L’acquisizione gratuita al demanio statale delle opere realizzate dai concessionari uscenti: un nuovo rinvio alla Corte di Giustizia per le concessioni “balneari” (nota a Cons. Stato, Sez. VII, 15 settembre 2022, n. 8010)
di Marco Calabrò
Sommario: 1. La vicenda. – 2. La ratio della disciplina speciale di cui all’art. 49 cod. nav. – 3. Perduranti criticità interpretative nell’individuazione dell’ambito applicativo dell’acquisizione gratuita dei beni al patrimonio dello Stato. – 3.1. Il prospettato contrasto con il principio di proporzionalità in ipotesi di rinnovo della concessione. - 3.2. Il regime derogatorio ed il rinvio all’autonomia contrattuale. - 4. Riflessioni conclusive.
1. La vicenda.
Con ordinanza n. 8010 del 15 settembre 2022 il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte di Giustizia UE il giudizio circa la conformità al diritto eurounitario di alcuni profili relativi alla disciplina della concessione delle aree demaniali marittime.
La vicenda da cui origina il contenzioso si inquadra nell’ambito del più ampio e complesso contesto della disciplina dell’affidamento delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative e della applicabilità alle stesse della c.d. direttiva servizi[1]. Come noto – alla luce dell’introduzione di un ulteriore regime di proroga ad opera della l. n. 145/2018 e della relativa apertura di una ennesima procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione europea – è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con due sentenze gemelle (nn. 17 e 18 del 2021): in esse, da un lato, è affermata l’assoluta incompatibilità con il diritto europeo della proroga ex lege dei titoli concessori sino al 2033, con consequenziale inapplicabilità di tale disposizione sia da parte dei giudici che delle stesse amministrazioni e, dall’altro lato, viene estesa l’efficacia delle concessioni in essere fino al 31 dicembre 2023, al fine di evitare gli impatti socio-economici derivanti da una immediata e generalizzata decadenza delle stesse[2].
Alle pronunce della Plenaria è, poi, seguita la l. n. 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che – nel recepire l’indicazione pretoria della proroga sino al dicembre 2023 – non ha tuttavia compiutamente definito il nuovo sistema di affidamento delle concessioni, limitandosi a rinviare al Governo il compito di adottare uno o più decreti legislativi volti, tra l’altro, ad individuare i principi e le modalità delle nuove procedure di affidamento delle concessioni demaniali marittime[3]. La perdurante assenza di una normativa attuativa della direttiva Bolkestein in grado di risolvere i diversi dubbi interpretativi che connotano ormai da decenni il settore, nonchè il contestato ruolo di “supplente” del legislatore ricoperto dalle pronunce della plenaria, conducono, tra l’altro, alla circostanza che non può dirsi ancora posto un punto definitivo alla questione. Di ciò ne è prova una (ulteriore) recente chiamata in causa della CGUE[4] da parte del T.A.R. Puglia, Lecce, la cui ordinanza n. 743/2022 sottopone al vaglio interpretativo del Giudice Europeo primariamente la stessa natura auto-esecutiva della direttiva Bolkestein, e, in secondo luogo, la vigenza nel caso di specie (data per scontata dalla Plenaria) dei requisiti dell’interesse transfrontaliero certo e della limitatezza delle risorse[5].
Nella fattispecie in esame, tuttavia, non si discute degli aspetti dell’assoggettabilità o meno delle concessioni balneari alla direttiva servizi, della durata delle concessioni e dei limiti ai provvedimenti di proroga, bensì di un profilo più specifico (seppur connesso a quello generale) relativo all’applicazione dell’art. 49 del Codice della navigazione, ai sensi del quale “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.
La società ricorrente – titolare sin dal 1928 di uno stabilimento balneare – aveva negli anni realizzato una serie di manufatti di difficile rimozione, alcuni dei quali già acquisiti al demanio statale mediante atto di incameramento formalizzatosi nel 1958, ed altri edificati successivamente e nei confronti dei quali era stato nel 2007 solo avviato ma mai concluso un secondo procedimento di incameramento. Nel 2014 l’amministrazione comunale, in sede di rinnovo della precedente concessione, qualificava pertinenze demaniali (perché acquisite ai sensi dell’art. 49 cod. nav.) i fabbricati realizzati in epoca successiva al 1958 e, di conseguenza, procedeva alla rideterminazione, in aumento, dei canoni concessori[6]. Avverso tale decisione, la società balneare presentava ricorso al T.A.R. Toscana, che tuttavia veniva respinto (T.A.R. Toscana, sez. III, 10 marzo 2021, n. 380), e, poi, appello al Consiglio di Stato.
Il ricorso in appello si fonda essenzialmente sulla considerazione che l’amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto già acquisiti al patrimonio statale i manufatti edificati dal 1958 in poi: da un lato, il relativo procedimento di incameramento non era mai stato portato a termine e, dall’altro, l’art. 49 cod. nav. non avrebbe potuto trovare applicazione al caso di specie in quanto risulterebbe mancante il presupposto della “cessazione” del rapporto, essendo stato il titolo concessorio rinnovato senza soluzione di continuità.
Di contro, il comune – premessa la natura meramente dichiarativa e non costitutiva dell’atto di incameramento – sosteneva la piena applicabilità dell’art. 49 cit. al caso di specie nella misura in cui il titolo concessorio, prima di essere rinnovato, era formalmente cessato, il che avrebbe prodotto l’automatica acquisizione dei beni inamovibili da parte del demanio e la conseguente applicazione del canone maggiorato in sede di rinnovo.
In sede di appello l’impresa balneare eccepiva altresì che – se si dovesse ritenere applicabile l’art. 49 cod. nav. anche alle ipotesi di rinnovo automatico del titolo concessorio – si configurerebbe una violazione degli artt. 49 TFUE (libertà di stabilimento) e 56 TFUE (Libertà di prestazioni di servizi), nella misura in cui l’effetto dell’acquisizione dei beni al patrimonio statale risulterebbe sproporzionata rispetto all’obiettivo della norma, consistente nell’esigenza di assicurare che le opere non amovibili destinate a restare sul territorio finiscano nella piena disponibilità dell’ente proprietario dell’area, ai fini di una corretta gestione dei beni demaniali per prevalenti finalità di interesse pubblico[7].
Ebbene, risultando necessario ai fini della soluzione della controversia affrontare profili connessi alla corretta interpretazione del diritto europeo, il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover rinviare la questione alla CGUE, sottoponendole il seguente quesito: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C-375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”. Ad oggi la questione pende innanzi alla Corte di Giustizia UE (causa C-598/22).
2. La ratio della disciplina speciale di cui all’art. 49 cod. nav.
Prima di procedere all’esame del profilo specificamente indagato dalla pronuncia in commento, appare opportuno inquadrare brevemente la ratio della disciplina di cui all’art. 49 cod. nav., ai sensi del quale, come detto, – salvo che nell’atto di concessione non venga diversamente stabilito – al momento della cessazione del rapporto, le opere non amovibili realizzate su area demaniale sono automaticamente devolute a titolo gratuito allo Stato, a meno che quest’ultimo non decida di ordinarne la demolizione allo stesso concessionario uscente.
Posto che la formulazione della norma non fornisce alcun criterio in base al quale l’amministrazione dovrebbe optare per la demolizione dell’opera o per l’incameramento della stessa[8], è evidente che la p.a. opterà per tale seconda scelta ogniqualvolta lo riterrà vantaggioso: da un lato, la realizzazione di manufatti funzionali all’uso turistico del litorale conduce (almeno potenzialmente) ad un aumento del valore dell’area demaniale, arricchita da opere; dall’altro lato, la presenza di strutture recettive, ristoranti, bar, attrezzature sportive, etc., porta ad un incremento del canone demaniale che il concessionario subentrante sarà tenuto a corrispondere.
Ulteriore profilo dirimente per comprendere appieno la portata della disposizione è rappresentato, poi, dalla circostanza che – attesa l’assenza di una disciplina specifica relativa alla realizzazione di opere su area demaniale marittima – trova applicazione la disciplina del diritto di superficie e, per quanto maggiormente rileva in questa sede, il consequenziale acquisto della proprietà superficiaria a titolo originario da parte di colui che costruisce il manufatto, ovvero l’impresa balneare concessionaria[9].
Il trasferimento della proprietà delle opere dal soggetto privato al patrimonio statale sancita dall’art. 49 cit. al momento della cessazione del rapporto concessorio (e, quindi, del relativo diritto di superficie), configura, pertanto, una applicazione settoriale dell’istituto dell’accessione, di cui all’art. 934 c.c. Tale applicazione, tuttavia, si accompagna ad una deroga, relativa alla connessa previsione del pagamento di un indennizzo, di cui al successivo art. 936 c.c., in base al quale, qualora il proprietario del fondo intenda non optare per l’abbattimento delle opere, egli è tenuto a versare una cifra pari al valore dei materiali e della mano d’opera oppure, a sua scelta, all’aumento di valore recato al fondo. E’ bene sin d’ora osservare che la ratio della deroga, ovvero la mancata previsione di un ristoro rispetto ad investimenti consistenti nella realizzazione di strutture e manufatti spesso di notevole valore, era (sino ad oggi) riscontrabile nella circostanza che i sacrifici economici affrontati dall’impresa balneare rinvenivano una loro adeguata “contropartita” nella lunga durata del rapporto concessorio, attesa la prassi (ormai da considerarsi non più operativa) dei rinnovi automatici dei titoli[10].
3. Perduranti criticità interpretative nell’individuazione dell’ambito applicativo dell’acquisizione gratuita dei beni al patrimonio dello Stato.
La corretta perimetrazione dell’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 49 cod. nav. soffre una serie di criticità, tra le quali la principale è rappresentata dalla individuazione della categoria di “opere non amovibili”, attesa l’assenza di una definizione di tale categoria sia nel Codice della navigazione che in altri testi normativi.
Diverse circolari del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché dell’Agenzia del Demanio, legano la nozione di “non amovibilità” alla struttura stabile del manufatto, tale da comportare la necessaria demolizione dello stesso in sede di rimozione[11]. Anche la giurisprudenza sembra aderire al criterio distintivo operato dalla prassi amministrativa, ritenendo, ad esempio, non amovibili strutture metalliche che – pur non essendo fissate direttamente al terreno – risultano ancorate mediante bulloni ad una base di cemento armato (a sua volta incorporata al suolo)[12] o, al contrario, sancendo l’illegittimità della valutazione di inamovibilità di un manufatto fondata sulla sola complessità delle operazioni di smontaggio dei pannelli prefabbricati, “posto che tale circostanza non esclude sul piano logico che l’operazione sia comunque effettuabile senza distruzione dell’opera, sia pure con successiva necessità di ripristinarne gli elementi accessori”[13].
Può osservarsi, tra l’altro, come l’art. 49 cit. non faccia riferimento (come invece avviene in ambito edilizio) al carattere della “non facile” amovibilità del bene, bensì a quello (maggiormente restrittivo) della “non amovibilità” in senso assoluto, il che sembrerebbe restringerne notevolmente il raggio di azione. Di contro, la centralità della individuazione di criteri certi in base ai quali qualificare amovibile o meno un manufatto riposa nella circostanza che la fragilità del terreno e l’assenza di opere di protezione da eventi atmosferici in cui versa gran parte del tratto costiero italiano, in molti casi non consentono la realizzazione di strutture con materiali leggeri e non stabilmente ancorate al terreno; spesso, quindi, l’impiego di cemento armato e l’edificazione di manufatti infissi al suolo non rappresenta una libera scelta del concessionario, quanto piuttosto una necessità tesa a garantire adeguate condizioni di sicurezza agli utenti.
Nei fatti, pertanto, sono numerose le costruzioni potenzialmente riconducibili alla nozione di non amovibilità presenti sulle coste nazionali ed è evidente che, in assenza di un intervento chiarificatore da parte del legislatore, si configura una situazione di incertezza non solo foriera di probabili contenziosi, ma a causa della quale i concessionari non sono nemmeno messi nelle condizioni di prevedere con sicurezza ex ante le opere destinate ad essere acquisite al patrimonio dello Stato ai sensi dell’art 49 cod. nav., e, di conseguenza, di modulare adeguatamente i relativi investimenti.
3.1. Il prospettato contrasto con il principio di proporzionalità in ipotesi di rinnovo della concessione.
La pronuncia in esame, invero, non si occupa del tema della “non facile amovibilità”, vertendo piuttosto su altri due profili che contribuiscono anch’essi a rendere piuttosto incerta l’applicazione della disciplina de qua.
L’impresa ricorrente risulta titolare della concessione di un determinato tratto demaniale da quasi cento anni e rientra, pertanto, pienamente nella categoria di quei soggetti in capo ai quali – attesa la prassi (amministrativa e normativa[14]) dei rinnovi automatici – si discute circa la riconoscibilità o meno dell’insorgere di un affidamento sulla prosecuzione del rapporto. Nel caso di specie, tuttavia, la pronuncia non affronta il profilo della legittima aspettativa dell’incumbent che si vede “prematuramente” scadere la concessione (originariamente prorogata ex lege fino al 2033). I giudici di Palazzo Spada sono chiamati, piuttosto, a decidere sulla posizione del soggetto che – pur vedendosi rinnovata la concessione – subisce le conseguenze dell’applicazione dell’art. 49 cod. nav., ovvero la maggiorazione del canone, atteso che il nuovo titolo concessorio “trasferisce” al privato, insieme all’area demaniale, anche le opere edificate dal concessionario, poi acquisite dallo Stato (una volta cessato il rapporto) e quindi subito dopo “ri-concesse” nuovamente al medesimo operatore economico (che le aveva realizzate).
Il nodo della questione è da rinvenire nella circostanza che nel caso di specie l’amministrazione non ha riconosciuto al concessionario la proroga del precedente titolo, bensì ha nuovamente attribuito la gestione di quel tratto costiero alla medesima impresa balneare attraverso un provvedimento di rinnovo. Come noto, con l’atto di proroga l’amministrazione si limita a posticipare il termine di scadenza del rapporto concessorio, che resta tale, laddove, al contrario, il rinnovo automatico comporta la chiusura del precedente rapporto ed un nuovo momento di negoziazione tra le parti[15]. Entrambe le fattispecie, invero, sono viste con sfavore dal legislatore, in quanto – seppure con modalità differenti – conducono comunque al risultato di limitare il principio della concorrenza e l’accesso al mercato da parte di nuovi operatori economici[16].
Ciò posto, l’art. 49 cod. nav. lega la devoluzione delle opere al patrimonio dello Stato al momento della cessazione della concessione e l’interrogativo è se con l’uso di tale termine il legislatore abbia inteso riferirsi – oltre alle ipotesi “classiche” di estinzione del rapporto (scadenza, revoca, decadenza, rinuncia) – anche al rinnovo del titolo. Sul punto si registra un contrasto giurisprudenziale. Secondo una prima “formalistica” interpretazione della norma, l’acquisizione gratuita si verificherebbe anche in caso di rinnovo automatico, nella misura in cui quest’ultimo, a differenza della proroga, comporta in ogni caso l’estinzione del precedente rapporto ed il contestuale rilascio di una nuova concessione[17]. Al momento dello scadere della concessione, pertanto, ancorchè rinnovata, si verificherebbe la suddetta devoluzione al patrimonio statale dei beni non facilmente amovibili[18].
Secondo un diverso orientamento, invece, propendendo per una interpretazione sostanzialistica della nozione di cessazione, la devoluzione delle opere non amovibili non troverebbe applicazione in ipotesi di rinnovo automatico senza soluzione di continuità del titolo concessorio, configurandosi quest’ultimo, “al di là del nomen iuris, come una piena proroga dell’originario rapporto senza soluzione di continuità”[19]. In tale prospettiva, del resto, può essere utile ricordare come la stessa Corte di Giustizia, con la sentenza Promoimpresa, abbia a contrario individuato tra le ragioni violative dell’art. 12 della direttiva Bolkestein proprio la sostanziale equiparazione che esiste tra le proroghe ex lege dei rapporti concessori ed un eventuale rinnovo automatico degli stessi[20].
Per quanto condivisibile sotto il profilo sostanziale, tale secondo indirizzo finisce per bypassare il problema della automaticità dell’effetto ex lege dell’acquisizione dei beni al patrimonio dello Stato alla scadenza della concessione. Secondo costante giurisprudenza, infatti, l’art. 49 cod. nav. individuerebbe il tempo dell’acquisto in mano pubblica delle opere nel momento in cui “venga a cessare la concessione”, senza ulteriori precisazioni in relazione alle relative cause, esprimendo in tal modo un principio di ordine generale, in base al quale le opere costruite sull'area demaniale verrebbero acquisite ipso iure[21]. Coerentemente, al successivo atto amministrativo di incameramento viene riconosciuta natura meramente ricognitiva, atteso l’immediato ed automatico trasferimento della titolarità dei beni in capo all’amministrazione[22].
Tale ricostruzione ha spinto parte della dottrina, come ricorda la stessa pronuncia in commento, a parlare di “surrettizia espropriazione senza indennizzo”. Non deve dimenticarsi, infatti, che le opere legittimamente edificate dal concessionario su area demaniale non assumono sin da subito la qualifica di beni demaniali: esse sono riconducibili, al contrario, alla categoria dei beni di proprietà privata, destinati ad essere trasferiti nell’ambito del demanio statale unicamente alla cessazione del rapporto concessorio[23]. Come già osservato, il titolare della concessione, laddove autorizzato a trasformare l’area demaniale, agisce in forza di un diritto di superficie[24]: la natura “reale” dell’atto concessorio rende il privato, pertanto, proprietario dei beni immobili legittimamente realizzati su di esso, “proprietà superficiaria, sia pure avente natura temporanea e soggetta ad una peculiare regolazione in ordine al momento della sua modificazione, cessazione o estinzione”[25].
Ebbene, ai fini della questione oggetto specifico della pronuncia in commento, l’eventuale non riconducibilità della fattispecie del rinnovo tacito alle ipotesi di cessazione di cui all’art. 49 cod. nav. avrebbe la rilevante conseguenza di dover considerare ancora in titolarità privata i manufatti realizzati sulla base del precedente titolo: per essi, pertanto, non sarebbe dovuto un canone ulteriore, essendo tenuto il concessionario a corrispondere un canone commisurato unicamente alla occupazione del suolo demaniale[26].
Più in generale, parte della dottrina ha affermato come l’art. 49 cod. nav. – nel determinare l’incameramento dei beni in proprietà superficiaria del concessionario in assenza di indennizzo – violerebbe gli artt. 3 e 42 Cost., nonchè l’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e l’art. 17 della Carta di Nizza (entrambi dedicati alla tutela della proprietà): l’acquisizione gratuita al patrimonio dello Stato di un complesso di manufatti privati realizzati per effetto dell’attività (legittima) e degli investimenti dei concessionari uscenti configurerebbe una ipotesi di espropriazione sostanziale, priva del corrispettivo pagamento della giusta indennità[27].
La pronuncia in commento, tuttavia, esclude la possibilità di aderire a tale orientamento, ritenendo che il profilo problematico della disciplina in questione – sul quale finisce per fondare il rinvio alla Corte di Giustizia – sarebbe piuttosto la prospettata violazione del principio di proporzionalità, in merito alla quale richiama espressamente il precedente rappresentato dalla sentenza Laezza[28]. In quel caso la disposizione contestata imponeva ai concessionari di attività di scommesse l’obbligo di cedere gratuitamente i beni usati per la raccolta delle scommesse una volta terminato il rapporto concessorio e il giudice europeo ritenne la misura proporzionale unicamente nelle ipotesi di cessazione “sanzionatoria” del rapporto (revoca o decadenza), atteso che la finalità della disposizione era contrastare la diffusione del gioco irregolare e illegale. Di contro, la CGUE stabilì che la devoluzione dei beni a titolo gratuito nelle ipotesi di cessazione dell’attività per scadenza naturale della concessione configurava una restrizione delle libertà di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE, che non trovava idonea giustificazione nelle finalità della norma e, pertanto, risultava sproporzionata rispetto all’effetto di impedire all’impresa di trarre profitto dai propri investimenti[29].
Medesimo ragionamento sarà quindi chiamata a porre in essere la Corte di Giustizia nel valutare la questione sottopostale in questa sede, ovvero verificare se l’obbligo imposto al concessionario di cedere a titolo non oneroso – all’atto della cessazione del rapporto seguita da rinnovo dello stesso senza soluzione di continuità – la proprietà delle infrastrutture realizzate per l’esercizio dell’attività, soddisfi o meno il test di proporzionalità rispetto alla finalità della disposizione, consistente nell’esigenza di assicurare che le opere non amovibili destinate a restare sul territorio finiscano nella piena disponibilità dell’ente proprietario dell’area ai fini di una loro corretta gestione.
3.2. Il regime derogatorio ed il rinvio all’autonomia contrattuale.
L’art. 49 cod. nav., nell’introdurre la regola dell’acquisizione gratuita al demanio statale delle opere non amovibili realizzate nel corso del rapporto concessorio, contempla un regime derogatorio, desumibile dall’inciso con il quale principia la norma: “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione”. Il legislatore, invero in maniera piuttosto ermetica, ha evidentemente inteso stabilire che l’operatività della regola generale (devoluzione automatica e gratuita dei beni al patrimonio dello Stato) è condizionata al consenso delle parti, le quali – in sede di negoziazione – potrebbero prevedere un diverso regime giuridico[30]. Evidentemente la deroga non può contemplare il permanere della titolarità dell’opera in capo al concessionario uscente (una volta “recisa” la relazione di quest’ultimo con l’area demaniale), il che implica che la previsione difforme rispetto al dettato normativo può riguardare unicamente l’eventuale riconoscimento di un indennizzo teso a remunerare gli investimenti effettuati.
Al riguardo, si può osservare come anche di recente innanzi al Consiglio di Stato sia stata eccepita l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 cod. nav. per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. nella misura in cui non prevede l’obbligo di indennizzare il concessionario per gli investimenti realizzati, anche nel caso in cui gli stessi siano stati autorizzati dall’Amministrazione in ragione della loro conformità all’interesse pubblico. Con la pronuncia in commento, tuttavia, i giudici di Palazzo Spada – nel confermare quanto già affermato dal giudice di prime cure[31] – hanno ritenuto di non poter sollevare la questione di legittimità costituzionale per manifesta infondatezza, proprio in quanto la norma non escluderebbe in assoluto la possibilità per il concessionario di ottenere un compenso per le opere non amovibili realizzate, rimettendo piuttosto alla contrattazione tra le parti l’inserimento o meno di una specifica pattuizione al riguardo. “La scelta, quindi, dell’appellante di subentrare in un rapporto concessorio già precostituito in cui non era prevista la corresponsione di alcun indennizzo per le opere in questione non legittima la censura sull’applicazione di una norma dispositiva non derogata per volontà delle parti. In tal senso, quindi, l’appellante patisce un pregiudizio di fatto non idoneo ad incidere sulla costituzionalità della norma in esame”[32].
E pertanto, l’attuale formulazione dell’art. 49 cod. nav. – non escludendo in assoluto la previsione di un indennizzo – già conterrebbe in sé, almeno in chiave teorica, una possibile soluzione al problema della mancata remunerazione degli investimenti dei soggetti concessionari. In tale prospettiva, se, in una fase anteriore alla formulazione dell’atto concessorio, il privato non esprime avviso contrario all’applicazione della regola generale della devoluzione gratuita dei beni alla cessazione del rapporto, viene a configurarsi una ipotesi di acquiescenza per facta concludentia. Tuttavia, tale ricostruzione, seppur legittima su di un piano formale, rischia di “infrangersi” una volta calata nella realtà delle dinamiche che generalmente connotano l’aggiudicazione di una concessione demaniale marittima: l’azienda balneare individuata come affidataria dell’area molto difficilmente è messa nelle condizioni di poter incidere sul contenuto dell’atto concessorio, con la conseguenza che, nei fatti, non vi è un reale “spazio” per una effettiva negoziazione (il che del resto trova riscontro nella sostanziale assenza di concessioni contenenti clausole derogatorie dell’effetto devolutivo di cui all’art. 49 cod. nav.).
4. Riflessioni conclusive.
Alla luce delle considerazioni svolte, appare quasi “surreale” ritenere che l’effetto devolutivo della proprietà dei beni, di cui all’art. 49 cod. nav., debba esplicarsi anche in caso di rinnovo del titolo concessorio senza soluzione di continuità. Essendo i manufatti destinati a continuare per diversi anni ad essere gestiti dallo stesso operatore economico che li ha realizzati, una spoliazione seguita da immediata restituzione (avente, però, l’effetto di incrementare il canone) non trova alcuna giustificazione[33] e si auspica verrà considerata violativa del principio di proporzionalità dalla Corte Giust UE, il cui necessario ruolo “chiarificatore” sembra non vedere un epilogo. Nel richiamare l’ennesimo rinvio alla Corte di Giustizia di recente posto in essere dal T.A.R. Puglia sull’applicabilità o meno della direttiva servizi alle concessioni balneari – nonostante le di poco precedenti decisioni della Plenaria sul punto – si aderisce alla posizione di chi ha osservato che si sta “assistendo al proiettarsi a livello eurounitario di un contrasto giurisprudenziale prettamente interno al giudice amministrativo e, in larghissima misura, dovuto all’inerzia del legislatore statale a riordinare la materia”[34].
In effetti, pare ormai chiaro che un netto e (si auspica) definitivo intervento del legislatore non sia più procrastinabile, e non solo in ordine all’acquisizione o meno dei beni al patrimonio statale in caso di rinnovo senza soluzione di continuità del titolo concessorio, ma, più in generale, in merito alla portata applicativa dell’art. 49 cod. nav. Tale disposizione, che trovava una sua “contropartita” nel precedente contesto giuridico connotato dal diritto di insistenza e dal regime delle proroghe ex lege, oggi sembra non più rinvenire una adeguata giustificazione.
Le sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021 accennano, in effetti, all’esigenza di prevedere forme di indennizzo parametrate agli investimenti effettuati dai concessionari uscenti “essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi”. Tuttavia – a prescindere dalla considerazione che nulla è indicato in merito ai criteri circa l’an ed il quantum di tale ristoro – se ci si limitasse a riconoscere un ristoro pecuniario ai soli incumbents che ad oggi vedono scadere anticipatamente (rispetto a quanto era stato loro prospettato dallo stesso legislatore) il rapporto concessorio, si finirebbe per tutelare il solo legittimo affidamento di questi ultimi[35], senza in alcun modo prendere in considerazioni i profili della tutela della proprietà[36] e della eventuale configurazione di una ipotesi di indebito arricchimento in capo all’amministrazione[37].
In ordine al profilo della tutela della proprietà, se il Governo – in sede di elaborazione della nuova disciplina degli affidamenti delle concessioni demaniali marittime – dovesse prevedere una modalità di affidamento che non contemplasse una durata standard delle concessioni[38], si potrebbe in effetti “salvare” l’istituto dell’acquisizione gratuita: occorrerebbe – in ossequio al principio che parametra la durata delle concessioni al tempo necessario al recupero degli investimenti[39] – prevedere di volta in volta una diversa durata della concessione, parametrata all’entità e alla rilevanza degli investimenti programmati e autorizzati[40].
A ben vedere, tuttavia, l’attuale formulazione della disposizione ha l’ulteriore effetto di “mortificare” ingiustificatamente la libera iniziativa economica privata (restringendo le libertà garantite dagli artt. 49 e 56 TFUE) nella misura in cui rende meno allettante l’accesso ad un mercato nel quale non è consentito al concessionario trarre profitto dal proprio investimento[41], con ricadute negative anche in termini di interesse pubblico. Perché mai, ad esempio, un concessionario al quale è stata autorizzata la realizzazione di un ristorante dovrebbe prospettare investimenti maggiori (uso di materiali eco-compatibili, attenzione alla tradizione architettonica locale, ecc.) nella consapevolezza che ciò non inciderà minimamente sulla futura remunerazione dell’investimento?[42].
Resterebbe in piedi, pertanto, in ogni caso la necessità di prevedere un indennizzo, in ragione della circostanza che il concessionario uscente restituisce il “bene concesso” (l’area demaniale) non così come ricevuto, bensì “trasformato” mediante la realizzazione di infrastrutture non solo destinate ad essere utilizzate dal subentrante, ma anche idonee a far incremento il valore di quanto originariamente concesso[43]. I criteri in base ai quali calcolare l’indennizzo dovrebbero, pertanto, concernere il valore dell’opera realizzata, l’incremento di valore dalla stessa (eventualmente) apportato all’area demaniale, nonché il valore commerciale dell’impresa, ovvero il c.d. avviamento (il cui “peso” andrebbe evidentemente trasferito sul concessionario subentrante mediante un ponderato incremento dell’ammontate del canone concessorio)[44]. Tale incremento non può non essere ristorato, anche alla luce della circostanza che – come è stato condivisibilmente osservato – nella specie non si tratterebbe di un indennizzo di espropriazione per pubblica utilità, ma di acquisizione di un bene da parte di un altro privato per ragioni imprenditoriali, sicchè non vi sarebbero neppure “quelle esigenze del giusto equilibrio tra la tutela del diritto sul bene e interessi generali che talvolta possono consentire una riduzione delle entità dell’indennizzo”[45].
La previsione di un ristoro nei confronti del concessionario uscente, del resto, non configurerebbe una assoluta novità nell’ambito dello stesso Codice della navigazione, il cui art. 703 prevede l’obbligo di corrispondere il “valore di subentro” da parte del concessionario entrante, in caso di realizzazione di impianti o immobili fissi (anche a carattere commerciale), realizzati, con l’autorizzazione dell’ENAC, in quanto strumentali all’erogazione del servizio ed alla valorizzazione dell’aeroporto.
In tale direzione, in effetti, sembra orientato il legislatore, laddove nella legge delega n. 118/2022 dispone che i decreti chiamati ad individuare la nuova disciplina in conformità ai principi europei della concorrenza dovranno tenere in adeguata considerazione gli investimenti effettuati dal concessionario e il valore aziendale dell’impresa, nonché definire criteri per la quantificazione di un indennizzo da riconoscere al concessionario uscente da parte di quello subentrante, in un’ottica di remunerazione del cd. “avviamento”[46]. Preme segnalare come la disposizione non introduca un ristoro “eventuale”, in tal modo facendo intendere che esso debba essere sempre riconosciuto al concessionario uscente, anche nelle ipotesi nelle quali l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti effettuati si siano già perfezionati nel corso del rapporto concessorio. Al riguardo, poi, non si può non tenere in conto anche della specificità dell’attività economica de qua: si tratta di piccole imprese, nella maggior parte dei casi a conduzione familiare, la cui attenzione alla persona è in grado negli anni di fidelizzare l’utente del servizio con quella specifica località, con la conseguenza che il “valore” dell’attività imprenditoriale non può basarsi unicamente su elementi di tipo economico, ma anche sulla “capacità di creare empatia tra turista fruitore e luogo che lo accoglie […] senza vanificare altresì il know how acquisito e la connessione con il sistema turistico locale nel suo complesso”[47].
[1] Sul tema, ex multis, M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia. Profili procedimentali e contenutistici delle concessioni balneari, Torino, 2020; C. Benetazzo, Il regime giuridico delle concessioni demaniali marittime tra vincoli U.E. ed esigenze di tutela dell’affidamento, in Federalsimi.it, 25/2016; M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime aventi finalità turistico-ricreativa e diritto europeo della concorrenza, in Munus, 2/2012, 453 ss.
[2] Sono diversi i profili di rilievo, oltre che di criticità, che emergono dalla lettura delle sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021. Ad essi è stato dedicato il numero monografico della rivista Diritto e Società n. 3/2021 La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, con contributi di M. A. Sandulli, F. Ferraro, G. Morbidelli, M. Gola, R. Dipace, M. Calabrò, E. Lamarque, R. Rolli-D. Sammarro, E. Zampetti, G. Iacovone, M. Ragusa, P. Otranto, B. Caravita di Toritto-G. Carlomagno. Numerosi sono anche gli scritti dedicati alle suddette pronunce pubblicati in questa Rivista: M.A. Sandulli, Sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, 2022; F. Francario, Se questa è nomifilachia. Il diritto amministrativo 2.0. secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 2022; E. Zampetti, Le concessioni balneari dopo le pronunce Ad. Plen. 17 e 18 2021. Definito il giudizio di rinvio innanzi al C.G.A.R.S., 2022; E. Cannizzaro, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee? In margine alle sentenze 17 e 18/2021 dell’Ad. Plen., 2021; F. P. Bello, Primissime considerazioni sulla “nuova” disciplina delle concessioni balneari nella lettura dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 2021; R. Dipace, All’Adunanza plenaria le questioni relative alla proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, 2021.
[3] Con l’art. 4, co. 2, lett. b) della l.n. 118/2022, il legislatore statale è stato in ogni caso categorico nello stabilire che l’affidamento delle concessioni demaniali marittime deve comunque avvenire “sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità”.
[4] Esamina criticamente il tema del sempre più frequente ricorso al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte del giudice amministrativo, indagando sugli eventuali limiti all’obbligo del g.a. di effettuare il rinvio ogniqualvolta gli venga prospettato ex parte M.A. Sandulli, Rinvio pregiudiziale e giustizia amministrativa: i più recenti sviluppi, in questa Rivista, 2022.
[5] Per un commento all’ordinanza del T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 11 maggio 2022, n. 743 v. M. Timo, Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso, in questa Rivista, e R. Dipace, Concessioni “balneari” e la persistente necessità della pronuncia della Corte di Giustizia, in questa Rivista, il quale – nell’affermare la non condivisibilità di alcuni passaggi argomentativi delle decisioni gemelle dell’Adunanza Plenaria, in quanto fondate su elementi meramente presuntivi – osserva come “la persistente incertezza in ordine alla disciplina della materia, soprattutto con riferimento ad alcuni punti come il tema dell’accertamento della scarsità della risorsa e il legittimo affidamento per il concessionario uscente, induce a ritenere che un pronunciamento della Corte di giustizia sia quanto mai attuale oltrechè opportuno”. Il giudice pugliese si era già in passato espresso (in maniera invero isolata) sul carattere non self-executingdella direttiva 2006/123/CE: cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 1 febbraio 2021, n. 164; Id., 15 febbraio 2021, n. 263, per le quali si rinvia alle osservazioni critiche di E. Chiti, False piste: il TAR Lecce e le concessioni demaniali marittime, in Giorn. dir. amm., 6/2021, 801 ss.
[6] Ai sensi dell’art. 1, co. 251 e 252 della l. n. 296/2006 (Finanziaria 2007), i criteri di calcolo dei canoni concessori hanno subito una rimodulazione, in base alla quale, accanto al valore tabellare dell’area, è prevista una quota commisurata al valore di mercato dei manufatti destinati ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi.
[7] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2018, n. 5556, in www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 30 gennaio 2012, n. 224, in Foro amm. TAR, 1/2012, 129.
[9] Cass. civ., sez. un., 13 febbraio 1997, n. 132.
[10] M. Conticelli, Il regime del demanio marittimo in concessione per finalità turistico-ricreative, in Riv. trim. dir. pubbl., 4/2020, 1071.
[11] Cfr. la Circolare MIT, 24 maggio 2001, n. 120 e la Circolare prot. 2007/62/DAO del 21 gennaio 2007 dell’Agenzia del Demanio.
[12] Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2009, n. 22441.
[13] Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348, in Riv. giur. edilizia, 5/2010, I, 1623.
[14] Cfr. le proroghe ex lege introdotte negli ultimi quindici anni: art. 1, co. 253, l. n. 296/2007 (prima proroga di venti anni); art. 34 d.l. n. 179/2012 (proroga al 2020); art. 1, co. 682, l. n. 145/2018 (proroga al 2033).
[15] T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 21 gennaio 2022, n. 176, in Foro amm., 1/2022, 139; Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6852, in Foro amm., 12/2018, 2161.
[16] Sul punto, da ultimo, è d’obbligo il richiamo al PNRR, ove – nell’ambito delle azioni da intraprendere al fine di incrementare il livello di semplificazione nel settore dei contratti pubblici – è indicato il “tendenziale divieto di clausole di proroga e di rinnovo automatico nei contratti di concessione” (p. 70). In generale, sugli effetti che la valorizzazione del principio della concorrenza presente all’interno del PNRR è destinata a produrre nel settore delle concessioni demaniali marittime si rinvia a E. Amante, PNRR e concorrenza nelle concessioni di beni demaniali: sunt facta verbis difficiliora, in Riv. giur. urbanistica, 4/2021, 1116 ss.
[17] Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7505, in Riv. giur. edilizia, 1/2011, 228; Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5842, in Foro amm. CDS, 2004, 682; Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2000, n. 2035, in Riv. giur. edilizia, 2000, I, 656; Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 1995, n. 365, in Foro amm., 1995, 987.
[18] Di recente, in termini, cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 10 marzo 2021, n. 380 e Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6850, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2020, n.1146, in www.giustizia-amministrativa.it. In termini cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6043, in Riv. giur. edilizia, 5/2019, I, 1348; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 6 giugno 2017, n. 3018, in Foro amm., 6/2017, 1406; Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2014, n. 1307, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2013, n. 626, in Foro amm. CDS, 2/2013, 491; Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348, in Riv. giur. edilizia, 5/2010, I, 1623; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 31 gennaio 2008, n. 100, in Foro amm. TAR, 1/2008, I , 223.
[20] “Una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni equivale a un loro rinnovo automatico, che è escluso dai termini stessi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123” (Corte Giust. UE, C-458/14 e C-67/15, 14 luglio 2016, Promoimpresa Srl c. Consorzio dei Comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro, Regione Lombardia; Mario Melis e altri c. Comune di Loiri Porto San Paolo, Provincia di Olbia Tempio).
[21] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2018, n. 5556, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2012, n. 5123, in Riv. giur. edilizia, 5/2012, 1184.
[22] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2017, n. 729, in Foro amm., 2/2017, 317; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7505, in Riv. giur. edilizia, 1/2011, 228.
[23] Cfr. Corte cost., 27 gennaio 2017, n. 29.
[24] E. Sartor, L’acquisizione di opere inamovibili da parte della pubblica amministrazione ex art. 49 c. nav.: un’inversione di rotta del Consiglio di Stato, in Dir. trasporti, 4/2014, 573.
[25] Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2014, n. 3761. La correttezza di tale ricostruzione trova, altresì, diretta conferma in quelle disposizioni del Codice della navigazione che consentono al concessionario di atteggiarsi rispetto ai terzi in qualità di titolare del bene, ad esempio costituendo ipoteca (art. 41), affidando ad altri la gestione dell’attività (art. 45-bis) o, addirittura, vendendo il manufatto (art. 46), fatta salva la necessità del previo gradimento da parte dell’ente concedente, giustificato in ragione della natura fiduciaria del rapporto concessorio. Sul punto v. F. Fracchia, Concessione amministrativa (voce), in Enc. dir., I, Milano, 2007, 250 ss.
[26] Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 229, in Riv. giur. edilizia, 1/2022, 227.
[27] Parla di “esproprio larvato” G. Morbidelli, Sulla incostituzionalità dell’art. 49 cod. nav., in D. Granara (a cura di), In litore maris: poteri e diritti in fronte al mare, Torino 2019, 189.
[28] Corte Giust. UE, 28 gennaio 2016, causa C-375/14.
[29] M. Rospi, Il nuovo assetto costituzionale della materia di giochi e scommesse tra competenza dello Stato e competenza delle Regioni e degli altri Enti locali alla luce del principio di proporzionalità, in Federalismi.it, 2020, 171 ss.
[30] T.A.R. Toscana, sez. III, 10 marzo 2021, n. 380, in www.giustizia-amministrativa.it.
[31] T.A.R. Liguria, sez. I, 18 febbraio 2020, n. 133, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si argomenta ulteriormente, attribuendo all’art. 49 cod. nav. la natura di norma “avente carattere suppletivo perché interviene, con la disciplina contestata, solo laddove le parti non abbiano concordato diversamente, esclusivamente in tal caso imponendo, quindi, una soluzione che, proprio per la sua residualità, non risulta irragionevole, perché dettata a tutela dell’interesse pubblico senza distingue tra miglioramenti e mere addizioni e valorizzando l’eventuale interesse al mantenimento delle opere senza alcun costo per la P.A.”.
[32] Cons. Stato, sez. VII, 28 ottobre 2022, n. 9328, in www.giustizia-amministrativa.it.
[33] In termini T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 10 settembre 2020, n. 570, in Foro amm., 9/2020, 1745.
[34] M. Timo, Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso, in questa Rivista, 13.
[35] In tema di legittimo affidamento nel settore delle concessioni demaniali turistico-ricreative v. M. Magri, «Direttiva Bolkestein» e legittimo affidamento dell’impresa turistico balneare: verso una importante decisione della Corte di Giustizia Ue, in Riv. giur. edilizia, 4/2016, 359 ss.
[36] Da ultimo, si interroga se l’automatica applicazione dell’art. 49 cod. nav. “risulti compatibile con la tutela di diritti fondamentali, come il diritto di proprietà, riconosciuti come meritevoli di tutela privilegiata nell’Ordinamento dell’U.E. e nella Carta dei Diritti Fondamentali”, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 11 maggio 2022, n. 743, cit.
[37] Su tale ultimo punto, invero, di recente il Consiglio di Stato ha escluso la possibilità che il concessionario possa invocare l’applicazione dell’art.2041 c.c. (Azione generale di arricchimento), in quanto difetterebbe l'elemento della residualità. “Il ricorso all'azione generale di indebito arricchimento è consentito, per costante giurisprudenza, soltanto a condizione che la parte interessata non abbia a sua disposizione un'azione titolata […] Nel caso in esame, il rapporto tra l’Amministrazione e l’appellante è regolamento da una concessione demaniale marittima che, in quanto tale, soggiace alla disciplina di cui all’art.49 cod. nav. e, quindi, alla libera scelta delle parti di concordare o meno un indennizzo per le opere non amovibili presenti sul bene demaniale alla scadenza della concessione stessa. Il che esclude la possibile applicazione dell’art.2041 c.c., in quanto norma sussidiaria applicabile soltanto quando non lo sia altra disposizione” (Cons. Stato, Sez. VII, 28 ottobre 2022, n. 9328, in www.giustizia-amministrativa.it).
[38] C. Burelli, Le concessioni turistico-ricreative tra vincoli “comunitari” e normativa italiana: criticità e prospettive, in Il diritto dell’Unione Europea, 2/2021, 247 ss., osserva che la durata delle concessioni “dovrebbe individuarsi in misura differenziata e proporzionata all’entità e alla rilevanza economica degli investimenti e delle opere che devono essere realizzate dal concessionario”, 278.
[39] E. Zampetti, La proroga delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreativa tra libertà d’iniziativa economica e concorrenza. Osservazioni a margine delle recenti decisioni dell’adunanza plenaria, in Dir. e società, 3/2021, 515.
[40] In tal senso sembra essere orientato il legislatore laddove, tra i criteri individuati nella delega al Governo in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime (l.n. 118/2022, art. 4), contempla la “previsione della durata della concessione per un periodo non superiore a quanto necessario per garantire al concessionario l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti autorizzati dall’ente concedente”.
[41] Tale ricostruzione si ricava, tra l’altro, anche dalla stessa sentenza Laezza (Corte Giust. UE, 28 gennaio 2016, causa C-375/14), cui sembrano fare riferimento anche le Plenarie nn. 17 e 18 del 2021. In tal senso v. F. Ferraro, Diritto dell’Unione Europea e concessioni demaniali: più luci o più ombre nelle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria?, in Dir. e società, 3/2021, 359 ss.
[42] “Sicchè l’assenza di indennizzo non solo determina un pregiudizio per l’incumbent, ma o riduce la platea dei concorrenti per la considerazione che i loro investimenti non avranno alcun riconoscimento, oppure riduce al minimo gli investimenti dei subentranti, in entrambi i casi con conseguenze anticompetitive”, G. Morbidelli, Stesse spiagge, stessi concessionari?, in Dir. e società, 3/2021, 394.
[43] La giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni evidenziato come la disciplina dell’accessione gratuita risulti “fortemente penalizzante” per i concessionari, a fronte degli “investimenti, che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo” (Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2013, n. 626, in Foro amm. CDS, 2/2013, 491).
[44] Sul punto sia consentito rinviare a M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere non amovibili: una riforma necessaria, in Dir. e società, 3/2021, 470.
[45] G. Morbidelli, Stesse spiagge, stessi concessionari?, cit., 395-396.
[46] Per un primo commento al nuovo panorama normativo che emerge dalla legge delega n. 118/2022 v. C. Volpe, Le concessioni demaniali marittime: una fine o un inizio? Correzioni di rotta e nuovi approdi, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022
[47] M. Gola, Il Consiglio di Stato, l’Europa e le “concessioni balneari”: si chiude una – annosa – vicenda o resta ancora aperta?, in Dir. e società, 3/2021, 414-415. L’autrice, nel soffermarsi sulle diverse peculiarità che connotano la dimensione economica delle attività legate alla gestione di un bene demaniale marittimo, parla di un vero e proprio “conflitto interno” che viene a crearsi tra obiettivi europei: “da un lato, l’apertura del mercato, cardine essenziale sin dall’origine per le Istituzioni europee, dall’altro lato la tutela di quella che è una delle caratteristiche proprie del mercato stesso, particolarmente evidente in Italia, data dalla natura familiare della gran parte del sistema imprenditoriale balneare, riscontrabile con evidenza nel segmento del turismo balneare”, 412.