Strumentalità dell’accesso difensivo e sindacato giurisdizionale: osservazioni alla luce della normativa sulla trasparenza (nota a Consiglio di Stato, sez. III, 31 dicembre 2020, n. 8543) di Ippolito Piazza
Sommario: 1. La vicenda e le ragioni di interesse della pronuncia. – 2. La strumentalità dell’accesso difensivo e il relativo sindacato giurisdizionale. – 3. I limiti all’accesso nell’attuale contesto normativo. – 4. Osservazioni conclusive.
1. La vicenda e le ragioni di interesse della pronuncia
La sentenza in commento consente di tornare a riflettere sui limiti del diritto di accesso, in particolare di quello c.d. difensivo[1], alla luce dell’attuale quadro normativo sulla trasparenza amministrativa. Il Consiglio di Stato riafferma, infatti, la natura strumentale del diritto d’accesso ex artt. 22 e ss., l. n. 241/1990, che spetta soltanto a coloro che se ne possano «avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante». Tuttavia, nella pronuncia, il giudice amministrativo si spinge a sindacare le esigenze difensive che hanno mosso il privato a richiedere l’accesso ai documenti detenuti dall’amministrazione. Si tratta di un orientamento che sembra consolidarsi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato[2] e che desta, però, alcune perplessità. Occorre infatti domandarsi se tale sindacato sia ammesso dalla legge, ed eventualmente entro quali limiti.
Per farlo, sarà utile tener conto non solo della disciplina dell’accesso documentale, ma anche di quella sull’accesso civico (artt. 5 e 5-bis, d.lgs. n. 33/2013): attraverso il diritto di accesso civico generalizzato si realizza, infatti, il principio della «accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni», con il solo limite della tutela di interessi pubblici o privati indicati dal legislatore[3], circostanza che può influire, come si dirà, sull’intera materia dell’accesso.
Prima di tutto è, però, necessario ripercorrere brevemente la vicenda oggetto della controversia, per metterne a fuoco gli elementi rilevanti.
La controversia nasce da una richiesta di accesso presentata, in base agli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990, da una società che chiedeva all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) di ottenere gli atti di un procedimento che si era concluso con la stipula di accordi negoziali tra la stessa AIFA e altre imprese farmaceutiche. Tra la società istante e l’AIFA era già in corso un giudizio, pendente innanzi al Tar Lazio, avente per oggetto la legittimità del diniego di AIFA di attribuire ad alcuni medicinali importati la classe di rimborsabilità “A” (che comporta il rimborso a carico del SSN) e lo stesso prezzo al pubblico determinato per il farmaco originator corrispondente (cioè il farmaco originale equivalente e già in commercio nel nostro paese). In particolare, AIFA aveva ritenuto che l’ingresso dei medicinali nella classe “A” dovesse essere necessariamente subordinato alla conclusione di un accordo negoziale con l’impresa interessata, come avvenuto per le altre imprese importatrici.
A seguito del diniego opposto da AIFA alla istanza di accesso, la società interessata ha proposto ricorso ex art. 116 c.p.a. per veder accertato il proprio diritto ad accedere sia agli atti procedimentali prodromici che agli accordi negoziali stipulati tra AIFA e le altre imprese importatrici. In primo grado, il Tar Lazio ha accolto in parte il ricorso, limitando il diritto di accesso agli atti procedimentali ed escludendo, di conseguenza, gli accordi negoziali.
AIFA ha quindi proposto ricorso in appello, ritenendo che tutta la documentazione richiesta debba essere esclusa dall’accesso, sia perché la richiedente difetterebbe di un interesse diretto, concreto e attuale rispetto a documenti che non sarebbero di alcuna utilità rispetto al giudizio pendente; sia perché tali documenti conterrebbero informazioni commerciali riservate di imprese concorrenti, informazioni peraltro coperte dalle clausole di riservatezza inserite negli accordi negoziali stipulati con la stessa AIFA.
Due sono i punti principali sui quali concentrare l’analisi della pronuncia: in primo luogo, la strumentalità dell’accesso documentale rispetto alla difesa di interessi giuridici e il rispettivo sindacato giurisdizionale; in secondo luogo, i limiti al diritto d’accesso e la valenza delle clausole di riservatezza.
2. La strumentalità dell’accesso difensivo e il relativo sindacato giurisdizionale
L’evoluzione normativa ha visto accentuare nel tempo le caratteristiche di strumentalità dell’accesso documentale, introdotto con la l. n. 241/1990[4]. La versione originaria della legge stabiliva infatti che il diritto d’accesso fosse riconosciuto a «chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti». In seguito alle modifiche apportate dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, l’art. 22 della l. n. 241/1990 oggi stabilisce che il diritto d’accesso spetti a coloro che abbiano un interesse «diretto concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». In aggiunta, sempre con la novella del 2005, il legislatore ha escluso che l’accesso documentale possa servire a un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni (art. 24,c. 3).
Così facendo, il legislatore ha chiarito che il diritto d’accesso della l. n. 241/1990 è uno strumento di difesa per i titolari di situazioni giuridiche soggettive collegate al documento richiesto, non invece un mezzo utilizzabile da ogni cittadino per soddisfare un generico bisogno di conoscenza legato all’attività della pubblica amministrazione.
Il ‘vuoto’ così determinato è stato colmato, come noto, dall’introduzione delle forme di accesso civico, prima quello c.d. semplice[5], relativo ai documenti per i quali la legge prevede un obbligo di pubblicazione, e poi quello c.d. generalizzato, che consente a chiunque (senza particolari requisiti di legittimazione) di richiedere all’amministrazione – in via di principio – ogni dato o documento da essa detenuto[6].
La coesistenza di tre forme generali di diritto d’accesso[7] ha comportato, in sede interpretativa, la necessità di coglierne le rispettive differenze. Ciò è valso soprattutto per il diritto d’accesso documentale e quello civico generalizzato, poiché essi condividono, in larga misura[8], lo stesso oggetto. La giurisprudenza amministrativa si è, quindi, orientata nel senso di ritenere che l’accesso documentale sia meno esteso ma più profondo di quello civico generalizzato[9]. Pur nella difficoltà di individuare l’esatto contenuto di questa differenza[10], l’idea di base è che l’accesso della l. n. 241/1990 garantisca maggiormente la pretesa conoscitiva del ricorrente, poiché non è sufficiente, al fine di escludere l’accesso, che l’ostensione del documento generi un pregiudizio a uno degli interessi tutelati dalla legge.
L’art. 24 prevede, infatti, una serie di casi nei quali l’accesso debba essere negato (sia a tutela di interessi pubblici come la sicurezza e l’ordine pubblico, sia a tutela di interessi privati come la vita o la riservatezza delle persone): tuttavia, il comma 7 dello stesso articolo stabilisce che l’accesso debba «comunque essere garantito ai richiedenti», quando la conoscenza del documento sia «necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici». Al contrario, la normativa sull’accesso civico non prevede un simile criterio di prevalenza del diritto a conoscere, ma rimette all’amministrazione la valutazione dell’esistenza di un pregiudizio concreto agli interessi pubblici e privati individuati dall’art. 5-bis, di per sé sufficiente a escludere l’accesso[11].
Ebbene, di fronte a questo quadro normativo e sulle orme di un indirizzo costante, la sentenza in esame ribadisce che l’accesso ex art. 22, l. n. 241/1990 ha carattere strumentale ed è, pertanto, consentito solo a chi possa «dimostrare che gli atti oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, anche indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica». Si tratta di una strumentalità da intendere in senso ampio: la legittimazione all’accesso non va riconosciuta solo a coloro che vogliano servirsi dei documenti per la difesa in giudizio della situazione giuridica sottostante, ma è «sufficiente la dimostrazione del grado di protezione al bene della vita dal quale deriva l’interesse ostensivo»; non sono, invece, ammesse istanze vòlte alla cura di un interesse meramente emulativo o potenziale[12].
Nell’esaminare l’interesse della ricorrente rispetto ai documenti richiesti, il Consiglio di Stato compie però, nel caso di specie, una valutazione che appare eccessivamente sommaria. Il massimo giudice amministrativo si limita, infatti, a sostenere che la ricorrente difetta di un interesse concreto e attuale, dal momento che la stessa, «secondo la prospettazione sostenuta in giudizio, ha ritenuto non necessaria la negoziazione dei prezzi dei farmaci di importazione parallela e, dunque, non si comprende come possa rilevare, a fini di difesa, la conoscenza degli accordi conclusi da AIFA con le altre società farmaceutiche e la conoscenza degli atti del relativo procedimento».
Non v’è dubbio che la ricorrente stia difendendo i propri interessi giuridici, avendo già instaurato – al momento della istanza di accesso – un giudizio di fronte al Tar Lazio, riguardante la legittimità di alcuni provvedimenti emanati da AIFA. La fattispecie ricade, quindi, certamente nell’ambito applicativo dell’art. 24, c. 7, l. n. 241/1990, che anzi parla genericamente di ‘cura’, oltre che di difesa, dei propri interessi[13]. Per negare il nesso di strumentalità dell’accesso, il Consiglio di Stato si spinge allora a sindacare l’utilità dei documenti richiesti rispetto alla strategia difensiva della ricorrente, ravvedendo una contraddizione tra il contenuto dei documenti e la condotta processuale. È facile intuire che si tratti di un terreno scivoloso, nel quale potrebbe finanche rilevare l’art. 24 Cost.: l’affermazione del Consiglio di Stato non sembra infatti capace di esaurire tutto lo spettro dei possibili utilizzi difensivi dei documenti richiesti[14]. Senza considerare che è «irragionevole pretendere di anteporre il momento della costruzione della strategia difensiva a quello della conoscenza degli elementi necessari per la sua elaborazione»[15].
Soltanto in subordine, il Consiglio di Stato valuta invece se il contenuto dei documenti richiesti (atti procedimentali propedeutici e accordi negoziali stipulati da AIFA con altre imprese) sia lesivo degli interessi delle imprese concorrenti. Di questo profilo si tratterà nel prossimo paragrafo.
Qui è importante sottolineare come, a fronte del chiaro disposto del comma 7 dell’art. 24 («Deve comunque essere garantito…»)[16], che fa prevalere l’esigenza conoscitiva di chi debba tutelare propri interessi giuridici rispetto agli eventuali pregiudizi ad altri interessi tutelati, la giurisprudenza, per negare l’accesso, faccia leva sulla assenza di legittimazione del richiedente[17] e arrivi, per questa strada, a sindacarne le esigenze difensive. La ragione che muove i giudici amministrativi sembra chiara: intendendo la legittimazione dell’accesso documentale in senso ampio e tenendo conto della clausola di prevalenza dell’art. 24, c. 7, vi è il rischio che l’accesso debba sempre essere permesso a chi sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante, con un conseguente arretramento nella tutela degli interessi contrapposti (dalla riservatezza agli interessi commerciali, fino all’ordine pubblico). Di conseguenza, i giudici sono spinti a sindacare la strumentalità dell’accesso rispetto alle esigenze difensive dei richiedenti[18].
Il ragionamento è indubbiamente fondato sull’interpretazione della l. n. 241/1990 ma, nel quadro attuale, non si può ignorare l’esistenza di una forma di accesso che prescinde da qualsivoglia requisito legittimante in capo al richiedente. Viene cioè naturale domandarsi che cosa sarebbe successo se l’istanza d’accesso fosse stata presentata ai sensi dell’art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013. In tal caso, l’amministrazione e il giudice avrebbero potuto unicamente valutare se i documenti richiesti (o anche solo parti di essi) potessero causare un pregiudizio concreto agli interessi commerciali delle imprese coinvolte.
È vero che la giurisprudenza formatasi dopo l’introduzione dell’accesso generalizzato ha sostenuto che i diversi diritti d’accesso non siano sovrapponibili e non corrispondano a un «unico diritto soggettivo globale di accesso»[19], bensì costituiscano un insieme di garanzie differenziate per finalità, metodi di approccio alla conoscenza e livelli soggettivi di pretesa alla trasparenza[20]. Si deve però tener conto della recente pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[21], che ha sostenuto una tesi almeno in parte diversa: quella cioè per cui «il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato (…) non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione».
Insomma, nell’attuale regime di trasparenza, che consente a chiunque di conoscere ogni dato o documento detenuto dalla pubblica amministrazione, con le uniche eccezioni dovute alla tutela di interessi rilevanti individuati dal legislatore, è su queste ultime che occorrerebbe concentrare l’attenzione.
3. I limiti all’accesso nell’attuale contesto normativo
Solo dopo aver escluso che la ricorrente sia titolare di un interesse concreto alla conoscenza dei documenti richiesti, il Consiglio di Stato si occupa dei possibili limiti alla loro conoscibilità. Gli accordi negoziali dei quali era richiesta la visione[22] includevano infatti una clausola di riservatezza. Ad avviso dei giudici, la clausola è «valida e vincolante in relazione agli interessi commerciali dell’impresa controinteressata» e può essere opposta alla richiedente, che potrebbe altrimenti avvalersi dei dati contenuti nell’accordo a fini concorrenziali. Inoltre, secondo la sentenza, tale pattuizione consente legittimamente all’amministrazione di sottrarre all’accesso anche gli atti procedimentali propedeutici all’accordo, perché la conoscenza dei primi rivelerebbe il contenuto del secondo, vanificando l’impegno alla riservatezza.
La clausola di riservatezza non viene, però, espressamente ricondotta a una delle ipotesi di esclusione dell’accesso previste dall’art. 24, l. n. 241/1990, così da indurre a pensare che, in sede negoziale, l’amministrazione pubblica possa sottrarre alcuni atti all’accesso (sia documentale, come nel caso di specie, che civico). Una conclusione così netta non sembra ammissibile: da un lato, non esiste una norma che vieti l’apposizione di una simile clausola; dall’altro, però, i limiti all’accesso sono stabiliti da norme di legge. Secondo un condivisibile orientamento del Consiglio di Stato, la clausola di riservatezza non può porsi in contrasto con norme imperative[23]: ciò significa che la clausola è valida se compatibile con le esclusioni previste dall’art. 24, l. n. 241/1990, che contempla, tra i casi di sottrazione all’accesso, anche quelli relativi alla salvaguardia degli interessi finanziari, industriali e commerciali delle imprese (art. 24, c. 6, lett. d); inoltre, la validità della clausola di riservatezza «non esime (…) il collegio da un controllo di meritevolezza della stessa, avuto riguardo all’interesse al buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione»[24].
Si può pertanto affermare che l’esistenza di una clausola di riservatezza non escluda, di per sé, l’accesso ai documenti ma occorra invece valutare quali parti dell’accordo (e, ancor più, degli atti procedimentali prodromici) siano lesivi degli interessi dei contraenti e quali, invece, possano essere rese pubbliche. Non bisogna infatti dimenticare che la legge consente una ostensione parziale dei documenti: ai sensi dell’art. 24, c. 5, i documenti possono essere sottratti all’accesso «solo nell’ambito e nei limiti» della connessione con gli interessi protetti dalle esclusioni del comma 1 (parallelamente, l’art. 5-bis, c. 4, d.lgs. n. 33/2013 prevede che se i limiti all’accesso civico riguardano solo alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l’accesso agli altri dati o alle altre parti). Nella sentenza, invece, nessuna menzione viene fatta dell’accesso parziale, né, conseguentemente, di quali informazioni concretamente siano lesive degli interessi commerciali.
4. Osservazioni conclusive
A più di trent’anni dalla sua introduzione, il diritto d’accesso continua a porre problemi all’interprete, a conferma della vitalità dello strumento e del costante bisogno di trasparenza manifestato dai privati, sia come portatori di uno specifico interesse giuridico, che come cittadini. La problematicità dell’istituto è certamente accentuata dalla stratificazione normativa, che ha via via affiancato all’accesso documentale della l. n. 241/1990 altre forme di accesso, sia speciali che generali. In particolare, la sentenza in commento mostra come la attuale configurazione dell’accesso documentale, come diritto ‘più resistente’ di fronte a possibili contro-interessi, porti il giudice amministrativo a sindacare i requisiti di legittimazione del richiedente[25], più che l’eventuale pregiudizio prodotto dall’ostensione dei documenti. Questo perché la legge configura l’accesso documentale come «comunque» prevalente, quando la conoscenza dei documenti sia necessaria alla tutela di un interesse giuridico. Si tratta di una strada non priva di inconvenienti: in primo luogo, il giudice può spingersi, come nel caso che ci interessa, a sindacare la necessità di un documento per la strategia difensiva del richiedente, giudizio di per sé complesso e ragionevolmente riservato a quest’ultimo; in secondo luogo, in un’ottica sistematica, l’ordinamento offre oggi uno strumento che prescinde dalla legittimazione del richiedente e che guarda solo all’esistenza di contro-limiti all’accesso; uno strumento, peraltro, non necessariamente meno forte dell’accesso documentale[26]. Utile potrebbe essere allora la valorizzazione di quella giurisprudenza che, anziché negare in radice l’accesso difensivo per assenza di legittimazione del richiedente, ricerca un contemperamento con la tutela di contro-interessi attraverso l’oscuramento parziale dei documenti[27]. Può infatti accadere che non tutti i dati, il cui rilascio è potenzialmente lesivo di contro-interessi, siano altresì necessari alla difesa degli interessi del richiedente.
***
[1] Sul quale si veda anche la recente Cons. Stato, ad.plen., 25 settembre 2020, n. 19, in merito ai rapporti tra diritto d’accesso e strumenti di acquisizione probatoria nel processo civile; per un commento alla sentenza, M. Ricciardo Calderaro, Diritto d’accesso e acquisizione probatoria processuale, in questa Rivista.
[2] Si veda, per esempio, Cons. Stato, sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213.
[3] Si vedano, in particolare, gli artt. 1, 5 e 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, come modificati dal d.lgs. n. 97/2016. In particolare, sulle novità introdotte nel 2016, v. M. Savino, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giorn. dir. amm., 2016, 593 ss; M.A. Sandulli, L. Droghini, La trasparenza amministrativa nel FOIA italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la sua difficile attuazione, in Federalismi.it, 19/2020, 401 ss. Più in generale, nell’ampia bibliografia sull’accesso civico, ci si limita a segnalare G. Gardini, M. Magri (a cura di), Il FOIA italiano: vincitori e vinti. Bilancio a tre anni dall’introduzione, Sant’Arcangelo di Romagna, 2019, A. Corrado, Conoscere per partecipare: la strada tracciata dalla trasparenza amministrativa, Napoli, 2018, spec. cap. VII e i contributi di M. Savino, N. Vettori, A. Moliterni, I. Piazza, F. Manganaro, M. De Rosa – B. Neri, M. Filice apparsi in Dir. Amm., 3 e 4/2019.
[4] Su questa evoluzione, v. F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in Federalismi.it, n. 10/2019, 9 ss.
[5] Art. 5, c. 1, d.lgs. n. 33/2013.
[6] Art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013.
[7] Alle quali si aggiungono i diritti di accesso previsti dalle discipline di settore, come l’accesso ambientale (d.lgs. 19 agosto, n. 195) e quello in materia di contratti pubblici (art. 53, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).
[8] La coincidenza dell’ambito applicativo non è completa, dal momento che l’accesso documentale ha per oggetto i «documenti amministrativi» (art. 22, c. 1, lett. d; nozione da intendersi comunque in senso ampio), mentre l’accesso civico generalizzato può essere rivolto «ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni» (art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013).
[9] Tra altre, Cons. St., sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651, Tar Lazio, sez. I, 8 marzo 2018, n. 2628. Nello stesso senso si esprimono del resto le Linee guida Anac (delib. n. 1309 del 28 dicembre 2016), previste dall’art. 5-bis, c. 6, d.lgs. n. 33/2013, secondo cui il bilanciamento tra gli interessi in gioco è diverso nei due tipi di accesso, perché nel caso della l. n. 241/1990 «la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti», mentre per l’accesso generalizzato «le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni».
[10] Sul punto, F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., spec. 8.
[11] Sui limiti all’accesso civico generalizzato, M. Filice, I limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Dir. Amm., 4/2019, 861 ss.
[12] Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2018, n. 3938. Si veda anche Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 249. Sull’interesse legittimante l’accesso, A. Simonati, I principi in materia di accesso, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1219 ss.
[13] Ben diverso è dunque, sotto questo profilo, il caso di specie da quello affrontato da Cons. Stato, 17 marzo 2017, n. 1213, sempre riguardante l’accesso ad accordi negoziali stipulati da AIFA con imprese terze, ma nel quale la richiedente non aveva instaurato «giudizi o procedimenti utili per la difesa della posizione giuridica di base al di là di assai generici richiami “a criticità di natura concorrenziale” formulati ai fini della domanda di accesso».
[14] Del resto, la giurisprudenza afferma solitamente che l’accesso difensivo «va valutato ex ante ed in astratto, e non già con riferimento alla pertinenza nel merito dei documenti individuati dall'interessato, dato che la concreta valutazione della rilevanza e pertinenza della documentazione ai fini del giudizio cui accede la richiesta va apprezzata nell'ambito di quest’ultimo»: Tar Trento, sez. I, 15 luglio 2020, n. 115.
[15] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., 23.
[16] Si veda nuovamente F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., 19, secondo cui «Una volta espunta la figura dell’accesso civico dall’impianto della legge 241, l’importanza sistematica della norma recata dal citato settimo e ultimo comma dell’art. 24 deve essere necessariamente riconsiderata»; essa diventa cioè una ipotesi «tipica», nella quale la legge prevede che l’accesso prevalga e, quindi, «perché venga impedito è necessario che si contrapponga un interesse di “pari rango”, che vi sia cioè una eccezione espressamente contemplata sul piano normativo; e non già una semplice esigenza discrezionalmente apprezzabile da parte della pubblica amministrazione».
[17] Come già evidenziato da F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., 22 s., che parla, riguardo alla giurisprudenza sulla riservatezza commerciale e industriale, di «una tendenza a riappropriarsi dei margini di valutazione discrezionale con riferimento al giudizio di necessità della conoscenza per la difesa della situazione soggettiva, con il rischio di assoggettare nuovamente ad un bilanciamento con i contrapposti interessi, sotto un diverso profilo, l’esigenza defensionale».
[18] Un esito di questo tipo era stato prefigurato da A. Simonati, I principi in materia di accesso, cit., 1220.
[19] Tra tante, Tar Puglia, sez. III, 19 febbraio 2018, n. 231.
[20] Cons. Stato, sez. IV, 12 agosto 2016, n. 3631.
[21] Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10, sulla quale v. A. Moliterni, Pluralità di accessi, finalità della trasparenza e disciplina dei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm., 4/2020, 505 ss.
[22] Gli accordi, di per sé, non sono sottratti all’accesso, stante la nozione ampia di documento contenuta nella legge: l’art. 22, c. 1, lett. d), l. n. 241/1990 stabilisce infatti che per «documento amministrativo» debba intendersi «ogni rappresentazione (…) del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».
[23] Per la natura imperativa delle norme sull’accesso v. anche Tar Lazio, sez. II, 30 agosto 2016, n. 9437.
[24] Cons. Stato, 17 marzo 2017, n. 1213: nel caso specifico, la clausola di riservatezza era ritenuta utile non solo a tutelare gli interessi commerciali del privato, ma anche l’interesse pubblico al buon andamento, poiché la segretezza degli accordi avrebbe potuto consentire un risparmio per l’amministrazione nelle future contrattazioni con altre imprese.
[25] In alcune pronunce in materia di segreti industriali, il Consiglio di Stato utilizza, per esempio, il più stringente canone della «stretta indispensabilità» dei documenti richiesti al fine di tutelare i propri interessi giuridici (Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1451 e 17 aprile 2020, n. 2449), canone che l’art. 24, c. 7 riferisce però solo al caso di richiesta di documenti contenenti dati sensibili o giudiziari.
[26] Secondo Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10, non si può escludere che «un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato».
[27] V. Tar Veneto, sez. III, 26 luglio 2019, n. 894 e, soprattutto, Tar Lazio, sez. I, 4 febbraio 2020, n. 1470 («Al fine di garantire l’esigenza di cura e difesa degli interessi giuridici della parte ricorrente, contemplata dall’art. 24, comma 7, della L. n. 241/1990, le legittime esigenza di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica manifestate dall’amministrazione resistente possono essere adeguatamente preservate ricorrendo ad accorgimenti divulgativi - che l’Ufficio competente porrà in essere - tali da escludere o "mascherare" ogni indicazione contenuta nell'informativa diversa dalla identificazione dei soggetti controindicati frequentati dal ricorrente - che involga valutazioni, giudizi, riferimenti e considerazioni funzionali alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica».