Promozione dell’energia rinnovabile e tutela del patrimonio culturale: verso l’integrazione delle tutele (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167)
di Antonio Persico
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La vicenda contenziosa. – 3. Sul bilanciamento degli interessi primari. 4. – La violazione del principio di proporzionalità. 5. Lo sviluppo sostenibile attraverso l’ integrazione delle tutele. – 6. Conclusioni.
1. Introduzione.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 8167 del 23 settembre 2022, ha sindacato gli atti con cui il Ministero della Cultura ha imposto prescrizioni di tutela indiretta ai sensi dell’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio su aree nelle quali era già stata autorizzata la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonte eolica. Interessante osservare come la scelta discrezionale dell’amministrazione preposta alla tutela del patrimonio culturale sia stata censurata, da un lato, per il mancato superamento dell’ultimo gradino del test di proporzionalità, e dall’altro, per il mancato rispetto del principio di integrazione delle tutele, funzionale al perseguimento dello sviluppo sostenibile.
2. La vicenda contenziosa.
La società ricorrente in primo grado, nonché appellante incidentale, aveva ottenuto due autorizzazioni uniche ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, per la realizzazione di pale eoliche in due distinte località. Nelle conferenze di servizi tenutesi nell’ambito dei procedimenti autorizzativi, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise aveva espresso il proprio parere negativo alla realizzazione degli impianti, adducendo la presenza di beni culturali e paesaggistici in aree limitrofe e la necessità di scongiurare interferenze visive. Una volta rilasciate le autorizzazioni, la Soprintendenza avviava due distinti procedimenti di dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, i quali culminavano nella dichiarazione, da parte della Direzione ministeriale competente, dell’interesse culturale di due sistemi di croci votive e viarie, ai sensi degli artt. 10, commi 1 e 3, lettera a) e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004, con contestuale individuazione delle aree territoriali da assoggettare a tutela indiretta, ai sensi degli articoli 45, 46 e 47 del medesimo decreto. Sennonché, tra le aree sottoposte a tutela indiretta ricadevano anche quelle interessate dalla realizzazione degli impianti eolici autorizzati. In particolare, i provvedimenti del Ministero, in ragione dell’ «esigenza di evitare che siano alterate le condizioni di contesto ambientale e di decoro, nonché di prospettiva e visuale, delle croci votive e viarie sottoposte a tutela, oltre che di scongiurare rischi all’integrità di ciascuno dei manufatti», imponevano prescrizioni particolarmente stringenti, che proibivano «la trasformazione, sia a carattere permanente che temporaneo, dell’aspetto esteriore dei luoghi ricompresi nell’ambito del vincolo indiretto», nello specifico vietando «l’apertura di cave, la posa in opera di condotte per impianti industriali e civili, la realizzazione di palificazioni».
In prime cure, il TAR adito annullava i provvedimenti ministeriali, ritenendoli viziati per difetto di istruttoria e motivazione, in quanto fondati su una superficiale ricostruzione dell’interesse storico-culturale oggetto di tutela, in mancanza di un «preciso richiamo a contributi specialistici e studi capaci di dare obbiettiva e verificabile sostanza alle valutazioni proprie dell’Amministrazione»[1]. Di contro, in accoglimento dell’appello principale proposto dal Ministero, il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento ritiene immuni da censure le valutazioni tecnico-discrezionali dell’amministrazione preposta alla tutela del patrimonio culturale, la quale, in presenza di un apparato bibliografico ridotto, ha correttamente proceduto in modo diretto allo studio dei beni in questione. Sorge così l’interesse all’esame dell’appello incidentale, che si appunta, tra l’altro, sulle menzionate prescrizioni di tutela indiretta, censurandone l’abnorme sproporzione, indice di sviamento della funzione.
3. Sul bilanciamento degli interessi primari.
È innanzitutto meritevole di segnalazione la chiosa introduttiva al ragionamento condotto dalla Sesta Sezione circa l’illegittimità delle prescrizioni di tutela indiretta. Si tratta di una sorta di premessa logico-giuridica allo scrutinio di proporzionalità e all’applicazione del principio di integrazione, che chiarifica, alla luce dell’interpretazione costituzionale, tanto la valenza assiologica degli interessi in campo, quanto il rapporto tra i medesimi[2]. Orbene, il Consiglio di Stato prende atto che sia la tutela del patrimonio culturale sia quella dell’ambiente, in potenziale conflitto nelle fattispecie attenzionate, costituiscono valori primari dell’ordinamento. Tale qualificazione risulta coerente con la giurisprudenza costituzionale che da tempo ha affermato il carattere primario del valore estetico-culturale protetto dall’art. 9 Cost.[3], nonché la valenza primaria e assoluta del bene ambiente, ricavato dalla lettura sistematica degli articoli 9 e 32[4] ben prima della sua positivizzazione ad opera della riforma costituzionale del 2022[5].
Il punto cruciale, evidentemente, riguarda il confronto dei valori primari con altri diritti o interessi costituzionalmente protetti, nonché con gli altri valori primari protetti dalla Costituzione. Al riguardo, la pronuncia in commento riprende le asserzioni della nota sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013 sul caso ILVA, la quale a sua volta ha dato continuità a un orientamento giurisprudenziale risalente, quantomeno, alla sentenza n. 196/2004, in tema di condono edilizio.
Com’è noto, in una datata pronuncia, la Corte costituzionale aveva fatto discendere dal carattere di primarietà riconosciuta a determinati valori, l’insuscettibilità di subordinazione a ogni altro valore costituzionalmente tutelato[6]. Secondo una certa interpretazione di tale affermazione, la primarietà riconosciuta a un determinato valore costituzionalmente protetto implicherebbe un posizionamento gerarchico prioritario del medesimo, con necessaria e indefettibile prevalenza dello stesso su ogni altro valore sottordinato. In questo senso, l’insuscettibilità di subordinazione consisterebbe nella sottrazione ai bilanciamenti con interessi contrapposti cui è generalmente chiamato il legislatore ordinario. Un altro argomento a favore di una simile ricostruzione potrebbe peraltro provenire dall’impiego del termine “assoluto”, riferito anche di recente dalla giurisprudenza costituzionale a valori preminenti dell’ordinamento come quelli paesaggistici e ambientali[7]. L’etimologia latina dell’aggettivo (ab-solutus, sciolto da vincoli/legami) potrebbe condurre a ritenere che i valori in questione siano sottratti da ogni forma di confronto con gli altri interessi protetti dall’ordinamento, dovendo necessariamente e per l’intero prevalere su questi ultimi.
Tuttavia, la lettura gerarchica del rapporto tra valori costituzionalmente protetti è apparsa sin da subito troppo rigida, in quanto imporrebbe l’aprioristico e radicale sacrificio di altre esigenze costituzionalmente tutelate, in spregio al disegno pluralista tracciato dalla Costituzione repubblicana[8].
Inoltre, detta visione condurrebbe a una fatale impasse allorché a fronteggiarsi siano degli interessi primari, come appunto nella vicenda scrutinata dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, dove da un lato si stagliava l’interesse alla protezione del patrimonio culturale, dall’altro un blocco di interessi saldati tra loro e comprensivo dell’interesse alla salvaguardia dell’ambiente e alla promozione delle energie rinnovabili[9], oltre alle ragioni legate allo svolgimento di attività imprenditoriali (peraltro già autorizzate).
Invero, già nella sentenza n. 53 del 1991 la Corte ha riconosciuto piena cittadinanza a un «principio di gradualità nell'attuazione della tutela ambientale in ragione del complesso bilanciamento dei numerosi e contrastanti interessi in gioco», necessario a salvaguardare la continuità delle attività produttive dall’incremento degli oneri economici che deriverebbero dall’obbligo di utilizzare tecnologie non ancora disponibili sul mercato per minimizzare le emissioni inquinanti industriali. È tuttavia nella sentenza n. 196 del 2004 che i giudici della Consulta hanno chiarito espressamente le implicazioni dell’insuscettibilità dei valori primari di essere subordinati ad altri valori: la Corte costituzionale nel 2004 ha negato che l’affermazione della primarietà di un interesse implichi «un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali»; la conseguenza di un simile riferimento assiologico è piuttosto la necessità che gli interessi primari che assurgono a valori costituzionali siano «sempre […] presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni».
La sentenza n. 85/2013, richiamata dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, ha a sua volta chiarito, in linea di continuità con la sentenza n. 196 del 2004, che la qualificazione come “primari” di taluni valori «significa che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto». Inoltre, nel 2013, i giudici costituzionali hanno avuto modo di affermare in riferimento ai bilanciamenti involgenti suddetti valori, che spetta al legislatore trovare «il punto di equilibrio […] secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Celebre è infine il passaggio che afferma che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca, abbisognando di una tutela sistemica, pena «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette».
Ora, è da notare che diversamente dalla sentenza del 2004, la sentenza del 2013 si riferisce, nell’ultimo passaggio cennato, ai “diritti fondamentali” e dunque a posizioni giuridiche aventi carattere di diritto soggettivo, mentre per quanto concerne i valori primari, essa allude ai soli bilanciamenti cui è chiamato il legislatore ordinario, esigendo in ogni caso la salvaguardia del nucleo essenziale di ridetti valori. Quanto al primo aspetto segnalato, occorre tenere presente che la Corte costituzionale, con sentenza n. 58 del 2018, ha trasposto il ragionamento condotto dalla sentenza n. 85/2013 con riguardo ai diritti fondamentali al bilanciamento tra valori costituzionalmente protetti, ritenendo che possa definirsi ragionevole ed equilibrato suddetto bilanciamento allorché risponda «a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati».
Tornando alla pronuncia in commento, il Consiglio di Stato fa propri gli approdi della giurisprudenza costituzionale e li applica alle valutazioni discrezionali compiute dall’amministrazione. In tal senso afferma che « Così come per i ‘diritti’ (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli ‘interessi’ di rango costituzionale […] va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri». Data la necessaria integrazione reciproca di tutti gli interessi costituzionali, la pronuncia predica la necessità di una loro tutela sistemica, fermo restando che il carattere assiologico primario della tutela del patrimonio culturale e dell’ambiente implica che simili valori non siano interamente sacrificabili al cospetto di altri interessi e che i medesimi debbano necessariamente essere presi in considerazione nei complessi processi decisionali pubblici. Il Consiglio di Stato a sua volta aggiunge qualcosa rispetto alla sentenza n.85/2013, estendendo il ragionamento in quella sede condotto anche al bilanciamento tra interessi contrapposti cui è chiamata l’amministrazione. In tal senso si arricchisce la citazione alla sentenza n. 85/2013 con un inedito riferimento alle valutazioni che l’amministrazione deve compiere in sede procedimentale: «Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza». L’esigenza di trovare ragionevoli e proporzionati punti di equilibrio tra interessi costituzionali confliggenti si avverte peraltro «vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi».
Su una simile aggiunta, tuttavia, può risultare utile una puntualizzazione. Il Consiglio di Stato, pur senza esplicitarlo, sembra riferirsi all’esercizio della discrezionalità amministrativa, qual è quella che impiega l’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali e paesaggistici nel dettare le prescrizioni di tutela indiretta[10]. Più controverso è stabilire se la logica della necessaria considerazione e della salvaguardia del nucleo essenziale dei valori non assegnati alla cura principale dell’amministrazione vada seguita anche in caso di discrezionalità tecnica. Sul punto viene in rilievo l’orientamento giurisprudenziale che, evidenziando come nelle valutazioni tecnico-discrezionali non sia richiesto all’amministrazione un bilanciamento tra interessi contrapposti, ammette in esito all’esercizio della discrezionalità tecnica il sacrificio integrale degli interessi non direttamente curati dall’amministrazione, quand’anche essi fossero di rilievo assiologico primario[11]. Tuttavia, in senso contrario, la sentenza del TAR Molise, Sez. I, 27 ottobre 2022, n. 392[12], richiamando testualmente la pronuncia del Consiglio di Stato in commento, ha predicato per la Soprintendenza, in sede di rilascio del parere ai fini dell’autorizzazione paesaggistica, la necessità di effettuare, nel rispetto del principio dell’integrazione delle tutele (su cui si veda infra, par. 5), una valutazione tanto «del conflitto fra gli interessi contrapposti, di rilevanza costituzionale ed equiordinata, e da coordinare in base al metodo dell’integrazione», quanto «della possibilità di comporlo con accorgimenti idonei a realizzare il loro equo contemperamento sulla base dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza».
4. La violazione del principio di proporzionalità.
A questo punto, il Consiglio di Stato è pronto a effettuare lo scrutinio di proporzionalità sul bilanciamento di interessi condotto dall’amministrazione ministeriale. Appare netta, agli occhi della sezione, l’individuazione e differenziazione dei tre step di cui si compone il test di proporzionalità (idoneità, necessarietà, proporzionalità in senso stretto). Lo scrutinio infatti, segue il modello trifasico, proprio dell’elaborazione giurisprudenziale tedesca[13], così discostandosi la sentenza tanto dal filone di giurisprudenza amministrativa nazionale che limita lo scrutinio di proporzionalità a un sindacato di idoneità e necessarietà, quanto dal filone che tende a sovrapporre lo scrutinio di proporzionalità con quello di ragionevolezza[14].
Nel caso di specie, a risultare violato è «L’ultimo gradino del test di proporzionalità», il quale «implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile». La proporzionalità in senso stretto non risulta rispettata in quanto, tenuto conto dell’obiettivo perseguito dalla Soprintendenza – la tutela culturale delle croci votive, ovvero di beni visibili soltanto a pochi metri di distanza, e rispetto alla cui visione non può in alcun modo interferire l’eventuale realizzazione di altri manufatti lontani di centinaia di metri – il mezzo utilizzato appare eccessivo, determinando «il radicale svuotamento delle possibilità d’uso alternativo del territorio».
È, quella compiuta dalla Sesta Sezione, una scelta “coraggiosa” poiché, come segnala la dottrina, il sindacato sul terzo gradino della proporzionalità avvicina il sindacato di legalità a un controllo sostanzialmente di merito sull’azione amministrativa[15]. E tuttavia, pur sempre di un controllo di diritto si tratta, visto il carattere giuridico del principio di proporzionalità. La Sezione ritiene di procedere in questa direzione probabilmente per l’avvertita indifferibilità e urgenza della transizione ecologica: essa in tal senso richiama l’indirizzo politico europeo e quello nazionale, che si connotano per il sicuro favor verso la diffusione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Peraltro, a discapito dell’affermazione per cui il nucleo essenziale di un interesse primario debba essere sempre preservato, la sentenza in commento sembra confermare la possibilità per l’amministrazione di sacrificare del tutto un interesse anche primario sul versante assiologico. Nel ritenere la violazione del principio di proporzionalità, la Sesta Sezione precisa che «L’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone». Si tratta quindi, a giudizio del Consiglio di Stato, di un’evenienza del caso concreto, quella per cui non si debba avere il sacrificio integrale dell’interesse ambientale. Nulla esclude, anzi a contrario risulta confermato, che in diversa fattispecie l’interesse ambientale possa essere del tutto recessivo. Si ricorda a tal proposito che la sentenza n. 196/2004 della Corte costituzione, riferendosi (anche) alle decisioni cui sono chiamate le amministrazioni, si limitava a richiedere la necessaria considerazione degli interessi primari in sede di bilanciamento.
5. Lo sviluppo sostenibile attraverso l’integrazione delle tutele.
La pronuncia, come accennato, si segnala anche per il ricorso al principio dell’integrazione delle tutele. Si tratta di un principio recentemente invocato dalla dottrina a garanzia della migliore soddisfazione delle istanze di protezione ambientale[16], il quale però non ha sino a questo momento trovato emersione nelle decisioni del giudice amministrativo[17].
Tale principio è cristallizzato nell’art. 11 TFUE, il quale si riferisce alle politiche e azioni dell’Unione: nella definizione e attuazione di esse, è necessario integrare considerazioni connesse alle esigenze di tutela ambientale, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. Mutatis, mutandis, il Consiglio di Stato ritiene che il principio vada rispettato anche dalle amministrazioni nazionali, nello specifico nell’adozione delle decisioni volte a tutelare il patrimonio culturale.
Il principio dell’integrazione delle tutele può essere visto come declinazione operativa del principio di sviluppo sostenibile, altrove invocato dalla giurisprudenza senza chiarirne il contenuto e le implicazioni giuridiche[18]. Sviluppo sostenibile del quale la dottrina ha evidenziato l’indeterminatezza o vaghezza contenutistica, la debolezza logica e assiologica[19], ovvero il carattere non radicalmente innovativo rispetto agli altri principi ordinamentali[20]: in definitiva, l’inidoneità a fungere da parametro autonomo di legittimità dell’azione amministrativa.
Peraltro, la trasposizione interna del principio di sviluppo sostenibile, a opera dell’art. 3-quater del d.lgs. n. 152 del 2006, risulta alquanto problematica: a partire dai profili stilistici (mal si addice a un enunciato normativo la formula giustificativa con cui inizia il comma 3) passando a quelli contenutistici (il medesimo comma 3 richiede di individuare un equilibrato rapporto tra risorse da risparmiare e quelle da trasmettere, sennonché, le risorse risparmiate sono le stesse che verranno trasmesse alle generazioni future). Con specifico riguardo all’esercizio della discrezionalità amministrativa, il comma 2 dell’articolo 3-quater, prescrive: «nell'ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione»: una simile formulazione sembra riproporre il tema del bilanciamento tra interessi primari, senza tuttavia nulla aggiungere alle già ricordate implicazioni del carattere primario riconosciuto agli interessi in questione, anzi preannunciando una situazione di impasse allorché siano proprio gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale a fronteggiarsi. A sua volta il comma 1 prescrive che ogni attività umana debba conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, mentre il comma 4 precisa che la risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali debba essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane. Orbene, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, pur prendendo atto della “formulazione ellittica” dell’art. 3-quater, riconosce in detto articolo il recepimento sostanziale del principio d’integrazione delle tutele, nella specie violato dall’amministrazione preposta alla cura del patrimonio culturale.
Orbene, il principio di integrazione consente il perseguimento dello sviluppo sostenibile e ne costituisce declinazione operativa nella misura in cui fornisce una «direttiva di metodo», volta a orientare la discrezionalità della pubblica amministrazione, la quale deve abbandonare una visione totalizzante dell’interesse primario affidato alla sua cura ed evitare di assumere posizioni meramente oppositive. Ciò a maggior ragione quando altra amministrazione abbia autorizzato sulla medesima area una determinata utilizzazione del territorio, come nel caso di specie. Il tutto nella già ricordata prospettiva del bilanciamento degli interessi, alla ricerca di punti di equilibrio rispondenti a ragionevolezza e proporzionalità. Ne consegue che «La piena integrazione tra le varie discipline incidenti sull’uso del territorio, richiede di abbandonare il modello delle «tutele parallele» degli interessi differenziati, che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali». Risulta quindi valorizzata la funzione del procedimento, quale sedes materiae nella quale «devono contestualmente e dialetticamente avvenire le operazioni di comparazione, bilanciamento e gestione dei diversi interessi configgenti».
6. Conclusioni.
In conclusione, la pronuncia in commento ritiene illegittime le prescrizioni di tutela indiretta, in quanto apposte dall’Amministrazione dei beni culturali secondo un metodo incongruo rispetto all’esigenza di contemperamento degli interessi in gioco e teso surrettiziamente a “disapplicare” gli esiti della conferenza di servizi cui aveva preso parte la Soprintendenza, a danno dei soggetti che avevano già conseguito le autorizzazioni uniche da parte della Regione per la realizzazione degli impianti eolici. Ne deriva per l’amministrazione, in sede di riedizione del potere, la necessità di «ricercare non già il totale sacrificio dell’uso produttivo di energia pulita […], secondo una logica meramente inibitoria, bensì una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale».
Resta aperto il tema accennato in coda al par. 3, relativo alla portata del principio dell’integrazione delle tutele/sviluppo sostenibile. La giurisprudenza chiarirà se esso funga da parametro di legittimità delle sole decisioni discrezionali pure dell’amministrazione ovvero se, in maniera innovativa e dirompente, esso si applichi anche alle scelte tecnico-discrezionali (nelle quali tradizionalmente si ritiene non vi siano propriamente interessi da bilanciare in concreto), come sembra invece affermare il TAR Molise.
[1] TAR Molise, Sez. I, 10 agosto 2021, n. 300.
[2] Com’è noto, il tema del confronto dell’interesse alla promozione delle rinnovabili con altri interessi costituzionalmente protetti, tra cui quello alla tutela del patrimonio culturale, è di grande attualità. In dottrina, di recente, si veda A. DI CAGNO, La produzione di energia da fonte rinnovabile: tra interesse energetico, ambientale e paesaggistico, in Riv. Giur. Amb. Dir., n. 4/2022; G. SEVERINI, P. CARPENTIERI, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’articolo 9 della Costituzione, in Giustiziainsieme.it, 22 settembre 2021; G. MONTEDORO, Il ruolo di Governo e Parlamento nell’elaborazione e nell’attuazione del PNRR, in www.giustiziaamministrativa.it, 2021.
[3] Cfr., ex multis, Corte cost. sentenza n. 151/1986. Cfr. anche Corte cost. sentenza n. 269/1995, dove, in relazione all’istituto della prelazione storico-artistica si afferma che trattasi «di un regime che trova nell'art. 9 della Costituzione il suo fondamento e che si giustifica nella sua specificità in relazione al fine di salvaguardare beni cui sono connessi interessi primari per la vita culturale del paese. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali si veda P. CARPENTIERI, Paesaggio, ambiente e transizione ecologica, in Giustiziainsieme.it, 4 maggio 2021, in particolare nota 71.
[4] Per una ricognizione in open access della giurisprudenza che ha enucleato dal testo costituzionale il valore ambiente, si vedano S. GRASSI, Ambiente e Costituzione, in Riv. quad. dir. amb., n. 3/2017; P. CARPINETO, La Tutela dell’Ambiente nella Costituzione Italiana, in Anales de la Facultad de Derecho, vol. 33, 2016; M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come “diritto dell’ambiente”, in Federalismi.it, n. 25/2006.
[5] Sulla quale si veda L. CASSETTI, Riformare l’art. 41 Cost.: alla ricerca di “nuovi” equilibri tra iniziativa economica privata e ambiente?, in Federalismi.it, n. 4/2022; F. DE LEONARDIS, La riforma “bilancio” dell’art. 9 Cost. e la riforma “programma” dell’art. 41 Cost. nella legge costituzionale n. 1/2022: suggestioni a prima lettura, in Aperta Contrada, 28 febbraio 2022; G. MARCATAJO, La riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione e la valorizzazione dell’ambiente, in Riv. Giur. Amb. Dir., n. 2/2022; M. CECCHETTI, La revisione degli articoli 9 e 41 Cost. e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forumcostituzionale.it, n. 3/2021, G. SEVERINI, P. CARPENTIERI, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’articolo 9 della Costituzione, cit.
[6] Il riferimento è ancora a Corte cost. sentenza n. 151/1986.
[7] Si veda ad esempio Corte cost., sentenza n. 246/2017.
[8] Sul necessario e continuo confronto tra i plurimi valori tutelati dalla Costituzione si veda G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992
[9] La Corte costituzionale ha infatti ricavato dal sistema l’esistenza del principio, qualificato come fondamentale, di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile. Cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 46/2021, 86/2019, 177/2018, 13/2014.
[10] Al riguardo, la giurisprudenza ha di recente ribadito che l’apprezzamento relativo al grado di protezione da assicurare nelle aree di tutela indiretta in concreto è affidato al nucleo della discrezionalità amministrativa, e che, una volta accertati i fatti storici, che confermano l’esistenza di territori paesaggisticamente rilevanti per plurimi profili, la scelta delle misure idonee a prevenire alterazioni o interferenze del quadro di insieme tutelato spetta, invero, indeclinabilmente all’Autorità a ciò deputata per legge, e le relative valutazioni non sono sindacabili dal giudice se non manifestamente irragionevoli o sproporzionate rispetto alle esigenze di tutela del bene (TAR Molise, I, 20 luglio 2022, n. 264).
[11] Sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2015 n. 3652: «la discrezionalità tecnica, a differenza di quella amministrativa, si concentra su un unico interesse, nel caso quello paesaggistico, attraverso la verifica in fatto della sua configurazione e trasformazione nel caso concreto. Diversamente dalla discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica non può dar luogo ad alcuna forma di comparazione e valutazione eterogenea. Nell’esercizio della funzione di tutela spettante al MIBAC, l’interesse che va preso in considerazione è solo quello circa la tutela paesaggistica, il quale non può essere aprioristicamente sacrificato dal MIBAC stesso, nella formulazione del suo parere, in considerazione di altri interessi pubblici la cui cura esula dalle sue attribuzioni».
[12] Nella pronuncia si legge che «il Collegio reputa condivisibile e pienamente applicabile alla fattispecie in esame l’orientamento del Consiglio di Stato, VI Sezione, espresso dalla sentenza n. 8167/2022».
[13] D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità fra diritto nazionale e diritto europeo (e con uno sguardo anche al di là dei confini dell’Unione Europea), in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 6/2019; ID., Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1998.
[14] Cfr. D.U. GALETTA, I principi di proporzionalità e ragionevolezza, in M.A. SANDULLI (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, Giuffré Francis Lefebvre, Milano, III edizione, 2020.
[15] M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, VI edizione, 2021.
[16] M. CECCHETTI, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni Costituzionali, 3, 2021.
[17] Cfr. invece TAR Molise, Sez. I, 27 ottobre 2022, n. 392, che richiama la pronuncia in commento.
[18] Cfr. ad esempio TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 1 settembre 2022, n. 1376.
[19] Cfr. S. PEDRABISSI, Sviluppo sostenibile: l’evoluzione giuridica di un concetto mai definito, in Revista Ibérica do Direito, n.1/2020; E. SCOTTI, Poteri pubblici, sviluppo sostenibile ed economia circolare, in Il diritto dell’economia, n. 1/2019; G. MONTEDORO, Spunti per la «decostruzione» della nozione di sviluppo sostenibile e per una critica del diritto ambientale, in Amministrazione in cammino, 30 aprile 2009.
[20] Cfr. F. FRACCHIA, Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in Riv. quad. dir. amb., n. 0/2010.