Il processo amministrativo sulle controversie PNRR e le sue criticità
di Francesco Volpe
Sommario: 1. Scopo dell’indagine. – 2. Ambito oggettivo di applicazione dell’art. 3, d.l. 7 luglio 2022, n. 85. – 3. Applicabilità del nuovo rito anche quando sia occulta alle parti e al giudice l’esistenza di un finanziamento PNRR. – 4. La diversità di regime, secondo che sia stata introdotta o no un’istanza cautelare. – 5. La cessazione degli effetti della misura cautelare. - 6. La cessazione degli effetti della misura cautelare e i giudizi introdotti prima dell’entrata in vigore del d.l. 7 luglio 2022, n. 85. – 7. Ricadute sistematiche della cessazione degli effetti della misura cautelare sul processo cautelare in generale e sul processo di ottemperanza. – 8. La fissazione dell’udienza di merito e i termini a difesa delle parti. – 9. Una nuova parte necessaria nel processo amministrativo: l’amministrazione titolare dell’intervento PNRR. Aspetti problematici e profili contraddittori. – 10. La nuova parte necessaria e i giudizi già pendenti. – 11. Conclusioni.
1. Scopo dell’indagine
Per come vengono frequentemente utilizzati, i decreti-legge sono diventati una sorta di disegni di legge rafforzati del Governo, assunti in modo da ottenere una calendarizzazione sollecita da parte delle Camere e in modo da godere di una specie di efficacia cautelare preventivarispetto al momento della loro approvazione parlamentare, che è data dalla legge di conversione.
Come tutti i disegni di legge, quindi, anche il decreto-legge che sia impiegato con queste finalità (affatto distorte) si presta a essere oggetto di modifiche, in occasione della sua definitiva approvazione.
Per questo motivo, l’art. 3, d.l. 7 luglio 2022, n. 85 è forse destinato a assumere contenuti diversi da quelli attuali.
Il rilievo incoraggia a proporne un’esegesi, non fosse altro che per suggerire, a chi volesse tenerne conto, alcuni emendamenti che possano superare le difficoltà di regime che il testo attuale sembra suscitare.
2. Ambito oggettivo di applicazione dell’art. 3, d.l. 7 luglio 2022, n. 85
Detta disposizione introduce l’ennesimo rito speciale nel processo amministrativo.
In ragione della priorità che si vuole riconoscere alle controversie che interessano l’attuazione del PNRR, queste ultime vengono a godere di un giudizio accelerato, la cui disciplina, tuttavia, non si esaurisce nella mera applicazione degli artt. 119 e 120 cpa, connotandosi, invece, per ulteriori peculiarità.
È preliminare a ogni altra indagine definire i limiti oggettivi del nuovo rito.
Esso si riferisce ai giudizi (il testo del decreto, tuttavia, parla di “ricorsi”) che abbiano “ad oggetto qualsiasi procedura amministrativa che riguardi interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”.
Dalla formula emergono due profili di immediata evidenza.
Il primo profilo attiene all’ampiezza e, per così dire, anche a una sorta d’indeterminatezza dei casi in cui la nuova normativa si applica.
È verosimilmente erroneo sostenere che il nuovo rito si riferirebbe alle sole controversie che investano le procedure a evidenza pubblica o le procedure espropriative collegabili in modo diretto ai medesimi finanziamenti.
Se così fosse, sarebbe difficile comprendere perché la riforma riconduca tali liti sotto la disciplina dell’art. 119 cpa, dal momento che esse, almeno in gran parte, già vi rientrerebbero per quanto esplicitamente disposto da quest’ultimo articolo.
A sostegno della tesi secondo la quale gli interventi, a cui si riferisce l’art. 3 in commento, non si limiterebbero ai procedimenti di realizzazione di opere pubbliche militano, peraltro, anche alcuni argomenti testuali.
Vi è, innanzi tutto, il comma 8 del medesimo art. 3, il quale (nel riferirsi alle liti instaurate prima dell’entrata in vigore del decreto-legge) precisa che esse riguardano “opere e interventi”, a dimostrazione del fatto che la norma prende in considerazione interventi che non consistono in opere.
Inoltre, l’art. 3 - nel riformare l’art. 48, comma 4, d.l. 31 maggio 2021, n. 77, e applicando alle relative controversie il regime dell’art. 125 cpa - contrappone ancora una volta le impugnazioni “degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui al comma 1 e nei giudizi che riguardano le procedure di progettazione, autorizzazione, approvazione e realizzazione delle opere finanziate in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e relative attività di espropriazione, occupazione e di asservimento” a quelle relative a “qualsiasi procedura amministrativa che riguardi interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”.
Se ne ricava, così, la volontà di ricondurre al nuovo rito tutti i procedimenti che siano in qualsiasi modo collegati con i finanziamenti del Piano nazionale; questo a valere tanto per il caso in cui il collegamento sia diretto, tanto per il caso in cui esso sia solo indiretto[1].
Concepito in un modo a tal punto esteso l’ambito di riferimento dell’art. 3, va rammentato, d’altra parte, che gli interventi del PNRR, nel complesso delle loro sei missioni, spaziano dall’ambiente, all’energia, all’istruzione, scolastica e universitaria, all’agricoltura, alla logistica e all’innovazione digitale, con la conseguenza che i medesimi finanziamenti possono essere il presupposto di una congerie altrettanto vasta di provvedimenti amministrativi (per lo più con funzioni di controllosull’attività economica dei privati) dipendenti da quello in cui è stato deciso il finanziamento stesso, i quali, allo stato, sono difficilmente individuabili, pur potendo essere suscettibili di sussunzione nella nuova previsione normativa.
Non si può escludere, perciò, che nel rito riformato debba ricadere, ad esempio, l’impugnazione degli esiti di un concorso universitario, se il posto a ruolo fosse in tal modo finanziato o che (sempre esemplificativamente) vi possa rientrare l’impugnazione da parte del terzo di un titolo edilizio o ambientale rilasciato a chi, per realizzare un impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, abbia ottenuto un preventivo e analogo finanziamento, ancorché sulla scorta di una serie procedimentale distinta e indipendente.
Più in generale (se è consentita l’enfasi), quasi ogni attività amministrativa, in questo momento storico, “è PNRR”, Perciò, quasi ogni attività amministrativa è anche astrattamente riconducibile all’art. 3, d.l. 7 luglio 2022, n. 85, così da esporsi a un regime processuale che, per quel che si cercherà di esporre, non è privo di criticità.
3. Applicabilità del nuovo rito anche quando sia occulta alle parti e al giudice l’esistenza di un finanziamento PNRR
Un secondo profilo, che si ritiene di evidenziare in via preliminare, attiene al carattere oggettivo del collegamento della lite con i finanziamenti del PNRR, affinché il rito speciale si debba applicare.
Ciò significa che il nuovo rito è destinato ad imporsi indipendentemente dalla conoscenza (in capo a chi proponga il ricorso o, in tesi, anche in chi lo subisca) dell’esistenza del finanziamento.
Questo sembra evincersi dalla locuzione “qualora risulti anche sulla base di quanto rappresentato dalle amministrazioni o dalle altre parti del giudizio” contenuta nel citato art. 3 ai fini della sua stessa applicazione. Quell’“anche” allude all’ipotesi in cui l’esistenza del finanziamento non emerga dall’attività delle parti essendo, invece, oggetto di investigazione diretta del giudice, il quale, a tal fine, può dunque utilizzare gli strumenti istruttori d’ufficio che gli competono in forza degli artt. 63 ss. cpa.
Da questi rilievi deriva che l’applicabilità del nuovo rito alla specifica controversia potrebbe essere occulta, perché occulto potrebbe essere lo stesso finanziamento, in quanto erogato in seno a un procedimento amministrativo presupposto di cui le parti (ivi compresa la stessa amministrazione resistente) potrebbero non avere nessuna precisa contezza.
Salvo, poi, doversi ammettere che la medesima applicabilità potrebbe emergere nel corso del giudizio, causando – lo si nota incidentalmente - potenziali criticità per il caso in cui, in modo incolpevole[2], non sia stata rispettata la dimidiazione dei termini successivi a quelli di notificazione del ricorso, dei motivi aggiunti o dell’incidentale[3].
In sintesi, si è di fronte a una nuova forma di processo il cui ambito di applicazione è potenzialmente imponente, incerto e, in concreto, persino ignoto alle parti e al giudice stesso della concreta lite controversa, pur essendo comunque in grado di incidere sul regime degli atti processuali.
Questo aspetto della riforma in commento non può non destare perplessità, le quali sembrano accresciute per il fatto che l’incremento in termini assoluti del numero dei riti accelerati si riflette, in modo negativo, sulla stessa efficacia dell’iniziativa assunta.
È evidente, infatti, che quanto maggiore è il contenzioso ricondotto alle varie forme di abbreviazione del processo, tanto minori sono le possibilità di attuare, in concreto, un’effettiva accelerazione della definizione delle liti, perché se tutto è più celere, nulla è più celere.
Il tutto va valutato, anche non volendo considerare il preliminare rilievo per cui, in generale, l’intensificazione dei riti accelerati conduce, indirettamente, a relegare le residue cause ordinarie(che pur sempre godono di una loro dignità) a una sorta di binario morto e a spingerle verso una probabile perenzione ultraquinquennale, con conclusivo e sostanziale diniego di giustizia.
4. La diversità di regime, secondo che sia stata introdotta o no un’istanza cautelare
Le problematicità che derivano dalla nuova disposizione non si limitano a quanto sinora illustrato.
Ferma restando la dimidiazione dei termini (che è indipendente da ogni attività delle parti e applicabile a tutte le controversie del PNRR), alcune peculiarità del nuovo rito acquistano rilievo solo per l’ipotesi in cui il ricorrente abbia chiesto e ottenuto un provvedimento cautelare.
Altre peculiarità, più limitate, si applicano, invece, anche quando tale provvedimento non sia stato reso.
A ben vedere, pertanto, i riti speciali introdotti con l’art. 3 in esame sono due, secondo che sia stata rilasciata o no la misura interinale.
L’art. 3, cit., stabilisce, infatti, che solo in caso di accoglimento dell’istanza cautelare, “il tribunale amministrativo regionale, con la medesima ordinanza, fissa la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza”.
Viceversa, nel caso in cui un’istanza cautelare non sia stata proposta o, nel caso in cui l’istanza cautelare, pur proposta, non sia stata concessa, non vi è dovere, in capo al giudice, di fissare l’udienza di merito, ma il processo è sottoposto comunque a una disciplina speciale che si esprime, soprattutto, nella previsione della partecipazione al contraddittorio di un nuovo tipo di parte necessaria, identificata nell’“amministrazione titolare dell’intervento PNRR”.
Viene così a delinearsi un regime mutevole in ragione dell’impulso della parte ricorrente (alla quale spetta la decisione di presentare o no l’istanza cautelare), che desta qualche perplessità, ma che, soprattutto, sembra incoerente con la finalità di favorire una definizione accelerata delle controversie PNRR.
A tal riguardo, è sufficiente che il ricorrente (o l’appellante) ometta di presentare la domanda cautelare, affinché il giudizio segua le modalità di svolgimento dell’art. 119 cpa (fatte salve la peculiarità a cui si è accennato, relativa alla nuova parte necessaria), con nessuna garanzia di una sua sollecita conclusione[4].
5. La cessazione degli effetti della misura cautelare
In ogni caso, prendendo innanzitutto in esame la prima delle due eventualità ora tratteggiate, si deve aggiungere, a completare il quadro normativo, che particolari disposizioni contenute nell’art. 3 regolano l’ipotesi in cui il provvedimento reso ex art. 55 cpa sia rilasciato a seguito di appello cautelare[5], nonché l’ipotesi in cui la misura cautelare sia stata assunta in cause già pendenti al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge.
In ispecie, anche per detta ultima ipotesi al giudice spetta di fissare la trattazione della lite nel merito entro il medesimo termine di cui si è fatto cenno (comma 8).
Oltre alla descrizione di un regime di valutazione del periculum in mora che - similmente a quanto già previsto per altri casi già noti[6], presuppone una comparazione degli interessi in gioco (secondo il comma 2 dell’art. 3 cit., “nella decisione cautelare e nel provvedimento di fissazione dell'udienza di merito, il giudice motiva espressamente sulla compatibilità della misura e della data dell'udienza con il rispetto dei termini previsti dal PNRR”) - è soprattutto rimarchevole il fatto che, per il caso in cui la discussione del merito non venga fissata dal giudice entro la prima data di udienza successiva al suddetto termine di trenta giorni, il provvedimento cautelare sia destinato a perdere automaticamente efficacia.
Il testo del decreto-legge riecheggia, così, l’art. 120, comma 8-bis cpa, il quale, per il rito sugli appalti, stabilisce che “il collegio, quando dispone le misure cautelari di cui al comma 4 dell'articolo 119, ne può subordinare l’efficacia, anche qualora dalla decisione non derivino effetti irreversibili, alla prestazione, anche mediante fideiussione, di una cauzione di importo commisurato al valore dell’appalto e comunque non superiore allo 0,5 per cento del suddetto valore. Tali misure sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 119”.
Rispetto a quella più antica disposizione, l’art. 3 si distingue per l’automatismo della cessazione degli effetti, con il verificarsi della descritta condizione risolutiva, laddove, nella disciplina dell’art. 120, comma 8- bis, cpa, è compito del giudice cautelare stabilire il termine finale di efficacia dell’ordinanza, sia pure entro il limite massimo indicato dalla legge.
Si coglie altresì una certa assonanza con quanto statuito dall’art. 61 cpa per le misure cautelari monocratiche rese ante causam, le quali sono parimenti destinate a cessare i propri effetti, nel caso in cui entro quindici giorni dalla loro emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni, ovvero nel caso in cui, entro sessanta giorni dalla loro pronuncia, dette misure non siano state sottoposte all’esame del Collegio per l’eventuale conferma.
Mentre, tuttavia, la cessazione automatica dei provvedimenti cautelari, assunti sulla base dell’art. 61 cpa, è fatto che deriva, quasi esclusivamente, dall’inerzia di chi le abbia richieste e ottenute (cosicché l’istante non avrebbe nessuna ragione di dolersene), la cessazione degli effetti delle misure cautelari rese in forza dell’art. 3, d.l. 7 luglio 2022, n. 85, è fatto imputabile solo al giudice che non abbia fissato l’udienza di merito entro il termine prescritto e non è in alcun modo imputabile alla parte.
E poiché, fatti salvi casi molto particolari, è difficile comprendere il motivo per il quale il giudice intenderebbe limitare indirettamente (astenendosi dal fissare con tempestività l’udienza)[7] l’efficacia dei propri provvedimenti cautelari entro un termine così breve, vi è da interrogarsi sulla ragionevolezza della previsione.
Tanto più tali perplessità sussistono, perché la medesima previsione presuppone, nei destinatari dell’ordinanza, la conoscenza di taluni documenti i quali costituiscono una sorta di acta interna corporis in quanto essi sono conosciuti solo dall’organizzazione dell’ufficio giudiziario e, al più, da chi lo frequenta, ma che, non necessariamente, sono noti all’esterno, pur essendo in grado d’incidere in modo diretto sul perdurare dell’efficacia del provvedimento cautelare e, quindi, sulla regolamentazione della fattispecie sostanziale dedotta in giudizio.
Ci si riferisce, in ispecie, alla conoscenza del calendario delle udienze pubbliche stabilito da ogni sede giudiziaria, giacché è solo sulla base di detto documento che è possibile individuare la “prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza” a cui si riferisce l’art. 3, primo comma.
Questo calendario potrebbe non essere noto all’Amministrazione resistente o ai controinteressati, specie ove questi non fossero costituiti in giudizio e non fossero assistiti da un difensore tecnico che li possa informare[8].
6. La cessazione degli effetti della misura cautelare e i giudizi introdotti prima dell’entrata in vigore del d.l. 7 luglio 2022, n. 85
I rilievi critici sul rito cautelare introdotto dall’art. 3 si aggravano ove si consideri la sorte dei provvedimenti cautelari rilasciati in quei giudizi lambiti dal PNRR che siano già pendenti[9].
Non pare che sussistano dubbi, invero, sull’estensione del regime di cessazione automatica dell’efficacia anche ai provvedimenti cautelari pronunciati prima dell’entrata in vigore del decreto-legge.
L’art. 3, comma 8, prevede, infatti, che “in tale ipotesi si applicano le ulteriori disposizioni contenute nel presente articolo” e tra queste si annovera proprio quella che stabilisce la cessazione degli effetti delle misure cautelari di cui si è sin qui trattato[10].
Viene così in rilievo un problema di grave incertezza del diritto, stante il fatto che, quando quei provvedimenti cautelari sono stati rilasciati, essi non erano sottoposti ad alcuna condizione risolutiva, cosicché le parti erano giustificate nel ritenerli pienamente operativi, essendo stata solo la sopravvenuta, generale e astratta volontà del legislatore d’urgenza a stabilire la caducazione degli effetti.
In questi casi, sussiste, per di più, un’ulteriore incertezza relativa al dies a quo del termine, la cui decorrenza (insieme all’eventuale mancata fissazione dell’udienza di merito) concorre a costruire la condizione risolutiva stessa, atteso che lo stesso art. 3, comma 8, stabilisce che “l'udienza per la discussione del merito è anticipata d'ufficio entro il termine del comma 1”[11] e quindi decorso il termine di trenta giorni “dalla data di deposito dell'ordinanza”.
Se tale deposito fosse, dunque, avvenuto prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, la condizione potrebbe essersi già avverata nel momento stesso della sopravvenienza della nuova fonte, nel caso in cui il termine di trenta giorni fosse già integralmente spirato e fossero già state tenute udienze di merito successive alla sua scadenza.
In modo solo apparentemente meno grave, con l’entrata in vigore del decreto-legge il termine potrebbe risultare essere ampiamente consumato, sì da comprimere i poteri di difesa delle parti ai fini della produzione di documenti e memorie in vista dell’udienza di trattazione.
Un’interpretazione alternativa a quella ora proposta potrebbe essere quella di sostenere che il termine debba decorrere, per i provvedimenti cautelari anteatti, non già dal loro deposito, ma proprio dal giorno di entrata in vigore del decreto-legge stesso[12].
Detta ricostruzione consentirebbe, in effetti, di superare, almeno in parte, i problemi a cui si è accennato.
Essa si porrebbe, tuttavia, in contrasto con la lettera della fonte normativa; da qui deriva la difficoltà di seguirla.
Infine, sempre con riguardo alle misure cautelari precedenti al d.l. 7 luglio 2022, n. 85, si pone il non secondario problema, per il giudice, d’individuare le loro puntuali ricorrenze e d’identificare le specifiche controversie del PNRR in cui i provvedimenti cautelari siano stati pronunciati.
Anche a tale riguardo, vanno ripetute le osservazioni già esposte circa la possibilità che queste liti PNRR siano occulte, quando non sia palese l’esistenza del relativo finanziamento (pur restando ferma l’oggettiva applicabilità dell’art. 3 in esame).
Emerge così l’eventualità, nel caso in cui alcune delle relative liti dovessero sfuggire all’indagine del Tribunale, che i provvedimenti cautelari assunti abbiano perso i propri effetti nella piena inconsapevolezza delle parti.
Il risultato complessivo del nuovo regime dimostra, in definitiva, l’insorgenza di gravi fenomeni di incertezza del diritto che la nuova disciplina sembra suscitare sia con riferimento al processo, sia con riferimento al modo con cui la fattispecie sostanziale dedotta in giudizio è interinalmente regolata dai provvedimenti cautelari del giudice.
7. Ricadute sistematiche della cessazione degli effetti della misura cautelare sul processo cautelare in generale e sul processo di ottemperanza
La cessazione degli effetti dell’ordinanza cautelare, insieme al dovere (per il giudice) di fissare l’udienza entro il termine già illustrato, comporta alcune conseguenze anche sullo stesso impianto generale del giudizio cautelare e su quello di ottemperanza.
Quanto al primo, deve ritenersi che, per quanto attiene alle controversie del PNRR, l’art. 55, comma 10, cpa (il quale consente al giudice, in accoglimento di una conforme istanza cautelare, di fissare la data della discussione del ricorso nel merito, ove egli ritenga che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio), sia stato implicitamente riformato in deroga.
Una tale soluzione del processo cautelare sembra, infatti, incompatibile con l’art. 3 ora in esame, salvo che non si ritenga – e la soluzione pare plausibile – che, vertendosi in una lite del tipo qui considerato, il giudice, in applicazione del medesimo art. 55, comma 10, possa pur sempre accogliere l’istanza cautelare limitandosi a fissare l’udienza di merito, con l’avvertenza che, in tal caso, egli debba rispettare il termine indicato dallo stesso art. 3[13].
Per quanto attiene, invece, ai rapporti con il giudizio di ottemperanza, sembra significativo il punto in cui l’art. 3 statuisce che, con la cessazione degli effetti dell’ordinanza cautelare, vengano meno anche gli effetti conformativi, volti “a determinare un nuovo esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione”.
In realtà, si deve ritenere che tali effetti, nelle controversie a cui si riferisce l’art. 3, siano inesistenti fin dall’inizio, giacché risulta impossibile obbligare l’Amministrazione a rideterminarsi prima che la lite venga trattata nel merito.
Sulla base dell’art. 87, comma 3, cpa, infatti, l’udienza per la discussione del giudizio di ottemperanza, a tal fine introdotto, non potrebbe essere fissata prima che siano decorsi trenta giorni dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate e quindi prima di sessanta giorni dalla notificazione del relativo ricorso (vigendo il principio della dimidiazione dei termini anche nei riti in Camera di consiglio), sì da superare il termine di trenta giorni indicato dall’art. 3.
Quando, infine, la lite che avesse originato il provvedimento cautelare fosse decisa nel merito, il medesimo provvedimento cautelare risulterebbe, eventualmente, assorbito dalla sentenza e sarebbe questa, e non già l’ordinanza cautelare, a produrre gli effetti conformativi.
8. La fissazione dell’udienza di merito e i termini a difesa delle parti
Sempre con riguardo al regime della fase cautelare, va segnalato un altro profilo di potenziale incertezza relativo agli oneri defensionali da cui sono gravate le parti, in vista dell’udienza di trattazione nel merito della lite.
L’art. 3, cit., stabilisce che la discussione della causa debba essere celebrata non oltre la prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell’udienza cautelare.
Ciò comporta che la data di discussione potrebbe[14] essere fissata senza che sia stato rispettato il termine a ritroso di sessanta giorni previsto dall’art. 71, comma 5, cpa, così che neppure si possano rispettare gli ulteriori termini indicati dall’art. 73 dello stesso codice per il deposito dei documenti e delle memorie.
D’altra parte, dall’art. 3 in commento non si ricava entro quali termini le parti siano chiamate a svolgere tali adempimenti nel nuovo rito.
Il problema, tuttavia è, in questo caso, solo apparente.
Poiché si ricade in controversie per le quali vige la dimidiazione dei termini, è ragionevole sostenere che anche il termine di sessanta giorni dell’art. 71 cpa debba considerarsi ridotto a trenta. E poiché l’art. 3, per sua definizione, prevede che l’udienza debba essere fissata oltre la scadenza di trenta giorni dal deposito (e quindi dalla contestuale comunicazione) dell’ordinanza cautelare, il suddetto termine dimidiato, quale si desume dal combinato disposto degli artt. 119 e 71 cpa, deve ritenersi necessariamente rispettato.
Conseguentemente vanno adeguati, secondo i consueti principi della dimidiazione, anche i termini a difesa indicati dall’art. 73 cpa.
9. Una nuova parte necessaria nel processo amministrativo: l’amministrazione titolare dell’intervento PNRR. Aspetti problematici e profili contraddittori
Vi è, infine, un ultimo profilo che emerge dalla nuova disciplina processuale e che, pure, merita di essere analizzato.
Si allude alla previsione secondo la quale sono parti necessarie di tutte le controversie del PNRR (siano stati richiesti o no i provvedimenti cautelari) le “amministrazioni centrali titolari degli interventi previsti nel PNRR, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera l), del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108”[15].
Anche a voler trascurare la difficoltà d’individuare quali siano, nel caso concreto, siffatte amministrazioni[16] e dato per ragionevole che per tali debbano intendersi tutte le amministrazioni che, a qualunque titolo, partecipino all’intervento del PNRR a cui si riferisce l’impugnazione (e non solo una di esse), l’inquadramento sistematico di queste nuove figure è incerto e verosimilmente porta all’introduzione di un nuovo tipo di parte processuale, che si affianca a quelle tradizionali e già note.
Le amministrazioni titolari dell’intervento, infatti, non possono coincidere né con l’amministrazione resistente né con i controinteressati sostanziali, atteso che, se così fosse, la loro partecipazione al contraddittorio sarebbe necessaria già di per sé, sulla base delle regole generali del processo amministrativo[17].
Ma è difficile ipotizzare, anche, che tali amministrazioni rivestano il ruolo di una sorta di controinteressati indiretti (i quali non sono parti necessarie, perché privi di un interesse diretto personale e attuale a contestare l’accoglimento del ricorso), investiti di una sorta di legittimazione straordinaria a contraddire.
La funzione di queste ulteriori parti necessarie, invero, non è precisata dall’art. 3, cit.
Sebbene il nuovo rito miri a “consentire il rispetto dei termini previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”, detta finalità non può, tuttavia, essere l’unica a cui debbono sovrintendere le amministrazioni titolari degli interventi.
Le stesse - si reputa - non possono non essere incaricate di curare, oltre alla sollecita realizzazione degli interventi del Piano, anche la migliore destinazione dei finanziamenti, a meno che non si voglia accettare il principio per cui quegli interventi debbano comunque progredire, quali essi siano e in qualunque modo siano attuati.
Pertanto, nulla esclude che le nuove parti necessarie partecipino al giudizio non solo al fine di contestare l’accoglimento del ricorso, ma, in tesi, anche al fine di promuoverne l’accoglimento, per il caso in cui il provvedimento impugnato, in quanto illegittimo, comporti un cattivo utilizzo delle risorse pubbliche.
Se su questo si conviene, ne segue che le nuove parti necessarie sembrano svolgere un ruolo simile a quello di una sorta di promotore dell’interesse pubblico, per certi (molto imprecisi) aspetti accostabile a una specie di pubblico ministero, con ricadute (lo si nota incidentalmente) forse impreviste e forse anche indesiderate verso una concezione oggettivistica del processo amministrativo.
Non sarà necessario investigare ulteriormente su quale sia l’utilità effettiva di tali nuove parti e su quale sia il concreto apporto che le medesime possano aggiungere al contraddittorio, perché dette questioni attengono al merito delle valutazioni operate dal legislatore d’urgenza.
Preme, tuttavia, illustrare le difficoltà che la loro presenza nel processo reca, proprio con riguardo al fine di favorire una sollecita realizzazione degli interventi del PNRR.
Soprattutto nell’ipotesi in cui l’esistenza del finanziamento PNRR sia occulto alle parti ordinarie del giudizio (oltre che al giudice) e nell’ipotesi in cui il finanziamento sia sopravvenuto in corso di causa, l’eventuale mancata intimazione di queste nuove parti necessarie è causa di appellabilità, per l’incompletezza del contraddittorio, della sentenza di primo grado, con conseguente rinvio al giudice di prime cure, secondo quanto previsto dall’art. 105 cpa.
Non diversamente, è sostenibile che, in forza di quanto stabilito dall’art. 108 cpa, le medesime parti siano legittimate a proporre opposizione di terzo ordinaria contro la sentenza, sia di primo che di secondo grado, pronunciata senza la loro partecipazione al giudizio[18].
La partecipazione di dette amministrazioni al giudizio si rivela essere, così, incoerente con le stesse finalità di raggiungere una celere definizione delle controversie, perché essa si presta a lungaggini (la cui necessità non era sin qui avvertita) e a ripetizioni, forse non indispensabili, di alcuni gradi del giudizio.
10. La nuova parte necessaria e i giudizi già pendenti
Né si possono trascurare i problemi minori che queste nuove parti necessarie recano.
Non è del tutto certo, in particolare, se le amministrazioni titolari degli interventi siano chiamate a partecipare anche ai giudizi che, pur astrattamente rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 3, siano stati, tuttavia, introdotti prima dell’entrata in vigore del decreto.
A seguire l’argomento letterale, le amministrazioni titolari degli interventi dovrebbero essere intimate solo nell’ipotesi in cui, nelle liti anteatte, sia stata chiesta e ottenuta una misura cautelare, perché solo per tale eventualità l’art. 3, u.c., stabilisce che “si applicano le ulteriori disposizioni contenute nel presente articolo”[19].
Ma questa è una conclusione che, per altri versi, si rivela insoddisfacente sotto il profilo sistematico, giacché essa introduce una diversità di regime processuale – su uno degli aspetti fondamentali della lite, qual è quello della completezza del contraddittorio – che è conseguenza di un fatto accidentale (qual è dato dalla emanazione di un provvedimento cautelare) e che soprattutto dipende dall’impulso del ricorrente, al quale non può, neppure indirettamente, riferirsi il potere di stabilire in che modo il contraddittorio debba ritenersi integrato[20].
Ancora più problematica, infine, è l’ipotesi in cui una lite del PNRR, pur essendo stata definita in primo grado prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, pervenga in appello solo dopo tale data.
In tale caso, non sembrano sussistere dubbi sul fatto che le nuove parti necessarie debbano essere chiamate a integrare il contraddittorio nel giudizio d’appello, perché l’art. 3 in esame (comma 6) stabilisce che “le disposizioni del presente articolo si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo” e perché, secondo il principio tempus regit actum, l’impugnazione segue il regime vigente al momento della sua celebrazione.
Un’integrazione del contraddittorio operata solo in secondo grado, tuttavia, priverebbe le nuove parti necessarie di un grado di giudizio e porterebbe, probabilmente, il giudice dell’appello ad annullare d’ufficio[21] la sentenza impugnata con rinvio al giudice di primo grado, sì da provocare una dispersione dei tempi processuali nonché la vanificazione delle finalità acceleratorie a cui l’art. 3 si è ispirato.
11. Conclusioni
Si possono a questo punto trarre le conclusioni dell’indagine sull’art. 3, d.l. 7 luglio 2022, n. 85.
Chi scrive ritiene che si sia di fronte a una disposizione indeterminata nel suo ambito di applicazione, asistematica nel suo impianto e foriera di gravi problematicità.
Né si può sottacere che, sullo sfondo, essa sembra manifestare una complessiva inclinazione a comprimere o, quanto meno, a limitare l’effettività delle tutele[22], a vantaggio di una accelerazione del rito che non è neppure certo che si riesca a raggiungere.
L’opportunità di assicurare una sollecita attuazione degli interventi previsti dal PNRR non può, dunque, essere portata a giustificazione di riforme processuali che non solo sembrano di dubbia compatibilità con lo Stato di diritto, ma che, per di più, rischiano di compromettere il raggiungimento stesso degli obiettivi proposti.
Si auspica, perciò, che il testo della riforma venga rivisitato e che, soprattutto, esso non funga da modello per ulteriori, e più ampi, interventi di riforma del processo amministrativo.
[1] Sembra aderire a questa impostazione T.A.R. Lazio, II, 15 luglio 2022, n. 4602 (ord.): “… le disposizioni in questione sono applicabili al giudizio de quo, tenuto conto:
1) ratione temporis, della natura processuale delle stesse e, quindi, della loro applicabilità ai giudizi in corso, in difetto di apposita norma transitoria (cfr., quam multis, Cons. St., sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3759; TAR Lazio, Roma, sez. III, 16 giugno 2010, n. 18131; Tar Cagliari, sez. I, 13.1.2011, n.16);
2) ratione materiae, in riferimento all’art.3, co.1 del d.l. n.85/2022, della sussumibilità della gara in oggetto nell’ambito della nozione di “procedura amministrativa che riguardi interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”; al riguardo, peraltro, non rileva, in senso ostativo all’applicazione della citata disposizione, la previsione recata dal co.5 del predetto art.3, dal momento che l’evidente finalità di tale norma è quella di rendere applicabili le disposizioni ivi considerate (artt.119, co.2 e 120, co.9 cpa) del rito appalti (con la prevista riduzione dei termini processuali) a tutte le controversie afferenti alle procedure amministrative che impattano sul PNRR (anche se non riferite, quindi, all’affidamento di contratti pubblici) e non già quella di sottrarre le controversie sui contratti pubblici alle ulteriori disposizioni acceleratorie introdotte dal d.l. n.85/2022”.
[2] Alla parte non resterebbe, a quel punto, null’altro, se non invocare l’errore scusabile, rammentando che “nel processo amministrativo il rimedio del riconoscimento dell'errore scusabile, oggi codificato dall' art. 37 c.p.a ., presuppone una situazione di obiettiva incertezza normativa o di grave impedimento di fatto tale da provocare - senza alcuna colpa della parte interessata - menomazioni o maggiore difficoltà nell'esercizio dei diritti di difesa” (Cons. di Stato, III, 8 febbraio 2021, n. 1129; Cons. di Stato, VI, 10 maggio 2021, n. 3640).
[3] Né si esclude che possa sopravvenire una sorta di mutamento del rito in pendenza di causa. Come, infatti, possono esistere finanziamenti PNRR sin dall’origine occulti, non si esclude che possano prospettarsi pure finanziamenti PNRR sopravvenuti, per il caso in cui l’intervento a cui si riferisce la lite riceva un finanziamento PNRR quando la causa che lo riguarda sia già stata introdotta.
In questo caso, per il ricorrente potrebbe, peraltro, risultare estremamente difficile venire a conoscenza di questa nuova circostanza, con la conseguenza che una causa introdotta secondo il regime ordinario potrebbe ricadere poi nel regime delle liti a termini dimidiati, senza che le parti ne abbiano consapevolezza.
[4] Va, d’altronde, segnalato che l’art. 3, riformando l’art. 48, d.l. 31 maggio 2021, n. 77, ha esteso alle controversie del PNRR l’applicazione dell’art. 125 cpa, così sostituendo la tutela costitutiva avverso gli eventuali contratti stipulati in attuazione del finanziamento con la tutela risarcitoria. Più in generale sembra così doversi ricavare che l’obiettivo del legislatore sia quello di evitare la caducazione immediata degli atti e che, a tal fine, sia disposto a concedere che le amministrazioni possano essere chiamate patrimonialmente a rispondere. In tal senso, il fatto che una lite PNRR possa rimanere a lungo pendente, perché il ricorrente abbia omesso di presentare istanza cautelare, è una eventualità in un certo coerente con questo stesso obiettivo.
Si evidenzia, in ogni caso, che l’estensione dello stesso art. 125 cpa alle controversie del PNRR è in sé problematica, poiché il citato art. 48, così come riformato, la prevede sia con riferimento all’impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento sia con riferimento a “qualsiasi procedura amministrativa che riguardi interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”. Se, tuttavia, nella prima ipotesi è facile immaginare l’esistenza di contratti “non annullabili” ai sensi dell’art. 125, meno facile è comprendere come gli stessi possano ricorrere nelle fattispecie procedimentali del secondo tipo.
[5] L’art. 3, pur considerando l’ipotesi della misura cautelare rilasciata in forza dell’appello cautelare contro l’ordinanza (di rigetto) di primo grado, non considera l’ipotesi in cui, a un analogo effetto, si pervenga perché la sentenza di rigetto di primo grado sia sospesa in grado di appello, con effetti cautelari estesi sino al provvedimento amministrativo impugnato. Il comma 6 della disposizione, peraltro, stabilisce che che “le disposizioni del presente articolo si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo”, il che porta a sostenere che, in detta ipotesi, il Consiglio di Stato debba fissare udienza di merito alla prima udienza pubblica successiva al decorso di trenta giorni dal deposito dell’ordinanza.
[6] Da ultimo, si rammenti quanto previsto dall’art. 120, comma 8, cpa: “Nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse a un interesse generale all' esecuzione contrattuali del contratto, dandone conto nella motivazione” e dall’art. 125, comma 2, cpa: “In sede di pronuncia del provvedimento cautelare, si tiene conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera, e, ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure”.
[7] Non si può, in effetti, escludere che il giudice valuti di concedere di concedere una misura cautelare a termine finale, deliberatamente omettendo di rispettare il termine della discussione di merito indicato dall’art. 3.
[8] I calendari di udienza del giudice amministrativo sono ormai pubblici nelle pagine istituzionali di ogni singolo ufficio giudiziario. Tuttavia, la circostanza non è necessariamente nota e, per dipiù, è dubbia l’ufficialità e la comprovabilità di tale forma di pubblicità.
[9] Sull’applicabilità dell’art. 3 ai giudizi già pendenti, peraltro desumibile dalla lettera della disposizione, v. T.A.R. Lazio, III – bis, 18 luglio 2022, n. 10163
[10] Al contrario, quando, con l’art. 40, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, è stato inserito il comma 8-bis nel codice di rito, si è inteso precisare che la nuova disciplina si sarebbe applicata solo “ai giudizi introdotti con ricorso depositato, in primo grado o in grado di appello, in data successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto”, in tal modo superando i problemi di applicazione ai giudizi già pendenti di cui si tratta nel testo.
[11] L’anticipazione, tuttavia, non può considerarsi, per ovvie ragioni, automatica, ma presuppone un provvedimento esplicito del giudice in tal senso orientato.
[12] È questa la soluzione a cui aderisce la, forse, prima pronuncia del giudice d’appello che ha dato applicazione della nuova disciplina. V. Cons. di Stato, 15 luglio 2022, n. 3387 (decreto): “Rilevato altresì che, con riferimento allo specifico ambito in trattazione, è recentissimamente intervenuto, nelle more tra la pubblicazione dell’ordinanza cautelare qui appellata e la proposizione dell’odierno appello, l’art. 3 del decreto-legge 7 luglio 2022, n. 85, ai sensi del quale, tra l’altro:
1) per “qualsiasi procedura amministrativa che riguardi interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”, tra cui per consenso unanimemente espresso dalle parti in causa rientra l’opera ferroviaria di cui qui trattasi, è disposta d’ufficio l’anticipazione della “data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza” (da intendersi nella specie, per effetto del ricordato ius superveniens, come data di entrata in vigore di detto decreto-legge, ossia dal giorno 8 luglio 2022) – di tal ché, in forza di tale sopravvenuta disposizione di legge, il giudice di primo grado ha anticipato l’udienza di trattazione del merito al 28 settembre 2022 – altresì processualmente sanzionata con la previsione che, nel “caso in cui l'udienza di merito non si svolga entro i termini previsti dal presente comma, la misura cautelare perde efficacia, anche qualora sia diretta a determinare un nuovo esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione”.
[13] Una tale soluzione potrebbe esprimere anzi un adeguato contemperamento tra le aspettative del ricorrente e la valutazione, imposta al giudice, sulla compatibilità della misura cautelare con il rispetto dei termini previsti dal PNRR.
[14] Possa e non necessariamente debba. La discussione del merito potrebbe essere fissata nel termine di sessanta giorni previsto dall’art. 71 per il caso in cui, nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine di trenta giorni dal deposito dell’ordinanza cautelare, non sia stata calendarizzata nessuna udienza di merito.
[15] L’art. 3, comma 43, d.l. 7 luglio 2022, n. 85, richiamando (attraverso il rinvio all’art. 49 del codice di rito) l’istituto dell’integrazione del contraddittorio implicitamente chiarisce che l’omessa notificazione del ricorso, entro il termine decadenziale di sua proposizione, a queste non nuove parti necessarie non comporta l’irricevibilità del gravame.
[16] Secondo l’art. 1, comma 1, lettera l), d.l. 31 maggio 2021, n. 77, si intende per “«amministrazioni centrali titolari di interventi previsti nel PNRR», i Ministeri e le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri responsabili dell'attuazione delle riforme e degli investimenti previsti nel PNRR”,
[17] Il rilievo porta un ulteriore argomento a favore della tesi secondo la quale gli interventi a cui allude l’art. 3 in esame comprendano tutte le procedure comunque ricollegabili ai finanziamenti PNRR e non solo le procedure di evidenza pubblica e espropriative che ne costituiscano diretta applicazione, con riferimento alle quali le amministrazioni titolari dell’intervento sarebbero parti resistenti e, dunque, già parti necessarie del processo.
[18] Si pone, così, un ulteriore problema, che concerne l’opponibilità, da parte delle nuove parti necessarie di sentenze del giudice amministrativo già passate in giudicato. Ove, infatti, si dovesse dare una risposta affermativa al quesito, il decreto-legge consentirebbe, indirettamente, la possibilità di ridiscutere fattispecie processuali ormai definitivamente stabilite. Sul punto, chi scrive reputa che si debba dare, tuttavia, una risposta contraria, atteso che, proprio in ragione dell’ormai raggiunta definizione del processo, è incerto che si possa applicare il principio tempus regit actum e, soprattutto, perché si attuerebbe, in tal modo, un’ingerenza del Potere legislativo su quello giudiziario.
[19] Si osservi, incidentalmente, che, per gli stessi motivi, a questa conclusione si dovrebbe pervenire anche con riferimento all’applicabilità ai giudizi anteatti dei termini dimidiati previsti dall’art. 119 cpa.
[20] A tale conclusione si oppone, inoltre, anche il fatto che, una volta raggiunto il grado d’appello, il contraddittorio dovrebbe essere ugualmente integrato, secondo quanto si ritiene di dimostrare dappresso.
[21] Cons. di Stato, ad. pl. 30 luglio 2018, n. 15: “Per completezza è ancora opportuno evidenziare che la disciplina dei rapporti tra giudice di primo grado e giudice di appello e dei casi di annullamento con rinvio di cui all’articolo 105 presenta evidenti profili di indisponibilità, perché è diretta a tutela interessi di ordine pubblico che attengono al regolare svolgimento del processo, realizzando un delicato bilanciamento di valori costituzionali (fra i quali, in primis, quelli del giusto processo e della sua ragionevole durata).
Deve escludersi, quindi, che in tale materia la volontà delle parti possa condizionare l’esercizio dei poteri del giudice.
Ciò implica, fermo restando ovviamente l’onere di articolare specifici motivi di appello e il generale principio di conversione della nullità in motivi di impugnazione, che in presenza di una delle ipotesi di cui all’art. 105 Cod. proc. amm., il giudice d’appello deve procedere all’annullamento con rinvio anche se la parte omette di farne esplicita richiesta o, addirittura, formula una richiesta contraria, chiedendo espressamente che la causa sia direttamente decisa dal giudice di appello. Così, ad esempio, se il T.a.r. ha erroneamente declinato la giurisdizione, il rinvio al primo grado risulta doveroso, anche se la parte, che impugna il capo sulla giurisdizione, chiede che la causa venga direttamente decisa nel merito in sede di appello”.
[22] Depongono in tal senso soprattutto il secondo comma dell’art. 3, dove è previsto che “nella decisione cautelare e nel provvedimento di fissazione dell'udienza di merito, il giudice motiva espressamente sulla compatibilità della misura e della data dell'udienza con il rispetto dei termini previsti dal PNRR” e il successivo sesto comma, che, in riforma dell’art. 48, d.l. 31 maggio 2021, n. 77, stabilisce: “In sede di pronuncia del provvedimento cautelare si tiene conto della coerenza della misura adottata con la realizzazione degli obiettivi e il rispetto dei tempi di attuazione del PNRR”. Dette disposizioni, ormai non sconosciute all’impianto del processo amministrativo, causano, a giudizio di chi scrive, uno sostanziale squilibrio delle armi processuali.