Consumo di suolo e divieto di edificazione in area agricola (nota a Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 12 marzo 2021, n. 240) di Giuseppe Andrea Primerano
Sommario: 1. Il principio del contenimento del “consumo di suolo” alla prova dei fatti: la sentenza del Tar Brescia n. 240/2021. - 2. Il ruolo dei Comuni tra sussidiarietà e leale cooperazione: la sentenza della Corte costituzionale n. 179/2019. - 3. Assenza di una disciplina organica sul consumo di suolo, suggerimenti e proposte.
1. Il principio del contenimento del “consumo di suolo” alla prova dei fatti: la sentenza del Tar Brescia n. 240/2021
Il consumo di suolo è divenuto uno dei temi di maggiore attualità e interesse in ragione delle sue implicazioni ambientali, economiche e sociali. L’esigenza di contenere lo sfruttamento di tale «risorsa limitata che si distrugge facilmente»[1] si collega a quella di promuovere il capitale naturale e il paesaggio, alla vicenda della rigenerazione di aree dismesse o degradate, alla valorizzazione delle aree rurali e, più in generale, intercetta profili atti a qualificare uno sviluppo volto a garantire, come richiesto dalla comunità internazionale[2], la sostenibilità in uno scenario di equità intergenerazionale improntato al rispetto del principio di solidarietà[3].
Si registra, tuttavia, l’assenza di una disciplina statale organica sul consumo di suolo foriera di incertezze, innanzitutto, sotto il profilo applicativo. Non che il legislatore abbia omesso di considerare il tema in questione, ma bisogna constatare sia l’insuccesso delle diverse proposte di legge successive al primo d.d.l. Catania (2012), dal nome dell’allora Ministro per le politiche agricole, donde una spiccata attenzione verso i profili legati alla tutela dei suoli agricoli[4], sia la frammentarietà della disciplina di settore[5], evidentemente inadeguata rispetto all’ambizioso obiettivo di raggiungere l’azzeramento del consumo di suolo entro il 2050 delineato in ambito europeo[6] e talvolta enunciato in sede legislativa regionale[7]. Le Regioni, in virtù del titolo di potestà legislativa concorrente «governo del territorio», si sono difatti rese promotrici in varie occasioni di disposizioni per la riduzione del consumo di suolo.
La dottrina ha incisivamente osservato che il passaggio imposto dalla filosofia del consumo di suolo zero comporterà un vero “cambio di libro” e non un semplice “voltar pagina”[8] e che la limitazione del consumo di territorio e la rigenerazione urbana rappresentano un’occasione di rinascita per l’urbanistica[9]. Occorre prenderne atto in ragione sia dell’attuale fase di transizione digitale, ecologica e di inclusione sociale cristallizzata nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), sia dell’evoluzione che dalla formulazione dell’art. 80 del d.P.R. 616/1977 – secondo cui «le funzioni amministrative relative alla materia urbanistica concernono la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente» – ha condotto alla riforma del Titolo V della Costituzione e all’elaborazione giurisprudenziale successiva alla sentenza della Consulta n. 303/2003.
Il contributo della giurisprudenza amministrativa, in un simile contesto evolutivo, diviene centrale. Per rendersene conto è sufficiente riflettere su pronunce come quella sul PRG di Cortina[10] o sull’orientamento che, enfatizzando la matrice ecosistemica dei suoli non impermeabilizzati, ha riconosciuto che la destinazione a verde non implica necessariamente lo svolgimento di attività agricola sul fondo, ben potendo servire ad assicurare un migliore equilibrio tra aree libere e aree edificate[11].
La decisione del Tar Brescia n. 240/2021 è interessante perché sembra apparentemente rispondere a una logica diversa. Viene, infatti, censurata la decisione di rendere inedificabile un’area destinata all’agricoltura in base all’asserita necessità di minimizzare il consumo di territorio. Nello specifico, risulta impugnata una variante al PGT che, nel limitare la capacità edificatoria ai “presidi rurali”, preclude a un imprenditore agricolo la realizzazione di un intervento edilizio funzionale alla conduzione del fondo, pur ammissibile ai sensi della normativa regionale[12].
In realtà, secondo il Collegio, non è sufficiente invocare il principio del contenimento del consumo di suolo per giustificare la portata di una simile variante e derogare allo statuto della disciplina edificatoria nelle aree agricole. L’ente locale così introduce una disciplina ulteriore che trascura, da un lato, la legittima aspettativa dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività e, dall’altro lato, oblitera la motivazione di una scelta carente sotto il profilo istruttorio nella misura in cui non approfondisce lo stato effettivo del consumo di suolo[13] e, più in generale, prescinde da una strategia preordinata ad azioni concrete finalizzate a limitare la perdita di green field. In tale prospettiva, non è superfluo osservare che una delle censure riguardava l’omessa sottoposizione della variante al PGT alla valutazione ambientale strategica e che il parere sul rapporto preliminare formulato dall’agenzia regionale per la protezione ambientale già rivelava l’esistenza di alcuni vizi alla base dell’accoglimento del ricorso[14].
2. Il ruolo dei Comuni tra sussidiarietà e leale cooperazione: la sentenza della Corte costituzionale n. 179/2019
La tutela del suolo, come risorsa naturale che produce servizi ecosistemici, è stata oggetto di una significativa sentenza della Corte costituzionale: la n. 179 del 31 luglio 2019 rispetto alla quale la pronuncia in nota, alla luce di quanto esposto, si pone solo in apparente contraddizione.
In quell’occasione, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 5, comma 4, della l. reg. Lombardia n. 31/2014 che impediva ai comuni di apportare varianti per ridurre le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano nel periodo necessario all’integrazione dei contenuti del piano territoriale regionale e al successivo adeguamento dei piani territoriali di coordinamento provinciale e dei piani di governo del territorio[15]. È bene al riguardo svolgere uno sforzo di analisi per non appiattirsi sulla conclusione secondo cui sarebbe precluso, nei termini precisati, al legislatore regionale incidere sulla potestà comunale di pianificazione urbanistica.
In primo luogo, la Corte evidenzia l’essenza del suolo «quale risorsa naturale eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale». La prospettiva è quella, ben nota, dello sviluppo sostenibile e il riferimento alla funzione sociale del suolo evoca il tenore delle previsioni costituzionali sul diritto di proprietà (art. 42, comma 2)[16].
In secondo luogo, la Corte costituzionale si sofferma sul ruolo dei comuni quali enti più vicini alla cittadinanza cui risultano storicamente assegnate, fin dalla legge n. 2359/1865 sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità, le funzioni di pianificazione urbanistica. In particolare, viene evidenziato che «tutta la complessa evoluzione che ha condotto allo sviluppo dell’ordinamento regionale ordinario, a una più ampia concezione di urbanistica e quindi alla consapevolezza della necessità di una pianificazione sovracomunale, non ha travolto questo presupposto di fondo».
Si tratta di passaggi significativi laddove si ponga mente alle linee evolutive del sistema di pianificazione territoriale e alla disciplina delle tutele differenziate volte alla protezione di interessi lato sensu ambientali, principalmente ascrivibile ai fallimenti indotti dal primo regionalismo e all’inidoneità allo scopo dei comuni, in quanto enti maggiormente esposti alle pressioni della rendita fondiaria e alle spinte delle imprese locali[17].
In disparte l’attrazione verso il “centro” di simili interessi – rispondenti a una logica gerarchica che rivela la prevalenza del piano paesaggistico[18] – cui si è sovente accompagnata l’istituzione di autorità con specifici poteri (come le autorità di bacino o gli enti parco), rimane imprescindibile il ruolo dei comuni ai sensi degli artt. 5, 117, comma 2, lett. p), e 118, commi 1 e 2, Cost. Il potere di pianificazione urbanistica, infatti, rientra in un nucleo di funzioni amministrative essenziali connesse al riconoscimento del principio dell’autonomia comunale.
Ciò, tuttavia, non significa che al legislatore regionale sia precluso disciplinare e, finanche, conformare detto potere in nome della tutela di interessi generali collegati a una più ampia valutazione delle esigenze diffuse sul territorio[19], come pure sottolineato dopo la riforma del Titolo V della Costituzione: il predetto riconoscimento «non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali»[20]. A tale stregua è stato, altresì, escluso che «il sistema di pianificazione assurga a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga a tali strumenti»[21].
La declaratoria di incostituzionalità espressa dalla Corte costituzionale n. 179/2019, pertanto, si radica su altri presupposti.
La norma censurata dal giudice a quo[22] non prevedeva, in realtà, alcuna interlocuzione con il livello di governo superiore impedendo, quindi, all’ente locale di esercitare in anticipo la propria potestas variandi in conformità alle coordinate legislative regionali[23]. Ne è derivato un deficit di proporzionalità, suscettibile di infrangere il principio della leale collaborazione nella misura in cui i comuni divenivano meri esecutori di una valutazione compiuta in sede regionale in grado di condizionarne scelte discrezionali[24], che la Corte ha censurato per lesione delle norme costituzionali sopra menzionate.
Il giudizio della Consulta, a ben vedere, si pone al crocevia tra regionalismo e municipalismo nel rinnovato sistema costituzionale e non riguarda, di per sé, l’allocazione della funzione legislativa regionale quanto invece il relativo esercizio, che non supera il test di proporzionalità rispetto alla tipologia di interessi coinvolti. La sottrazione, sia pur temporanea, ai comuni della potestà pianificatoria, anziché apparire il “minimo mezzo” al fine di raggiungere gli obiettivi prefigurati a livello regionale – quello «strutturalmente più efficace a contrastare il fenomeno del consumo di suolo perché in grado di porre limiti ab externo e generali alla pianificazione urbanistica locale»[25] – si rivela, in concreto, contraddittoria agli stessi.
In definitiva, secondo la Corte, la rigidità della norma censurata si dimostra «tale da incidere in modo non proporzionato sull’autonomia dell’ente locale, non solo perché impedisce la rivalutazione delle esigenze urbanistiche in precedenza espresse (…), ma soprattutto perché, al tempo stesso, la preclude quando questa sia rivolta alla protezione degli stessi interessi generali sottostanti alle finalità della legge regionale e quindi coerenti con queste»[26].
3. Assenza di una disciplina organica sul consumo di suolo, suggerimenti e proposte
Il dovere delle amministrazioni di dotarsi di strumenti in grado di fronteggiare il problema del consumo di suolo costituisce una premessa logica per lo sviluppo sostenibile dei territori[27] e, come tale, è destinato a condizionare in modo significativo la discrezionalità di pianificazione urbanistica.
Le sentenze del Tar Brescia n. 240/2021 e della Corte costituzionale n. 179/2019 confermano la necessità di occuparsene a livello strategico, alzando l’asticella della sussidiarietà[28] e in ossequio alla leale cooperazione istituzionale. È vero che l’insostenibilità dei modelli di espansione urbana non può tradursi in uno slogan per giustificare, in ogni caso, scelte apparentemente finalizzate a tutelare gli areali agro-naturali[29], non potendosi prescindere dall’effettivo accertamento dello stato dei luoghi, ma il quadro regolatorio, in linea alle osservazioni espresse nei precedenti paragrafi, dovrebbe superare il limite dei confini comunali.
Data l’assenza di una disciplina organica sul consumo di suolo[30], occorre riflettere su quali strumenti, de iure condito, possano almeno arginarne l’avanzamento e su quali interventi, de iure condendo, siano configurabili.
Dal primo punto di vista, anche in considerazione delle prevedibili difficoltà per il PRG a occuparsi di un problema che ha contribuito a creare, andrebbe valorizzato il ruolo sussidiario di alcuni istituti giuridici, in particolare della pianificazione paesaggistica[31] e della VAS[32]. Inoltre, sarebbe necessario riflettere sulla rigenerazione urbana in termini di alternativa strategica alla impermeabilizzazione delle superfici o soil sealing[33] e accedere a una visione integrata della rigenerazione medesima idonea a intercettare non soltanto la dimensione ambientale della sostenibilità, ma pure quella economica e sociale, con ripercussioni positive nell’ottica della resilienza cittadina[34].
Dal secondo punto di vista, potrebbe immaginarsi una legislazione statale volta a un rilancio dell’urbanistica, in linea all’art. 80 del d.P.R. 616/1977, ovvero proiettata maggiormente alla protezione di una risorsa naturale produttiva di servizi ecosistemici in considerazione della traiettoria evolutiva che, nel nostro ordinamento, ha determinato lo spillover delle tutele di settore chiamate a sopperire alla crisi dell’urbanistica.
Una prospettiva, quest’ultima, che può definirsi “filoambientalista” e valorizza la funzione sociale della proprietà anche attraverso una rilettura del «razionale sfruttamento del suolo» di cui all’art. 44 Cost. in chiave non soltanto produttivistica. Ciò in linea alle previsioni dell’art. 191 TFUE che cristallizzano il principio dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali[35] e, nel complesso, agli indirizzi espressi dalle istituzioni europee, in primis dalla Commissione, sia pure mediante documenti e atti di soft law[36].
Accedere a una simile impostazione non consentirebbe comunque di prescindere dalla razionalità di provvedimenti simili a quello oggetto del giudizio instaurato davanti al Tar Brescia e definito con sentenza n. 240/2021, secondo cui la potestà pianificatoria comunale non è senza limiti, in particolare, quando disciplina l’attività agricola come produzione[37]. La tensione tra esigenze di sviluppo economico e di tutela ambientale, dopotutto, è un fattore che le istituzioni, a tutti i livelli, hanno sempre dovuto tenere presente anche in ragione del principio di integrazione[38].
Il punto è che in assenza di un quadro di regole chiaro si mina, in radice, la certezza del diritto e con essa l’effettività delle azioni da intraprendere a tutela del suolo naturale. Posto che la difesa di tale risorsa non costituisce una materia, ma un obiettivo da perseguire attraverso una complessa pianificazione dei settori coinvolti[39], da più parti è stata segnalata l’esigenza di un intervento statale idoneo a vincolare i legislatori regionali e, a cascata, gli enti locali tenuti al rispetto di invarianti da riportare nella parte strutturale dei piani urbanistici[40].
Dovrebbe risultare sufficientemente chiara la riconducibilità di un simile intervento alla materia ambientale (art. 117, comma 2, lett. s, Cost.), ferme restando le implicazioni con il governo del territorio (art. 117, comma 3, Cost.). Dovrebbero, inoltre, essere valorizzate le previsioni degli artt. 9 e 44 Cost. e non trascurati alcuni spunti derivanti dall’esperienza legislativa regionale[41]. Tutto ciò in nome del principio del razionale sfruttamento del suolo, della promozione del capitale naturale e del paesaggio, del riuso delle aree già urbanizzate e della rigenerazione delle stesse, in uno scenario proiettato al doveroso rispetto del principio di solidarietà.
[1] Si tratta della definizione di suolo offerta dalla Carta Europea del Suolo del 1972.
[2] Il riferimento è principalmente all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
[3] Come si legge nella Lettera Enciclica Laudato Si’ del 24 maggio 2015 di Papa Francesco «ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni».
[4] I contenuti di tale iniziativa legislativa sono in ampia parte trasfusi nella proposta approvata in prima lettura dalla Camera dei Deputati il 12 maggio 2016 (AC-2039). Per approfondimenti ulteriori, fra i molti, L. De Lucia, Il contenimento del consumo di suolo nell’ordinamento italiano, in G.F. Cartei - L. De Lucia (a cura di), Contenere il consumo del suolo. Saperi ed esperienze a confronto, Napoli, 2014, 91 ss.; Id., Il contenimento del consumo di suolo e il futuro della pianificazione urbanistica e territoriale, in G. De Giorgi Cezzi - P.L. Portaluri (a cura di), La coesione politico-territoriale, in L. Ferrara - D. Sorace, A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana, vol. II, Firenze, 2016, 299 ss.
[5] Cfr. G.A. Primerano, Soil Consumption and public policies of territorial government, in E. Picozza - A. Police - G.A. Primerano - R. Rota - A. Spena, Le politiche di programmazione per la resilienza dei sistemi infrastrutturali. Economia circolare, governo del territorio e sostenibilità energetica, Torino, 2019, 73 ss.
[6] Commissione Europea, COM/2011/571 del 20 settembre 2011, Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse. Il suddetto obiettivo inizia concretamente a delinearsi, in ambito europeo, grazie alla Strategia tematica per la protezione del suolo (COM/2006/231 del 22 settembre 2006) coeva alla Proposta di direttiva che istituisce un quadro per la protezione del suolo (COM/2006/232).
[7] Ai sensi dell’art. 1, comma 4, della l. reg. Lombardia 28 novembre 2014, n. 31, a titolo esemplificativo, il dichiarato scopo delle «disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato» è quello di «concretizzare sul territorio della Lombardia il traguardo previsto dalla Commissione europea di giungere entro il 2050 a una occupazione netta di terreno pari a zero».
[8] G. Pagliari, Governo del territorio e consumo di suolo. Riflessioni sulle prospettive della pianificazione urbanistica, in Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. IV, Napoli, 2020, 3803.
[9] P. Carpentieri, Il “consumo” del territorio e le sue limitazioni. La “rigenerazione urbana”, in www.giustizia-amministrativa.it, 2019.
[10] Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710, secondo cui la funzione di pianificazione urbanistica non appare solo strumentale a garantire una disciplina coordinata dell’edificazione dei suoli, ma è volta allo sviluppo complessivo e armonico del territorio, nonché a realizzare finalità economico-sociali della comunità locale, in attuazione di valori costituzionalmente tutelati. In senso analogo, si veda Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821.
[11] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2018, n. 2780.
[12] Il riferimento è agli artt. 59 e 60 della l. 11 marzo 2005, n. 12, s.m.i., che definiscono gli interventi edificatori ammessi nelle aree destinate all’agricoltura mediante l’individuazione dei relativi presupposti soggettivi e oggettivi.
[13] La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che eventuali preclusioni edificatorie in area agricola richiedono una specifica motivazione, in quanto suscettibili di ledere la legittima aspettativa dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività (v. Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5453). Nel caso di specie, era stata evidenziata la necessità di disporre di una struttura edilizia per il deposito di materiali e per il ricovero di mezzi agricoli, di un ufficio e di una piccola residenza.
[14] Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 12 marzo 2021, n. 240: «come confermato anche dal parere formulato da ARPA sul Rapporto Preliminare (…), l’obiettivo di riduzione del consumo di suolo, richiamato a motivazione della reiezione dell’osservazione presentata dai ricorrenti, oltre che più in generale delle misure restrittive adottate per l’edificazione in zona agricola e in particolare dell’introduzione dei presidi rurali, non è supportato da adeguata istruttoria e non trova giustificazione né fondamento in una necessaria approfondita analisi sullo stato effettivo di consumo del suolo e nella conseguente individuazione delle azioni necessarie per il suo contenimento».
[15] Al riguardo è appena il caso di osservare che è proprio il documento di piano a contenere, ai sensi dell’art. 8 della l. reg. Lombardia n. 12/2005, le scelte più significative per la trasformazione del territorio.
[16] Per un inquadramento, cfr. V. Cerulli Irelli, Statuto costituzionale della proprietà privata e poteri pubblici di pianificazione, in P. Urbani (a cura di), Politiche urbanistiche e gestione del territorio. Tra esigenze del mercato e coesione sociale, Torino, 2015, 11 ss.; a livello monografico, A. Moscarini, Proprietà privata e tradizioni costituzionali comuni, Milano, 2006.
[17] In questi termini si esprime P. Carpentieri, Il “consumo” del territorio e le sue limitazioni, cit.
[18] Sul principio di prevalenza del piano paesaggistico, ex multis, Corte cost., 10 marzo 2017, n. 50; Id., 30 maggio 2008, n. 180; Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 110; Tar Toscana, sez. I, 21 luglio 2017, n. 945; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 2 aprile 2014, n. 1905; Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, 6 dicembre 2010, n. 35381.
[19] Corte cost., 27 luglio 2000, n. 378.
[20] Corte cost., 7 luglio 2016, n. 160.
[21] Corte cost., 27 dicembre 2018, n. 245.
[22] Ci si riferisce a Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711, e la norma cesurata, come anticipato, è l’art. 5, comma 4, della l. reg. Lombardia n. 31/2014 (prima delle modifiche apportate dalla l. reg. Lombardia 26 maggio 2017, n. 16). In particolare, valorizzata in premessa la ratio della citata legge per la riduzione del consumo di suolo e la riqualificazione del suolo degradato, il Consiglio di Stato si concentra sull’ultimo periodo della disposizione menzionata che, disciplinando la fase transitoria necessaria per l’integrazione e l’adeguamento dei piani in vista della riduzione del consumo di suolo, stabilisce che, in attesa di tale adeguamento, sono comunque «mantenute le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano vigente». Esclusa la possibilità di interpretare le disposizioni nel senso indicato dall’ente locale, ossia come comportanti il solo limite a non disporre nuovo consumo di suolo, il Consiglio di Stato giudica rilevanti e non manifestamente infondate le q.l.c. prospettate dall’amministrazione comunale appellante.
[23] Il giudizio amministrativo aveva ad oggetto la variante generale al PGT adottata nel 2015 dal Comune di Brescia, poi approvata, impugnata dai proprietari di alcuni immobili poiché fortemente riduttiva delle possibilità edificatorie risultanti dalle precedenti previsioni urbanistiche.
[24] Le scelte urbanistiche, secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa costante, costituiscono «valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate» (Cons. Stato, sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4037; Id., 16 aprile 2014, n. 1871; Id., 15 novembre 2013, n. 5589).
[25] Corte cost. n. 179 del 2019.
[26] Così sempre Corte cost. n. 179 del 2019.
[27] G. Gardini, Alla ricerca della città “giusta”. La rigenerazione come metodo di pianificazione urbana, in www.federalismi.it, n. 24/2020, 52.
[28] G.F. Cartei, Il suolo tra tutela e consumo, in Riv. giur. urb., 4, 2016, 12.
[29] Cfr. E. Boscolo, Beni pubblici e beni comuni: appunti per una sistemazione teorica, in Scritti in onore di Eugenio Picozza, vol. I, Napoli, 2019, 215.
[30] In tema v. L. Giani - M. D’Orsogna, Diritto alla città e rigenerazione urbana. Esperimenti di resilienza, in Scritti in onore di Eugenio Picozza, cit., vol. III, 2014.
[31] Il principio di «uso consapevole del territorio» cui si riferisce l’art. 131 d.lgs. 42/2004 implica pure un «minor consumo di territorio» a norma del successivo art. 135, comma 4, lett. c). Sul piano paesaggistico, proiezione applicativa della riserva di potestà esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio, A. Angiuli, Art. 135 (cui adde il commento agli artt. 143 ss.), in A. Angiuli - V. Caputi Jambrenghi (a cura di), Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, 352 ss.; più di recente, S. Amorosino, Artt. 143-145 (ivi anche il commento all’art. 135), in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019, 1284 ss.
[32] Sulle “potenzialità” della valutazione ambientale strategica, E. Boscolo, Oltre il territorio: il suolo quale matrice ambientale e bene comune, in Urb. app., 2014, 146; a livello giurisprudenziale, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2921.
[33] Con l’espressione “soil sealing” la Commissione europea ha inteso riferirsi al «rivestimento del suolo per la costruzione di edifici, strade o altri usi» (COM/2002/179, Verso una strategia tematica per la protezione del suolo), ossia alla «copertura di una superficie e del relativo suolo con materiale impermeabile artificiale, come fondamenta di case, edifici industriali e commerciali, infrastrutture per il trasporto e altro» (Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, 2012).
[34] Sulla rigenerazione urbana, a livello monografico, A. Giusti, La rigenerazione urbana. Temi, questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione, Napoli, 2018. Cfr., inoltre, i contributi contenuti in P. Chirulli - C. Iaione (a cura di), La co-città. Diritto urbano e politiche pubbliche per i beni comuni e la rigenerazione urbana, Napoli, 2018; F. Di Lascio - F. Giglioni (a cura di), La rigenerazione di beni e spazi pubblici. Contributo al diritto della città, Bologna, 2017; E. Fontanari - G. Piperata (a cura di), Agenda Re-Cycle. Proposte per reinventare la città, Bologna, 2017; M. Passalacqua - A. Fioritto - S. Rusci (a cura di), Ri-conoscere la rigenerazione. Strumenti giuridici e tecniche urbanistiche, Rimini, 2018.
[35] Cfr. G.F. Cartei, Il problema giuridico del consumo di suolo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, 1285.
[36] Per un’esaustiva analisi, cfr. G. Guzzardo, La regolazione multilivello del consumo di suolo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2018, 119 ss.
[37] Cfr. P. Urbani, A proposito della riduzione del consumo di suolo, in Riv. giur. edil., 2016, II, 238.
[38] Cfr. F. Fracchia, Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in Riv. quadr. dir. amb., 2010, 21.
[39] In tal senso v. Corte cost., 26 febbraio 1990, n. 85.
[40] Cfr. P. Urbani, A proposito della riduzione del consumo di suolo, cit., 232.
[41] In particolare, per ciò che concerne la visione “integrata” della rigenerazione urbana: cfr. L. Giani - M. D’Orsogna, Diritto alla città e rigenerazione urbana, cit., 2018 s.; amplius, A. Giusti, La rigenerazione urbana, cit., 63 ss.