Interdittiva antimafia e questioni di legittimità costituzionale (nota a ord.za TAR - Reggio Calabria, 11 dicembre 2020, n. 732) di Renato Rolli e Martina Maggiolini
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa e la questione di legittimità costituzionale - 2.Sugli effetti del provvedimento interdittivo, sui contrasti con norme costituzionali e sul controllo giudiziario - 3. Il diritto di difesa limitato dall’interdittiva o limite della stessa?
1. Premessa: la vicenda contenziosa e la questione di legittimità
L’affermarsi della normativa antimafia nel tessuto giuspubblicistico ha posto diversi problemi. In primis bisogna considerare la propensione a massimizzare l’interesse pubblico sotteso alla normativa antimafia che ha comportato un progresso unilaterale, senza cioè un’adeguata e preventiva considerazione degli interessi concorrenti. In secundis va evidenziato che il sistema della normativa antimafia risulta compromesso dalla finalità preventiva che spinge in avanti la tutela conducendo all’ingovernabile risultato di una “indefinita” pervasività [1].
È in tale contesto che si colloca l’accurata ordinanza, che qui si annota, del TAR di Reggio Calabria del 11 dicembre 2020, n. 732.
In tale sede il giudice amministrativo è stato chiamato a decidere sull’annullamento del provvedimento prefettizio [2] fondato per un verso, sui precedenti e sulle parentele del marito della ricorrente [3] e per altro verso, sui rapporti, anche economici, della stessa.
E per di più il provvedimento gravato evidenzia il contesto parentale fortemente compromesso della stessa ricorrente, atteso che il padre risulta contiguo alla cosca -OMISSIS- mentre il fratello dipendente dell’impresa, già destinataria di interdittiva antimafia nell’ agosto 2013, è stato raggiunto da diversi provvedimenti penali. Ed infine la sorella risulta attinta da provvedimenti penali relativi ad attività di gestione rifiuti non autorizzata, violazione di leggi ambientali ed in materia di edilizia.
Detto provvedimento viene impugnato adducendo molteplici censure, con le quali la ricorrente si duole dell’insanabile violazione di legge del provvedimento gravato che sarebbe stato adottato in assenza dei prescritti presupposti di legge. In più la ricorrente allega plurimi profili di illegittimità costituzionale e non conformità alla normativa EDU di alcune disposizioni del Codice antimafia, ed in particolare gli artt. 67, 89 bis, 92 e 94.
Il Collegio accoglie la domanda cautelare e successivamente, con sentenza non definitiva, respinge, ritenendoli non fondati, i motivi di ricorso dedotti dalla parte ricorrente, ivi comprese le diverse eccezioni di legittimità costituzionale e non conformità alla normativa EDU, ad eccezione della prospettata illegittimità costituzionale dell’art. 92 del D.lgs 159/2011 [4].
Con l’illegittimità de qua, viene evidenziata la disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di una misura di prevenzione e quelli attinti da informazione antimafia interdittiva, che deriverebbe dal fatto che, soltanto per i primi, il comma 5 dell’art. 67 del Dlgs 159/2011 prevede che "le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia".
Invero, tale misura non è prevista in materia di interdittiva antimafia. La circostanza per la quale sia preclusa la possibilità di escludere le decadenze ed i divieti previsti, nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato ed alla sua famiglia, concretizzerebbe un’evidente ed irragionevole disparità di trattamento.
Dunque il Collegio reputa la questione dedotta rilevante considerando che l’attività aziendale costituisce l’unica fonte di reddito della famiglia della ricorrente e che, in mancanza di essa, non avrebbe la possibilità di mantenere quattro figli conviventi, di cui solo uno maggiorenne. Ulteriormente, per effetto del gravato provvedimento, si porrebbe la indifferibile necessità di licenziare otto dipendenti assunti con contratto a tempo pieno ed indeterminato i quali, considerato il periodo emergenziale, non troverebbero facilmente una nuova collocazione lavorativa.
Come detto, alla luce della normativa vigente, non possono essere presi in esame gli effetti che scaturirebbero dal provvedimento interdittivo, dal che consegue la rilevanza della prospettata questione di costituzionalità.
Difatti, laddove venisse accolta la questione di legittimità costituzionale sinteticamente prospettata, il giudizio si dovrebbe concludere con un esito opposto, in quanto la riconosciuta incostituzionalità della norma de qua determinerebbe, l’annullamento dell’informazione antimafia interdittiva adottata a carico della ricorrente dall’autorità prefettizia.
Sulla scorta di ciò, il Tribunale adito ritiene che la norma, per come formulata, non lasci margini per una sua eventuale lettura costituzionalmente orientata. Difatti essa non contempla affatto l’attribuzione all’autorità prefettizia del potere di valutazione discrezionale relativamente agli effetti del provvedimento emesso.
Per tali ragioni il il TAR di Reggio Calabria dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, del D.lgs. n. 159 del 2011, in relazione agli artt. 3, secondo comma, 4 e 24 della Costituzione, disponendo dunque la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
2. Sugli effetti del provvedimento interdittivo, sui contrasti con norme costituzionali e sul controllo giudiziario
Ordunque il Collegio, richiamando la natura «cautelare e preventiva» [5] delle interdittive antimafia [6], rileva che l’impossibilità per il Prefetto di esercitare i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione di cui all’art. 67 co 5 del D.lgs. n. 159 del 2011, possa concretizzare un’irragionevole violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 co. 2 della Costituzione.
Difatti se si tiene in considerazione che le interdittive antimafia e le misure di prevenzione siano accomunate della medesima natura di provvedimenti idonei ad assicurare un’anticipata difesa della legalità e che sono altresì tenute al rispetto delle medesime conseguenze decadenziali previste dall’art. 67 del D.lgs. n. 159/2011 appare concreta la lamentata disparità di trattamento. Invero la mancata previsione del potere/dovere del Prefetto di vagliare gli eventuali effetti del provvedimento determina un vizio non giustificato data la natura univoca del provvedimento interdittivo e delle misure di prevenzione. Bisogna rilevare, a questo punto, che la prevenzione antimafia si muove ai confini dello Stato di diritto contenendo degli aspetti strutturali fortemente indeterminati. Seppur la mancanza di confini stringenti sia giustificata dalla ratio stessa dell’istituto, vi sono diversi profili che necessitano di una puntuale tipizzazione essendo doveroso garantire un bilanciamento degli interessi generali con gli interessi dei singoli e delle imprese, specialmente tenendo in considerazione la gravità delle conseguenze che incombono sui destinatari dei provvedimenti prefettizi [7].
È lo stesso Collegio a rammentare, in tale sede, che una questione simile posta all’attenzione dalla Corte Costituzionale [8] non fu oggetto di una pronuncia specifica poiché, contrariamente alla vicenda per cui è causa, l’argomento non veniva dedotto in modo autonomo lasciando spazio ad una eventuale determinazione positiva circa la questione di legittimità che prende forma in misura tale da rideterminare i confini del potere/dovere riconosciuto all’autorità prefettizia [9].
Ed altresì, secondo il Collegio giudicante, non rileva la temporaneità del provvedimento interdittivo come fattispecie idonea a legittimare la disparità di trattamento tra i destinatari di interdittiva antimafia e di misure di prevenzione [10], atteso che i conseguenti dodici mesi [11] di inattività appaiono un periodo ampiamente sufficiente a pregiudicare in modo definitivo qualsiasi attività di impresa, cagionando un vulnus evidente a chi da quell’attività trae i mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia. È chiara dunque la necessità, de iure concedendo, di ampliare lo spettro di attività del prefetto, chiamato non solo a tutelare l’interesse generale, ma anche l’interesse del destinatario del provvedimento prefettizio il quale non solo subirebbe il danno a livello personale ed imprenditoriale, ma andrebbe ad inficiare anche l’ambito familiare, che in particolare, nel caso de quo, coinvolgerebbe tre soggetti minori.
Per di più non può intendersi causa escludente della disparità lamentata il fatto che ai sensi dell’art. 34 bis comma 6 del D.lgs n. 159 del 2011, “Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo…”. Difatti il controllo giudiziario sospende, medio tempore, gli effetti dell’interdittiva senza eliminarli e la sua applicazione è condizionata dall’impugnazione del provvedimento interdittivo. Tale intervento, dunque, non produce una eliminazione degli effetti conseguenti all’emissione del provvedimento prefettizio ma sospende gli stessi lasciando incerta la possibilità per il destinatario di trovarsi di lì a poco senza un effettivo mezzo di sostentamento per se e per la propria famiglia [12].
Difatti, il controllo giudiziario interviene quando il provvedimento interdittivo ha già, almeno in parte, dispiegato i suoi effetti e non riabilita l’impresa ma, al contrario, presuppone la sussistenza e la permanenza del detto provvedimento interdittivo [13]. E dunque, in nessun momento viene preso in considerazione il necessario bilanciamento degli interessi in gioco. La compressione dell’interesse individuale è certamente il sacrificio necessario al funzionamento dell’istituto ma la questione in oggetto valicando non solo l’interesse del singolo destinatario ma anche quello dei suoi familiari e dei soggetti terzi merita la doverosa attenzione del Giudice di legittimità.
Inoltre, per quanto attiene al profilo della lamentata violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione pare opportuno ricordare che la ragionevolezza delle leggi è corollario del principio di uguaglianza ed esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano congruenti al fine perseguito dal legislatore, con la conseguenza che sussiste la violazione di tale principio laddove, come nel caso di specie, pare possibile riscontrare una contraddizione tra disposizioni legislative ispirate alla tutela dell’interesse pubblico.
Altresì il Collegio adito ritiene che la questione di legittimità costituzionale va posta anche in relazione all’art. 4 della Costituzione. È evidente infatti che le conseguenze derivanti dall'adozione dell’informativa interdittiva [14], incidono in maniera pervasiva sull’attività svolta dai soggetti che ne sono colpiti, inibiti non solo ai rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione ma anche ad attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione [15].
Dunque le conseguenze relative all’emissione del provvedimento interdittivo sono cospicue e si manifestano anche nei confronti di terzi, colpendo finanche i soggetti che lavorano presso l’impresa attinta dall’interdittiva ripercuotendosi dunque sull’esercizio di un diritto fondamentale quale il diritto al lavoro. Sul punto va evidenziato che tale diritto costituisce il fondamento della nostra Carta costituzionale.
In particolare non si rinviene la ragione per cui si debba garantire l’attività lavorativa ai detenuti, considerandola altresì come una componente essenziale del trattamento rieducativo [16], mentre non viene riconosciuta e dunque garantita allo stesso modo per i soggetti destinatari di un provvedimento di natura cautelare e preventiva, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, emesso da un’autorità amministrativa sulla base della regola causale del "più probabile che non"[17], e alla cui discrezionalità è rimessa l’attivazione dell’eventuale contraddittorio [18]. Dunque è innegabile che nell’adottare il provvedimento in questione, si debba considerare l’effettiva eventualità che esso vada a depauperare i mezzi di sostentamento derivanti dall’attività lavorativa che conseguentemente ed inevitabilmente viene meno [19].
3. Il diritto di difesa limitato dall’interdittiva o limite della stessa?
Orbene, la compiuta valutazione dei fatti posti alla base del giudizio circa l’annullamento del provvedimento interdittivo gravato, viene completata mediante l’audizione della parte interessata che solo nella fase giudiziaria ha la facoltà di presentare le proprie ragioni, integrando così il contradditorio. Ai fini di completezza anche in sede procedimentale, dovrebbe essere riconosciuto il diritto per i destinatari dell’interdittiva di una valutazione prefettizia preventiva circa gli effetti del provvedimento stesso. Difatti, la mancanza di una visione completa, o meglio ad ampio raggio, comporta, come nel caso in oggetto, una limitazione stringente di un diritto costituzionalmente garantito che pregiudica irrimediabilmente la sfera personale e familiare dei destinatari [20].
Per di più, si arriva a dubitare della compatibilità della disposizione in commento con il diritto della difesa di cui all’art. 24 Cost.. Difatti va rilevato preliminarmente che il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia alla luce della normativa vigente conosce soltanto l’interlocuzione eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, del D.lgs. n. 159 del 2011. Infatti il Prefetto competente al rilascio del provvedimento, solo ove lo ritenga necessario, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, può invitare in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre ogni informazione utile [21]. Dunque anche questo aspetto è sottoposto, sic et simpliciter, alla piena discrezionalità del prefetto non prevedendo così un vero e proprio diritto dell’interessato ad intervenire in tale sede ma lasciando l’autorità competente libera di emettere il provvedimento senza un previo intervento del destinatario [22].
Da tanto considerato, bisogna concludere che se per un verso è evidente che, in alcune circostanze, “la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informazioni riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia”[23], è anche vero, alla luce delle disparate conseguenze che gravano sugli operatori economici raggiunti dall’interdittiva, che precludere ai destinatari di detto provvedimento la possibilità di sottoporre all’autorità prefettizia le possibili conseguenze dello stesso, in termini di depauperamento dei mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia, si integra una violazione anche dell’art. 24 della Costituzione.
In conclusione va però rilevato che la Corte Costituzionale non è propensa all’applicazione del diritto di difesa al di fuori dei confini giurisdizionali non estendendo il pieno contenuto del dettato normativo al procedimento contenzioso di natura amministrativa. Ciò posto, non si devono escludere però gli eventuali riflessi, anche in altri ambiti, di detto diritto, rappresentando un valore inerente ai diritti inviolabili della persona [24].
Dunque l’interessante questione di legittimità posta all’attenzione del TAR Reggio Calabria è stata rimessa alla Corte Costituzionale. Quest’ultima avrà la possibilità di vagliare i motivi addotti ed intervenire garantendo, nel caso in cui riscontrasse effettivamente un vizio di legittimità della norma in oggetto, la tutela di diritti costituzionalmente garantiti che si trovano sul “piatto della bilancia” insieme all’interesse pubblico del contrasto alla Mafia.
[1] si rinvia per un’esaustiva quanto interessante disamina a M. Mazzamuto, Lo scettro alla prefettocrazia: l’infinita pervasività del sistema antimafia delle grandi opere ed il caso emblematico delle “filiere”, in Diritto dell’economia, 3-2013, pp.619
[2] si consenta il rinvio su diverse questioni relative ai provvedimenti prefettizi a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in Questa rivista, 3 luglio 2020; C. Filicetti, Self cleaning e interdittiva antimafia (nota a Cons. St., Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945)
[3] imputato e detenuto per reati di mafia, accusato di svolgere il ruolo di capo-promotore-organizzatore della cosca operante in Catona - Arghillà - Villa San Giuseppe - Rosalì – Spontone.
[4] In tale sede appare necessario accennare un confronto tra la materia in oggetto e il sindacato del giudice amministrativo sulle ordinanze di sgombero connesse ai procedimenti di confisca. Anche in quest’ultima sede infatti è possibile rinvenire questioni di legittimità appartenenti allo stesso filone de quo. Riservandoci la possibilità di trattare accuratamente tale confronto si consiglia la complessa analisi di M. Mazzamuto, L’agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita’ organizzata, Diritto penale contemporaneo, 2015
[5] Consiglio di Stato sez. III, 09/09/2020, n.5416
[6] Cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3
[7] si veda M. Mazzamuto, Pagamento di imprese colpite da interdittive antimafia e obbligatorietà delle misure anticorruzione, in Giurisprudenza Italiana, 2019
[8] Cfr. sentenza n. 57/2020
[9] M. Mazzamuto, Interdittive prefettizie: rapporti tra privati, contagi e giusto procedimento, in Giurisprudenza italiana, 2020
[10] Cfr. Corte Costituzionale con la sentenza n. 57/2020
[11] v. F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in giustamm, 6, 2018
[12] si consiglia per un approfondimento sull’interdittiva nel contesto costituzionale M. Mazzamuto, Profili di documentazione amministrativa antimafia, in giustamm, 2017
[13] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3268/2018
[14] v. A. M. Speciale, Interdittive antimafia tra vecchi confini e nuovi scenari, in giustizia-amministrativa, 2020.
[15] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 20 gennaio 2020 n. 452
[16] Cfr. Corte Costituzionale 532/2002
[17] M. A. Sandulli, Osservatorio sulla Giustizia Amministrativa, in Foro Amministrativo (Il), fasc.9, 1 settembre 2019, p. 1377
[18] si consenta il rinvio a R. Rolli M. Maggiolini, Informativa antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. St. sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979)
[19] v. M. Mazzamuto, Misure giurisdizionali di salvataggio delle imprese versus misure amministrative di completamento dell’appalto: brevi note sulle modifiche in itinere al codice antimafia, in diritto penale contemporaneo, 2016; ed ancora M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, Sistema penale, fascicolo III, 2020
[20] sulla posizione dell’impresa raggiunta da interdittiva si consiglia M. Mazzamuto, Pagamento di imprese colpite da interdittiva antimafia e obbligatorietà delle misure antimafia, in Giurisprudenza italiana, 2019; di grande interesse anche M. Mazzamuto, Le interdittive prefettizie tra prevenzione antimafia e salvataggio delle imprese, Giurisprudenza italiana, 2018
[21] R. RUPERTI, Sul contraddittorio procedimentale in materia di informazioni antimafia, in Giur. it., 2020, 3
[22] comportando non solo “l’insuscettività (…) ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 aprile 2018, n. 3) ma anche come stabilito dal CdS: "ai sensi dell'art. 67, co. 1, lett. g) del d.lgs. n. 159/2011, è preclusa al soggetto colpito dall'interdittiva antimafia ogni possibilità di ottenere 'contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali', stante l'esigenza di evitare ogni esborso di matrice pubblicistica in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali" (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 aprile 2018, n. 3).
[23] Consiglio di Stato, sezione III, 31 gennaio 2020 n. 820
[24] Corte Costituzionale sentenza n. 128/1995