La disciplina “civilizzata” della rinnovazione della notificazione nulla del ricorso nel processo amministrativo (nota a Corte cost. 9 luglio 2021, n. 148)
di Alessandro Squazzoni
Sommario: 1. L’eccentrica disciplina dell’art. 44 c.p.a. e la prima correzione con la sentenza n. 132/2018 – 2. L’infelice sentenza n. 18/2014 - 3. La Corte corregge oggi la rotta con la sentenza n. 148/2021 – 4. Breve divagazione sulla razionalità di un sistema che estromette l’indagine sulla scusabilità dell’errore dalla rinnovazione sanante la nullità della notificazione - 5. Dalla Corte un altro monito per un modo diverso di guardare al processo amministrativo.
1. L’eccentrica disciplina dell’art. 44 c.p.a. e la prima correzione con la sentenza n. 132/2018
Prima che gli interventi della Corte costituzionale, e quest’ultimo finalmente, ne facessero tabula rasa, le disciplina che il codice del processo amministrativo dettava per l’ipotesi di nullità della notificazione del ricorso si può ben dire fosse, quantomeno, eccentrica[1].
La costituzione dell’intimato – recitava il comma 3 dell’art. 44 c.p.a. - «sana la nullità della notificazione del ricorso, salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione». Poiché la formula riecheggiava l’antica salvezza del diritto all’inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza – o altrimenti detto diritto all’irrevocabilità del provvedimento – il precetto si risolveva in una regola ai limiti del canzonatorio. Nel processo amministrativo di legittimità la decadenza impera su ogni azione. Immaginare che la PA si costituisca prima che ad esempio scada il termine di 60 giorni che governa la notifica dell’azione d’annullamento è pura astrazione. D’altro canto se la costituzione successiva a quel termine viene premiata assicurando una tombale declaratoria di inammissibilità in rito, un avvocato minimamente avveduto, nel caso di notifica nulla del ricorso, avrebbe il più delle volte consigliato all’Amministrazione patrocinata di attendere a costituirsi il giorno dopo la scadenza di quel termine anche quando fosse stata in grado di costituirsi prima, lucrando così sull’errore del ricorrente.
Insomma, si trattava di una pretesa sanatoria ex nunc, che in tale materia - come ricordava Satta[2] - non è però affatto una sanatoria.
Sulla sciagurata disposizione che faceva salvezza dei diritti quesiti prima della comparizione è scesa la scure della Corte costituzionale con la sentenza n. 132/2018[3].
Quel verdetto era prevedibile. Nel processo amministrativo ante codice la convalida con effetto ex tunc per l’ipotesi di costituzione della PA intimata, ancorché con notifica nulla, era stata stabilmente affermata quantomeno a partire dalla Plenaria del 16 dicembre 1980, n. 52. D’altro canto, già con la sentenza n. 97 del 1967 la Corte costituzionale, nel giudicare dell’art. 11, comma 3, r.d. n. 1611/1933 aveva affermato che la sanatoria della nullità della notifica per effetto di costituzione (c.d. convalidazione) è un principio generale del sistema degli atti processuali, aggiungendo pure che non sarebbe stata assistita da alcun logico fondamento un’eccezione al principio motivata dal fatto che intimata è una pubblica amministrazione.
La via per dichiarare la violazione dell’art. 76 Cost. in ragione del contrasto con l’art. 156, comma 3, c.p.c. e con la giurisprudenza delle superiori giurisdizioni era lì dunque già spianata.
2. L’infelice sentenza n. 18/2014
Più faticoso ed accidentato è stato invece il percorso che ha condotto alla decisione che qui si segnala.
La sentenza n. 148/2021 si occupa infatti del diverso precetto contenuto nel comma 4° dell’art. 44 c.p.a. che disciplina l’ipotesi in cui alla nullità della notifica non faccia seguito la costituzione del destinatario.
Qui l’eccentricità della norma risiedeva nel fatto che il dovere del giudice di disporre la rinnovazione della notifica, con conseguente effetto impediente la decadenza, era subordinato alla non imputabilità al notificante del cattivo esito della prima notifica. Una condizione, fortemente limitativa dell’operatività della sanatoria, che invece non è presente nella disciplina del processo civile contenuta nell’art. 291 c.p.c.
Nel 2014 la questione di costituzionalità fu sottoposta alla Corte dal Tar Lecce nell’ottica, forse un po' limitata, del contrasto con l’obbligo di coordinamento con precetti del codice di procedura civile espressione di principi generali, obbligo stabilito dalla legge delega per il riordino del processo amministrativo.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 18/2014, liquidò la questione come infondata[4].
La regola prevista dall’art. 291, comma 1, c.p.c., - si disse nell’occasione - non solo non sarebbe l’espressione di un principio generale, ma addirittura sarebbe incompatibile con la struttura del processo amministrativo. Incompatibilità che dipenderebbe dall’essere tale giudizio caratterizzato dalla perentorietà del breve termine per la sua introduzione, oltre che dall’assenza dell’istituto della contumacia. In detto giudizio, pertanto, vigerebbe un opposto principio per cui, ai fini della regolare instaurazione del rapporto processuale, il ricorso dovrebbe entro il prescritto termine di decadenza essere notificato ritualmente.
Una motivazione davvero infelice.
Basti pensare che nell’ordinamento processuale civile italiano sin dall’origine (e vale a dire nel combinato tra gli art. 145 e 190 del c.p.c. del 1865) la disciplina della rinnovazione che tragga causa dalla nullità della notificazione dell’atto introduttivo fu prevista prevalentemente proprio allo scopo di assicurare il c.d. effetto conservativo sul piano della decadenza e del termine perentorio ed oggi (con l’art. 291 c.p.c.) ha pressoché esclusivamente questo scopo. Aggiungasi che la disciplina della rinnovazione che tragga causa dalla nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, sin dalla sua origine come pure oggi, non è affatto in funzione del procedimento contumaciale.
Per avere una prova plastica di tali affermazioni sarebbe stato sufficiente ricordare che l’art. 291 c.p.c. si rende applicabile anche al procedimento per cassazione, che è impugnazione soggetta termine perentorio e che non conosce l’istituto della contumacia[5]. E analoghe considerazioni potrebbero farsi osservando che il precetto del processo civile è stato ritenuto applicabile anche al giudizio tributario[6].
Tutt’al più nel 2014 la Corte – se proprio si voleva arrivare a tutti i costi a quella soluzione – avrebbe semmai dovuto ricordare che l’elemento dell’imputabilità del vizio alla parte era nella mente di Pisanelli a motivo dell’introduzione della disciplina della rinnovazione della notifica nulla, onde evitare che sulla parte ricadessero le conseguenze fatali di errori imputabili all’usciere. E sebbene tale elemento sia stato bandito dall’interpretazione e applicazione delle norme processualcivilistiche di riferimento già nella pratica del codice del 1865 persino Chiovenda vi rimaneva affezionato[7].
Questo per dire che la natura di “principio generale” del processo della regola che vuole la rinnovazione della notifica nulla insensibile all’imputabilità del vizio (ovvero all’autoresponsabilità) – sebbene a torto - poteva forse anche essere indubbiata con una qualche raffinatezza di argomenti.
Ma non certo accampando presunte incompatibilità strutturali tra il processo amministrativo e l’art. 291 c.p.c. e meno che meno facendo leva sul termine decadenziale che domina nel primo.
Piuttosto occorre con onestà ammettere che le forti resistenze opposte dalla giurisprudenza amministrativa alla regola della rinnovazione processualcivilistica avevano ben altre radici.
Si trattava, infatti, di un altro di quei casi in cui la teorica dell’errore scusabile non è stata affatto utilizzata per lenire il rigore dei termini perentori, quanto per disconoscere l’operatività di meccanismi, originati dal processo civile, basati sull’efficacia impediente di un atto viziato ma tempestivo. Il tutto nel riflesso di una concezione graziosa (o principesca) della giurisdizione amministrativa, che fa tutt’uno con la consapevolezza, nemmeno tanto latente, che la declaratoria in rito di un ricorso è il miglior modo per assicurare l’inoppugnabilità del provvedimento, di modo che la sanatoria automatica degli errori processuali (che non sia cioè somministrata o meno a piacimento del giudice) andrebbe quanto più possibile bandita.
3. La Corte corregge oggi la rotta con la sentenza n. 148/2021
Fortunatamente la Corte è tornata sui suoi passi con la sentenza che in questa sede di segnala[8]. E ciò, va detto, soprattutto grazie al coraggio non scontato di un’ordinanza di rimessione della V Sezione del Consiglio di Stato che a pochi anni dalla pronuncia lapidaria del 2014 ha riproposto la questione di costituzionalità con un variegato ventaglio di argomentazioni.
Argomenti che in buona sostanza fanno capo a due gruppi. Dapprima, riprendendo anche le critiche prospettate dalla dottrina a carico della sentenza n. 18/2014, la V Sezione ha cercato di indurre la Corte ad un ripensamento e quindi a dichiarare la violazione dell’art. 76 Cost. sulla base della natura di principio generale del processo riconosciuta – in tesi – alla disciplina dell’art. 291 c.p.c. In via ulteriore la V Sezione ha prospettato la violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost. sotto il profilo della compressione ingiustificata e sproporzionata del diritto di azione, insita nella condizione apposta dal 4° comma dell’art. 44 c.p.a., e cioè nel far dipendere la rinnovazione dalla non imputabilità del vizio. In particolare secondo il Consiglio di Stato, la garanzia del diritto di azione di cui agli artt. 24 e 113 Cost. “implica la necessità di favorire la pronuncia di merito, scopo ultimo del processo, senza assecondare decisioni di rito che non siano in un rapporto ragionevole di proporzionalità con lo scopo perseguito”.
Ebbene per ragioni del tutto intuibili nella motivazione la Corte costituzionale ha respinto la prima prospettiva, affermando che non vi erano ragioni per discostarsi dalla decisione del 2014[9], ma ha invece fatto propria la seconda.
Pertanto l’inciso che subordina la rinnovazione della notifica nulla ad una valutazione dell’imputabilità del vizio al notificante è stato rimosso dal comma 4 dell’art. 44 c.p.a. che così, di fatto, si è allineato all’art. 291 c.p.c.
Ora qui in effetti non conta tanto chiedersi se sia davvero possibile addivenire ad una dichiarazione di incostituzionalità della previsione in questione basata sulla sua irragionevolezza senza al contempo implicitamente ammettere che l’art. 291 c.p.c. è a sua volta espressione di un principio generale del processo[10].
E’ molto più interessante segnalare che incanalandosi per quella via alternativa, la Corte ha finito necessariamente con l’esprimere alcune affermazioni assai più ricche di risvolti sistematici, ma al contempo tangendo questioni molto più delicate.
Secondo la Corte, infatti, l’esigenza di certezza presidiata dalla norma sulla decadenza[11] risulterebbe travalicata dal precetto che “fa discendere da un vizio esterno all’atto di esercizio dell’azione stessa la definitiva impossibilità di far valere nel giudizio la situazione sostanziale sottostante. L’effetto di impedimento della decadenza va, in definitiva, ricollegato all’esercizio dell’azione entro il termine perentorio, ma non può essere escluso dalla nullità della notificazione, non integrando quest’ultima un elemento costitutivo dell’atto che ne forma oggetto, bensì assolvendo ad una funzione, strumentale e servente, di conoscenza legale e di instaurazione del contraddittorio”. Sulla base di questo argomento la Corte conclude quindi nel senso che “la limitazione, posta dall’art. 44, comma 4, cod. proc. amm., della rinnovazione della notificazione del ricorso alle sole ipotesi in cui la nullità non sia imputabile al notificante non risulta proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza”.
In verità in questo motivare la Corte riecheggia una tesi, assai diffusa anche in dottrina, e propensa a spiegare il peculiare trattamento della nullità ex art. 291 c.p.c. facendo leva sulla natura meramente strumentale del procedimento notificatorio, i cui vizi non debbono pregiudicare la piena validità dell’atto introduttivo[12]. In parole povere – si pensa – il vero atto impediente di esercizio dell’azione è la domanda al giudice e non anche la notificazione, preordinata solo a darne notizia[13].
Si tratta tuttavia di una tesi, certo condivisibile, ma che evoca un profilo molto (o troppo) scivoloso che – tra l’altro - indurrebbe ad affrontare il tema del ruolo della ricettizietà dell’atto differenziandolo tra decadenza e prescrizione[14].
In verità la conclusione della Corte può forse essere corroborata anche da argomenti di più facile accesso.
4. Breve divagazione sulla razionalità di un sistema che estromette l’indagine sulla scusabilità dell’errore dalla rinnovazione sanante la nullità della notificazione
Il primo di questi argomenti è il più semplice e al tempo stesso forse il più convincente.
Come la storia del processo civile ci insegna, un sistema che nel campo della nullità della notificazione riconosca un differente spettro di applicazione dell’effetto sanante, rispettivamente, alla convalidazione per costituzione ed alla dinamica della rinnovazione è irrazionale perché si presta ad indesiderabili distorsioni. In altre parole il costante parallelismo nella capacità sanante della convalidazione e della rinnovazione, tipico della disciplina del processo civile, ha una sua intima razionalità di fondo che risiede anche nell’esigenza di sottrarre i meccanismi di recupero del vizio ad un uso claudicante a seconda delle strategie del convenuto, per affidarli piuttosto a dati oggettivi.
Il legislatore del c.p.a. era addirittura riuscito nell’inaudito esito di consentire alla rinnovazione (nel caso di errore scusabile) un effetto sanante più ampio di quello riservato alla costituzione (che non avrebbe vinto i diritti anteriormente quesiti).
Risolta la cosa dalla sentenza n. 132/2018, da lì in avanti il disallineamento giocava nel senso di uno spettro di sanatoria più ampio riservato alla convalidazione per costituzione (ove la sanatoria opera anche se il vizio è imputabile al notificante) rispetto alla disciplina della rinnovazione.
Anche una disciplina siffatta – sebbene parzialmente corretta - rendeva però il convenuto arbitro delle sorti del processo consentendogli un calcolo opportunistico dei vantaggi che possono derivare dalla nullità. Pur nei casi in cui non vi è affatto ignoranza del processo da parte dell’intimato - e nelle più comuni nullità della notificazione di pratica ricorrenza nel rito amministrativo tale ignoranza non c’è -[15], di fronte ad un vizio di notifica evidente la PA sarebbe stata indotta ad evitare di costituirsi potendo tranquillamente confidare nella chiusura in rito del processo, a fortiori se le ragioni di merito siano tutte a vantaggio del ricorrente.
In effetti sarebbe forse sufficiente denunciare tale profilo per concludere nel senso dell’irrazionalità ingiustificabile di siffatta regolamentazione processuale, irrazionalità alla quale la Corte ha posto finalmente rimedio.
Volendosi poi addentrare su un terreno un poco più denso, è noto che le spiegazioni sulle ragioni di esonero della rinnovazione della notificazione nulla civile da valutazione legate all’imputabilità del vizio non sono mancate.
E a giudizio di chi scrive la più convincente prende ancora le mosse da uno spunto a suo tempo offerto da Ludovico Mortara che non si appagò di osservare – come pure avrebbe potuto - che nella disciplina positiva del codice del 1865 la distinzione basata sulla responsabilità della parte piuttosto che dell’usciere “era inventata di sana pianta”[16].
Volendo andare alla ricerca della ragione del peculiare trattamento salvifico riservato ai vizi della sola notificazione rispetto alla più severa sanzione dei vizi recati dalla citazione (id est compilazione del libello) Mortara in verità osservava che, se riguardato dal punto di vista processuale e dell’instaurazione del contraddittorio il vizio di notificazione (e non quello di citazione) avrebbe dovuto ricevere il trattamento più severo. Ma la prospettiva poteva razionalmente capovolgersi se il punto di vista eletto fosse invece stato quello di taluni altri effetti collegati alla proposizione della domanda, com’è appunto per l’impedimento della decadenza, il che accadeva proprio in grazia dell’allora art. 145 c.p.c. (ora 291 c.p.c.).
Le regole previste per la notificazione erano (e tuttora sono) infatti preordinate a fornire una presunzione che l’intimato venga a conoscenza dell’atto. Il vizio, risolvendosi in niente altro che in una diminuzione dell’idoneità della notificazione a fornire detta presunzione (e molto spesso contro la realtà stessa) poteva con buona ragione meritare un trattamento tale che dalla nullità non sortisca la perdita del diritto.
In altre parole la ragione che induce a far sì che il diritto minacciato dall’estinzione non sia irreparabilmente perso se la notificazione è nulla risiede in una sorta di retropensiero del legislatore. Ben vero che la conoscenza legale si ha solo rispettando la fattispecie astratta. Ma non è meno vero che la realtà molto spesso è contraria alla logica di questa presunzione nel preciso senso che la notifica effettuata difformemente può avere non minori probabilità di far giungere l’atto a conoscenza del destinatario.
Così inquadrati i tratti della questione, ben si comprende perché non abbia ragioni di spazio una distinzione fondata sull’imputabilità del vizio.
Del resto, volendo ricorrere a più moderne teorizzazioni è da notare che la notificazione affetta da nullità si differenzia all’inesistenza proprio perchè è comunque una manifestazione obiettiva di volontà dell’agente orientata allo scopo tipico della notificazione, dovendosi peraltro concepire la nullità – sul piano generale - non tanto come una sanzione che frustra l’aspirazione di chi agisce impropriamente, bensì come meccanismo di recupero oggettivo, nel senso della rilevanza processuale, dell’attività compita con mezzi inadeguati[17]. E anche da questo punto di vista ben si comprende che l’imputabilità o meno della nullità non dovrebbe avere alcun ruolo[18].
5. Dalla Corte un altro monito per un modo diverso di guardare al processo amministrativo
L’importanza della sentenza n 148/2021 va però ben al di là della pur rilevantissima questione della rinnovazione della notificazione viziata.
Chi legga questa sentenza con la mente rivolta alla famosissima sentenza n. 77/2007 sulla c.d. translatio iudicii non tarderà a scorgervi un evidente filo conduttore.
Un filo che in realtà si richiama al principio di conservazione dell’effetto impediente ed al “terribile” problema dei nessi tra c.d. impedimento della decadenza e azione esitante in rito.
Ovviamente non è questa la sede per tornare su un tema non ancora esplorato quanto meriterebbe[19].
Ci si può tuttavia almeno lasciare con una conclusione indotta da un approccio istintivo.
I giudici amministrativi – ma in verità non solo loro - sono abituati a pensare che vi sia un legame diretto tra azione dominata dalla decadenza e “regolamentazione” dell’inammissibilità (in senso ampio) del ricorso. Quasi che l’irreparabilità della violazione della regola processuale sia la connaturata e più logica conseguenza del fatto che il legislatore ha voluto assoggettare il potere di azione all’imperio della decadenza. Detto in parole più rozze molto spesso si è indotti a ritenere che le stesse esigenze di certezza presidiate dalla decadenza non decampino nel corso del processo tempestivamente instaurato e siano le medesime che impongono un trattamento severo degli errori processuali tendenzialmente immune da meccanismi sananti.
Ebbene la Corte costituzionale ci dice che le cose non stanno affatto così.
L’aspetto più interessante della sentenza n. 148/2021 risiede infatti nel dirci che la decadenza (e le esigenze che la fondano) è preordinata a fornire esclusivamente la risposta del sistema a colui che rimanendo inerte non abbia esercitato l’azione nel termine, mentre è vanamente interrogata quando si è esercitata per tempo un’azione ancorché poi non già idonea ad esitare in una sentenza di merito. A fronte di questa seconda e ben diversa situazione, stando alle parole della Corte, quelle esigenze sembrano debbano sparire dalla scena, che è destinata ad essere occupata ed orientata allora da altri valori di rango costituzionale cui la disciplina del processo deve necessariamente adattarsi.
E questi valori – sempre stando alle parole della Corte – rimontano in buona sostanza a due ordini di considerazioni.
Il processo deve tendere per quanto più possibile ad una sentenza che affronti il merito.
L’esigenza di preservare gli effetti sostanziali della domanda non può essere sacrificata in modo irragionevole e sproporzionato.
Ora per rendersi conto della portata potenzialmente rivoluzionaria dell’impatto di questa sentenza sul processo amministrativo, basterebbe attenersi ad una constatazione.
La Corte – di fatto - ci dice che in presenza di un’azione minacciata da decadenza una disciplina che non consenta la sanatoria della nullità della notifica determina un sacrificio irragionevole e sproporzionato della situazione soggettiva azionata.
Ebbene, il fatto che storicamente le più importanti manifestazioni dell’effetto conservativo della domanda si siano materializzate proprio nei due campi dell’errore nell’imploratio iudicis e della notifica viziata, non può certo indurci solo ad un senso di beatitudine pensando che prima con la sentenza n. 77/2007, e oggi con la sentenza n. 148/2021, la Corte costituzionale ha finalmente chiuso il cerchio, restituendo al processo amministrativo un’eleganza troppo a lungo negata.
Una volta tirato in ballo il giudice delle leggi queste sue affermazioni cessano infatti di essere così anodine perché obbligano l’interprete che le voglia prendere sul serio ad andare oltre. Ad ispezionare, cioè, la gran messe di figure di inammissibilità/improcedibilità e comunque declaratorie in rito presenti nel processo amministrativo, molte delle quali, per giunta, di matrice squisitamente giurisprudenziale, per chiedersi appunto se superino quel test di ragionevolezza e proporzionalità.
Ora il fatto che questo test non sia stato superato da una norma che limitava la possibilità di rinnovare la notifica argomentando dal fatto che “L’effetto di impedimento della decadenza va, in definitiva, ricollegato all’esercizio dell’azione entro il termine perentorio” rende il senso, per chi lo voglia cogliere, di una possibile rivoluzione alle porte.
[1] Per un commento ragionato all’originaria disciplina dei commi 3 e 4 dell’art. 44 c.p.a., cfr. R. Villata – L. Bertonazzi, Commento sub art. 44, in A. Quaranta – V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Milano 2011, 445 ss.
[2] S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959-1962, II, 1, 34: “una sanatoria ex nunc non è affatto una sanatoria, ma anzi presuppone la nullità”.
[3] Su questa sentenza, cfr. F. G. Scoca, Processo amministrativo e principio del raggiungimento dello scopo, in Giur. cost., 2018, 1395; M. A. Sandulli – F. Aperio Bella, Nullità della notifica e costituzione sanante, in Libro dell’anno del diritto 2019, Treccani, pp. 652-659; I. Rossetti, L’inizio di una reductio ad unitatem? cadono i diritti acquisiti prima della comparizione dell’intimato nell’ipotesi di nullità della notificazione, in Dir. proc. amm., 2019, 930.
[4] Per un commento alla sentenza n. 18/2014 ci si permette di rinviare a A. Squazzoni, Sulla supposta incompatibilità tra struttura del processo amministrativo e obbligo di disporre la rinnovazione della notificazione del ricorso affetta da nullità, in Dir. proc. amm., 2014, 1301 ss., ove si è cercato di ricostruire il tema anche in dimensione storica.
[5] Cass, Sez. I, ord. 5 aprile 2019, n. 9693; Cass., sez. V, 27 settembre 2011, n. 19702; Cass., sez. III, 27 aprile 2011, n. 9411; Cass., sez. un., ord. 29 aprile 2008, n. 10817; Cass., sez un., 29 ottobre 2007, n. 22642.
[6] Cass., sez. VI, ord. 6 giugno 2014, n. 12855; Cass., sez. V, 28 luglio 2011, n. 16572; Cass., sez. V, 2 agosto 2000, n. 10136. In dottrina, A. Finocchiaro – M. Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 481 ss. in part. 483; A. M. Socci – P. Sandulli, Manuale del nuovo processo tributario, Bologna, 1997, 134; M. Bruzzone, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, Padova, 2006, 225 ss.
[7] G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1923, 648.
[8] Per un approfondito commento della sentenza n. 148/2021, cfr. già C. Delle Donne, L’incostituzionalità dell’art 44, c. 4 cpa nella parte in cui subordina la rinnovazione della notifica nulla, in assenza di costituzione del destinatario, all’errore scusabile: arretra la rimessione in termini e avanza la rinnovazione ex art. 291, c. 1 cpc, in Judicium.it.
[9] Parla di sbrigativa conferma di un “precedente imbarazzante” di cui però nella sostanza non rimarrebbe più nulla, C. Delle Donne, op. cit.
[10] Questo profilo è trattato in C. Delle Donne, op.cit., che giustamente rileva come la tecnica dell’art. 291 c.p.c. alla fine si sia imposta perché risponde ad un principio generale.
[11] Sulla funzione della decadenza nel processo amministrativo, non vi è che da rinviare a A. Marra, Il termine di decadenza nel processo amministrativo, Milano, 2012.
[12] In arg. B. Ciaccia Cavallari, La rinnovazione nel processo di cognizione, Milano, 1981, 342 ss.; A. Frassinetti, La notificazione nel processo civile, Milano, 2012, 189-190.
[13] Secondo cioè una logica di fondo già propria di F. Carnelutti, Notificazione della citazione di appello da parte di ufficiale giudiziario incompetente, in Riv. dir. proc., 1934, II, 114-115, ove la ratio dell’art. 145 cpv. c.p.c. del 1865 veniva fondata sul fatto che la parte ha manifestato la volontà di proporre una domanda al giudice, e poiché la decadenza (come pure la prescrizione) vuol colpire l’inerzia della parte la legge dà modo di evitarla quando una vera inerzia non vi è stata.
[14] Per non parlare poi del fatto che la questione si intreccia con la risalente tematica delle note di struttura del processo amministrativo “da ricorso”, con tutta la connessa problematica del ruolo rivestito in siffatto modello dalla vocatio iudicis. Su tale tradizionale tematica, cfr. le recenti riflessioni di M. Ramajoli, L’atto introduttivo del giudizio amministrativo tra forma e contenuto, in Dir. proc. amm., 2019, 1051 ss.
[15] Basti pensare al frequente caso della notifica diretta alla sede reale delle amministrazioni statali anziché all’avvocatura, per non parlare delle più recenti vicende legate al domicilio pec delle PPAA.
[16] L. Mortara, (già in) Appello civile (voce), Digesto italiano, Torino, 1890, III, 2, nn. 1190 e ss., pp. 854 ss. Il tema è poi ripreso dallo stesso Mortara in Commentario del Codice e delle leggi di procedura Civile, Milano, s.d., vol. II, 817 ss. e vol. III, 267 ss.
[17] In arg. F. Auletta, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999, 129 ss.
[18] Diligenza della parte che invece torna ovviamente a reclamare il suo giusto ruolo nei casi in cui il rimedio alla condotta erronea non possa che essere riscontrato dalla tecnica dell’errore scusabile, come avviene nel caso di notifica oggettivamente e materialmente tardiva o addirittura inesistente.
[19] Per un tentativo di avviarlo ad indagine, A. Squazzoni, Declinatoria di giurisdizione ed effetto conservativo del termine, Milano, 2013.