La polisemia della “zona agricola” (nota a Consiglio di Stato, sez. II, 6 ottobre 2020, n. 5917)
di Marco Brocca
Sommario: 1. Il caso. 2. La posizione del Consiglio di Stato. 3. L’identità della zona agricola: limiti e potenzialità. 3.1. La lettura della giurisprudenza. 3.2. La risposta del legislatore.
1. Il caso
Il comune di San Gennaro Vesuviano adotta una variante al P.R.G. che prevede, tra l’altro, la classificazione di alcuni terreni di proprietà dei ricorrenti/appellanti come zona D (“attività produttive”) e zona G (“commerciale-terziaria” e “turistico-recettiva”).
L’amministrazione provinciale, ente preposto secondo la legge urbanistica regionale alla verifica di compatibilità con gli strumenti di pianificazione territoriale sovraordinati e di conformità con la normativa statale e regionale di riferimento, approva la variante stralciando le suddette zone, perché ritenute sovradimensionate e incompatibili con le attività consentite nell’area secondo il regime urbanistico generale oltrechè rispetto agli obiettivi della stessa variante, e le riclassifica secondo la qualificazione originaria, ossia come zona E (zona agricola). Il comune, esaurito il contraddittorio con l’amministrazione provinciale nel quale aveva formulato le proprie controdeduzioni, si uniforma agli indirizzi provinciali e approva la variante con la classificazione delle aree in questione come “agricole”.
Diverse sono le censure mosse dai proprietari delle aree interessate, imperniate essenzialmente su due profili: 1) il ruolo esorbitante dell’amministrazione provinciale, per aver impresso all’area una destinazione diversa rispetto a quella prevista dalla variante adottata; in particolare, si sostiene che l’amministrazione provinciale avrebbe sovrapposto e sostituito le proprie valutazioni a quelle del comune, al quale invece deve intendersi riservata ogni decisione relativa alla pianificazione di livello locale, mentre all’ente sovraordinato spetterebbe un controllo di compatibilità/conformità, da cui esulano valutazioni di merito; 2) la destinazione agricola assegnata alle aree avrebbe un’accezione e una funzione di conservazione del territorio estranee al significato della categoria urbanistica della “zona E” e sarebbe contraria agli indirizzi di pianificazione dell’area e alla strategia di sviluppo del distretto industriale in cui i terreni rientrano, dettata anche dal piano territoriale di coordinamento provinciale.
2. La posizione del Consiglio di Stato
La pronuncia del Consiglio di Stato appare di interesse non solo per le motivazioni della decisione (di rigetto dell’appello), ma soprattutto per il percorso argomentativo seguito, che muove da un significativo excursus degli orientamenti giurisprudenziali in materia, così sintetizzabili:
- le scelte urbanistiche, comprese quelle riguardanti la classificazione dei suoli, sono riservate all’amministrazione e costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che siano inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, arbitrarietà o irragionevolezza manifeste;
- la destinazione urbanistica impressa a una zona non necessita di particolare motivazione, in quanto trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano, che risultano nella relazione tecnica e nei documenti accompagnatori; pertanto, l’onere motivazionale degli strumenti di piano risulta attenuato, risolvendosi nella mera indicazione della congruità con le direttrici di sviluppo del territorio esposte nella relazione tecnica e nei documenti che accompagnano la predisposizione del piano stesso;
-l’onere motivazionale si riespande in presenza di situazioni che abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti, rispetto ad esempio ad una specifica destinazione del suolo; queste situazioni sono ravvisabili nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione. In assenza di queste ipotesi, non è configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un’aspettativa generica, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri alla destinazione più proficua dell’immobile, posizione che è recessiva rispetto alle scelte urbanistiche dell’amministrazione;
- non sussiste una posizione di legittimo e qualificato affidamento nel caso di una previsione, favorevole all’interessato, presente nella delibera di adozione dello strumento urbanistico (piano o sua variante), poi disattesa dalla delibera di approvazione, perché la determinazione relativa all’adozione costituisce soltanto una fase iniziale ed endoprocedimentale del procedimento, suscettibile di condurre alla definitiva formazione della disciplina urbanistica, in presenza della conclusiva approvazione ad opera della competente autorità;
- in materia urbanistica, peraltro, non opera il principio del divieto di reformatio in peius, in quanto l’amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’effettuazione delle proprie scelte, che relega l’interesse dei privati alla conferma della previgente disciplina ad interesse di mero fatto non tutelabile in sede giurisdizionale;
-nel procedimento di formazione dell’atto complesso-piano o variante, l’ente di secondo livello può, ove non ritenga di approvare o rigettare in toto lo strumento urbanistico adottato, approvare con stralcio ovvero apportare delle modifiche d’ufficio. Si tratta di operazioni ammesse a condizione che l’intervento modificativo non sia di entità tale da alterare l’impostazione di fondo dello strumento urbanistico e si ritiene che la modifica della destinazione d’uso originariamente prevista non significhi di per sé alterazione dell’impostazione generale del piano. Peraltro, si tratta di soluzioni strutturalmente diverse, perché lo stralcio consiste in un’approvazione parziale del piano che lascia integro ed impregiudicato il potere del comune di riproporre una nuova disciplina urbanistica diretta a completare la pianificazione relativamente alle aree oggetto di stralcio, mentre la modifica d’ufficio comporta una sovrapposizione definitiva della volontà dell’ente di secondo livello a quella del comune, il quale vede estinto il proprio potere pianificatorio;
- in sede di pianificazione urbanistica possono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale, in ragione della primarietà e trasversalità degli interessi di cui all’art. 9 Cost.;
- la suddetta esigenza può tradursi, nel contesto della pianificazione urbanistica, nell’opzione del divieto di edificabilità e nel connesso obiettivo di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi e questa opzione non può escludersi a priori in relazione ad aree ampiamente urbanizzate, che invero si prestano a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale;
- nell’ambito dello strumentario urbanistico la finalità ambientale può essere perseguita attraverso la tecnica della zonizzazione e, in particolare, mediante la categoria della “zona agricola”, “potendo questa essere volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni, ovvero a garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione urbana”.
In applicazione di questi principi il Consiglio di Stato conclude nel senso di respingere l’appello e confermare la legittimità degli atti impugnati, in quanto l’ente provinciale si è limitato a stralciare le aree interessate, utilizzando dunque uno strumento intrinsecamente inidoneo a comprimere le prerogative comunali; inoltre, la declassificazione delle aree come zone agricole non altera l’impostazione della variante, bensì è coerente con i sottesi obiettivi (tra i quali, è previsto quello di “promuovere l’uso razionale e lo sviluppo ordinato del territorio mediante il minimo consumo delle risorse territoriali e paesistico-ambientali disponibili”), oltrechè con il significato della zona urbanistica E, ormai consolidato in giurisprudenza, di “garantire la preservazione dei valori ambientali e preservare un necessario equilibrio nel rapporto tra aree edificate e spazi liberi”.
3. L’identità della zona agricola: limiti e potenzialità
La disciplina delle zone agricole ha conosciuto un’evoluzione del tutto peculiare, progredita secondo diverse linee direttrici che lasciano trasparire un’incertezza concettuale, genetica e mai risolta, del suo oggetto. Un’incertezza di fondo che si è tradotta in notevoli difficoltà applicative dell’istituto, ma anche nell’emersione di accezioni adoperate dalle amministrazioni locali per fronteggiare nuove problematiche legate all’assetto del territorio.
La questione delle aree agricole, affrontata dal punto di vista del diritto urbanistico, risale alla seconda metà del secolo scorso. Se la legge urbanistica fondamentale del 1942 (legge 17 agosto 1942, n. 1150) trascurava questo ambito, protesa soprattutto a definire un apparato organico di regole costruttive per i centri abitati, sarà la cd. legge-ponte (legge 6 agosto 1967, n. 765) a considerare le aree agricole su un duplice piano: subordinandole all’obbligo di licenza edilizia per le trasformazioni edilizie (art. 10), obbligo prima confinato alla parte urbanizzata del territorio comunale, e qualificandole secondo la tecnica della zonizzazione (art. 17). Da quest’ultima prospettiva rileva infatti la tipizzazione, tra le zone territoriali omogenee, di quella agricola (zona E): questa formalizzazione riflette certamente l’importanza che il settore agricolo rivestiva in quell’epoca nel sistema economico nazionale, ma denota anche il tentativo di rivitalizzare il comparto in un momento di forte industrializzazione e terziarizzazione del Paese. D’altra parte, restava ancora aperta la questione dell’attuazione del disegno costituzionale in tema di tutela della proprietà agricola e di razionale sfruttamento del suolo (art. 44 Cost.), su cui il diritto urbanistico avrebbe potuto fornire un utile contributo. In realtà, la disciplina urbanistica delle aree agricole apprestata dalla legge n. 765/1967 lascia in penombra la questione costituzionale[1], perché è impostata secondo la classica configurazione che vede nell’urbanistica la regolazione delle trasformazioni, anzitutto edilizie, del territorio, con l’effetto che l’agricoltura rileva per le sue implicazioni sul piano dell’edificabilità più che come attività economica in sé da assecondare o valorizzare. È questo il difetto genetico che connota la categoria della zona agricola: il suo nomen evoca indubbiamente il favor verso l’attività agricola, ma il regime connesso è incentrato sull’opzione dell’inedificabilità – o limitatissima edificabilità – del territorio; in altre parole, prevale il significato “negativo” della zona agricola, nel senso della non edificabilità del territorio, piuttosto che l’accezione “positiva” di effettivo svolgimento dell’attività agricola[2].
Questa lettura era considerata coerente con l’impostazione della legge-ponte che aveva sostanzialmente confermato la natura edilizia del piano regolatore comunale[3], definendo le altre zone urbanistiche essenzialmente secondo il parametro costruttivo (centro storico, completamento e espansione edilizia, zona industriale, ecc.).
La dottrina ha acutamente osservato che grazie alla legge-ponte l’interesse di natura agricola entra nel novero degli interessi da ponderare nel procedimento di pianificazione, alla stregua di un “interesse pubblico differenziato”[4] in quanto tale rilevante e condizionante per la disciplina urbanistica e, tuttavia, nell’accezione stretta di promozione delle attività agricole finisce per porsi come interesse “debole”[5], destinato a una tutela indiretta, condizionata primariamente dalle prospettive edificatorie dell’area interessata o da esigenze contingenti.
L’idea che finisce per prevalere è che, tra le diverse destinazioni urbanistiche tipizzate, quella agricola si presta al meglio per imporre limitazioni all’edificabilità, garantendo, per questa via, un ragionevole equilibrio tra aree edificate e aree libere. Marginale – ed eventuale – resta l’obiettivo di riconoscere e valorizzare la vocazione agricola dei luoghi attraverso la perimetrazione di apposite parti del territorio comunale da destinare, appunto, alle pratiche agricole, obiettivo, peraltro, ulteriormente sacrificato dalla mancata o tardiva approvazione del piano regolatore dalla gran parte dei comuni che per lungo tempo hanno preferito ad esso lo strumento più snello del programma di fabbricazione, il quale si riferisce soltanto alla parte urbanizzata del territorio comunale e, al più, alla sua espansione edilizia[6].
Il nucleo concettuale per cui la vocazione della zona agricola è di sottrarre il suolo a nuove edificazioni ne condizionerà irrevocabilmente l’applicazione e la sua “elasticità” porterà a ulteriori sviluppi. In particolare, l’accezione della zona agricola come “area-limite” all’espansione edilizia si perfezionerà – e si dilaterà – in termini di “area di risulta”[7], opzione che, a sua volta, si declinerà in (almeno) due significati: quello per cui si tratta di area da preservare provvisoriamente nella prospettiva di una futura utilizzabilità in chiave residenziale o industriale[8] ovvero quello per cui l’area è direttamente utilizzabile per interventi che non possono essere convenientemente localizzati in altre zone[9].
Più recentemente si è affermato un ulteriore significato della zona agricola, quello di area servente all’esigenza di preservare i valori naturalistici del territorio. L’accezione muove anch’essa dalla riconosciuta vocazione della zona agricola all’inedificabilità del territorio e fa leva sull’idea che mantenere inedificate certe aree impedisce il consumo del suolo e, simmetricamente, offre alla collettività condizioni di vivibilità e fruibilità delle risorse ambientali. In altre parole, la destinazione agricola di un territorio, implicandone la sua inedificabilità, vale per contenere l’espansione urbana e, per questa via, funge da presidio di tutela del territorio nella sua valenza ambientale.
3.1 La lettura della giurisprudenza
Le diverse linee applicative della categoria urbanistica della zona agricola sono state sottoposte all’attenzione della giurisprudenza, che, sia pure con posizioni non sempre univoche, le ha sostanzialmente avallate.
La giurisprudenza muove dalla consapevolezza della connotazione in senso urbanistico della zona agricola impressa dalla legge-ponte e da questa premessa ricava importanti corollari: anzitutto, che la destinazione agricola assegnata a una determinata area non è ricognitiva di un’utilizzazione o anche solo di una vocazione a fini agricoli dell’area stessa né si risolve, di per sé, in un vincolo all’esercizio dell’attività agricola; quindi, che lo scopo primario della destinazione agricola è di garantire un ragionevole equilibrio tra aree edificate e aree libere, con l’effetto che essa non è a prioriostativa di qualsivoglia intervento urbanisticamente rilevante.
Seguendo questa impostazione la giurisprudenza maggioritaria adopera un metodo di verifica della concreta compatibilità del progetto rispetto alle caratteristiche dell’area di localizzazione e, più in generale, dell’assetto del territorio: all’esito di questa operazione sono stati ritenuti compatibili con la destinazione a zona agricola progetti di opere quali impianti idroelettrici[10] o di derivazione di acque pubbliche[11], canili[12], attività di cava[13], depositi di esplosivi[14] o di fuochi di artificio[15], discariche[16] o altri impianti di trattamento di rifiuti[17], impianti di produzione di energie rinnovabili[18].
Da altra angolatura, la giurisprudenza ha riconosciuto nella “funzione decongestionante o di contenimento dell’espansione edilizia” propria della zona agricola l’ “interesse alla tutela dei valori naturalistici e paesaggistici del territorio”[19]. Per questo ha ammesso la destinazione agricola di suoli quando essa è dichiaratamente funzionale a garantire “una naturale cintura di respiro ambientale”[20] ovvero “un polmone dell’insediamento urbano”[21] o “corridoi verdi”[22] tra aree ampiamente urbanizzate ovvero aree di “compensazione”[23] o “ripristino”[24] ambientale e ha ammesso la qualificazione come zona E di terreni non aventi propriamente attitudine all’utilizzazione agricola, come sono quelli di alta montagna ovvero quelli boscati[25].
Peraltro, questione preliminare parimenti risolta dalla giurisprudenza è quella dell’utilizzabilità dello strumentario urbanistico per finalità ambientali: lo sviamento di potere, lamentato di frequente dalle parti ricorrenti, è escluso dai giudici i quali, per ammettere la strumentalità del diritto urbanistico alla cura dell’interesse ambientale, richiamano l’art. 9 Cost., dimostrando consapevolezza della portata della disposizione costituzionale, sia nella parte strutturale (per il riferimento alla Repubblica e non allo Stato) sia in quella funzionale (per il riferimento al paesaggio, che evoca anche i beni ambientali).
Per questa via, è confermato il carattere “flessibile” della categoria urbanistica della zona agricola, la sua adattabilità a multiformi esigenze, compresa quella, più recente, di tutela dell’ambiente.
Una reviviscenza dell’accezione in senso propriamente agricolo della zona E si ritrova in quella giurisprudenza che, pur ribadendone il carattere residuale, riconosce la legittimità della scelta dell’amministrazione di prescrivere in via esclusiva l’utilizzo produttivo di tipo agricolo dell’area[26] ovvero di enunciare espressamente la tipologia delle ulteriori attività, rispetto a quelle strettamente agricole, che possono insediarsi nelle aree così classificate[27], opzioni che si giustificano in virtù dell’ampiezza della discrezionalità che connota il potere pianificatorio. Il carattere ostativo della zonizzazione agricola è legittimato anche in base ad argomentazioni che si fondano sulla natura dell’area, precisamente quando si tratta di un’area agricola di “particolare pregio”, connotazione che deriva per qualificazione giuridica (secondo la disciplina dello strumento urbanistico, comunale o sovracomunale, o direttamente ex lege) ovvero fattuale, come nel caso di aree che hanno una conformazione risultante dall’uso agricolo consolidato da tempo remoto o a seguito di peculiari interventi, come opere di bonifica[28].
Come si vede, la giurisprudenza dà la rappresentazione della multidimensionalità (e ambivalenza) della zona agricola: muovendo dall’impostazione di tipo urbanistico della normativa di riferimento, l’area agricola vale come “area libera”, che si declina nell’accezione di “area di risulta” e in quella, più recente e prevalente, di “area di interesse ambientale”; la connotazione in senso propriamente agricolo ha valenza residuale, che peraltro si riespande quando vi è un’esplicita ed esclusiva determinazione in questo senso da parte strumento urbanistico ovvero deriva dalle peculiari caratteristiche dell’area, formalizzate per qualificazione giuridica ovvero consolidate de facto.
3.2 La risposta del legislatore
La legge-ponte ha avuto il merito di sollevare la questione delle aree agricole e l’esperienza mostra che, emarginata l’impostazione della massimizzazione dell’interesse agricolo, alla connotazione iniziale della zona agricola come area di risulta si è progressivamente affiancata – fino a prevalere – l’accezione di area a valenza conservativa e contenitiva dell’espansione edilizia. Questo orientamento di impronta giurisprudenziale trova riscontro soprattutto nella legislazione regionale, in particolare nelle leggi di ultima generazione sul governo del territorio, che si sono fatte carico di affrontare il tema dei rapporti tra urbanistica e agricoltura, a fronte, come si vedrà, di una persistente anomia a livello statale.
Questa attenzione si traduce in diverse soluzioni. Anzitutto, è recuperato e valorizzato il collegamento del territorio con gli usi prettamente agricoli e questa relazione è proiettata negli obiettivi e contenuti degli strumenti di pianificazione urbanistico-territoriale: così, ad esempio, la l.r. Lombardia (11 marzo 2005, n. 12, “Legge per il governo del territorio”) include tra gli obiettivi della pianificazione comunale «elevati livelli di tutela e valorizzazione delle aree agricole» (art. 7), affermazione da cui discende una rigorosa disciplina delle attività consentite nelle aree agricole. Nelle aree destinate all’agricoltura sono ammesse esclusivamente le opere funzionali alla conduzione del fondo, ivi comprese quelle a finalità residenziale, in ogni caso sono esclusivamente realizzabili dall’imprenditore agricolo (art. 59). Gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono condizionati alla dimostrazione dell’impossibilità che le medesime esigenze abitative possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente (art. 59) e, dal punto di visto edilizio, necessitano del permesso di costruire, che comporta un vincolo di mantenimento della destinazione dell’immobile al servizio dell’attività agricola (art. 60).
In altri casi la funzionalizzazione dell’attività edilizia alla conduzione agricola dei terreni è sancita in termini prevalenti e non esclusivi, nel senso che è previsto un regime diversificato a seconda della posizione dei soggetti richiedenti. È il caso della regione Toscana, la cui rinnovata legge sul governo del territorio (l.r. 10 novembre 2014, n. 65, “Norme per il governo del territorio”, come modificata dalla l.r. 20 aprile 2015, n. 49) riconosce il mantenimento dell’attività agricola come elemento della «qualità del territorio rurale» e la limitazione della «frammentazione ad opera di interventi non agricoli» vale come una delle linee direttrici per la tutela dell’ambiente e del paesaggio rurale, nonché per il contenimento del consumo di suolo (art. 68). La legge differenzia i regimi di intervento in zona agricola (art. 70 ss.) a seconda che il proponente sia un imprenditore agricolo ovvero altro soggetto, prevedendo maggiori margini di intervento nel primo caso, con l’ulteriore specificazione che alcuni interventi (quelli più pesanti, come le ristrutturazioni urbanistiche, gli ampliamenti volumetrici, le nuove edificazioni connesse alla conduzione del fondo) necessitano di un apposito programma aziendale sottoposto ad approvazione comunale; mentre, nella seconda ipotesi sono possibili soltanto trasformazioni delle aree pertinenziali degli edifici con destinazione d’uso non agricola nonché limitati interventi sui medesimi immobili ovvero la realizzazione di manufatti utili per l’attività agricola amatoriale e per il ricovero di animali domestici. È ribadita la centralità della pianificazione urbanistica comunale, alla quale è rimessa ogni valutazione sull’ammissibilità o meno di determinati interventi, come la costruzione di nuovi edifici ad uso abitativo ad opera dell’imprenditore agricolo mediante il programma aziendale ovvero gli interventi sul patrimonio edilizio esistente in assenza del programma.
Medesima opzione è seguita da altre regioni. Così la regione Veneto, la cui legge urbanistica (l.r. 23 aprile 2004, n. 11, “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”) ammette in zona agricola interventi edilizi funzionali all’attività agricola e ad opera di imprenditore agricolo (art. 44). Gli interventi possono riguardare sia scopi residenziali che agricolo-produttivi e la loro realizzabilità è subordinata all’approvazione di un apposito piano aziendale e alla conformità alle previsioni del piano urbanistico comunale relative alle aree agricole. La norma prevede, peraltro, interventi di recupero di fabbricati esistenti in zona agricola, con ammissibilità di ampliamento per finalità abitativa (comma 5), disposizione che la giurisprudenza[29] ha interpretato restrittivamente, nel senso di escludere l’edificabilità nei confronti di soggetti diversi dall’imprenditore agricolo sebbene proprietari del fondo, cui è seguita un’apposita legge regionale (legge 23 dicembre 2010, n. 30) che ha dato l’interpretazione autentica della norma, precisando che gli interventi previsti dal comma 5 sono ammissibili anche in assenza del requisito soggettivo e dell’onere del piano aziendale.
Un ampliamento a favore dei soggetti diversi dall’imprenditore agricolo, sino a equiparazione delle categorie, ha trovato il varco nell’ambito della legislazione regionale, in particolare in quella, dichiaratamente straordinaria e transitoria in realtà sempre più organica e strutturale, volta al rilancio dell’attività edilizia, sulla scia dell’iniziativa statale delle norme sul cd. piano casa (decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133). Nell’ambito di questa disciplina molte regioni hanno esteso l’applicabilità del regime di favor per gli interventi edilizi all’ambito delle zone agricole, intervenendo anche sul piano dei requisiti soggettivi. È il caso della regione Campania (l.r. 28 dicembre 2009, n. 19, “Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa”, modificata dalla l.r. 5 aprile 2016, n. 6), che prevede l’assentibilità della modifica della destinazione d’uso nonché di interventi di ampliamento o di demolizione e ricostruzione di fabbricati siti in zone agricole a prescindere dall’utilizzazione agricola del fondo, come pure dalla qualificazione soggettiva del richiedente, con l’avvertenza che per gli interventi ampliativi e ricostruttivi occorre riservare non meno del venti per cento della volumetria ad uso agricolo. Un profilo in cui si registra una differenziazione di regimi tra imprenditore agricolo e soggetti diversi riguarda la conformità dell’intervento allo strumento urbanistico comunale: si tratta di presupposto necessario e inderogabile, salva l’ipotesi riservata all’imprenditore agricolo di realizzare nuove costruzioni ad uso produttivo nella misura massima di 0,03 mc/mq di superficie aziendale in deroga al piano comunale[30].
Altra opzione riguarda la diversificazione delle aree agricole, in base alle caratteristiche pedologiche, climatiche, agronomiche, alla presenza di colture pregiate o specializzate e di infrastrutture agricole, cui corrisponde una modulazione dei regimi e, generalmente, è prevista la tipizzazione delle aree agricole “di elevato pregio” alle quali è correlato un regime di tutela rinforzata: così la l.p. Trento 4 agosto 2015, n. 15, “Legge provinciale per il governo del territorio” che enuclea dalle aree agricole quelle “di pregio”, per le quali gli interventi modificativi sono ridotti rispetto a quelli possibili nelle altre zone agricole e sono essenzialmente connessi alla produzione agricola, estrapolando, peraltro, dalle aree di pregio quelle caratterizzate dalla “presenza di singolari produzioni tipiche” o “speciale rilievo paesaggistico”, per le quali non è assolutamente ammessa la destinazione a nuovi insediamenti, mediante il meccanismo della riduzione e compensazione possibile per le altre aree agricole (art. 65). Rilevano inoltre la l.r. Umbria 21 gennaio 2015, n. 1, “Testo unico governo del territorio e materie correlate”, che evidenzia tra le aree agricole quelle di “particolare interesse agricolo”, nelle quali sono possibili solo attività agricole, zootecniche e di cava (art. 21) e la già citata legge toscana n. 65/2014, che tipizza le manifestazioni del territorio rurale (aree rurali, nuclei rurali, aree ad elevato grado di naturalità, ecc.) e ammette l’individuazione di peculiari aree, quali le “aree ad elevato valore paesaggistico” e i “paesaggi agrari e pastorali di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini agricoli” (art. 64), rinviando agli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica la definizione del regime del patrimonio edilizio e delle infrastrutture esistenti, nonché delle attività e servizi presenti, compresi quelli a carattere non agricolo, in corrispondenza ai diversi obiettivi di qualità del territorio definiti dalla legge.
Generalmente, le leggi urbanistiche riconoscono nel piano comunale la “fonte” della tutela, indiretta e diretta, delle zone agricole. Non mancano ipotesi in cui questa finalità è rinviata a livelli sovraordinati di pianificazione territoriale, anzitutto il piano territoriale di coordinamento provinciale: così, ad esempio, il modello trentino, in cui il piano provinciale è preposto all’individuazione e perimetrazione delle aree agricole di pregio (l.p. Trento, n. 15/2015, art. 23, comma 2, lett. f) e quello toscano, in cui il piano provinciale deve definire il patrimonio territoriale provinciale, con particolare riferimento al territorio rurale (l.r. Toscana, n. 65/2014, art. 90, comma 5, lett. a). Similmente, il modello della regione Lombardia, che rimette al piano provinciale la definizione degli “ambiti destinati all'attività agricola di interesse strategico” e le relative norme di tutela, uso e valorizzazione (l.r. Lombardia, n. 12/2005, art. 15, comma 4).
La progressiva valorizzazione dell’interesse agricolo nel disegno urbanistico ha certamente ridimensionato la classica configurazione delle zone agricole quali aree residuali, utili per molteplici finalità e, tuttavia, questa concezione permane e riaffiora ogniqualvolta emergano peculiari e nuove esigenze localizzative.
Significativa è l’esperienza della diffusione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, fenomeno che ha conosciuto, a partire dagli anni ’90, un notevole sviluppo e che ha trovato nelle zone agricole l’ambito privilegiato di localizzazione. In assenza di un quadro normativo organico, alcune regioni si sono attivate per apprestare una prima regolamentazione. Così ha fatto, ad esempio, la regione Puglia che con legge 21 ottobre 2008, n. 31, “Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale”, ha vietato la realizzazione di impianti fotovoltaici in alcune aree, tra le quali le “zone agricole di particolare pregio”, così qualificate dagli strumenti urbanistici, dal piano paesaggistico o dalla legge per la presenza di uliveti monumentali. La norma, tuttavia, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale[31], per violazione dell’art. 117 Cost. perché si tratta di materia rientrante nella potestà legislativa concorrente e, all’epoca della legislazione regionale, mancavano le linee guida nazionali per la localizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. L’attuale normativa statale, d.m. 10 settembre 2010, n. 47987, ammette la localizzazione degli impianti nelle zone classificate come agricole dai piani urbanistici, non essendo neanche necessaria la variante dello strumento urbanistico (art. 15, comma 3), al contempo rimette alle regioni la possibilità di qualificare come siti non idonei per la realizzazione di impianti le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale (art. 17, comma 1).
Esemplare, inoltre, è il caso degli insediamenti commerciali e produttivi, che spesso trovano localizzazione in zona agricola, pur essendo ad essi dedicata altra zona urbanistica (zona D). La normativa di riferimento (d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114; d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447) appare estremamente permissiva, in quanto ammette progetti in contrasto con lo strumento urbanistico, la cui approvazione vale automaticamente come variante di esso e l’unica condizione richiesta per l’approvazione è la dimostrazione che “lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato” (art. 5, comma 1, d.P.R. n. 447/1998)[32].
Mantenendo il punto di osservazione sulla normativa di livello statale, può riscontrarsi un rinnovato interesse al tema dell’agricoltura, che tuttavia stride rispetto alla persistente emarginazione della questione delle zone agricole in senso urbanistico.
Dal primo punto di vista, può richiamarsi il filone normativo che promuove l’affidamento dei terreni abbandonati o incolti con la previsione di un vincolo di destinazione agricola. L’idea è di coniugare finalità di cura del territorio, di recupero dell’agricoltura e di promozione di iniziative imprenditoriali, con specifica attenzione all’imprenditoria giovanile. In questo senso si pone, ad esempio, l’art. 66 legge 24 marzo 2012, n. 27, di conversione del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 “Misure urgenti in materia di concorrenza, liberalizzazioni e infrastrutture”, che sancisce la dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola di proprietà statale, con procedure di alienazione o locazione a cura dell’agenzia del demanio; la normativa prevede il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli e il divieto di mutamento di destinazione urbanistica da quella agricola per un periodo almeno ventennale[33].
Altra prospettiva di interesse è quella che profila un collegamento privilegiato tra il recupero della destinazione agricola dei suoli e l’ambiente urbano. L’idea è che le pratiche agricole, tradizionalmente confinate nella zona esterna del centro abitato, possono produrre molteplici benefici (recupero di aree dismesse e valorizzazione degli spazi pubblici, sicurezza alimentare, cittadinanza attiva, promozione di opportunità di impresa e occupazione) nell’ambito del territorio urbanizzato o nelle immediate adiacenze. È il fenomeno dell’agricoltura urbana e periurbana, di recente attenzione anche da parte del legislatore.
Sono ancora pochi i riferimenti legislativi espliciti: così, ad esempio, la legge 14 gennaio 2013, n. 10, “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, che significativamente richiama gli orti tra le soluzioni funzionali all’obiettivo della “realizzazione di aree verdi permanenti intorno alle maggiori conurbazioni” (art. 3, comma 2), nonché la legge 1 dicembre 2015, n. 194, “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare” che cita la realizzazione di orti (didattici, sociali, urbani e collettivi) tra gli obiettivi delle cd. comunità del cibo. Il fenomeno è maggiormente avvertito a livello regionale, in cui risultano approvate alcune leggi ad hoc ovvero singole disposizioni che promuovono queste iniziative[34], mentre a livello locale molte esperienze si fondano su regolamenti comunali monotematici nonché sull’applicazione di modelli di partenariato pubblico-privato, come quelli di cui agli artt. 189-190 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016).
L’approccio di tipo urbanistico al tema delle zone agricole compare nel dibattito, scientifico prima che politico, sul consumo del suolo. La questione muove dalla maturata consapevolezza che il suolo sia una risorsa non inesauribile e non rinnovabile[35] e la sua indifferibilità è avvertita anzitutto a livello comunitario, come emerge da una pluralità di atti, sebbene tutti di soft law[36], essendo fallito il tentativo di approvazione di una specifica direttiva, a conferma della complessità della materia per la compresenza di interessi divergenti.
Questo dato è confermato anche dall’ordinamento statale, che è ancora privo di una legge organica in materia, nonostante i diversi disegni di legge, di iniziativa parlamentare e governativa, presentati nelle ultime legislature. Tra questi, quello che ha conosciuto un iter più avanzato è il ddl n. C.2039 intitolato “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” (che condensa una serie di progetti presentati sin dal 2013), approvato dalla Camera in data 12 maggio 2016. Significativa è la connessione che ispira l’intero provvedimento tra il contenimento del consumo di suolo, che è riconosciuto come “bene comune e risorsa non rinnovabile”, e la salvaguardia della destinazione agricola dei suoli, nonché la priorità del riuso del suolo già edificato e della rigenerazione urbana rispetto all’ulteriore consumo di suolo inedificato[37].
Come detto, il percorso di riforma non si è tuttavia concluso nella precedente legislatura e il testo è stato riproposto nella legislatura attuale. Il ritardo del Parlamento ha portato diverse regioni a farsi carico della questione. Sono state approvate leggi ad hoc[38] o disposizioni integrative delle leggi urbanistiche[39], tutte connotate dallo stretto connubio tra valorizzazione delle aree agricole e contenimento del consumo di suolo. Le opzioni scelte dalle regioni spaziano dall’ammissibilità di espansione delle aree edificabili in zone agricola subordinata alla verifica dell’assenza di soluzioni alternative, come il ricorso ad altre zone urbanistiche ovvero il riuso del patrimonio esistente (Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Toscana, Trento e Bolzano) ovvero alla dimostrazione del completamento, per una quota significativa, delle previsioni urbanistiche di tipo edificatorio (Friuli-Venezia Giulia), alla predeterminazione delle quote di suolo consumabile (Umbria, Lombardia, Emilia-Romagna), all’aumento considerevole del contributo di costruzione (Abruzzo), alla rinuncia volontaria dei diritti edificatori (Veneto). Generalmente sono previste misure incentivanti, come la priorità nella concessione di finanziamenti, semplificazioni procedimentali, agevolazioni fiscali, riduzione del contributo di costruzione per gli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana.
Quella delle zone agricole resta una questione insoluta. La flessibilità concettuale può essere utile per assecondare nuove esigenze ed istanze del territorio e l’esperienza dimostra l’attivismo degli enti locali che se ne fanno interpreti attraverso il potere di pianificazione urbanistica e rispetto a queste esperienze la giurisprudenza mostra attenzione e sensibilità. Le applicazioni non sono peraltro sempre coerenti, per questo appare indifferibile una presa di posizione del legislatore. Un legislatore che, tuttavia, resta inerte a livello statale e ondivago[40] a livello regionale, diviso tra finalità di recupero dell’economia agricola e obiettivi di tutela dell’ambiente, ma anche indulgente verso la natura residuale e la vocazione all’edificabilità dell’area agricola, sganciata dai soggetti e dagli usi propriamente agricoli.
[1] G. Morbidelli, La legislazione urbanistica regionale per le zone agricole, in Riv. dir. agr., 1981, p. 55.
[2] F. Salvia – C. Bevilacqua, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2017, p. 86.
[3] P. Urbani, Le aree agricole tra disciplina urbanistica e regolamentazione dell’attività economica, in Riv. giur. edil., 2010, p. 30.
[4] P. Urbani, Governo del territorio e agricoltura. I rapporti, in Riv. giur. edil., 2006, p. 120.
[5] Ivi, p. 122.
[6] P. Urbani, La disciplina urbanistica delle aree agricole, in L. Costato – A. Germanò – E. Rook Basile (a cura di), Trattato di diritto agrario, II, Torino, 2011, p. 599.
[7] Ivi, p. 600.
[8] G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Milano, 2010, p. 67.
[9] P. Urbani, La disciplina urbanistica delle aree agricole, cit., p. 601.
[10] Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 1989, n. 642, in Foro amm., 1989, p. 2710.
[11] Trib. sup. acque pubbl.,18 febbraio 1991, n. 7, in Cons. St., 1991, p. 420.
[12] Tar Puglia, Lecce, sez. III, 14 novembre 2012, n. 1881, in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] Cons Stato, sez. VI, 19 febbraio 1993 n. 180, in Foro amm., 1993, p. 482.
[14] Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 1993 n. 968, in Foro amm., 1993, p. 1846.
[15] Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 13 maggio 2014, n. 494, in Riv. giur. edil., 2014, p. 831.
[16] Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7243, in Riv. giur. amb., 2011, p. 289; Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3853, in Foro amm. CdS, 2009, p. 1496; Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 1996 n. 85, in Foro it., 1996, p. 440; Tar Liguria, Genova, sez. I, 14 dicembre 2016, n. 1237, in www.giustizia-amministrativa.it.
[17] Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2020, n. 3202, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 dicembre 2018, n. 2711, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli sez. VIII, 9 aprile 2018, n. 2279, in www.giustizia-amministrativa.it.
[18] Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4755, in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7144, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 5195, inwww.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2008, n. 6600, in Foro amm. CdS, 2008, p. 3354; Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5478, in Riv. giur. edil., 2009, p. 162; Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2007, n. 4149, in Riv. giur. edil., 2008, p. 360; Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2005, n. 4828, in Riv. giur. amb., 2005, p. 95; Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 259, in Foro amm. CdS, 2005, p. 106; Cons. giust. reg. Sicilia, 6 aprile 2018, n. 210, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, sez. II, 13 maggio 2019, n. 1065, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Toscana, Firenze, sez. I, 27 giugno 2016, n. 1090, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 9 aprile 2015, n. 903 in. www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 23 ottobre 2014, n. 5466, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Valle d’Aosta, sez. I, 2 novembre 2011, n. 73, in Foro amm., 2011, p. 3395; Tar Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, 6 aprile 2011, n. 105, in Foro amm. Tar, 2011, p. 1186; Tar Veneto, Venezia, sez. I, 31 marzo 2010, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. VII, 3 novembre 2009, n. 6825, in Foro amm. Tar, 2009, p. 3239; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 24 giugno 2009, n. 1318, in Riv. giur. edil., 2010, p. 253. In questo senso, anche la giurisprudenza penale: ad esempio, Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2009, n. 39078, in Dir. giur. agr., 2010, 65. Sulle ragioni teoriche a supporto della prassi amministrativa di tutela ‘urbanistica’ dell’ambiente e dell’avallo giurisprudenziale si rinvia a di P.L. Portaluri, L’ambiente e i piani urbanistici, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2015, pp. 247 ss.
[20] Cons. Stato, sez. II, 31 agosto 2020, n. 5313, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 16 dicembre 2009, n. 2595.
[21] Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7144, cit.; Cons. giust. reg. Sicilia, 6 aprile 2018, n. 210, cit.; Tar Lombardia, sez. II, 13 maggio 2019, n. 1065, cit.; Tar Toscana, Firenze, sez. I, 27 giugno 2016, n. 1090, cit.
[22] Cons. Stato, sez. II, 31 ottobre 2019, n. 7459, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2018, n. 2459, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, Milano, 7 maggio 2020, n. 751, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 9 aprile 2015, n. 898, in www.giustizia-amministrativa.it.
[23] Cons. Stato, sez. II, 6 ottobre 2020, n. 5917, cit.
[24] Cons. Stato, sez. II, 31 agosto 2020, n. 5313, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4308, in Foro amm. CdS, 2009, p. 1683.
[25] Sottolineano il punto F. Salvia – C. Bevilacqua, Manuale di diritto urbanistico, cit., p. 86; in giurisprudenza, ad esempio, Tar Lombardia, Milano, sez. II, 13 maggio 2019, n.1065, in Riv. giur. edil., 2019, p. 1093.
[26] Tar Campania, Napoli, sez. III, 7 gennaio 2020, n. 43, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 14 novembre 2012, n. 1881, cit.; Tar Trentino-Alto Adige, Trento, 19 giugno 2008, n. 152, in www.giustizia-amministrativa.it.
[27] Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2012, n. 3570, in Riv. giur. edil., 2012, p. 955.
[28] Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2020, n. 3202, cit.; Cons. Stato, sez. II, 1 aprile 2014, n. 1065, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2012, n. 3570, cit.; Cons. di Stato, sez. V, 18 settembre 2007, n. 4861, in Foro amm. CdS, 2007, p. 2487; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 9 aprile 2018, n. 2279, cit.
[29] Tar Veneto, Venezia, sez. II, 10 settembre 2007, n. 2988, in Foro amm. Tar, 2007, p. 2739.
[30] È evidente il favor per l’imprenditore agricolo, come peraltro è esplicitato nella finalità enunciata di «adeguare, incentivare e valorizzare l’attività delle aziende agricole» (art. 6-bis, comma 5).
[31] Corte cost., 22 marzo 2010, n. 119, in Giur. cost., 2010, 1324, e 11 giugno 2014, n. 166, in Riv. giur. edil., 2014, p. 927.
[32] Evidenzia che la norma è indice del «carattere intrinsecamente debole del potere urbanistico – specie quando viene in rapporto con interessi forti (quali appunto quelli legati alle grandi reti commerciali) –», F. Salvia, Manuale di diritto urbanistico, Padova, 2012, p. 82.
[33] Per una prima applicazione v. il d.m. 20 maggio 2014 (cd. decreto Terrevive). Il sostegno all’imprenditoria giovanile nel settore agricolo è perseguito dal legislatore statale con un’altra opzione, quella di favorire forme di affiancamento nell’attività di impresa agricola dei giovani agricoltori a quelli anziani, allo scopo del graduale passaggio della gestione d’impresa ai giovani: in questo senso il legislatore ha conferito delega al Governo per l’adozione di un apposito decreto legislativo con l’art. 6 d.lgs. 154/2016, delega che non è stata attuata, ma il contenuto dispositivo è stato ripreso dalla legge di bilancio 2018 con la disciplina del cd. contratto di affiancamento (legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 119-120). Il tema è ripreso a livello regionale, in cui rileva anche quel filone normativo istitutivo delle cd. banche della terra, che implicano un censimento dei beni agricoli (terreni abbandonati, incolti o silenti e fabbricati dismessi), di proprietà pubblica e privata dichiarati disponibili per operazioni di locazione o di concessione: l.r. Toscana, 27 dicembre 2012, n. 80; l.r. Sicilia, 28 gennaio 2014, n. 5; l.r. Liguria 11 marzo 2014, n. 4; l.r. Veneto 8 agosto 2014, n. 26; l.r. Molise, 5 novembre 2014, n. 16; l.r. Lombardia, 26 novembre 2014, n. 30; l.p. Trento, 4 agosto 2015, n. 15; l.r. Abruzzo, 8 ottobre 2015, n. 26; l.r. Campania, 13 giugno 2016, n. 21; l.r. Lazio, 10 agosto 2016, n. 12; l.r. Friuli-Venezia Giulia, 29 dicembre 2016, n. 25; l.r. Puglia, 29 maggio 2017, n. 15; l.r. Basilicata, 14 dicembre 2017, n. 36. In dottrina v., specialmente, G. Strambi, La questione delle terre incolte e abbandonate e le leggi sulle “banche della terra”, in Riv. dir. agr., 2017, pp. 599 ss.
[34] L.p. Trento 26 gennaio 2018, n. 2, “Istituzione, promozione e finanziamento degli orti didattici in Trentino”; l.r. Liguria, 29 novembre 2018, n. 23, “Disposizioni per la rigenerazione urbana e il recupero del territorio agricolo”, art. 3, comma 1, n. 8; l.r. Veneto, 6 giugno 2017, n. 14, “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2014, n. 11 “Nome per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, art. 8, comma 2; l.r. Lombardia, 3 luglio 2015, n. 27, “Gli orti di Lombardia. Disposizioni in materia di orti didattici, urbani e collettivi”; l.r. Toscana, 28 dicembre 2015, n. 82, legge finanziaria per il 2016, art. 1 «Centomila orti in Toscana». Sul fenomeno degli orti urbani, v., specialmente, M. Gola, Pianificazione urbanistica e attività economiche. Cibo e spazio urbano: urbanistica e mercati agroalimentari, in Rivista giuridica dell’edilizia, 2016, pp. 210 ss.
[35] In dottrina si veda, soprattutto, G.F. Cartei – De Lucia (a cura di), Contenere il consumo del suolo. Saperi ed esperienze a confronto, Napoli, 2014; E. Boscolo, Il suolo quale matrice ambientale e bene comune: il diritto di fronte alla diversificazione della funzione pianificatoria, in Scritti in onore di Paolo Stella Richter, II, Napoli, 2013, pp. 1101 ss.; Id., Beni comuni e consumo di suolo. Alla ricerca di una disciplina legislativa, in www.pausania.it, 2014; P. Urbani, A proposito della riduzione del consumo di suolo, in www.astrid-online.it/rassegna, 2016; W. Gasparri, Consumo di suolo e sviluppo sostenibile nella destinazione agricola dei suoli, in Dir. pubbl., 2020, pp. 421 ss.
[36] Si vedano, ad esempio, Comunicazione della Commissione del 22 settembre 2006, Strategia tematica per la protezione del suolo, COM(2006) 231 def.; Comunicazione della Commissione del 20 settembre 2011, Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, COM(2011) 571 def.; Documento di lavoro dei servizi della Commissione del 15 maggio 2012, Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, SWD(2012) 101 final/2.
[37] La vocazione agricola dei suoli costituisce interesse primario e diretto del disegno di legge e la sua tutela assume una triplice valenza: il mantenimento della superficie agricola garantisce la produzione agricola utile per soddisfare il fabbisogno alimentare nazionale, nonché la preservazione delle connotazioni paesaggistiche e ambientali del territorio e un freno ai processi di consumo del suolo. Peraltro, è data una nozione ampia di “terreno agricolo”, in quanto sono considerati tali non solo quelli così qualificati dagli strumenti urbanistici, ma anche le aree di fatto utilizzate a scopo agricolo, indipendentemente dalla loro destinazione urbanistica, nonché le aree comunque libere da edificazioni e infrastrutture. È previsto il coordinamento delle misure previste per il contenimento del consumo di suolo con le politiche e gli strumenti di pianificazione paesaggistica e urbanistico-territoriale. Questi ultimi devono recepire i limiti quantitativi, fissati a livello statale, di consumo di suolo ammissibile, limiti che, a loro volta, devono essere conformi alle previsioni dei piani paesaggistici. La determinazione dei limiti quantitativi per la progressiva riduzione del consumo di suolo deve tendere, peraltro, al graduale azzeramento del consumo in coerenza con quanto stabilito dalla Commissione europea circa il traguardo da raggiungere (consumo zero) entro il 2050. Inoltre, spetta agli strumenti pianificatori l’individuazione delle aree già interessate da processi di edificazione, ma inutilizzate o suscettibili di recupero, quale presupposto per le iniziative di rigenerazione urbana. Ulteriori misure sono il divieto di mutamento, per un periodo non inferiore a cinque anni, della destinazione d’uso agricolo delle aree che hanno usufruito di aiuti di Stato o finanziamenti europei e il connesso divieto di interventi di trasformazione urbanistica o edilizia non funzionali all’attività agricola, ad eccezione della realizzazione di opere pubbliche, nonché le misure di natura premiale (priorità nella concessione di finanziamenti, misure di semplificazione, incentivi fiscali, ecc.) a favore dei comuni virtuosi – nonché dei soggetti privati –, particolarmente orientati verso la rigenerazione urbana e il contenimento del consumo del suolo.
[38] L.r. Puglia, 30 aprile 2019, n. 18, “Norme in materia di perequazione, compensazione urbanistica e contributo straordinario per la riduzione del consumo di suolo e disposizioni diverse”; l.r. Abruzzo, 1 agosto 2017, n. 40, “Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla l.r. 96/2000 ed ulteriori disposizioni”; l.r. Veneto, 6 giugno 2017, n. 14, “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”; l.r. Friuli-Venezia Giulia, 25 settembre 2015, n. 21, “Disposizioni in materia di varianti urbanistiche di livello comunale e contenimento del consumo di suolo”; l.r. Lombardia, 28 novembre 2014, n. 31, “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”; l.r. Puglia 20 maggio 2014, n. 26, “Disposizioni per favorire l’accesso dei giovani all’agricoltura e contrastare l’abbandono e il consumo dei suoli agricoli”; l.r. Abruzzo, 28 aprile 2014, n. 62, “Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo” (sebbene dichiarata incostituzionale da Corte cost., 10 marzo 2015, n. 55, in Giur. cost., 2015, 486).
[39] L.r. Emilia-Romagna, 21 dicembre 2017, n. 24; l.p. Trento, n. 15/2015; l.r. Sardegna, 23 aprile 2015, n. 8; l.r. Marche, 13 aprile 2015, n. 16; l.r. Liguria, 2 aprile 2015, n. 11; l.r. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4; l.r. Piemonte, 11 marzo 2015, n. 3; l.r. Umbria, n. 1/2015; l.r. Toscana, n. 65/2014; l.p. Bolzano, 19 luglio 2013, n. 10; l.r. Calabria, 10 agosto 2012, n. 35.
[40] Sottolineano il carattere oscillante e incoerente della legislazione regionale F. Salvia – C. Bevilacqua, Manuale di diritto urbanistico, cit., p. 87.