La tutela esecutiva per la decisione resa in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: gli ultimi sviluppi, tra evoluzione e arresti giurisprudenziali (nota a Consiglio di Stato, Sezione Prima, 28 febbraio 2022 n. 475)
di Silvia Casilli
Sommario: 1. Premessa: i fatti di causa e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il thema decidendum: l’ottemperanza del decreto in accoglimento del parere interlocutorio del Consiglio di Stato – 2. Cenni diacronici sulla natura e ratio degli istituti in questione alla luce della progressiva giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario. Approdi in tema della sua compatibilità con il rimedio dell’ottemperanza. – 3. La pronuncia della Sezione Prima: le ragioni dell’inammissibilità della domanda e l’assenza della potestas iudicandi – 4. Osservazioni conclusive: è ravvisabile un vulnus nel principio di effettività della tutela?
1. Premessa: i fatti di causa e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il thema decidendum: l’ottemperanza del decreto in accoglimento del parere interlocutorio del Consiglio di Stato.
Con l’Adunanza del 24 novembre 2021, n. 475/2022, la Sezione Prima del Consiglio di Stato si è pronunciata in tema di ottemperanza della decisione cautelare resa in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, discostandosi dalla posizione assunta dalla Sezione Quinta[1] in sede giurisdizionale nel parallelo giudizio di ottemperanza ed affermando, al contrario, di non poter essere adita con il rimedio di cui agli artt. 112 ss. c.p.a.
La vicenda trae origine dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto ex art 11 d.P.R. n. 1199/1971 avverso la Nota del Dipartimento Politiche Abitative di Roma Capitale avente ad oggetto il “rifiuto dell’alloggio E.R.P.”[2], nonché avverso tutti gli atti lesivi, presupposti, sottesi e conseguenziali, e volto ad ottenere, quale risarcimento in forma specifica del danno asseritamente subito dal ricorrente, il riconoscimento al diritto di ottenere l’assegnazione dell’alloggio E.R.P. Con motivi aggiunti, il ricorrente agiva poi per l’annullamento di una serie di verbali e Determine Dirigenziali emanate dall’amministrazione e relative alla pubblicazione e aggiornamento della graduatoria per l’assegnazione di alloggi, previa sospensiva, al fine di ottenere l’annullamento del primo dei provvedimenti impugnati, avente ad oggetto il rifiuto dell’alloggio.
In particolare, parte ricorrente deduceva, tra gli altri motivi di ricorso, la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7 del bando E.R.P. 2012 di Roma Capitale, per non essere stato destinatario della diffida all’accettazione prevista dal menzionato articolo prima che fosse dichiarata la decadenza dei candidati. Il Comune, invece, riteneva direttamente accertata la rinuncia all’accettazione, con conseguente ricollocazione del ricorrente nella graduatoria dietro soggetti con nucleo familiare di minore consistenza.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, cui veniva trasmesso il ricorso, richiedeva, ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, il parere del Consiglio di Stato che, con ordinanza del 20 marzo 2020, riscontrando nella procedura la carenza della diffida prescritta dall’art. 7 del Bando per l’assegnazione, accoglieva, con parere interlocutorio n. 754, la richiesta di sospensiva, disponendo il provvisorio reinserimento in graduatoria del ricorrente.
La difesa del ricorrente – non essendo stato questi ricontattato dal Comune di Roma per la scelta dell’alloggio, ed anzi essendo stata ripubblicata la graduatoria aggiornata nella quale risultava in posizione nettamente inferiore dietro soggetti con nucleo familiare inferiore ed in posizione peggiore rispetto a quella in un secondo momento assegnata dopo la comunicazione del rifiuto – instaurava parallelamente il giudizio ex artt. 114 ss. c.p.a. dinanzi la Sezione Quinta del Consiglio di Stato, cui chiedeva l’ottemperanza sia del detto parere n. 754/2020 della Sezione prima, che aveva accolto l’istanza cautelare di reinserimento in graduatoria, che del successivo parere 1582/2020, reso dalla Sezione Prima nell’adunanza del 14 ottobre 2020, nella parte in cui stabiliva che Roma Capitale avrebbe dovuto fornire preliminarmente al ricorrente, nel termine di trenta giorni, i nominativi e gli indirizzi dei soggetti ai quali erano stati assegnati gli alloggi originariamente previsti per l’assegnazione al ricorrente medesimo, beneficiari delle Determine dirigenziali oggetto di impugnativa.
Avendo il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale[3] dichiarato inammissibile il ricorso per l’ottemperanza per carenza di potestas iudicandi, specificando che “spetta alla stessa sezione consultiva che ha emesso il parere verificare l’esecuzione dei propri pronunciamenti e individuare le misure più idonee in caso di inadempimento da parte dell’amministrazione”, il ricorrente chiedeva alla Sezione Prima di dare ottemperanza al decreto direttoriale n. 71/2020 che ha accolto il parere n. 754/2020, nonché di applicarsi la penalità di mora ex art. 114 comma 4 lett. e) c.p.a. per i giorni di ritardo.
È su queste specifiche ed ultime richieste che la Sezione Prima, all’adunanza del 24 novembre 2021 in commento, si è pronunciata.
Il thema decidendum verte, dunque, sull’esecuzione, ai sensi degli artt. 112 ss. c.p.a., dell’ordinanza cautelare resa dal Consiglio di Stato in sede consultiva, nel parere espresso nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
2. Cenni diacronici sulla natura e ratio degli istituti in questione alla luce della progressiva “giurisdizionalizzazione” del ricorso straordinario. Approdi in tema della sua compatibilità con il rimedio dell’ottemperanza.
Al fine di comprendere gli aspetti problematici della questione, prima ancora di analizzare le argomentazioni della Sezione consultiva ed il contenuto dell’adunanza, è opportuno richiamare gli istituti che rilevano nel caso di specie, in quanto, proprio in ragione della loro natura e della ratio che li giustifica, sono sorti dubbi circa la loro reciproca compatibilità.
Per comprendere la portata del dibattito che ha a lungo interessato dottrina e giurisprudenza non si può prescindere dall’evoluzione storica che ha caratterizzato il rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e dalle caratteristiche del giudizio di ottemperanza per poi raccordare i due istituti nella spinosa questione inerente alla proponibilità del rimedio dell’ottemperanza per portare ad esecuzione le decisioni rese dal Presidente della Repubblica.
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, diversamente dagli altri ricorsi amministrativi[4], è oggi ritenuto, all’esito di un lungo e complesso dibattito giurisprudenziale, un rimedio formalmente amministrativo, ma sostanzialmente giurisdizionale visto il ruolo imprescindibile del Consiglio di Stato. Il suo più lontano antenato è rinvenibile nel sistema di “giustizia ritenuta”[5], tipico delle monarchie assolute. La prima codificazione di questo rimedio risale al 1739[6], nel 1975 fu poi istituito il Consiglio del Re e si stabilì che il sovrano potesse ascoltarne il parere, anche se non vincolante, prima di decidere sui ricorsi a lui indirizzati; fu poi Carlo Alberto nel 1831, a modificarne la denominazione in “Consiglio di Stato” il cui parere venne reso obbligatorio in tutti i casi di ricorso al Re dalla Legge del Regno di Sardegna n. 3707/1859.
Con l’istituzione nel 1889 della IV Sezione del Consiglio di Stato venne meno la funzione del ricorso straordinario di rimedio generale per l’impugnazione, per motivi di legittimità, dei provvedimenti amministrativi definitivi. La legge n. 5992/1889, infatti, attribuiva definitivo sbocco giurisdizionale anche agli interessi legittimi, fino ad allora tutelabili solo attraverso lo strumento dei ricorsi amministrativi[7]. Pur ritenendo alcuni che il rimedio avesse esaurito la sua utilità[8], l’istituto venne mantenuto in vita e, per evitare che vi fossero problematiche duplicazioni, in ossequio al principio del ne bis in idem, si fece ricorso al principio di alternatività[9] tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario di modo da evitare da un lato che sullo stesso atto intervenissero due pronunce giustiziali diverse e dall’altro che il Consiglio di Stato si pronunciasse due volte sulla medesima questione.
Il principio, dunque, comporta “l’inammissibilità del ricorso al giudice amministrativo proposto contro lo stesso atto impugnato in via straordinaria; sia per il ricorrente, sia per i controinteressati che non si siano avvalsi della facoltà di chiedere la decisione del ricorso in sede giurisdizionale – art. 10 comma 1 d.P.R. 1199/1971 – e comporta anche l’inammissibilità del ricorso straordinario qualora l’atto sia stato già impugnato con ricorso giurisdizionale”[10].
L’alternatività rispetto al rimedio giurisdizionale rappresenta una caratteristica che può al contempo fondare opposte interpretazioni circa la natura del ricorso: se da una parte è stato sostenuto che questo fosse posto a dimostrazione della diversità della natura tra ricorso straordinario e rimedio giurisdizionale[11], dall’altra lo stesso principio può leggersi come una dimostrazione dell’equiordinazione tra i due rimedi.
L’ultimo capitolo delle modifiche legislative intervenute sulla disciplina del ricorso straordinario ha inciso profondamente sulla sua natura.
Prima dell’entrata in vigore della l. n. 69/2009 il dibattito, caratterizzato da non pochi cambiamenti di orientamento determinatisi nel tempo sul suo inquadramento sistematico e sulla stessa opportunità del rimedio – si pensi all’oscillazione tra posizioni favorevoli al suo ampliamento ed altre propense addirittura alla sua totale eliminazione – si polarizzava attorno a due letture.
Da una parte la tesi tradizionale[12] ne affermava la natura amministrativa in ragione della natura amministrativa dell’organo promanante la decisione, della natura obbligatoria ma non vincolante del parere del Consiglio di Stato, dell’inidoneità delle decisioni del Presidente della Repubblica a passare in giudicato, dell’impossibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale e di effettuare rinvio pregiudiziale, nonché del principio di alternatività.
Dall’altra, la presenza del parere del Consiglio di Stato, il principio di alternatività che starebbe a dimostrare l’equiordinazione rispetto al rimedio giurisdizionale, la tendenziale immutabilità delle decisioni rese su ricorso straordinario, la possibilità di esperire il rimedio della revocazione[13] ed il principio del contraddittorio, accentuato nell’ambito del ricorso straordinario, deponevano a sostegno della tesi della natura giurisdizionale[14].
Se la Corte di Cassazione, con la pronuncia a Sezioni Unite n. 15987/2001[15], confermata dalla sentenza n. 254/2008 della Corte Costituzionale[16], aveva spento i facili entusiasmi ingenerati dalle precedenti aperture confinando la portata del precedente della Corte di Giustizia e negandogli il fondamento del riconoscimento della natura giurisdizionale del ricorso straordinario, su tale scenario interviene la l. n. 69/2009 che all’art. 69 modifica la disciplina del ricorso straordinario, incidendo proprio su quegli elementi che avevano fondato le pronunce appena citate.
L’art. 69 modifica, infatti, gli artt. 13 e 14 del d.P.R. 1199/1971 rendendo obbligatorio e vincolante nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il parere del Consiglio di Stato e prevedendo la possibilità, per quest’ultimo, di sollevare, anche in sede consultiva, questioni di legittimità costituzionale[17].
L’intervento normativo appena richiamato sembra dunque aver definitivamente completato il processo di giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, sebbene la Corte Costituzionale, con sentenza n. 73/2014, non si sia spinta fino a qualificare l’atto finale del procedimento come atto giurisdizionale in senso sostanziale[18], ma ha definito il ricorso straordinario come “rimedio giustiziale amministrativo con caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo”.
Sottile appare la differenza tra le due definizioni, ma di fatto lascia desumere che non sia stata utilizzata a pieno un’importante occasione per fare definitiva chiarezza sulla natura giuridica di un istituto che appare, dunque, come un rimedio, almeno dal punto di vista sostanziale[19], giurisdizionale[20] mentre, solo sul piano formale, si esplica nella formulazione di un parere. In tale ambito sembra potersi configurare la possibilità di assimilare, non formalmente, ma sostanzialmente la decisione adottata in sede di ricorso straordinario a quella emessa all’esito del giudizio innanzi al giudice amministrativo, in considerazione del fatto che in entrambe le ipotesi la decisione costituisce il momento conclusivo dell’esercizio della giurisdizione. In sostanza, il decreto del Presidente della Repubblica che definisce il ricorso straordinario può essere considerato un atto di mera esternazione della decisione giurisdizionale assunta dal Consiglio di Stato[21].
Tale natura, sul piano sostanziale, emerge prepotentemente anche se, mutando il punto di osservazione, si inquadra il ricorso straordinario non tanto comparandolo al ricorso al giudice amministrativo, bensì agli altri ricorsi amministrativi, rispetto ai quali si evince, come già evidenziato, una netta differenza sul piano strutturale e funzionale[22]. Non a caso si è ravvisato come l’istituto in questione abbia perso la propria connotazione puramente amministrativa in ragione dell’attrazione del ricorso straordinario nell’ambito della giurisdizione limitatamente “ad alcuni profili”[23]; conseguenza, se si pone l’accento su quest’ultima espressione, è che l’ambito di operatività del ricorso straordinario è meno ampio rispetto a quello del ricorso al giudice amministrativo. E, in effetti, la succitata limitazione è l’inevitabile esito della peculiare specificità del rimedio in esame, andando incontro, diversamente, a un inutile duplicazione del rimedio giurisdizionale ordinario.
Dunque, individuare la natura giuridica del ricorso straordinario è questione non di poco conto, dal momento che proprio su questo terreno si gioca la partita sulla proponibilità del rimedio dell’ottemperanza per portare a esecuzione le decisioni rese dal Presidente della Repubblica, come sua diretta conseguenza logico giuridica.
Il giudizio di ottemperanza, disciplinato dal libro IV del c.p.a., rappresenta un rimedio, espressione dei principi di effettività e concentrazione della tutela giurisdizionale, posto a disposizione del privato che voglia ottenere da parte dell’Amministrazione soccombente, l’attuazione del favorevole giudicato di cognizione. Il sistema di esecuzione delle sentenze e dei titoli esecutivi contemplati all’art. 112 c.p.a., è ispirato ad un duplice modello, surrogatorio e compulsorio, volto a consentire la piena attuazione di quelle sentenze[24] di cui non venga data spontanea esecuzione ex art. 33 comma 2 c.p.a.
Si tratta di uno dei pochi casi di giurisdizione estesa al merito[25] potendosi il giudice dell’ottemperanza, nel caso di persistente inerzia della PA, sostituirsi a questa adottando il provvedimento anche nei casi di massima discrezionalità[26].
Anche la natura del giudizio di ottemperanza è stata a lungo oggetto di un acceso dibattito dottrinale[27], risolto dal legislatore che, con l’opera di codificazione del 2010, ha accolto nel c.p.a. la posizione della natura mista del giudizio, di cognizione e di esecuzione, con giurisdizione estesa al merito. La stessa relazione al codice ha confermato che si tratta di un giudizio necessariamente di cognizione ed eventualmente di esecuzione, allorché si tratti di dare attuazione al giudicato del g.o., mentre diventa necessariamente di esecuzione ed eventualmente di cognizione, se a dover essere eseguita è la sentenza del g.a.[28].
Alla luce del sistema finora delineato, se al decreto presidenziale va riconosciuta, come detto, una tutela esecutiva, piena ed effettiva, quest’ultima non può che individuarsi anche attraverso il giudizio di ottemperanza, la cui esperibilità sembra essere diretta ricaduta del riconoscimento della natura, almeno sostanzialmente, giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (in cui il decreto del Presidente può considerarsi un atto di mera esternazione della decisione giurisdizionale assunta dal Consiglio di Stato).
D’altronde, nella stessa citata sentenza n. 2065/2011 della Suprema Corte a Sezioni Unite si legge che “nel sistema così delineato la decisione su ricorso straordinario al Capo dello stato, resa in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, si colloca nell’ipotesi prevista alla lettera b) dell’art. 112 comma 2, e il ricorso per l’ottemperanza si propone, ai sensi dell’art. 113 comma 1, dinnanzi allo stesso consiglio di Stato, nel quale si identifica il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta”. La tesi sostenuta dalle Sezioni unite è stata poi successivamente avallata anche dal Consiglio di Stato che, dopo aver chiarito che “il ricorso straordinario al Capo dello stato costituisce un rimedio giustiziale che si colloca in simmetrica alternativa con quello giurisdizionale ancorché di più ristretta praticabilità quanto al novero delle azioni esperibili”, afferma che “non è dubitabile che il petitum proposto in sede di ricorso straordinario sia perfettamente equiparabile (e produca lo stesso effetto) ad una domanda giurisdizionale”[29].
Nel caso oggetto della pronuncia in esame, però, la questione dell’esperibilità del rimedio dell’ottemperanza riguarda sì il parere reso dal Consiglio di Stato, ma, nello specifico, avente ad oggetto l’esecuzione dell’ordinanza cautelare. Pertanto, il fondamento normativo non va rinvenuto tanto nell’art. 112 comma 2 lett. b) – che non annovera l’esecuzione delle misure cautelari tra i casi in cui è possibile instaurare il giudizio di ottemperanza –, quanto nell’art. 114 comma 4 lett. c) c.p.a. laddove richiama “altri provvedimenti”. Tale disposizione si porrebbe come complementare rispetto all’art. 59 c.p.a. che menziona l’esecuzione delle misure cautelari, ma senza disciplinare il procedimento da seguire.
3. La pronuncia della Sezione Prima: le ragioni dell’inammissibilità della domanda e l’assenza della potestas iudicandi.
L’adunanza in commento si pone, tuttavia, in tendenza opposta rispetto a quanto concluso finora.
La Sezione Prima ha infatti dissentito dall’orientamento espresso dallo stesso Consiglio di Stato (Sezione Quinta, provvedimento n. 6519/2018) in sede giurisdizionale, ritenendo di non poter essere adita con il rimedio dell’ottemperanza. Secondo la Sezione consultiva, l’orientamento della Sezione Quinta sarebbe fondato su una lettura degli artt. 59 e 98 c.p.a. eccentrica rispetto a quanto statuito, in modo più rigoroso e tassativo, in punto di competenza, dall’art. 113 c.p.a, norma, quest’ultima, attributiva di competenza per la sola ottemperanza ai provvedimenti giurisdizionali definitivi.
Al contrario, l’estensione dei poteri dell’ottemperanza, per mezzo degli artt. 59 e 98 (definiti dalla Sezione Quinta parametri legislativi di interpretazione), all’esecuzione dei provvedimenti cautelari farebbe evincere “un tendenziale principio di corrispondenza funzionale fra provvedimento cautelare, giudice che lo ha emesso ed organo giurisdizionale chiamato ad eseguirlo in sede di ottemperanza”[30] senza che vi siano, tuttavia, elementi sufficienti a sostenere tale interpretazione nella disciplina processuale.
L’art. 113 c.p.a., infatti, nell’attribuire la competenza per l’ottemperanza nell’apposita sedes materiae del Libro IV, dettaglia per ciascun provvedimento ottemperando la relativa potestas iudicandi in capo ad un giudice ben individuato. Gli artt. 59 e 98 c.p.a. si limitano, secondo il Collegio, a precisare come il potere che regolano altro non sia che quello specificato e delineato, in punto di competenza, dalle norme del codice in materia di ottemperanza. Di conseguenza, non sarebbe possibile inferire da queste disposizioni – dal momento che hanno semplicemente la limitata funzione di estendere i poteri dell’ottemperanza anche alla fase cautelare – l’attribuzione di competenza ulteriore in capo ad un organo che (formalmente) non emette la misura cautelare, ma si limita ad esprimere un parere in ordine alla sua concedibilità. In altre parole, non vi sarebbe ragione, per ricostruire la competenza per l’ottemperanza, di attingere a norme che sarebbero generiche ed imprecise sotto tale aspetto, e per di più contenute in Libri e Titoli del c.p.a. che non disciplinano ex professo quel giudizio.
Se, allora, si assume che anche in caso di ottemperanza a provvedimenti cautelari debba trovare applicazione l’art. 113 c.p.a., dovrà prendersi atto che la disposizione prevede che “il giudizio di ottemperanza si propone, nel caso di cui all’art. 112 comma 2 lett. a) e b), al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta”. E, dal momento che nel procedimento di cui al d.P.R. 1199/1971 la Sezione consultiva anche in sede cautelare si limita ad esprimere un parere, pur vincolante, senza però emettere direttamente il provvedimento decisorio (che è invece oggetto di apposito decreto) non potrà che escludersi “che si possa profilare una competenza complementare del Consiglio di Stato in sede consultiva atta a consentirgli di interloquire con le forme dell’ottemperanza con un’amministrazione inadempiente perché ciò implicherebbe, con un’interpretazione praeter legem, un’inedita potestas iudicandi che il legislatore non ha inteso attribuire alla Sezione consultiva”[31].
Ulteriore argomento addotto dalla Sezione Prima risiede nel fatto che, optando per una diversa ricostruzione, si aggirerebbe l’elenco tassativo di cui all’art. 134 c.p.a. Il riconoscimento, infatti, di una cognizione estesa al merito – quale quella dell’ottemperanza – e di poteri di accertamento della nullità di atti in sede di ricorso straordinario risulterebbe in contrasto con la disciplina del ricorso stesso che, diversamente da quanto previsto dall’art. 134 c.p.a. per il giudice amministrativo, non contempla materie di giurisdizione estesa al merito, né prevede, a differenza di quanto previsto dall’art. 114 comma 4 lett. b. c.p.a., l’esperibilità di azioni di accertamento, essendo ammesso il rimedio solo per proporre azioni di annullamento per motivi di legittimità di atti amministrativi definitivi[32]. Una diversa interpretazione si porrebbe dunque in contrasto con la natura e la funzione del ricorso straordinario trattandosi di un rito tuttora ancorato ad un regime impugnatorio[33] che, attesa la sua conformazione, è del tutto inidoneo a gestire una fase esecutiva con cognizione estesa al merito. È infatti la decisione finale, ossia il decreto presidenziale, che può consentire l’ottenimento del bene della vita cui il ricorrente aspira, avendo il Consiglio di Stato invece un punto di contatto solo mediato con la decisione finale.
4. Osservazioni conclusive: è ravvisabile un vulnus nel principio di effettività della tutela?
Il parere della Sezione consultiva ha così rigettato l’istanza in ottemperanza presentatale per carenza di potestas iudicandi, fondando le premesse, in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente[34], della non esperibilità del rimedio dell’ottemperanza del parere, o meglio del decreto, adottato in sede di ricorso straordinario.
Sorge spontaneo interrogarsi se il principio di effettività della tutela[35] possa dirsi ugualmente garantito.
La Sezione consultiva si premura di chiarire come la propria pronuncia non possa di fatto configurare un vulnus nel diritto ad una tutela piena ed effettiva del ricorrente osservando, seppur in maniera incidentale, che il puntuale adempimento della misura cautelare disposta, a seguito del parere del Consiglio di Stato, con atto motivato del ministero competente[36] costituisce l’oggetto di un preciso obbligo giuridico a carico dell’amministrazione; cosicché la mancata esecuzione di tale misura, ove ricorrano gli altri elementi della fattispecie, può costituire illecito e fondare un’azione risarcitoria[37]. Essendo infatti un obbligo dell’amministrazione dare esecuzione alle proprie sentenze, nulla osta neppure la proposizione di altri rimedi come un’eventuale azione avverso il silenzio.
E anzi, secondo tale ricostruzione, ove si volesse forzare – posto che ciò non sarebbe possibile – il dato letterale del c.p.a. riconoscendo la potestas iudicandi per il giudizio di ottemperanza in capo all’organo consultivo, la significativa intermediazione (che caratterizza la procedura del ricorso straordinario) tra lo stesso e l’amministrazione rischierebbe, al contrario, di incidere negativamente sull’effettività della tutela. Si menziona[38], infatti, proprio il “rischio di rendere rarefatto e artificioso lo stesso procedimento di ottemperanza, anche perché, a volere rispettare lo schema di fondo del rito ex d.P.R. 1199/1971, anche l’ottemperanza sarebbe un giudizio in cui il Consiglio di Stato si dovrebbe limitare a proporre pareri senza poter direttamente decidere in luogo della PA. E ciò comporterebbe inevitabili inefficienze ed ulteriori ritardi, in palese contrasto con la ratio del rimedio”.
Deve, da ultimo, poi rammentarsi il carattere di alternatività che il ricorso straordinario al Capo dello Stato presenta rispetto ai rimedi giurisdizionali in quanto proprio in questo elemento può ritenersi che risieda la non lesività del diritto ad una tutela effettiva. In tal senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale[39] affermando come la preclusione della tutela giurisdizionale non lede i diritti costituzionali del ricorrente, perché in definitiva è riconducibile alla sua scelta di agire in via straordinaria secondo lo schema, sì, di un rimedio sostanzialmente giurisdizionale, ma avente innegabilmente una portata più ristretta rispetto al ricorso innanzi al giudice amministrativo, proprio in ragione della specificità dello stesso[40].
[1] Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2021, n. 6519/2018.
[2] Con la quale veniva comunicato a parte ricorrente, a seguito della rinuncia degli alloggi proposti (non avendo il ricorrente immediatamente sottoscritto la proposta di assegnazione), la ricollocazione in fondo alla graduatoria relativamente ai nuclei familiari aventi lo stesso numero di componenti.
[3] Con la citata ordinanza 6519/2021.
[4] I quali non hanno senza alcun dubbio carattere giurisdizionale dal momento che l’atto con cui si conclude la procedura è un provvedimento amministrativo (definito decisione amministrativa, in quanto recante la peculiarità di strumento di tutela di interessi qualificati) adottato, dunque, dalla stessa Amministrazione che ha in tal caso potere decisionale.
Secondo l’inquadramento dogmatico più autorevole (cfr. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Jovene, Napoli, 1989, 1055), infatti, i ricorsi amministrativi andrebbero ricondotti nel più ampio genus degli strumenti di autotutela, in particolare nella declinazione di autotutela decisoria a carattere contenzioso, quale espressione del pubblico potere attraverso il quale l’Amministrazione ha la capacità di decidere sui ricorsi presentati da parte di soggetti privati, volti a riformare o annullare una precedente decisione; tale è lo hiatus esistente tra i rimedi giustiziali ed il potere di autotutela in capo alla PA da aver indotto la dottrina a ricondurli alla categoria dell’autodichia. Salvo l’ipotesi del ricorso straordinario, non possono, quindi, essere del tutto sovrapposti ai rimedi giustiziali, sebbene la loro vicinanza con i rimedi di carattere giustiziale emerga osservandone l’evoluzione storica dal momento che per un certo periodo di tempo (fino all’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato) i ricorsi amministrativi hanno rappresentato l’unica vera forma di tutela per gli interessi legittimi.
[5] Ossia nel potere del sovrano di intervenire, in ultima istanza, al fine di giudicare sugli atti amministrativi.
[6] Quando, durante il Regno di Sardegna, esso fu disciplinato dalle Costituzioni Generali di Vittorio Amedeo II.
[7] In quest’ottica “l’ampia autonomia e discrezionalità riconosciute all’amministrazione erano considerate attribuzioni sue proprie, conseguenze necessarie del suo essere unico soggetto titolare del dovere e della responsabilità di provvedere alla cura dell’interesse pubblico. L’intervento del cittadino ricorrente, conseguentemente, finiva per rappresentare nulla più che un semplice apporto alla legalità dell’agire pubblico, nella misura in cui l’interesse individuale trovava una sua tutela solo se ed in quanto coincidente con l’interesse soggettivo dell’amministrazione” (M. Calabrò, Modelli di tutela non giurisdizionale: i ricorsi amministrativi, in www.iuspublicum.com).
[8] Con l’avvento, poi, della Costituzione ed il riconoscimento della pari dignità alla tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi agli artt. 24, 103 e 113, gli interpreti si orientarono nel riconoscere l’espressione di una netta preferenza per i rimedi giurisdizionali sancendo il declino del ruolo dei ricorsi amministrativi. Ciò non deve, tuttavia, condurre a ritenere i ricorsi amministrativi incompatibili con la Carta costituzionale, come affermato da Corte Cost. 1° febbraio 1964 n. 1 e Corte Cost., 3 aprile 1969, n. 60.
Tuttavia, deve ricordarsi che le rationes sottese al ricorso straordinario non si esauriscono unicamente nella tutela degli interessi legittimi, ma rispondono anche al principio di economicità dei mezzi giuridici, in quanto strumento meno oneroso rispetto al rimedio giurisdizionale, dal momento che il privato può difendersi anche senza la necessaria assistenza di un avvocato; pertanto non può ritenersi esaurita la sua utilità, pur avendo questo perso la sua caratteristica gratuità per effetto del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla l. 111/2011 che ha reso necessario anche in tal caso il pagamento del contributo unificato.
Malgrado la previsione dell’obbligo del contributo unificato per il ricorso straordinario l’utilità – anche se ridotta – permane. Questa è legata anzitutto al termine più lungo (rispetto al rimedio giurisdizionale ordinario), alla non necessità della difesa tecnica e, quindi, al minor costo sostanziale. L’utilità del rimedio in esame è data anche dall’assenza, in caso di rigetto, della condanna alle spese e dalla possibilità, in caso di accoglimento, di recupero del contributo unificato. Altra utilità è quella legata ai tempi della decisione: infatti, se si fa l’interpello e non ci sono particolari ritardi nell’istruttoria, i tempi – ad eccezione di alcune specifiche materie – possono essere più celeri di quelli normalmente occorrenti per il ricorso giurisdizionale in due gradi di giudizio. Del resto, l’utilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato è inequivocabilmente dimostrata dal suo crescente utilizzo: infatti, mentre nel quadriennio 2008-2011 sono pervenuti alle sezioni consultive del Consiglio di Stato circa 5.000 affari l’anno, nel 2013 si è registrata un’impennata a 13.700, evidentemente dovuta anche al maggior peso del contributo unificato per i ricorsi al TAR in alcune materie (si legga in tal senso P. Tanda, Le ricadute della sentenza n. 73/2014 della Corte Costituzionale sulla cd. giursdizionalizzazione del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in federalismi.it, n. 21/2014).
[9] Attualmente il principio rinviene la sua disciplina nell’art. 8 comma 2 d.P.R. n. 1199/1971.
[10] C. Volpe, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in www.giustizia-amministrativa.it.
[11] Diversità che emerge anche dal procedimento – del tutto differenziato rispetto al processo giurisdizionale amministrativo – articolato in tre fasi: una fase istruttoria di competenza di apparati ministeriali (il Ministero competente secondo la materia controversa, o la Presidenza del Consiglio dei ministri in mancanza di specifico collegamento della materia stessa con quella di attribuzione di un Ministero); una fase consultiva di competenza del Consiglio di Stato, cui i soggetti interessati possono partecipare presentando memorie e documenti, che si esprime oggi in un parere vincolante circa la decisione finale (un atto quindi a carattere decisorio); la decisione finale con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero competente per materia o del Presidente del Consiglio di ministri (artt. 8 ss., d.P.R. n. 1199/1971, art. 69, l. n. 69/2009). Quindi un procedimento che si svolge in ogni fase davanti ad organi amministrativi e non giurisdizionali, con limitato contraddittorio tra le parti (V. Cerulli Irelli, Amministrazione e giurisdizione, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc. 3, 1° giugno 2019, 1838).
[12] Cass. SSUU, 2 ottobre 1953, n. 3141; Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 1954, n. 724
[13] Come previsto dall’art. 12 d.P.R. n. 119/1971, ma anche ribadito da TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 30 settembre 2022, n. 2582 in cui si legge che “Per giurisprudenza consolidata, la decisione del ricorso straordinario al Capo dello Stato o al Presidente della Regione può essere impugnata per revocazione nei casi previsti dall'art. 395 c.p.c., nonché davanti al giudice amministrativo solo per i vizi formali e procedurali successivi al vincolante parere di rito del Consiglio di Stato. Tali limitazioni all'impugnativa della decisone sono opponibili solo al ricorrente e alle controparti del procedimento giustiziale, le quali non avendo chiesto la trasposizione alla sede giurisdizionale hanno così accettato tutte le peculiarità e conseguenze di tale procedimento”.
In particolare, la rinuncia del ricorrente straordinario successiva alla trasmissione del parere dell'organo consultivo, ma anteriore al decreto presidenziale, non può essere utilmente presentata e, ove prodotta, non può essere considerata e dispiegare i pretesi effetti estintivi.
L'espressione del parere obbligatorio esaurisce la fase decisionale del ricorso straordinario; la sua rivalutazione in sede giurisdizionale è inammissibile stante il principio di alternatività fra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale, che non consente che vengano rimesse in discussione questioni, di forma e/o di sostanza, afferenti gli atti ed i provvedimenti opposti in via straordinaria, onde evitare che l'impugnazione in sede giurisdizionale porti ad un riesame del medesimo giudizio espresso in sede consultiva, per effetto della sovrapposizione della decisione giurisdizionale a quella del ricorso straordinario”.
[14] Avallata dalla Corte di Giustizia già con sentenza del 16 ottobre 1997, cause riunite da C-69/96 a C-79/96. In quell’occasione la Corte, infatti, giunse ad ammettere la possibilità per il Consiglio di Stato, in sede di emissione del parere su ricorso straordinario, di effettuare il rinvio pregiudiziale. A tale conclusione la Corte di Giustizia pervenne sulla base della considerazione per cui anche in tale sede al Consiglio di Stato va riconosciuta la qualifica di “giurisdizione nazionale” ai sensi dell’art. 177 (ora 234) del Trattato CE. Sulla scia della sentenza della Corte di Giustizia si pose poi lo stesso Consiglio di Stato, sez. I, 19 maggio 1999, n. 850.
[15] Cass. SSUU, 18 dicembre 2001, n. 15978 in cui si legge che “requisito indefettibile dei procedimenti giurisdizionali, anche alla stregua di quanto stabilito dall’art. 111 Cost. così come riformulato dall’art. 1 legge cost. n. 2/1992 è che il procedimento si svolga dinanzi a un giudice terzo e imparziale. Nel caso di specie il procedimento ha invece protagonista un’autorità amministrativa che, come si è posto in evidenza, non è neppure vincolata in modo assoluto al parere espresso dal Consiglio di Stato, e può quindi risolvere la controversia secondo criteri diversi da quelli risultanti dalla pura e semplice applicazione delle norme di diritto, che rappresentano l’aspetto caratterizzante delle decisioni adottate in sede giudiziaria (art. 101 comma 2 cost.). […] Invero, la nozione di organo giurisdizionale rilevante ai fini dell’individuazione delle autorità legittimate a rimettere in via pregiudiziale all’esame della Corte di Giustizia questioni relative all’interpretazione del trattato va ricavata esclusivamente dalle norme del diritto comunitario, mentre nel caso di specie essa deve essere desunta dalle disposizioni di diritto interno. Tra le due nozioni non vi è, dunque, necessaria coincidenza”.
[16] Corte Cost. 28 luglio 2004, n. 254.
[17] Per Corte Cost., 13 novembre 2013, n. 265 tale facoltà sarebbe riconosciuta anche nei casi in cui il ricorso introduttivo sia stato notificato prima dell’intervento legislativo del 2009. Ad avviso della Corte, infatti, “in mancanza di diversa prescrizione essa risulta applicabile in ragione del principio tempus regit actum e purché la richiesta di parere del Consiglio di Stato sia stata inoltrata nella vigenza della precedente disciplina”.
[18] Come invece ha affermato la Corte di Cassazione, riconoscendo l’idoneità del decreto stesso a formare il giudicato e superando del tutto la natura amministrativa, precedentemente riconosciuta (Cass. SSUU., 19 dicembre 2012, n. 23464; 8 settembre 2013, n. 20659; 5 ottobre 2015, n. 19786). In tal senso fondamentale è anche la pronuncia delle SSUU, 28 gennaio 2011, n. 2065 che ha chiarito come le modifiche apportate dall’art. 69 sono tali da eliminare alcune determinanti differenze del procedimento per il ricorso straordinario rispetto a quello giurisdizionale, quali erano state rimarcate nella citata sentenza n. 15978/2001; l’eliminazione del potere della PA di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato confermerebbe che il provvedimento finale, che conclude il procedimento, è meramente dichiarativo di un giudizio, per cui che questo sia vincolante, se non trasforma il decreto presidenziale in atto giurisdizionale (in ragione della natura dell’organo emittente e della forma dell’atto), lo assimila a questo nei contenuti.
[19] È stato, tuttavia, autorevolmente rilevato che, se si optasse per la natura “sostanzialmente giurisdizionale” del rimedio in esame, il significato della opposizione dei controinteressati (e delle parti resistenti) non sarebbe più quello di scegliere tra un rimedio giurisdizionale e uno amministrativo, ma quello di scegliere tra due rimedi giurisdizionali (l’uno semplificato e l’altro ordinario), con una conseguente notevole limitazione dell’oggetto del consenso di tutte le parti: l’espressione “sostanzialmente giurisdizionale” da un lato lascerebbe intendere l’impossibilità di sostenere la tesi della natura effettivamente giurisdizionale, dall’altro lato introdurrebbe una distinzione tra giurisdizione in senso sostanziale e giurisdizione in senso formale, che è giustificabile in altri sistemi giuridici ma non nel nostro, in considerazione della disciplina costituzionale della funzione giurisdizionale (in tal senso F.G. Scoca, Osservazioni sulla natura del ricorso straordinario al Capo dello Stato; Cons. Stato, Ad. Plen., 5 giugno 2012, n. 18, in Foro it., 2012, III, 2378).
[20] In senso contrario, tuttavia, è stato escluso che possa essere significativo il fatto che la riforma del 2009 abbia reso vincolante il parere del Consiglio di Stato, in quanto la vincolatività di tale provvedimento non ne muterebbe la natura, che rimarrebbe amministrativa ed ancorata ad una funzione giustiziale: in questo senso deporrebbe anche la rubrica dell’art. 69 l. 69/2009. Così G. D’Angelo, La «giurisdizionalizzazione» del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: profili critici di un orientamento che non convince, in www.giustamm.it, 2013, 6, secondo cui semmai la vincolatività muta i termini del rapporto con il decreto del Presidente della Repubblica. Del resto, è stato evidenziato che nel procedimento del ricorso straordinario la natura decisoria è riconoscibile, con maggiore evidenza oggi in ragione del carattere vincolato, al parere del Consiglio di Stato, il quale avrebbe carattere formale di atto consultivo ma dal punto di vista sostanziale sarebbe caratterizzato dagli stessi contenuti di una decisione amministrativa (cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, 165).
[21] Non a caso il Consiglio di Stato ha natura di organo giurisdizionale anche quando esprime il proprio parere nell’ambito del ricorso straordinario al Capo dello Stato. In tal senso si leggano le pronunce di Cons. Giust. Amm. Sic., 21 marzo 2011, n. 242 e di Cons. Giust. Amm. Sic., 17 gennaio 2011, n. 30.
[22] P. Tanda, Le ricadute della sentenza n. 73/2014, cit., 14.
[23] Corte Cost., 26 marzo 2014, n. 73.
[24] Per una trattazione sistematica su come si concretizza il principio di effettività in relazione alle diverse tipologie di sentenze si rinvia a F. Francario, La sentenza: tipologia e ottemperanza nel processo amministrativo, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 4, 2016, 1025 ss.
[25] Ex art. 134 comma 1 lett. a) c.p.a.
[26] Del resto, quando il legislatore ha voluto limitare il potere del giudice dell’ottemperanza lo ha esplicitato, come è accaduto con il d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014, che espressamente prevede l’inapplicabilità dell’art. 114 comma 1 lett. a) e c) c.p.a. nei giudizi in cui sia parte il Csm.
[27] Parte della dottrina, esaltando il profilo esecutivo, ha ricondotto il modello a quella dell’esecuzione forzata civile; altra parte, invece, ponendo in risalto la peculiarità dell’attività esecutiva richiesta dalla sentenza di annullamento, ha osservato che il giudizio di ottemperanza è in primo luogo un processo di cognizione, realizzandosi in esso un completamento del contenuto della pronuncia di annullamento, vista la natura del giudicato amministrativo di un giudicato a “formazione progressiva”.
[28] Viene così risolta la questione definitoria della natura dell’ottemperanza che aveva alimentato il dibattito culminato nell’arresto delle SSUU, 24 dicembre 2009, n. 27348 che, sposando l’orientamento intermedio, ne avevano già ribadito natura mista e autonoma.
[29] Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3513 e Cons. Stato, Ad. Plen., 5 giugno 2012, n. 18. Il Consiglio di Stato ha poi utilizzato argomenti analoghi anche nelle Ad. Plen., 6 maggio 2013, n. 9 e n. 10 per ammettere esplicitamente il giudizio di ottemperanza per l’esecuzione della decisione del ricorso straordinario.
[30] Punto 15.2 della pronuncia in commento.
[31] Punto 15.4 della pronuncia in commento.
[32] Art. 8 d.P.R. n. 1199/1971.
[33] A poco è valso infatti il tentativo del TAR Sicilia, Catania, 28 marzo 2007, n. 623 di estendere il rimedio anche all’azione di accertamento sostenendo che la stessa “è proponibile in sede di ricorso straordinario anche se la materia rientri nella giurisdizione del giudice ordinario, purché la pretesa sostanziale inerisca ad un rapporto avente rilievo pubblicistico”. A smentire tale impostazione interviene sia l’art. 7 comma 8 c.p.a che Cons. Stato, sez. II, con parere del 12 giugno 2014, n. 2436 che ha confermato che “la decisione del ricorso straordinario è preordinata alla sola verifica della legittimità dell’atto impugnato e non può implicare l’accertamento di un determinato assetto del rapporto intercorrente tra le parti”.
[34] Il fulcro di detto contrasto giurisprudenziale, afferendo all’estensione delle forme di tutela disponibili sulla base del dato formale dello strumento di tutela attivato, pur a fronte della medesima situazione giuridica soggettiva (e, segnatamente, al riconoscimento della possibilità di accedere alla tutela esecutiva), ricorda, per certi versi, la tensione sottesa al concetto di Rechtsschutzbedürfnis nel pensiero di Schönke (cfr. P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff. Creazionismo giurisprudenziale e diritto al giudice amministrativo, Napoli, 2021, 107 ss.).
[35] Introdotto dall’art. 4 comma 2 l. n. 2248/1889 (l.a.c.). e permeante tutto il c.p.a. a partire dall’art. 1, oltre che di rilievo costituzionale ex art. 24 e sovranazionale ex art. 6 CEDU.
[36] Ai sensi dell’art. 3 comma 4 l. n. 205/2000.
[37] Non proponibile neanche questa, però, in sede di ricorso straordinario per le medesime ragioni esposte in tema di azione di accertamento.
[38] Al punto 16 della pronuncia in commento.
[39] Corte Cost., 2 luglio 1966, n. 78.
[40] Interessante, in tal senso, è anche la ricostruzione di taluni (P. Tanda, Le ricadute della sentenza n. 73/2014, cit., 9) del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica come un rito speciale in unico grado, fondato sull’accordo delle parti e destinato ad avere un ruolo di deflazionamento nel congestionato sistema di giustizia amministrativa.