Regionalismo differenziato e divari di cittadinanza nelle più recenti proposte di riforma*
di Francesco Manganaro
Sommario: 1. La crisi del regionalismo italiano - 2. Le incertezze interpretative sull’autonomia differenziata - 3. I disegni di legge Calderoli e le connesse disposizioni della legge di bilancio - 4. Le materie oggetto dell’autonomia differenziata.
1. La crisi del regionalismo italiano
Il disegno di legge proposto dal Ministro Calderoli a dicembre e quello appena emanato hanno riaperto il tema del regionalismo differenziato, rimasto silente durante il periodo pandemico
Mi sembra necessario, per affrontare una questione così delicata, almeno accennare al contesto in cui si pone tale vicenda, soprattutto richiamando, seppure assai brevemente, quale sia l’attuale ruolo delle Regioni nel complessivo contesto istituzionale.
Non vi è dubbio che la scelta del Costituente di creare le Regioni avesse come scopo di individuare un livello legislativo sui territori, che consentisse di differenziare le scelte normative generali del Parlamento nazionale. E’ altrettanto scontato che il Costituente volesse attribuire alle Regioni una funzione legislativa, che avrebbe dovuto essere attuata attraverso le attività amministrative degli enti locali (art. 118 Cost. vecchio testo).
Questa originaria idea ha subito una profonda metamorfosi, innanzitutto per la tardiva costituzione delle Regioni e l’ancora più tardiva attribuzione delle funzioni, ma anche perché le Regioni, con la creazione di enti di amministrazione sub-regionali, hanno accorpato alla funzione legislativa quella amministrativa, così sottraendola agli enti territoriali. Tanto è vero che la dottrina più recente in materia di regionalismo non esita a produrre un ampio manuale di diritto regionale che conferma fin dal suo titolo il mutamento genetico delle Regioni[1], nonché la totale distonia di un sistema autonomistico che avrebbe dovuto svilupparsi attraverso un coordinamento tra Regioni ed enti locali.
La distorsione del regionalismo italiano è confermata dalla dottrina che più ampiamente si è occupata del tema. Si è parlato di Regioni senza regionalismo[2], di un regionalismo senza modello[3] e si è criticamente osservato che l’autonomia regionale sia stata utilizzata in maniera congiunturale[4] secondo gli interessi del sistema politico[5].
È in questo quadro che il costituente del 2001, nell’ambito di un processo autonomistico di de-statalizzazione, secondo quanto previsto dall’art. 5 Cost., introduce una specifica disposizione sul regionalismo differenziato (art. 116, c. 3 Cost.) il cui contenuto comporta non solo problemi interpretativi, ma anche l’esplicita previsione che si debba tener conto degli equilibri finanziari previsti dall’art. 119 Cost., poiché quanto più aumenta l’asimmetria tanto più deve crescere la solidarietà.
Bisogna, perciò, valutare il regionalismo differenziato in un’ottica che riduca e non aumenti i divari di cittadinanza[6], come ci ricorda ampiamente il PNRR, che pone questo obiettivo come una delle tre priorità trasversali alle sei Missioni, secondo un principio di coesione sociale, economica e territoriale[7], previsto dal Next Generation EU, ai sensi degli artt. 174 e 175 del TFUE. Un principio ribadito di recente nell’autorevole intervento del Presidente della Repubblica che, nel discorso di fine anno, ha ricordato con significative espressioni che le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese <<feriscono il diritto all’eguaglianza>>.
2. Le incertezze interpretative sull’autonomia differenziata
Quanto al contenuto normativo dell’art. 116, c. 3 si è sviluppato un ampio dibattito, già dal momento dei decreti legislativi attuativi del federalismo fiscale introdotto dalla legge 42/2009, ma soprattutto negli anni 2017-2020 quando alcune Regioni (Emilia – Romagna, Lombardia e Veneto) hanno chiesto l’attuazione del regionalismo differenziato,
Innanzitutto, la norma costituzionale prevede che alle Regioni a Statuto ordinario possano essere attribuite <<ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia>> nelle materie ivi indicate. Ora, tale formula non significa necessariamente che debbano essere assegnate maggiori potestà legislative, ma potrebbe ben significare un ampliamento delle funzioni amministrative delle Regioni nelle materie oggetto di legislazione concorrente, un’iniziativa che ben potrebbe essere attuata utilizzando l’art. 118 Cost.[8].
Rimasta minoritaria tale ipotesi, la questione si è spostata su un altro versante, quello relativo agli atti necessari per trasferire le funzioni legislative. Innanzitutto, la previsione di stipulare singole intese con ogni Regione crea non solo un’asimmetria nell’asimmetria, ma configura un’autonomia regionale fuori da ogni contesto istituzionale complessivo, quasi che l’autonomia differenziata sia un fatto che attenga al rapporto di una Regione con lo Stato, senza alcun quadro generale di riferimento, valido per tutte le Regioni[9]. Le iniziative già assunte dalle Regioni dal 2017 in poi dimostrano palesemente quanto sia errato un rapporto face to face tra Stato e singole Regioni, per la totale difformità delle richieste. Come è noto, infatti, alcune Regioni hanno chiesto, in un primo momento, l’attribuzione di tutte le ventitre materie comprese nel comma 3 dell’art. 116 Cost., mentre altre hanno fatto scelte diverse.
Si è osservato, a questo proposito, che ove tutte le Regioni chiedessero, come sarebbe in teoria possibile, tutte le materie si incorrerebbe in una grave violazione della Costituzione, in quanto verrebbe svuotato l’ambito della legislazione concorrente previsto dall’art. 117 Cost. Per prevenire tale evento, parte della dottrina ha proposto di introdurre una legge – quadro nazionale che regolamenti in modo unitario i principi dell’autonomia differenziata[10].
L’altra grande questione è proprio il ruolo del Parlamento nel procedimento autonomistico, visto che non è chiaro se esso possa o meno modificare l’intesa concordata tra Governo e Regione.
Si noti, a margine dell’ampia discussione avvenuta in dottrina, che la norma costituzionale è stata implicitamente superata per le modifiche istituzionali sopravvenute, poiché quando il Costituente aveva previsto l’approvazione dell’intesa con la maggioranza assoluta dei parlamentari intendeva coinvolgere anche la minoranza parlamentare, ma non poteva prevedere l’avvenuta riduzione del numero dei parlamentari e la possibilità di una maggioranza assoluta in capo ad un solo partito o ad una sola coalizione.
Ma, a parte questo profilo, il punto più controverso attiene alla possibilità che il Parlamento possa emendare l’intesa e sulle eventuali conseguenze successive. La dottrina del tutto maggioritaria considera necessario un passaggio parlamentare senza alcun vincolo circa l’emendabilità, mentre sul punto la prima bozza Calderoli prevedeva, prima della sottoscrizione dell’intesa, un parere della Commissione per le questioni regionali, anche acquisibile tacitamente (art. 2, commi 4-5). Il nuovo testo introduce alcune modifiche che non cambiano il senso complessivo dell’iter previsto: si prevede che il parere venga dato dai <<competenti organi parlamentari>> nel termine di sessanta giorni, mentre rimane la possibilità che il procedimento prosegua, trascorso il termine indicato.
L’intesa definitiva già sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale, va inviata alle Camere come allegato di un disegno di legge per <<l’approvazione>> (prima bozza), oggi per la <<deliberazione>> (art. 2, c. 8). Anche così scritta la novella non chiarisce se il Parlamento possa emendare la bozza di intesa già sottoscritta e quali siano le conseguenze di queste eventuali modificazioni.
3. I disegni di legge Calderoli e le connesse disposizioni della legge di bilancio
Ma veniamo al tema più specificamente assegnatomi, cioè gli ultimi interventi normativi concretizzatosi nei disegni di legge Calderoli e nelle connesse disposizioni contenute nella legge di bilancio 2023[11].
Il disegno di legge si concentra sulla necessità di stabilire i livelli essenziali delle prestazioni[12] prima di poter procedere all’attuazione delle intese con la Regione, attuative del regionalismo differenziato (art. 1).
Innanzitutto, è stato acutamente osservato che su questo punto il disegno di legge è quasi uno specchietto per le allodole, in quanto l’intera disciplina per la determinazione dei LEP è contenuta nella legge finanziaria, già approvata dal Parlamento[13]. E’ questa la vera novità rispetto al passato[14], poiché i precedenti governi avevano previsto le modalità di realizzazione dei LEP in disegni di legge mai approvati definitivamente, mentre, in questa occasione, al disegno di legge Calderoli si aggiungono norme già vigenti nella legge di bilancio, che rendono del tutto superfluo il disegno di legge, quanto meno sulle modalità di definizione dei LEP.
La disciplina dei LEP è, infatti, integralmente contenuta nella legge di bilancio ai commi da 791 a 801, a cui peraltro la bozza Calderoli rinvia. Invero, in tale legge è già del tutto definito il percorso per la determinazione dei LEP, <<quale soglia di spesa costituzionalmente necessaria che costituisce nucleo invalicabile per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale>> e garantire <<il pieno superamento dei divari territoriali>> (c. 791). Nella legge di bilancio, la determinazione dei LEP è conseguente alla previa ricognizione dei costi standard, tanto è vero che il comma 792 prevede la procedura per la loro individuazione a partire da una <<ricognizione della spesa storica a carattere permanente nell’ultimo triennio>>[15].
È qui uno dei punti nodali su cui valutare i reali effetti del regionalismo differenziato.
Come è noto, la determinazione dei fabbisogni standard era già prevista, ma mai realizzata (tranne che per in materia sanitaria), già dalla legge sul federalismo fiscale n. 42/2009, secondo cui i decreti attuativi avrebbero dovuto effettuare la «determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica».
Dal punto di vista del procedimento previsto, mi limito a rilevare come sia paradossale costituire una Cabina di regia ed una Commissione tecnica per la determinazione dei fabbisogni standard per poi stabilire che, nel caso in cui le attività dei predetti organi non si concludessero entro sei mesi, il Presidente del Consiglio, d’intesa con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie con il Ministro dell’economia e delle finanze, nomina un commissario che <<entro trenta giorni>> (c. 797) procede al completamento della attività non perfezionate.
In secondo luogo, sempre dal punto di vista procedimentale, appare ancora più grave che tutto il procedimento previsto nella legge finanziaria per la determinazione dei LEP avvenga attraverso atti governativi, eludendo gravemente il dettato costituzionale, secondo cui la determinazione dei LEP non può che avvenire con legge statale, come previsto dall’art. 117, lett. m) Cost. Insomma, la definizione dei LEP è una questione di ordine generale, che ha un suo percorso normativo specifico ed è un errore confonderlo con l’attuazione dell’autonomia differenziata, che ha percorsi normativi diversi[16].
Quanto al merito, il dibattito attuale è tutto incentrato sulla determinazione dei LEP, ma si trascura un presupposto essenziale, cioè l’esigenza di misure perequative territoriali, necessariamente antecedenti a qualsiasi innovazione istituzionale per evitare la crescita dei divari di cittadinanza[17]. Come è noto, l’art. 116 Cost. consente ulteriori forme di autonomia regionale «nel rispetto dei principi dei cui all’articolo 119», disposizione pedissequamente riportata nella legge delega 42/2009, che introduceva il federalismo fiscale. E’ impossibile perciò pensare di attuare il regionalismo differenziato senza rispettare il contenuto dell’art. 119 Cost., che prevede uno specifico fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante[18].
Invero, il sistema pensato dal Costituente del 2001 è ben più complesso ed articolato, con obiettivi più ampi del solo regionalismo differenziato. La legge delega prevedeva, infatti, come primo presupposto, l’autonomia finanziaria delle Regioni, in grado di avere tributi propri, con conseguente maggiore responsabilizzazione della spesa. Opportunamente, il percorso di un regionalismo maturo veniva definito attraverso vari passaggi, prevedendo il «superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore: 1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; 2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni (art. 2, l. m)». Da allora tutto è rimasto come prima, per la mancata definizione dei costi standard e per l’inesistenza di misure perequative.
Anche chi non è pregiudizialmente contrario al regionalismo differenziato non può non rilevare che il percorso costituzionalmente corretto, previsto già dal 2009, è del tutto mancato, cosicché la “fuga in avanti” di un regionalismo differenziato senza perequazione è un grave pericolo, che accentua i divari di cittadinanza e giustifica le preoccupazioni di gran parte della dottrina[19].
L’enunciazione delle misure perequative contenuta nei disegni di legge Calderoli si limita alla citazione di quanto già previsto nell’art. 119 Cost., ma senza definire mezzi e strumenti per realizzarle; non viene istituito alcun fondo perequativo né indicato il modo in cui le Regioni dovrebbero contribuirvi[20].
La perequazione, secondo la norma costituzionale, va calcolata secondo la capacità fiscale per abitante, mentre attualmente, ad esempio per la distribuzione del maggior fondo destinato alle Regioni in materia sanitaria, è lo Stato a determinare quanto attribuire alle Regioni, che dividono tra loro tale fondo in modo da garantire un finanziamento pro capite simile. Cosicché <<la perequazione è dunque realizzata, in quel contesto, non tanto sulla base della diversità della “capacità fiscale per abitante” ma sulla base del riconoscimento di fabbisogni simili fra le Regioni, calcolati sulla base della ripartizione delle risorse messe a disposizione dello Stato>>[21]. Non avendo tributi propri, la pseudo perequazione non è altro che la compartecipazione delle Regioni ad un fondo statale trasferito ad esse. Da ciò si deduce che la mancata previa determinazione delle forme e delle modalità di perequazione rischia di trasformare queste risorse <<da prestazioni sostanziali da garantire a mere quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali maturato nel territorio regionale (come già ricordato manca un riferimento a possibili tributi propri delle regioni differenziate), sul modello già impiegato in materia di riparto del fondo sanitario nazionale>> [22].
In conclusione, la determinazione dei LEP attraverso i costi standard, accertati sulla spesa storica, come previsto nella legge di bilancio, non consente di realizzare la perequazione prevista dall’art. 119 Cost. e comporta ulteriori divari di cittadinanza. Non vi è traccia, inoltre, di un fondo perequativo, anzi sia nella prima che nella seconda bozza del disegno di legge la modalità di finanziamento rimane la compartecipazione al gettito di tributi erariali maturati nel territorio regionale[23], così confermando la differenza tra territori, dovuta alla diversa capacità fiscale (art. 5 nuova bozza).
Peraltro, entrambe le bozze presentano, su questo profilo, un’altra contraddizione. Da una parte, nella legge di bilancio si configura un procedimento complesso per la determinazione dei LEP e dei costi standard, dall’altra la prima bozza del disegno di legge prevedeva che, fino alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, si sarebbe fatto ricorso «al criterio della spesa destinata a carattere permanente, fissa e ricorrente, a legislazione vigente», sia per le materie soggette ai LEP sia per quelle che non li prevedano. Né è migliore la modifica introdotta con la nuova bozza che attribuisce alle singole intese - come meglio si vedrà di seguito - il potere di prevedere modalità e procedure per il trasferimento delle funzioni (art. 4).
4. Le materie oggetto dell’autonomia differenziata
Il dibattito sull’autonomia differenziata si è soffermato molto sulle procedure necessarie nonché sulla determinazione dei livelli essenziali di prestazione dei diritti civili e politici, molto meno sulle materie oggetto di trasferimento, la cui eterogeneità pone alcune rilevanti questioni.
Il primo disegno di legge Calderoli distingueva esplicitamente tra materie sottoposte ai LEP e materie o ambiti di materie non riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni (art. 3, c. 3), individuando una diversa disciplina ai fini del trasferimento alle Regioni. La modifica ora introdotta nella nuova bozza mantiene tale dicotomia, confermando che le materie sottoposte ai LEP possono essere trasferite solo dopo la determinazione degli stessi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard (art. 4, c. 1), mentre invece le materie diverse da quelle del comma 1 (id est: non sottoposte ai LEP), possono essere trasferite subito dopo l’approvazione del disegno di legge, secondo modalità, procedure e tempi definiti dalle intese (art. 4, c. 2).
Tuttavia resta indefinito come si individuano le materie o gli ambiti di materie esclusi dall’applicazione dei LEP[24]. Il primo disegno di legge attribuiva alla totale discrezionalità del Presidente del Consiglio dei ministri l’individuazione di tali materie (art. 3, c. 3). La seconda bozza elimina questa disposizione, ma – come già rilevato - lascia alle trattative tra Stato ed ogni singola Regione il potere discrezionale di stabilire quali siano le materie non soggette ai LEP. Il rimedio è peggiore del male, perché la nuova disposizione, lasciando alla contrattazione delle singole Regioni con lo Stato l’individuazione delle materie sottratte ai LEP, potrebbe finanche produrre l’effetto paradossale che una stessa materia possa essere sottoposta al regime dei LEP in una Regione e non in un’altra.
Sotto altro profilo, tali disposizioni confermano che, non essendo tutte le materie previste dall’art. 116 c. 3 Cost. valutabili alla luce dei LEP, la determinazione di essi è operazione connessa ma autonoma rispetto alla partita del regionalismo differenziato[25].
Il mancato assoggettamento ai LEP di alcune materie induce addirittura a domandarsi se esse siano oggetto di possibile trasferimento e con quali modalità, a maggior ragione perché alcune di esse attengono ad un contesto sovra-regionale, tale da renderne difficile un trasferimento tout court.
La dottrina si è infatti chiesta, ad esempio, se sia logico, soprattutto dopo gli eventi pandemici e bellici, che una materia come i rapporti internazionali possa essere oggetto di potestà legislativa regionale, così come la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia o anche la disciplina di porti ed aeroporti civili o delle grandi reti di trasporto e di navigazione. Il rischio concreto, insito nel processo di trasferimento della legislazione alle Regioni in queste materie, è uno spezzettamento della disciplina normativa, che impedisca le necessarie politiche nazionali, anche perché alcune di tali materie sono oggetto di politiche che coinvolgono non solo lo Stato nazionale, ma addirittura organismi sovranazionali[26].
Una diversa, ma ancora più complessa questione si pone, invece, per le materie oggetto dei LEP, prima di tutto istruzione e sanità.
Per valutare in concreto quali possano essere gli scenari possibili, è utile tenere conto delle concrete fattispecie previste nelle bozze delle intese già predisposte con le tre Regioni che avevano da tempo avviato il processo autonomistico.
Se consideriamo, ad esempio, il settore nevralgico dell’istruzione, tutte le tre Regioni potranno determinare la programmazione dell’offerta formativa, con la possibilità di definire anche la dotazione organica e l’assegnazione alle singole scuole dei docenti; potranno costituire un fondo regionale per contratti a tempo determinato in caso di necessità dell’organico delle scuole, anche istituendo posti in deroga; potranno finanziare nuovi corsi universitari, con ulteriori risorse rispetto al fondo di finanziamento ordinario statale.
In materia di salute, le intese prevedono, tra l’altro, l’autonomia regionale nell’organizzazione della governance delle aziende sanitarie ed una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. Quanto al personale, si introduce una maggiore autonomia finalizzata a rimuovere specifici vincoli di spesa stabiliti dalla normativa statale, inclusa la regolamentazione dell’attività libero professionale e la facoltà, in sede di contrattazione integrativa collettiva, di prevedere, per i dipendenti del SSN, incentivi e misure di sostegno.
Siffatte previsioni normative potrebbero comportare un miglioramento dei servizi nelle Regioni con maggiore produzione di reddito, ma non sono consone al principio di perequazione, in quanto non corrispondono al principio di cui all’art. 119 Cost.
Invero non si vuole qui fare riferimento solo alle risorse economiche pur importanti, ma al rischio di una più profonda frammentazione delle materie. Ad esempio, nel caso dell’istruzione, i ragazzi della scuola dell’obbligo che si trasferiscono da una Regione all’altra saranno costretti a cambiare radicalmente i programmi di studio? E cosa avverrà del lavoro nelle amministrazioni pubbliche sia per quanto attiene all’istruzione che alla sanità? Non si può escludere l’attuazione di “gabbie salariali”, con contratti dal contenuto differenziato da Regione a Regione (in tal senso la recente polemica suscitata dalle dichiarazioni, invero smentite, del Ministro dell’istruzione e del merito). Si potrebbero introdurre, come stigmatizzato a legislazione vigente dalla Corte costituzionale, misure limitative per i docenti o per i fruitori di servizi sociali che non abbiano residenza da un certo numero di anni nella Regione?[27].
Sui profili contenutistici delle intese va fatto un serio discernimento. Ecco perché la previsione di un’intesa concordata dallo Stato con ogni singola Regione, senza una previa determinazione di principi generali e di criteri perequativi costituzionalmente previsti, rappresenta un serio rischio di un’autonomia differenziata che aumenti, invece di ridurre, i divari di cittadinanza.
* Intervento, rivisto ed aggiornato, presentato al seminario dei Lunedì di Giustizia Insieme Novità e possibilità dell’autonomia differenziata nelle più recenti proposte di riforma.
[1] G. Gardini, C. Tubertini, L’amministrazione regionale, Torino, 2022.
[2] G. Pastori, Le regioni senza regionalismo, in Il Mulino, 2, 1980, 204 ss.
[3] M. Luciani, Un regionalismo senza modello, in Le Regioni, 1994.
[4] A. Ruggeri, Devolution, “controriforma” del titolo V e uso congiunturale della Costituzione, ovverosia quando le “ragioni” della politica offuscano la ragione costituzionale, in Dirittiregionali.it, 24 aprile 2003.
[5] R. Bifulco, Il regionalismo tra processi federali e sistema dei partiti, in Italianieuropei, 3, 2009, 172 ss.
[6] Per una recente ed approfondita analisi degli squilibri territoriali: ISTAT, I divari territoriali nel PNRR: dieci obiettivi per il Mezzogiorno, Focus, 25 gennaio 2023. Sul punto, anche: A. Barone, F. Manganaro, PNRR e Mezzogiorno, in Quad. cost., 1, 2022, 148 ss.; F. Manganaro, Regionalismo differenziato: dove eravamo rimasti?, in Astrid Rassegna, 9/2022.
[7] F. Manganaro, Politiche di coesione, in Enc. Dir. – I tematici, Milano, 2022, 839 ss.
[8] M. Cammelli, Flessibilità, autonomia, decentramento amministrativo: il regionalismo oltre l’art. 116.3 Cost., in Astrid, maggio 2019.
[9] Sulla necessità di un quadro generale di riferimento: R. Bifulco, I limiti del regionalismo differenziato, in Rivista AIC, 4, 2019, 260 ss.
[10] Di recente: G. M. Salerno, Con il procedimento di determinazione dei LEP (e relativi costi e fabbisogni standard) la legge di bilancio riapre il cantiere dell’autonomia differenziata. Editoriale, in Federalismi.it, 11 gennaio 2023, secondo cui , «La scelta a favore della legge di attuazione ovvero “legge-quadro” – soluzione che, tra l’altro, nella scorsa legislatura era stata suggerita anche dalla Commissione ministeriale di studio presieduta dal compianto Amico e Collega Beniamino Caravita - va senz’altro accolta positivamente, considerato quanto si è appena detto circa la necessità costituzionalmente rilevante, oltre che l’opportunità, di disporre di uno strumento regolatorio di ordine generale che permetta la corretta attuazione dell’art. 116, comma terzo, Cost.».
[11] Sul punto, si vedano le puntuali osservazioni di E. Zampetti, Novità e possibilità dell’autonomia differenziata nelle più recenti proposte di riforma. Introduzione a un dibattito sul tema dell’autonomia differenziata, in questa Rivista.
[12] Manifesta una fondata opinione critica A. Cioffi, Il problema dei LEP nell’autonomia differenziata. Una spiegazione della differenza, inquesta Rivista.
[13] Sulla indispensabile necessità di determinare i LEP, osserva la Corte costituzionale (sent. 220/2021) che <<La non fondatezza della questione peraltro non esime questa Corte dal valutare negativamente il perdurante ritardo dello Stato nel definire i LEP, i quali indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonché <<il nucleo invalicabile di garanzie minime>> per rendere effettivi tali diritti (ex multis, sentenze n. 142 del 2021 e n. 62 del 2020)>>.
[14] Si è peraltro paventato il sospetto che l’introduzione della disciplina nella legge di bilancio sia avvenuta per evitare che possa essere sottoposta ad un referendum abrogativo nazionale, non consentito dall’art.75 Cost.: P. Maddalena, L’attuazione dell’articolo 116 della costituzione. Bozza Calderoli, in AmbienteDiritto.it, 4/2022.
[15] Peraltro la norma affida tale compito alla stessa società pubblica SOSE s.p.a. a cui era già stata inutilmente assegnata in passato ai sensi del d.lgs. 2010 del 2016, attuativo del federalismo fiscale.
[16] In tal senso: A. Cioffi, Il problema dei LEP nell’autonomia differenziata. Una spiegazione della differenza, cit.
[17] Su questo punto, di recente, G. Gardini, C. Tubertini, Le prospettive del regionalismo: idee per una rifondazione, in Astrid Rassegna, 2/2023, 47, secondo cui «una volta risolto il nodo della determinazione dei fabbisogni standard e della perequazione, si potrà forse guardare con minore preoccupazione anche all’ipotesi dell’attivazione della clausola della c.d. autonomia differenziata ex art. 116, comma 3, Cost.».
[18] Tra i tanti lavori sul punto, si veda: L. Antonini, La rivincita della responsabilità. A proposito della nuova legge sul federalismo fiscale, in Quad. suss., 2009, 1 ss.; R. Bifulco, Osservazioni sulla legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale, in www.astrid-online.it, 24 maggio 2009; G. Rivosecchi, La determinazione dei fabbisogni standard degli enti territoriali: un elemento di incertezza nella via italiana al federalismo fiscale, in www.federalismi.it., 20 aprile 2011; F. Trimarchi Banfi, Il regionalismo differenziato: una questione preliminare, in Astrid Rassegna, 12/2019; A. Poggi, Il regionalismo italiano ancora alla ricerca del “modello plurale” delineato in Costituzione, in Federalismi.it, 8 maggio 2020; S. Pajno, Il regionalismo differenziato tra principio unitario e principio autonomista: tre problemi, in Federalismi.it, 4 marzo 2020; L. Di Majo, Il regionalismo differenziato: un questione di metodo prima ancora del merito, in Rivista AIC, 1, 2020, 255 ss.; S. Staiano, Anti-mitopoiesi. Breve guida pratica al regionalismo differenziato con alcune premesse, in Federalismi.it, 2 novembre 2022.
[19] A. D’Atena, Dove vanno le Regioni?, in Rivista AIC, n. 4/2022; C. Mirabelli, Vanno evitate forzature per non sbagliare il passo, in Il Quotidiano del Sud, 17 novembre 2022; I. Sales, Un’idea cinica del Paese, in La Repubblica, 18 novembre 2022; M. Villone, Il progetto Calderoli sull’autonomia è pericoloso, in Domani, 20 novembre 2022; S. Cassese, L’autonomia voluta dalla Lega ferisce l’unità del Paese, in La Stampa, 21 novembre 2022; G. De Minico, Perché il ddl Calderoli supera il confine della legittimità costituzionale, in Il Sole 24 ore, 6 gennaio 2023; I. Cipolletta, L’imbroglio dell’autonomia. Troppi poteri a regioni già inutili, in Domani, 9 gennaio 2023.
[20] Lo dimostrano con un’accurata analisi economica, in relazione alla disciplina del federalismo fiscale, A. Filippetti, F. Tuzi, Autonomia finanziaria regionale e regionalismo asimmetrico: verso un finanziamento dell’asimmetria ben temperato, in Argomenti, 17, 2021, 70 ss.
[21] L. Spadacini, M. Podetta, L'autonomia differenziata: spunti a partire dalla ed. Bozza Calderoli e dall'ultima legge di bilancio, in Astrid Rassegna, 2/2023.
[22] L. Spadacini, M. Podetta, L'autonomia differenziata: spunti a partire dalla ed. Bozza Calderoli e dall'ultima Legge di bilancio, cit.
[23] Nella prima bozza di disegno di legge le funzioni trasferite venivano finanziate anche con riserva di aliquota.
[24] In questo senso ora anche: G. Gardini, C. Tubertini, Le prospettive del regionalismo: idee per una rifondazione, 47- 48.
[25] A. Cioffi, Il problema dei LEP nell’autonomia differenziata. Una spiegazione della differenza, cit.
[26] A. Ruggeri, La “specializzazione” dell’autonomia regionale: i (pochi) punti fermi del modello costituzionale e le (molte) questioni aperte, in Consulta Online, 31 ottobre 2019, 600 ss.
[27] Ad esempio, la Corte, nella sentenza n. 107/2018, ha ritenuto costituzionalmente illegittima una legge regionale, che prevedeva come fattore preferenziale per l’iscrizione agli asili nido la residenza o lo svolgimento di attività lavorativa per almeno quindici anni in Veneto, sul presupposto che i diritti fondamentali della persona vanno tutelati indipendentemente dal tempo di residenza in una Regione.