Interdittiva antimafia e giudicato penale (nota a Consiglio di Stato sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa - 2. Sulla certezza del diritto e sul giudicato tra sistemi diversi - 3. Sull’accertamento nel giudizio amministrativo operato dal giudice penale - 3.1. Rilevanza nel giudizio penale della qualificazione giuridica operata dal giudice amministrativo - 4. Focus. Rapporto tra interdittiva antimafia e giudicato penale - 4.1. Il rapporto tra decisioni di giudici diversi osservato da un'altra prospettiva: sent. Corte di Appello di Bari del 18 febbraio 2021 n. 4 - 5. Riflessioni conclusive.
1. Premessa: la vicenda contenziosa
La giurisprudenza scioglie progressivamente, in un equilibrio ragionevole e funzionale, il fitto groviglio relato ai provvedimenti interdittivi.
In tale filone, va segnalata la pronuncia dei Giudici di Palazzo Spada, sez. III, del 4 febbraio 2021, n. 1049, in cui si rileva il rapporto di autonomia intercorrente tra giudizi diversi [1]. La questione presenta diversi profili problematici che cercheremo di dipanare.
Come ricorda autorevole dottrina “nel sistema attuale, gli accertamenti di giudici “diversi” non sono più regolati dal principio di necessaria pregiudizialità del processo penale, ma da un principio generale di coerenza e non contraddittorietà degli accertamenti giurisdizionali che rappresenta la regola del rapporto in un sistema ispirato non più al principio di unicità ma di autonomia delle giurisdizioni, con le conseguenti implicazioni in tema di reciproco condizionamento degli accertamenti operati da giudici diversi” [2].
Nel caso de quo, l’odierna società appellante chiedeva alla Prefettura di revocare l’interdittiva antimafia [3] allegando, quale fatto legittimante, il provvedimento del giudice della prevenzione penale, con il quale l’impresa non era stata ammessa al controllo giudiziario ex art. 34-bis del Codice Antimafia “ritenendo non sussistenti i presupposti tentativi di infiltrazione mafiosa dell’azienda” [4].
La Prefettura rigettava l’istanza, che veniva successivamente impugnata dinnanzi al T.A.R. Campania, sede Napoli, che ne ordinava il riesame. All’esito di tale procedura, l’odierna appellante gravava con motivi aggiunti il nuovo provvedimento ed il giudice di prime cure dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo e rigettava i motivi aggiunti.
Dunque, il T.A.R. Campania, dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo contro il provvedimento della Prefettura di Caserta con il quale era stata rigettata l'istanza di revoca e/o revisione del provvedimento interdittivo; altresì rigettava il ricorso per motivi aggiunti proposto contro il provvedimento reso in sede di riesame, confermando la sussistenza dei presupposti del provvedimento interdittivo a carico della società.
Pertanto, l’impresa impugnava la sentenza del T.A.R, deducendo anzitutto che la pronuncia del Tribunale della prevenzione avrebbe “attitudine di giudicato e per tale ragione non possono essere messi in discussione in forza dell’art. 654 c.p.p. i fatti in esso accertati in esito ad un giudizio caratterizzato da pieno contraddittorio con l’UTG di Caserta e forza probatoria tipica del giudizio penale” [5].
Il Consiglio di Stato ritenendo infondato il ricorso, pronunciandosi definitivamente sulla sentenza gravata, rigetta l’appello.
2. Sulla certezza del diritto e sul giudicato tra sistemi diversi
Al fine di assicurare e garantire la certezza del diritto e la stabilità di rapporti giuridici è di fondamentale importanza evitare il verificarsi del contrasto fra giudicati nonché impedire che sentenze di giudici diversi valutino elementi in fatto o in diritto in modo logicamente inconciliabile [6].
La questione relativa a contrasti verificatesi all’interno dello stesso sistema è agevolmente risolta mediante il ricorso al giudicato, mentre più complessa e articolata appare la questione attinente al contrasto tra sentenze di organi giudicanti diversi. Se assurge a principio che la cosa giudicata copra esclusivamente la conclusione e non anche la premessa maggiore e quella minore, l’ipotesi di contrasto fra giudicati formatisi nei diversi sistemi non si concretizza poiché le misure giurisdizionali sono tipiche di ciascun ordinamento e dunque non è ipotizzabile che il giudice amministrativo possa irrogare misure penali e viceversa.
Nel rapporto fra sistemi diversi, il problema relato alla necessità di coerenza e di uniformità degli accertamenti rileva esclusivamente sulla motivazione e non anche sul dispositivo.
Per di più non sussistono i presupposti processuali affinché l’istituto del giudicato possa essere applicato. Intanto per la difficoltà connessa all’identificazione delle parti. Con riferimento alla Pubblica Amministrazione, essa è parte necessaria del processo amministrativo e, del resto, il Pubblico Ministero è parte necessaria nel processo penale ed è eccezionale il caso che esso intervenga nel processo amministrativo. Per cui si osserva che “il problema di coerenza e uniformità degli accertamenti investe la soluzione di questioni pregiudiziali comuni e, diversamente dal recente passato, l’Ordinamento sembra orientato ad impiegare la tecnica della cognizione incidentale in luogo di quelle della sospensione per pregiudizialità” [7].
Inoltre consolidata giurisprudenza ritiene che dal nuovo codice di procedura penale si possa intuire che l’ordinamento non è più improntato sul principio di unicità della giurisdizione, bensì su “quello dell’autonomia di ciascun giudizio e della piena cognizione da parte di ciascun giudice delle questioni giuridiche o di accertamento dei fatti rilevanti ai fini della propria decisione” [8].
3. Sull’accertamento nel giudizio amministrativo operato dal giudice penale
Viene spontaneo domandarsi se in virtù del principio di autonomia in luogo del principio di unicità si debba consentire che giudici diversi possano ricostruire verità diverse solo perché appartenenti ad ordini diversi. Se così fosse verrebbe meno il principio generale posto a garanzia della non contraddittorietà degli accertamenti giurisdizionali.
È bene intanto evidenziare che, nonostante non si ricorra più al principio di unicità, il concetto di giudicato in senso proprio viene utilizzato per regolare il rapporto tra gli accertamenti delle diverse giurisdizioni. Prendendo le mosse dagli artt. 651 e ss c.p.p., dedicati alla disciplina dell’efficacia di giudicato dell’accertamento operato dal giudice penale nel giudizio civile o amministrativo, si giunge alla normativa di cui all’art 654 c.p.p., che disciplina l’efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione nei giudizi civili o amministrativi: la sentenza ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando in questo si controverte circa un diritto o un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale e che gli stessi siano stati ritenuti rilevanti alla determinazione della decisione penale e purché la legge civile non preveda limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.
Rileva così l’accertamento recato nella parte motiva della sentenza. In particolare ci si riferisce ai soli presupposti di fatto non comprendendo anche il giudizio di diritto e la conseguente qualificazione giuridica dei fatti valutati. Pertanto, si palesa comprensibile, in tale prospettiva, l’orientamento del giudice amministrativo teso a riconoscere efficacia di giudicato all’accertamento operato dal giudice penale e ad escludere l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza in presenza di giudicato penale [9].
3.1. Rilevanza nel giudizio penale della qualificazione giuridica operata dal giudice amministrativo
Nel rapporto tra giudizio penale e giudizio amministrativo non si può riconoscere al giudicato l’efficacia propria di tale istituto. A predominare è il principio di coerenza e di non contraddittorietà dei diversi accertamenti giurisdizionali, che si estrinseca nella forma del giudicato.
Il processo amministrativo è ancora strutturato (salvo per determinate ipotesi) per lo più sulla scorta di un giudizio tipico di legittimità, prevedendo un’istruttoria soltanto eventuale. Dunque, non vi è un penetrante accertamento dei fatti, bensì una esclusiva verifica della logicità della ricostruzione operata dall’Amministrazione in sede di procedimento amministrativo.
Pertanto, è ampiamente comprensibile che la sentenza amministrativa non possa avere “efficacia di giudicato” nel giudizio penale. È ictu oculi poi la rilevanza di tale principio, inteso come coerenza e non contraddittorietà degli accertamenti giurisdizionali, seppur non contenuto in una norma scritta.
In conclusione, la giurisprudenza riconosce alle sentenze amministrative, e dunque agli accertamenti in esse contenute, valore equivalente ad ogni materiale utile sul piano probatorio, escludendo l’autorità di giudicato e precisando che gli effetti costitutivi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche che siano della legge ricollegati agli accennati accertamenti siano fatti salvi [10].
4. Focus. Rapporto tra interdittiva antimafia e giudicato penale
Dalle considerazioni, fin qui svolte, sembra chiaro che tra il giudizio relativo al provvedimento interdittivo ed il giudicato formatosi in sede penale vi sia un rapporto di autonomia [6]. La valutazione del giudice penale circa l’assenza di elementi che possano dimostrare un contatto attuale dell’impresa con realtà illecite attiene ad un profilo diverso ed ulteriore rispetto alla ricognizione fondata sul principio del “più probabile che non” [11] su cui invece trova fondamento il provvedimento prefettizio.
La giurisprudenza è chiara nel ritenere che la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio [12].
Prendendo in considerazione la misura del controllo giudiziario pare evidente che nel complesso disegno legislativo esso rappresenta un post factum rispetto all’emissione di un provvedimento interdittivo. Invero sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della successiva delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da eventuali infiltrazioni criminali, appare doppiamente viziata, per lo meno contorta poiché inevitabilmente sono differenti gli elementi considerati nelle due sedi; per di più è differente la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata [13].
Per tali ragioni non si può ritenere vincolante la pronuncia del giudice della prevenzione ovvero riconoscerle efficacia di giudicato relativamente al rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata. Vero è che la Prefettura e il giudice della prevenzione penale incentrano le rispettive valutazioni sulle medesime circostanze di fatto, giungendo però a conclusioni discordanti circa il pericolo di infiltrazione, che, inevitabilmente, conseguono alla differente impostazione dei due sistemi preventivi [14].
Le due autorità (amministrative e giudiziarie) motivano le proprie decisioni avendo parametri di giudizio differenti. Difatti, seppur per il giudice della prevenzione penale i fatti non sono tali da poter ammettere la società al controllo preventivo, gli stessi elementi risultano sufficienti per l’emissione del provvedimento interdittivo in base al criterio del “più probabile che non”.
Ora, in relazione al rapporto intercorrente tra la valutazione del rischio d’infiltrazione e l’accertamento della responsabilità penale è ormai noto l’orientamento giurisprudenziale per cui ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, bensì la forza dimostrativa dell'inferenza logica [15].
Ciò detto, va rilevato che dalla natura stessa dell’informazione antimafia [16] deriva che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati rispetto a quelli che si pretendono in sede giudiziaria, poiché solo sintomatici e indiziari [17].
È da segnalare che, nel caso de quo, l’impresa non ha dedotto che dal provvedimento del giudice penale risultasse un fatto sopravvenuto [18] tale da implicare una revisione del giudizio prognostico originario; bensì ha fatto discendere automaticamente da tale provvedimento l’illegittimità dell’interdittiva. Invero, il provvedimento penale trova esclusivo fondamento nel mancato raggiungimento della soglia rilevante in tale sede, che, medio tempore, rileva per l’autorità amministrativa.
In definitiva, sembra chiara la diversità strutturale e funzionale della valutazione dei fatti compiuta in sede di accertamento della responsabilità penale dei soggetti rispetto al valore inferenziale attribuito ai medesimi fatti nel giudizio prognostico concernente il pericolo d’infiltrazione criminosa.
Infine è da segnalare che gli elementi rilevanti per l’emissione del provvedimento prefettizio non vengono valutati atomisticamente bensì secondo il criterio interferenziale suggerito dal principio del “quae singula non prosunt, collecta iuvant”, al fine di valutare la possibile permeabilità della società a tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata [19].
4.1. Il rapporto tra decisioni di giudici diversi osservato da un'altra prospettiva: sent. Corte di Appello di Bari del 18 febbraio 2021 n. 4
Per chiarire il rapporto intercorrente tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, e dunque tra decisioni di giudici diversi, pare utile prendere le mosse da una prospettiva differente sollevata con la sentenza della Corte di Appello di Bari del 18 febbraio 2021 n. 4.
Il controllo giudiziario ex art. 34-bis del Codice Antimafia è applicato, su richiesta del P.M. o della stessa impresa che sia soggetta a interdittiva oggetto di impugnazione non ancora definitiva, allorquando l’agevolazione delle attività mafiose appare occasionale [20].
In sede di prevenzione penale, il giudizio ex art 34-bis consegue ad una valutazione diagnostica, tesa a verificare che l’agevolazione sostenuta dal prefetto sia stata occasionale; e una valutazione prognostica poi, intesa a verificare se l’impresa sia nelle condizioni di rientrare in un’economia sana [21]. Difatti, come sostenuto da ormai pacifica dottrina e giurisprudenza, il controllo giudiziario è una vera e propria messa alla prova dell’azienda al fine del suo recupero e, medio tempore, della sua sottrazione da una economia a carattere mafioso.
Nel caso de quo il giudice di prime cure ha ritenuto di esaurire il suo compito nel qualificare il rapporto dell’impresa con la criminalità organizzata come agevolazione occasionale sulla scorta degli elementi su cui si basa il provvedimento interdittivo e quindi in modo solo diagnostico. Al contrario, il giudizio sulla sussistenza o meno di tale agevolazione, essendo il proprium della procedura di controllo e il solo riservato alla cognizione del giudice penale anzicché amministrativo, e dunque, non può costituire il mero corollario del giudizio di assoggettamento poiché, oltre che per il momento diagnostico, esso si caratterizza per quello prognostico, mediante il quale possono valutarsi elementi non sindacabili dal G.A. in quanto estranei alla cognizione del prefetto [22].
Il giudice in sede di controllo giudiziario deve dare per scontata l’agevolazione e non contestarla, occupandosi e soffermandosi invece sul profilo dell’occasionalità. Il giudice amministrativo valuta la legittimità del provvedimento interdittivo mentre il giudice della prevenzione verifica l’evoluzione del rapporto sostanziale tra impresa e tessuto sociale [23].
Pertanto, il sindacato sugli elementi sfavorevoli all’impresa, posti a fondamento dell’interdittiva, possono essere rilevati esclusivamente davanti al giudice amministrativo; al contempo, al tribunale ordinario si può chiedere di affermare non già che quegli elementi non sussistano ovvero che essi siano irrilevanti, bensì che siano compatibili, attraverso la duplice visuale diagnostica e prognostica, con il giudizio di agevolazione occasionale [24].
Sul punto la Suprema corte a S.U. ha affermato che “con riferimento ai presupposti per disporre la misura del controllo giudiziario, il tribunale competente per le misure di prevenzione, oltre a verificare l’occasionalità dell’agevolazione dei soggetti pericolosi, deve svolgere una prognosi circa le concrete possibilità che la singola realtà aziendale abbia di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi di controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può compiere nel guidare l’impresa infiltrata” [25].
Nel caso in commento, dunque, nessuna possibilità di riconduzione ad un’economia sana è stata allegata dall’impresa intesa come un allontanamento da contesti malati. In ragione di ciò, la Corte non può formulare alcuna prognosi essendosi la ditta limitata a contestare i collegamenti rilevati dal Prefetto, senza addurre ulteriori elementi; pertanto, dalla mancata presentazione di un programma che possa prospettare la neutralizzazione delle forme ed attività agevolative già riscontrabile in primo grado, e dunque, mancando i requisiti necessari ai fini del vaglio della richiesta, la Corte dichiara inammissibile l’istanza di applicazione del controllo giudiziario proposta dall’impresa disponendo l’immediata cessazione.
5. Riflessioni conclusive
A chiusa delle considerazioni sin qui svolte, chiarita autonomia e separazione intercorrente tra interdittiva antimafia e giudicato penale, osservata tanto dall’angolo visuale del giudice amministrativo che dal giudice della prevenzione, è necessario rilevare che a fronte del deficit di tassatività della fattispecie incriminatrice, ed in particolare nell’ipotesi in cui trattasi di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera” e dunque “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa”, è stato delineato dalla giurisprudenza un “nucleo consolidato di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale” [26].
I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che “il rischio di infiltrazione criminale è stato desunto dalle frequentazioni del socio, con persone gravitanti nell’orbita della criminalità organizzata di tipo camorristico, dai suoi precedenti penali e dai legami familiari cementati da cointeressenze societarie con soggetti sui quali pure gravano indizi di collegamento”.
Dunque, le frequentazioni del socio non possono considerarsi un unicum, trattandosi di plurime situazioni che si spiegano in un lungo arco temporale, comprovando una continuità di relazioni che diviene più solida proprio perché perdurano nel tempo. Per di più se si considera che tali rapporti vengono giustificati da esigenze lavorative, lungi dall’alleggerire il significato indiziante delle stesse, che diventano maggiormente pregnanti in quanto connesse proprio all’attività di impresa che, invece, la legislazione antimafia intende preservare da influenze criminali.
Il condizionamento dell’impresa è reso vieppiù evidente considerando che il socio ha precedenti penali per rapina, violazioni urbanistiche, furto e violazione della legge sulle armi, che ben possono fondare, unitamente agli altri indizi, la prognosi delineata dall’Autorità prefettizia [27].
Il quadro tracciato dunque sorregge una soglia certamente superiore al criterio del “più probabile che non” per cui la valutazione del rischio di infiltrazione dell’attività d’impresa si appalesa evidente in sede amministrativa. Invero nella cognizione piena, il giudice penale non ha ritenuto gli elementi di prova raccolti, “elementi certi” per affermare la responsabilità, tuttavia, ciò non comporta sic et simpliciter, la conseguente non rilevanza dell’attività ai fini del provvedimento prefettizio che si fonda non su una piena dimostrazione bensì sul più ampio principio probabilistico che risulta nel caso in commento pienamente soddisfatto dato il complesso quadro indiziario.
Come evidenziato da autorevole dottrina, dunque, “il doveroso condizionamento che può avolersi qualora uno stesso fatto venga conosciuto da più giudici appartenenti ad ordini diversi non è spiegabile in termini di efficacia propria e diretta del giudicato, bensì per l’osservanza del suddetto principio di coerenza e non contraddittorietà” [28].
In conclusione osserva di recente la dottrina “una volta chiarito che il principio da osservare è quello che impone di assicurare la coerenza e non contraddittorietà degli accertamenti giurisdizionali, ciò ha ricadute che, per loro importanza, non possono essere trascurate. Prima tra tutte quella che l’abbandono del principio di unicità e l’affermazione di un principio di autonomia non possono giungere fino al punto di consentire che giudici diversi possano ricostruire “verità” diverse solo perché appartenenti ad ordini diversi o per via del fatto che il rapporto non può essere regolato attraverso l’efficacia del giudicato propriamente inteso” [29].
Ebbene questa impostazione deve essere condivisa. Nella materia che ci occupa, lo si ripete, esiste senza dubbio una sorta di sistema a ‘vasi comunicanti’. L’accertamento penale in un certo senso e con dei limiti condiziona la valutazione amministrativa.
Tuttavia tale sistema deve presentare dei limiti. Il ‘livello’ del giudicato può e deve restare impregiudicato in questo sistema dei vasi comunicanti. Qui si parla di controllo giudiziario da parte del giudice della prevenzione penale. Ed allora il ‘limite’ deve essere ancora più stingente: l’autonomia dei giudizi e dei relativi giudicati resta, ancora di più, un valore da mantenere e preservare.
[1] F. Francario, L’accertamento del fatto illecito nel giudizio amministrativo e nel giudizio penale: problemi ed interferenze, in Pubblica amministrazione diritto penale e criminalità organizzata (Atti del convegno), Milano, 2008, pag. 93 ss
[2] F. Francario, Illecito urbanistico o edilizio e cosa giudicata. Spunti per una ridefinizione della regola del rapporto tra processo penale ed amministrativo, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, Milano, 2015, pag 99 e ss
[3] E. Giardino, Le interdittive antimafia tra finalità perseguite e garanzie affievolite, in Archivio giuridico, anno CLII, fasc. 4, 2020, pp. 1099-1040
[4] Si suggerisce Trib. Trieste, 20 novembre 2020, Pres. Rel. Picciotto
[5] F. Francario, Illecito urbanistico o edilizio e cosa giudicata, cit. pag. 109 ss
[6] F. Francario, L’accertamento del fatto illecito nel giudizio amministrativo, cit. pag. 96 ss
[7] Ibidem.
[8] Cass. Civ. sez. III, 10 agosto 2004 n. 15477; id., sez. II, 25 marzo 2005 n. 6478
[9] F. Francario, L’accertamento del fatto illecito nel giudizio amministrativo, cit.
[10] ibidem. pag. 103; e in giurisprudenza Cass. Pen. Sez. V, n.3950 1 dicembre 1990
[11] F. FRACCHIA - M. OCCHIENA, Il giudice amministrativo e l’inferenza logica: “più probabile che non” e “oltre”, “rilevante probabilità” e “oltre ogni ragionevole dubbio”. Paradigmi argomentativi e rilevanza dell’interesse pubblico”, il diritto dell’economia, 2019
[12] Cfr. in tal senso Cass. Penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342
[13] F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in giustamm, 6, 2018; v. M. NOCCELLI, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, in Foro Amm, (Il) 2017
[14] V. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019
[15] Si consenta il rinvio a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in Giustiziainsieme, 2020
[16] M. Mazzamuto, Pagamento di imprese colpite da interdittive antimafia e obbligatorietà delle misure anticorruzione, in Giurisprudenza Italiana, 2019
[17] Cfr. Corte costituzionale sentenza 57/2020
[18] v. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 338/2021
[19] Ad esempio, un’operazione di self-cleaning. Sul punto C. Filicetti, Self cleaning e interdittiva antimafia (nota a Cons. St., Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945); ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 759/2019” così da ultimo le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020
[20] in dottrina M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, Sistema penale, fascicolo III, 2020
[21] v. Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 26 settembre – 19 novembre 2019, n. 46898
[22] R. RUPERTI, Sul contraddittorio procedimentale in materia di informazioni antimafia, in Giur. it., 2020
[23] Si consenta il rinvio a R. Rolli e M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e questioni di legittimità costituzionale (nota a ord.za TAR - Reggio Calabria, 11 dicembre 2020, n. 732), Giustizia insieme, 2021
[24] LONGO, La ‘massima anticipazione di tutela’. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, Federalismi, n. 19/2019
[25] Cass. S.U. 46898/19: “la peculiarità dell’accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano”, si che non è sufficiente accertare lo “ stato di condizionamento e di infiltrazione e quindi lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche”, dovendosi piuttosto” comprendere e prevedere la potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta”
[26] Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743
[27] cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651
[28] F. Francario, L’accertamento del fatto illecito nel giudizio amministrativo, cit.
[29] F. Francario, Una giusta revocazione “oscurata” dalla privacy. A proposito dei rapporti tra giudicato penale e amministrativo (nota a CGARS 1 10 2020 n. 866), in Giustiziainsieme, 2020