58]. Tali puntualizzazioni sottendono in definitiva la diversa natura delle norme violate nei due casi; nell’un caso, vi è un equilibrio economico definito da norme intersoggettive da ripristinare concretamente attraverso un’attività esecutiva della pronuncia giurisdizionale, con l’effettiva reintegrazione del diritto leso del danneggiato; nel secondo caso, la tutela dell’interesse pubblico pregiudicato attraverso la violazione della norma sull’esercizio del potere, unitamente a quella della situazione soggettiva connessa a tale esercizio, si realizza per effetto della sentenza costitutiva, salvi i suoi effetti conformativi e la possibilità che l’interesse materiale substrato dell’interesse legittimo risulti o meno integralmente soddisfatto[59].
È proprio l’invocata natura di giurisdizione soggettiva del giudice amministrativo a imporre il rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato[60], violato ogni qual volta “il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi identificativi dell’azione” ovvero ponga a fondamento della propria decisione fatti o situazioni avulsi dalla materia del contendere[61].
Ben aveva deciso, pertanto, il giudice di prime cure, riconoscendo come l’interesse della ricorrente consistesse nell’avversare un atto amministrativo, ritenuto illegittimo e lesivo, il quale “va scrutinato da un giudice amministrativo”; ciò che contesta la ricorrente – si osservava – “infatti, non attiene alla dimensione civilistica dei rapporti tra soggetti privati dell’ordinamento, bensì concerne la sfera dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione e, più precisamente, l’operato di quest’ultima giacché produttivo di effetti pregiudizievoli a danni della ricorrente stessa”. Tali danni la medesima ha in effetti subito – si osservava - benché non destinataria del provvedimento, considerando anzitutto il mancato godimento della sua comproprietà su cui insisteva un’opera “realizzata in spregio ai principi sulla comunione dei beni”.
Né in senso contrario depone l’art. 34, co. 3 del c.p.a. secondo il quale “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. La norma non giustifica una riqualificazione della domanda originaria, imponendo, invece una sua rigorosa interpretazione, alla stregua del contenuto effettivo della pretesa (art.32, co.2, c.p.a.)[62].
È, dunque, bensì possibile una variazione in senso riduttivo del petitum originario, al fine di renderlo adeguato alle sopraggiunte necessità di soddisfacimento del bisogno di tutela. La conversione non potrebbe però mai operare in virtù di pretesi automatismi[63] e non risulta che l’interessata abbia manifestato, in sede di giudizio amministrativo, alcun interesse alla prestazione risarcitoria[64].
Nessun utile argomento offre poi la rilevanza accordata dall’art. 30, co.3 c.p.a.[65], alla mancata impugnazione del provvedimento come elemento che contribuisce alla determinazione del danno risarcibile ex art.1227 c.c.[66]. La norma riguarda invero l’ipotesi inversa a quella in esame, ovvero il caso in cui sia presentata la domanda risarcitoria e solo quella. Se è ammissibile l’apprezzamento dell’annullamento “alla stregua” di un risarcimento in forma specifica, guardando agli effetti sostanziali della pronuncia e, in particolare, a quelli conformativi, ancora una volta, per valutare l’eventuale danno residuante in capo all’interessato e nella prospettiva della più piena soddisfazione dell’interesse sostanziale vantato, ciò non vale ad escludere la stessa ammissibilità di richiesta di una sentenza costitutiva[67].
Quanto all’accenno, contenuto nella pronuncia, al possibile utilizzo del doppio giudizio come strumento di “locupletazione” o di abuso del processo, a parte i profili problematici di tale incerta nozione[68] e della necessità o meno di rilevare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa[69], è evidente come il discorso sia assorbito dalla rilevata persistenza dell’interesse al ricorso. Già l’elemento oggettivo della condotta pretestuosa non appare nel caso individuabile, dovendo comunque l’avvenuto conseguimento di quanto aspirato essere apprezzato nella relazione con l’amministrazione e risolversi nella soddisfazione dell’interesse vantato rispetto alla sua azione[70].
6. La dimensione sostanziale dell’interesse legittimo.
Come ultimo argomento la pronuncia in esame invoca la medesima dimensione sostanziale dell’interesso legittimo e del diritto soggettivo, tema che coinvolge gli aspetti più controversi e il cuore stesso del diritto amministrativo[71], su cui è possibile in questa sede fare solo alcune brevi e sommarie considerazioni.
Il giudice usa una formula densa di ambiguità. Sottesa sembra l’idea che anche l’interesse legittimo sia un interesse individuale che ha come substrato un bene materiale, e questo non sembra discutibile[72]. Ma tale assunto è ben lontano dal consentire un’assimilazione, o almeno un diretto confronto tra le due nozioni. Di esse, appaiono più forti i tratti distintivi, il collocarsi a due diversi livelli dell’ordinamento giuridico[73]. Il diritto soggettivo situazione legittimante e al tempo stesso oggetto del giudizio che si svolge di regola davanti al giudice civile; diversamente, l’interesse legittimo è la più evanescente situazione legittimante l’avvio di un processo che ha tutt’ora come oggetto la legittimità dell’azione amministrativa. L’affermazione non sembra tener conto, poi, dell’attuale complessa articolazione interna dell’interesse legittimo, della pluralità delle sue figure, variamente connesse all’interesse materiale del titolare: da un più, quando l’interesse legittimo sia un diritto soggettivo nella relazione con il potere dell’amministrazione, come in effetti nel caso in esame, a un meno, quando tale connessione tra le due situazioni appare più sbiadita[74].
Sotto quest’ultimo profilo, può osservarsi come, pur nell’ambito delle posizioni che ritengono irrinunciabile il carattere qualificato, oltre che differenziato dell’interesse, per essere qualificato “legittimo”, quindi il suo carattere normativo[75], acquistano sempre maggior terreno gli orientamenti secondo cui il medesimo, in particolare quale situazione legittimante del terzo in relazione ad abusi edilizi, non si esaurisca con riferimento “a un singolo bene fisico di proprietà”, risultando da una “pluralità di fattori ordinati a un assetto finale ritenuto meritevole di tutela da un corpus normativo di protezione”; tale, ad esempio, il mantenimento della qualità dell’assetto urbanistico dell’area in cui quale il soggetto vive o svolge stabilmente la propria attività[76]. Si tratta di un percorso volto a valorizzare interessi che, sebbene comuni, potrebbero essere altresì ascritti alla sfera individuale[77].
Tali profili possono apprezzati come ulteriori e non dirimenti ai fini della decisione della questione in esame ma utili ad avvalorare l’idea che se il superamento della pregiudizialità si pone certamente in linea con tratti più marcatamente soggettivi della tutela offerta davanti al giudice amministrativo, - potendo l’annullamento dell’atto non essere affatto richiesto o essere convertito in azione risarcitoria in ragione di una rilevata carenza d’interesse alla pronuncia costitutiva - , sembra talora perdersi di vista che il giudice amministrativo non può esaurire il suo ruolo in quello di giudice del risarcimento del danno.
Esiti come quello qui in esame appaiono invero ultimi approdi di quella linea di tendenza che, sopravvalutando l’interesse individuale rispetto a quello generale[78], enfatizzando la costruzione del processo amministrativo in termini di giudizio sulla fondatezza della pretesa vantata dal ricorrente, sulla spettanza del bene della vita[79] e alimentando l’ibridazione tra processo amministrativo giudizio civile è idonea a produrre, quasi per paradosso, una deminutio di tutela delle situazioni individuali di fronte al potere dell’amministrazione[80].
[1] Il Comune avrebbe invero qualificato erroneamente l’opera come semplice “mutamento della destinazione d’uso”; si lamentava poi eccesso di potere per contraddittorietà di tale provvedimento rispetto alla precedente ingiunzione, oltre che con i successivi dinieghi di sanatoria, nonché per aver l’amministrazione acriticamente aderito a uno tra due pareri discordanti resi dalla Commissione edilizia; eccesso di potere per erroneità dei presupposti ovvero, ancora, per la qualificazione dell’intervento come mero “cambio di destinazione d’uso”; difetto di motivazione e illogicità manifesta per non essere il provvedimento, come preteso dalla legge, motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti per la fiscalizzazione (che siano realizzate variazioni essenziali; che queste non contrastino con rilevanti interessi urbanistici e “comunque” che la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio per la parte eseguita in conformità: art.129, co. 5, l.p. n. 1/2008).
[2] Cfr. Cons. St., V, n. 418/1956, in Giur. it., 1957, III, 23; Id., V, n. 245/1958, in Foro amm., 1958, I, 2, 476, Id., V, n. 260/1960, in Foro it., 1960, III, 61; Id., V, n. 189/1960, in Foro amm., 1960, I, 963; Id., V, ord. n. 381/1962, in Riv. giur. edilizia, 1962, I, 681; Id., ad. plen., n. 14/1962, in Giust. civ., 1963, II, 38; contra: Cass civ., Sez. Un., n. 1746/1961, in Foro it., 1961, I, 1672. Cfr. A. Scognamiglio, Profili della legittimazione a ricorrere avverso gli atti delle autorità amministrative indipendenti, in Foro Amm. - CdS, 2002, 9, 2245 ss.
[3] V. Cons. St., ad. plen., n.1/1966.
[4] V. anzitutto Cons. St., V, n. 523/1970.
[5] Ammessa, tuttavia, da Cons. St., V, n. 1314/1968.
[6] F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo attraverso il filtro dell’interesse a ricorrere: il caso della vicinitas, in Dir. proc. amm., 2017, 3, 771 ss.
[7] A. M. Sandulli, L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. Giur. Edil., 1968, II, 3 ss.
[8] Già A. M. Sandulli, Più legalità per le licenze edilizie, più severità per le costruzioni senza licenza, in Riv. Giur. Edil., 1962, II, 68 ss. Cfr. V. Spagnuolo Vigorita, Interesse pubblico e azione popolare nella “legge-ponte” per l’urbanistica, in Riv. Giur. Edil., 1967, II, 387 ss. e altri riferimenti in F. Saitta, C’era una volta un’azione popolare …mai nata, in Riv. Giur. Edil., 2021, 6, 239 ss. Cfr., di recente: M. Magri, Il Consiglio di Stato nega la legittimazione del promissario acquirente all’impugnazione dei titoli edilizi (nota a Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2022, n. 1768), in Giustiziainiseme, 2022.
[9] Lo ipotizzava già Alb. Romano, Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi diffusi, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività (Atti del XXIII Convegno di Studi di Scienza dell'Amministrazione, Varenna, 22-24 Settembre 1977), Milano, 1978, 33 ss., osservando come, tuttavia, il prezzo di un simile ampliamento sarebbe stato la crescita delle difficoltà di definire in modo logicamente corretto l’interesse legittimo. Rileva l’aleatorietà del concetto di “insediamento abitativo” ai fini della relazione della legittimazione: F. Saitta, C’era una volta, cit.
[10] Cfr. L. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere nel processo amministrativo: il problema delle pretese partecipative, Dir. proc. amm., 3, 2009, 688, che evidenzia come la legittimazione “sia stata estesa fino a ipotesi molto discutibili e contrastanti con la nozione stessa”, senza opposizioni della dottrina e, anzi, pressioni, per un suo ampliamento a posizioni soggettive “tra i quali gli interessi senza struttura o diffusi” privi delle caratteristiche che tradizionalmente si associano alla legittimazione.
[11] V., ad es., Cons. St., IV, n. 6619/2007.
[12] Cfr. di recente: Cons. St., IV, n. 5353/2022. - Con la definizione di bacino d'utenza si intende, in linea generica, l'area raggiungibile a partire da un punto prefissato su una cartina, ovvero il c.d. "baricentro" individuato seguendo gli assi stradali; pertanto, ai fini dell'identificazione del bacino d'utenza, è necessario applicare criteri specialistici e metodi di calcolo non surrogabili attraverso la comune esperienza o la scienza privata del giudice, dovendo ritenere insufficiente, per fornire la prova della c.d. vicinitas commerciale, la mera affermazione di parte della sussistenza di un comune "bacino d'utenza" fra la struttura commerciale erigenda e quella che agisce in giudizio a tutela del suo interesse commerciale leso-.
[13] Per l’eccessiva genericità del criterio già E. Guicciardi, La decisione del “chiunque”, in Giur.it., 1970, III, 193, anche ricordato da F. Saitta, C’era una volta, cit.
[14] Cons. Giust. Amm. Sic., n. 759/2021, di rimessione all’adunanza plenaria n. 22/2021.
[15] E. Guicciardi, La giustizia nell’amministrazione, 1954, 181 ss.; con argomenti diversi: S. Cassarino, Le situazioni giuridiche soggettive e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, 330 ss.
[16] Cfr., ampiamente, TAR Toscana, III, Firenze, n. 592/2020.
[17] Corte cost. n. 271/2019.
[18] Sulle legittimazioni straordinarie, cfr. M. Delsignore, L’amministrazione ricorrente. Considerazioni in tema di legittimazione nel giudizio amministrativo, Torino. 2020.
[19] Cons. Giust. Amm. Sic., n. 759/2021 cit.
[20] Cfr. R. Villata, Legittimazione processuale (II Diritto processuale amministrativo), in Enc. Giur., XVII, 1988.
[21] V. ad es. Cons. St., VI, n. 2100/2019, Cons. St., VI, n. 3386/2019, Cons. St., IV, n. 3489/2021. Nel senso che anche in questo in caso debba essere allegato ed eventualmente provato il pregiudizio che fonda l’interesse al ricorso: Cons. St., IV, n. 5908/2017, TAR Puglia, III, Bari, n. 374/2020. Precisa che anche in caso di proprietà confinanti l’interesse al ricorso debba essere almeno prospettato in relazione al pregiudizio subito, “quanto meno in tutti i casi in cui la modifica del preesistente assetto edilizio non si dimostri icto oculi, ovvero sulla base di sicure basi statistiche, tratte dall’esperienza”: TAR Veneto, II, Venezia, n. 986/2019.
[22] Cass. Civ., Sez. Un., n. 18493/2021, Cass. Civ., Sez. Un., n. 21740/2019.
[23] Sottolineano come, con l’estensione della legittimazione la giurisprudenza amministrativa abbia finito molte volte per affidare al solo interesse al ricorso il ruolo di vero filtro per l’accesso alla tutela davanti al g.a. L. Perfetti, Legittimazione e interesse ricorrere, cit., G. Tropea, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: una rassegna critica della letteratura recente, in Dir. proc. amm., 2, 2021, 447.
[24] Nel senso che dovrebbe dimostrarsi il pregiudizio specifico inferto dagli atti impugnati in termini di deprezzamento del valore del bene o della concreta compromissione del diritto alla salute o all’ambiente: Cons. St., IV, n. 908/2017, Cons. St., IV, n. 3843/2018, Cons. St., II, n. 4375/2021, Cons. St., IV, n. 4557/2021, Cons. St., V, n. 4830/2017, Cons. St., IV, n. 383/2016, Cons. St., IV, n. 362/2015, Cons. St., IV, n. 4924/2012.
[25] Cons. St., V, n. 3247/2021, Cons. St., IV, n. 4557/2021, Cons. Giust. Amm. Sic., n. 759/2021.
[26] F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo attraverso il filtro dell’interesse a ricorrere: il caso della vicinitas, cit.
[27] A. Travi, Giustizia amministrativa, 2019, 200, M. Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, Bologna, 2021, 169. Osserva che la giurisprudenza non dovrebbe ricercare la lesione di beni altri rispetto a quello corrispondente alla situazione azionata: F. Trimarchi Banfi, Op. cit.
[28] Cfr. Cons. St., ad plen., n. 22/2021, in cui si è affermato che “Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.
[29] Cons. St., ad. plen., n.1/2018.
[30] Ex multis: Cons. St., II, n. 6663/2021, Cons. St., VI, n. 675/2022, Cons. St., II, n. 4664/2022, Cons. St., II, n. 6185/2022.
[31] A. Salietti, T. Salvioni, Estinzione del processo (dir. proc. civ.), in Treccani, Diritto on line, 2015 e ivi ulteriori riferimenti.
[32] Alb. Romano, La situazione legittimante al processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 511 ss., V. Cerulli Irelli, Legittimazione "soggettiva" e legittimazione "oggettiva" ad agire nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, 341 ss.
[33] G. Mannucci, Legittimazione e interesse a ricorrere, in Treccani, Diritto online (dir. amm.), 2018.
[34] In termini generali: E. Cannada Bartoli, Il diritto soggettivo come presupposto dell'interesse legittimo, Milano, 1953.
[35] A. Bozzi, Rinunzia (diritto pubblico e privato), in Noviss. Dig. It., XV, Torino, 1968, 1144, L. V. Moscarini, Rinunzia (I, dir. civ.), in Enc. Giur., XXVII, 1991.
[36] Cass. civ., II, n.19845/2019, Cass. civ., VI, n.15712/2021, Tribunale Bari, sez. lav., n.2908/2020, Trib. Roma, XIII, n. 5429/2020.
[37] Cfr. Cons. St., VI, n. 281/2020. Nel senso che anche in assenza di rinuncia formale debba essere acquisita la dichiarazione di non avere interesse alla coltivazione, sotto ogni profilo, del ricorso: Cons. St., V, n. 2475/2020. L’univocità appare pacifica, ad esempio, laddove vi sia stato un atto di rinuncia irrituale perché non notificato alle controparti: TAR Milano (Lombardia), II, n.1627/2022.
[38] Sulle norme in materie di distanze poste dal codice civile e dalla disciplina urbanistico-edilizia, ex multis: Cass. Civ., II, n. 7954/2022, Cass. Civ., II, n. 22054/2018, Cass. Civ., VI, n. 3854/2014; già Cass. Sez. Un., n.11023/2004. Nella giurisprudenza amministrativa, v., ad es.: Cons. St., IV, n. 4337/2017; Id., n. 3093/2017; Id., n. 2086/2017; Id., n. 3510/2016; Id., n. 856/2016; Cass. civ., II, n. 23136/2016, Cons. St., VI, n. 5071/2018, Cons. giust. Amm. Sic., n. 759/2021. Nella giurisprudenza costituzionale, v. ad es., le pronunce n. 120/1996, n. 124/2021.
[39] R. Scognamiglio, In tema di “compensatio lucri cum damno, in Foro it., 1952, I, 635; più di recente: M. Ferrari, La compensatio lucri cum damno come utile strumento di equa riparazione del danno, Milano, 2008, G. De Nova, Intorno alla compensatio lucri cum damno, in Jus civile, 2018, p. 56, A. Vetro, La compensatio lucri cum damno in diritto privato: applicazione del principio della compensazione nei giudizi amministrativi e contabili, in Lexitalia, 2018, 3.
[40] Cons. St., IV, ord. n. 2791/2017, Cons. St., ad plen. n.1/2018.
[41] Cons. St., ad plen. n. 1/2018, cit. Nel senso della natura multifunzionale della responsabilità civile, v. però Cass. Sez. Un., 16601/2017, R. Pardolesi, Risarcimento, indennizzo e arricchimento della vittima dell’illecito, osservazioni a Cass., ord. 22.6.2017 n. 15534, in Foro it., 2017, I, 2256.
[42] Cons. St., ad. plen. n.1/2018, cit.
[43] A. Vetro, La compensatio lucri cum damno in diritto privato: applicazione del principio della compensazione nei giudizi amministrativi e contabili, cit.
[44] Cons. St., IV, ord. n. 2919/2017.
[45] Cons. St., ibidem.
[46] Cass. Sez. Un. Civ., n. 584/2008, Cass. Civ., III, n. 26152/2014. Il maggior contrasto interpretativo ha riguardato la questione della cumulabilità tra risarcimento del danno e indennità o indennizzi a vario titolo percepiti.
[47] Tra i commenti alle ultime posizioni della Corte di cassazione: G. Ponzanelli, Dopo San Martino, la Cassazione ci riprova a varare uno statuto del danno alla persona, in Il Foro italiano, 2019, 3, pp. 791 ss., G. Ponzanelli, Risarcimento del danno alla persona: San Martino 2019 si allontana da San Martino 2008 e conferma gli equilibri risarcitori del 2018, in Danno e responsabilità, 2020 fasc. 1, pp. 69 ss., M. Franzoni, Spigolature sulle sentenze di san Martino, in Danno e responsabilità, 2020, 1, 7 ss. R. Simone, Ombre e nebbie di San Martino: la causalità materiale nel contenzioso sanitario, in Il Foro italiano, 2020, 1, 218 ss., F. Molinaro, San Martino 2.0: Ritorno al passato o evoluzione del danno non patrimoniale?, in Responsabilità civile e previdenza, 2020, 6, 1903 ss., A. Montanari, Il risarcimento in forma specifica e la rilevanza giuridica dell’attività di compensazione del danno, in Europa e diritto privato, 2013 fasc. 2, pp. 505 ss.
[48] M. Ferrari, La compensatio lucri cum damno come eccezione rilevabile d’ufficio, in Resp. civ. e prev., 2015, 666, U. Izzo, La compensatio lucri cum damno come “latinismo di ritorno” in Resp. civ. e prev., 2012, 1738 ss. e ampiamente Id., La «giustizia» del beneficio. Fra responsabilità civile e welfare del danneggiato, Napoli, 2018.
Di recente: Cass civ., n. 15534/2017 e Id., n. 15535/2017, Cass. civ., III, n. 24177/2020, Corte app. Firenze, n. 696/2015. Per un’interessante applicazione da parte del giudice amministrativo, cfr., ad es., TAR Sardegna n. 15/2014, secondo cui “a seguito dell’annullamento degli atti di una procedura espropriativa, la diminuzione di valore del bene (nella specie per la creazione di una servitù pubblica di acquedotto) deve essere compensata con i vantaggi derivanti al privato dall’opera comunque realizzata”. Più in generale, sulla finalità compensative ancor più della responsabilità da attività lecita: E. Scotti, Liceità, Legittimità e responsabilità dell’amministrazione, Napoli, 2012.
[49] Cfr. Cass. Civ., n. 20111/2014, Cass. Civ., III, n. 533/2014, Cass. Civ., III, n. 24177/2020. Di recente: Corte d’appello di Campobasso, n. 242/2022. V. tuttavia Cassazione civ., VI, n. 27736/2022: “La natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno non esime chi la invoca di dimostrarne il fondamento; in caso di giudizio di rinvio a seguito di cassazione del provvedimento la lacuna probatoria non può essere colmata perché trattasi di un giudizio a istruzione chiusa”.
[50] Cass. Civ., III, n. 15534/2017, Cons. St., ad plen., n. 1/2018.
[51] Cons. St., IV, ord. n. 2719/2017, Cass. Civ., Sez. Un., n. 12565/2018, Cass. Civ., sez. III, n.30188/2022, Cass. Civ. sez. lav., n. 32130/2022. Si ritiene che la compensatio operi anche quando i vantaggi dipendono sotto il profilo giuridico formale da una fattispecie diversa dall’illecito, di cui l’illecito rappresenta un elemento costitutivo. Il risarcimento ed il vantaggio patrimoniale dovrebbero quindi avere la stessa ragione giustificatrice o appartenere a classi omogenee.
[52] Cfr. Tar Puglia III, Bari, n. 41/2016, che chiarisce come, in un caso di abusivismo edilizio, la richiesta di risarcimento in forma specifica avanzata dalla parte ricorrente, vittoriosa in sede di impugnazione, integrava in realtà una richiesta di ottemperanza del giudicato, avendo il Comune omesso di emanare prontamente l’ordine di demolizione in esecuzione del giudicato.
[53] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un. 12564/2018, in cui si è negata l’operatività della compensatio tra valore capitale della pensione di reversibilità accordata al familiare superstite e il risarcimento del danno, essendo la prima caratterizzata da un fondamento solidaristico e non strutturalmente rispondente finalità di rimuovere le conseguente prodottesi nel patrimonio del danneggiato in esito all’illecito del terzo; diversamente in caso di liquidazione dell’indennizzo da parte dell’assicurazione in ragione del fatto illecito causa dell’azione risarcitoria: Cass. Civ., Sez. Un., n. 12565 del 2018; o ancora nell’ipotesi di indennizzo per inabilità permanente corrisposto dall’INAIL per l’infortunio occorso al lavoratore, questo si assume dover essere detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto: Cass. Sez. Un., n. 12566/2018.
[54] Cons. St., IV, ord. n. 2719/2017, cit. Nel senso che la compensatio potrebbe operare solo se il danneggiante rimane esposto all’azione di recupero del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale: F. Caringella, Manuale ragionato di diritto civile, II ed., Roma, 2020, 153 ss., ricordato da J. Barraco, Compensatio lucri cum damno: la giurisprudenza recente, in Giuricivile, 2021, 2.
[55] V. ad es. l’ordinanza Cons. St., V, n. 284/2015, di rimessione all’ad. plen. n. 4/2015.
[56] Ciò emerge chiaramente, ad es., da quelle pronunce in cui si chiarisce come vada “considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta davanti al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto, poiché la causa petendi della domanda è l’illegittimità dell’atto stesso, mentre il petitum è la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda”: Cass. civ., II, n. 8599/2022. La non assimilabilità si ricava ancora, ad es., dell’applicazione dei termini dimidiati per la riassunzione del giudizio davanti al giudice amministrativo ex. 119 c.p.a. alle azioni di annullamento e non alle controversie meramente risarcitorie, anche ove volte al risarcimento in forma specifica. La deroga ai termini processuali ordinari risponde infatti alla ratio di realizzare “una più rapida tutela di interessi pubblici in ambiti individuati”: Tar Campania, V, n. 4184/2017, e già Cons. St., ad. pl., n. 9/2007, Id., IV, n. 1605/2014, Id., IV, n. 5551/2016.
[57] Ai fini del risarcimento il giudice deve valutare invero la sussistenza di tutti gli elementi della responsabilità, ivi compreso l’elemento soggettivo: Cons. St., IV, n. 3464/2016, Cons. St., V, n. 125/2016.
[58] Cons. St., ad plen. n. 4/2015.
[59] A. Romano Tassone, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, in Giust. amm., 2001, P. Lazzara, Annullabilità e annullamento, in Treccani online (dir. amm.), 2012. Diversamente, il giudice potrebbe non pronunciarsi sull’annullamento laddove questo fosse stato domandato unitamente al risarcimento del danno ma fosse ad esempio sopravvenuta la carenza d’interesse alla sentenza costitutiva (…) o, ancora laddove parimenti, sopravvenuta tale carenza d’interesse, il ricorrente potrebbe mantenere interesse a una semplice pronuncia dichiarativa, ai fini di una successiva domanda risarcitoria. Più rigorosamente, si afferma in alcune pronunce che tale conversione potrebbe operare solo laddove la domanda risarcitoria sia stata effettivamente formulata e comunque non presenti caratteri di mera ipoteticità: TAR Trieste, I, n. 221/2022.
[60] Pur con “aperture parziali alla giurisdizione di tipo oggettivo”: Cons. St., ad plen., n.4/2015.
[61] Cons. St., ad plen. n. 5/2015, Cons. St., ad. plen., n. 7/ 2013, cit., Cons. St., VI, n. 5854/2018.
[62] Cons. St., VI, n. 3299/2020.
[63] Cons. St., V, n. 2195/2017, Cons. St., VI, n. 3299/2020; Cass. Civ., n. 991/2014.
[64] Cons. St., ad. plen., n. 4/2015, in cui si nega la possibilità del g.a. di convertire la domanda di annullamento di una graduatoria di concorso, convertendola in domanda di risarcimento del danno, pur a distanza di molti anni dall’emanazione del provvedimento e pur a fronte dell’impatto sulle posizioni dei controinteressati.
[65] V. il secondo alinea: “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
[66] Su cui v. ad es. Cons. St., ad. plen., n. 3/2011, secondo cui “La scelta di non avvalersi della tutela impugnatoria che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale avrebbe probabilmente evitato in tutto o in parte il danno, integra violazione del canone di buona fede e dell'obbligo di cooperazione, spezza il nesso causale fra provvedimento e pregiudizio e, per l'effetto, in forza del principio di auto-responsabilità codificato dall'art. 1227, comma 2, c.c., comporta la non risarcibilità del danno evitabile; di conseguenza è legittima la sentenza del giudice di primo grado che, nel dichiarare irricevibile il ricorso proposto a distanza di molto tempo dalla data di comunicazione del provvedimento di cui si chiedeva l'annullamento, ha anche respinto anche la domanda di risarcimento dei danni sotto il profilo che i danni lamentati sarebbero stati in toto evitati se l’impresa si fosse tempestivamente avvalsa degli strumenti di tutela predisposti dall'ordinamento. Cfr. M. A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni (brevi note a margine di Cons. Stato, Ad plen., 23 marzo 2011 n. 3, in tema di autonomia dell'azione risarcitoria e di Cass., Sez. un, 23 marzo 2011 nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione ordinaria sulle azioni per il risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti favorevoli), in Riv. giur. edil., 2010, 6, 479 ss.
[67] Così, ad esempio, nel caso di subentro nel contratto di appalto del ricorrente vittorioso, retroattivamente privato di efficacia a seguito dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione ella gara: TAR Lazio, I, n. 7786/2021, Tar Campania, III, n. 3259/2020, TAR Campania, V, Napoli, n. 4802/2016, Id., II, n. 1669/2016, Cons. St., V, n. 633/2016, o in caso di proroga dell’efficacia di un’autorizzazione paesaggistica rilasciata alla ricorrente, per un periodo equivalente a quello in cui la Soprintendenza l’aveva privata di effetti con atti annullati dal giudice amministrativo, quale effetto conformativo della sua pronuncia: Cons. St., VI, n. 3887/2017; Cons. St., VI, n. 3867/2017. Nel senso di cui nel testo milita anche la negazione che la stessa domanda di risarcimento in forma specifica, nelle controversie in materia di contratti pubblici, determini improcedibilità della domanda di annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica, potendo rilevare ai soli fini dell’eventuale risarcibilità del danno subito: TAR Veneto, I, Venezia, n. 471/2017.
[68] V., ampiamente, G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, Napoli, 2015.
[69] G. Tropea, Spigolature in tema di abuso del processo, in Dir. proc. amm., 4, 2015, 1262 ss.
[70] Cons. St., IV, n.10439/2022, TRGA Trentino Alto Adige, Trento, I, n. 171/2022.
[71] Cfr. per tutti, l’ampia analisi di F. tenG. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017.
[72] Alb. Romano, La situazione legittimante al processo amministrativo, cit., 511 ss.
[73] A. Romano, Amministrazione, principio di legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. Amm., 1999, 111-142, A. Cioffi, Il problema della legittimità nell’ordinamento amministrativo, Napoli, 2012.
[74] F. G. Scoca, Op. cit., 309. Per tale distinzione, unitamente all’osservazione dell’incremento delle ipotesi in cui gli interessi legittimi sono divenuti protetti dall’ordinamento generale come diritti soggettivi, quindi risarcibili: Alb. Romano, Sono risarcibili: ma perché devono essere interessi legittimi? (Nota a Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500/ Com. Fiesole c. Vitali), in Foro it., 1999, III, 3222-3225 e Id., Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono diritti soggettivi, in Dir. Amm.1998, 1, 1.
[75] P. G. Portaluri, La cambiale di Forsthoff. Creazionismo giurisprudenziale e diritto al giudice amministrativo, Napoli, 2021, 127 ss.
[76] P. G. Portaluri, Ibidem. In tale senso anche F. Trimarchi Banfi, Op. cit. Affermano che il pregiudizio derivante a terzi da abusi edilizi, non si risolve in riduzione della visuale, potendo più in generale derivare dall’alterazione dell'equilibrio urbanistico del contesto e dell’armonico e ordinato sviluppo del territorio: Cons. Stato, VI, 19 luglio 2021, n. 5400/2021; TRGA Trentino Alto adige, Trento, n. 95/2021; TAR Lazio, Roma, II quater, 2019, n. 14960/2019, TRGA Trentino Alto Adige, Trento, n. 50/2022. Cfr. M. Nigro, L’art.32 della legge urbanistica e l’individuazione degli interessi legittimi, in Foro it., 1962, I, 83 ss., che osservava come ogni attribuzione di poteri alla amministrazione vada inteso come attribuzione di compiti e di responsabilità ed implichi una situazione di dovere. Il potere quindi, per quanto ampia possa essere la discrezionalità, non esclude mai di per sé il sorgere di situazioni protette in altri soggetti.
[77] V. alcune riflessioni in V. Caputi Jambrenghi, Beni pubblici (uso dei), in Dig. disc. pubbl., vol. II, 303 ss. Cfr. V. Cerulli Irelli, Uso pubblico, in Enc. dir., vol. XLV, 961, V. Cerulli Irelli, L. De Lucia, Beni comuni e diritti collettivi, inPolitica del diritto, 2014, 1, 3 ss. Con particolare riguardo alle posizioni assunte dalla giurisprudenza europea con riferimento agli interessi protetti dal diritto sovranazionale: M. C. Romano, Situazioni legittimanti ed effettività della tutela giurisdizionale, Napoli, 2013.
[78] Alb. Romano, La situazione legittimante, cit.
[79] G. Falcon, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. amm., 2001, 318 ss.
[80] F. Francario, Interesse legittimo e giurisdizione amministrativa: la trappola della tutela risarcitoria, inGiustiziainsieme, 2021.