Piani Educativi Individualizzati e problemi di giurisdizione (nota a TAR Molise, sez. I, 19 giugno 2020, n. 174)
di Flaminia Aperio Bella
Sommario: 1. Premessa - 2. Il quadro esegetico in cui si inserisce la decisione in commento - 3. La decisione del TAR Molise - 4. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
Nel marzo 2017 il Consiglio Superiore della Magistratura dedicava un corso di formazione agli aspetti ancora controversi del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, focalizzando l’analisi sulla giurisprudenza della Corte regolatrice e del Consiglio di Stato con l’obiettivo di far emergere problemi aperti e nuove prospettive nel dialogo tra le giurisdizioni. Tra le questioni maggiormente dibattute è significativamente spiccata quella dell’individuazione del giudice competente a conoscere delle controversie relative al sostegno scolastico per gli alunni con disabilità.
La rilevanza e complessità della tematica, oltre a discendere dalla delicatezza, sul piano umano, della risoluzione delle controversie relative alla migliore garanzia del diritto all’istruzione del disabile[1], è ascrivibile alla plurifasicità che caratterizza l’iter procedimentale di assegnazione delle ore di sostegno, nonché alle numerose questioni giuridiche sottese alla individuazione del giudice competente a conoscerne.
Quanto al procedimento, può affermarsi, in via di estrema sintesi, che la normativa vigente (l. n. 104/1992) ruota attorno al Piano Educativo Individualizzato (PEI), documento progettuale da redigere annualmente (entro il secondo mese dell’anno scolastico) a cura della scuola, in presenza di alunni affetti da condizioni psichiche o fisiche tali da richiederne un trattamento diversificato, e contenente le indicazioni dettagliate degli interventi, obiettivi e criteri di valutazione del percorso didattico dell’alunno disabile.
L’elaborazione del Piano spetta a un organo collegiale (il Gruppo di lavoro operativo handicap – G.L.O.H.) composto dalla scuola (intesa come corpo insegnante, compreso il docente di sostegno), dalle figure socio-sanitarie coinvolte in attività riabilitative e terapeutiche dell’alunno all’esterno della scuola e dalla sua famiglia. Grazie anche alla particolare composizione dell’organo, la “proposta” formulata dal G.L.O.H. è personalizzata e ritenuta idonea a tenere conto a tutto tondo delle esigenze dell’alunno, anche in riferimento all’individuazione delle ore di sostegno di cui necessita. Spetta poi al Dirigente scolastico raccogliere le “proposte” concernenti gli alunni disabili della propria struttura e trasmetterle agli Uffici scolastici, con la relativa documentazione. Sono questi ultimi Uffici ad assegnare ai singoli istituti gli insegnanti di sostegno sulla base dei relativi organici, tenendo conto delle “proposte” e fornendo ulteriori risorse sulla base del loro concreto contenuto. Da ultimo, sulla base delle complessive risorse fornite dagli Uffici scolastici, il Dirigente scolastico attribuisce le ore di sostegno ai singoli alunni disabili. Si noti che la proposta del numero delle ore di sostegno ritenute necessarie facente capo al G.L.O.H. tiene conto sia della gravità dello stato psicofisico del soggetto (gravissima, grave, media, lieve) sia del grado di scuola frequentata (assegnando fino al numero massimo di ore settimanali di sostegno pari a 25 per la scuola dell’infanzia, 22 per la scuola primaria e 18 per la scuola secondaria).
Sul versante dei nodi interpretativi sollevati dal tema in analisi, esso intercetta non solo la controversa categoria dei “diritti indegradabili” o “incomprimibili” (i.e. quei diritti la cui cognizione sarebbe sempre da riservare, in tesi, alla giurisdizione ordinaria[2]), ma anche questioni più generali connesse all’individuazione di quel “confine di continuo trapasso” che ripartisce la giurisdizione tra g.o. e g.a.[3] e alla corretta interpretazione di alcuni principi del processo come quello di economia processuale (in tesi perseguibile tramite la concentrazione innanzi a un unico giudice di controversie connesse a una certa materia), della domanda (con particolare riferimento alla relativa capacità di incidere sull’individuazione del giudice munito di giurisdizione), nonché, ultimo ma non ultimo, il principio della pari dignità tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, ribadito dalla storica sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004[4].
2. Il quadro esegetico in cui si inserisce la decisione in commento
Il numero dei pronunciamenti delle giurisdizioni superiori sull’argomento in analisi non è che lo specchio della sua complessità.
Così, nel corso del primo decennio del 2000 si consolidava un orientamento che ascriveva alla giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di pubblici servizi le controversie riguardanti il sostegno scolastico in favore dei minori portatori di handicap, per ciò che la determinazione delle ore a disposizione dell’alunno era considerata frutto di una prerogativa pubblicistica della p.A. che, nel fissarle, si poneva in posizione di supremazia rispetto agli utenti del servizio (cfr. Cass. civ., sez. un., ordd. 19 gennaio 2007, n. 1144, e 29 aprile 2009, n. 9954 nonché 19 luglio 2013, n. 17664).
A partire dalla fine del 2014 la conclusione è tuttavia stata rimeditata dalle Sezioni unite, che, a valle di una puntuale ricostruzione della normativa di riferimento, hanno preso le mosse dall’assoluta centralità del PEI quale frutto del confronto tra amministrazione e genitori dell'alunno disabile nell’individuazione dei suoi bisogni, per ricavarne l'immediato e doveroso collegamento tra le necessità prospettate dal Piano e l'assegnazione o la provvista dell'insegnante di sostegno, con conseguente assenza, in capo all'amministrazione scolastica, di alcun potere discrezionale. Ne è stata fatta discendere la spettanza al g.o. della giurisdizione sul comportamento omissivo dell’amministrazione preposta all'organizzazione del servizio scolastico che, a valle dell’emanazione del Piano medesimo, abbia l'effetto di mettere l’alunno con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri, così realizzando una discriminazione indiretta ai sensi del combinato disposto della l. n. 67 del 2006 e del d.lgs. n. 150 del 2011[5] (Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2014, n. 25011). Il PEI ha rappresentato pertanto il perno di tale nuova configurazione della situazione soggettiva protetta dei destinatari del servizio: una volta che il Piano abbia “prospettato” il numero di ore di sostegno, infatti, si consoliderebbe, nel ragionamento della Cassazione, un diritto costituzionalmente protetto dell’alunno disabile alla istruzione, alla integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini.
A nemmeno due anni di distanza da tale ultima pronuncia si colloca l’intervento con cui l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha voluto precisare che l’esegesi “riduttiva e restrittiva del perimetro della giurisdizione esclusiva amministrativa” abbracciata dalle Sezioni unite non esclude che le controversie riguardanti la declaratoria della consistenza dell’insegnamento di sostegno e afferenti alla fase che precede la formalizzazione del PEI restino affidate alla cognizione del giudice amministrativo (Cons. St., ad. plen., 12 aprile 2016, n. 7[6]).
Nel sancire la perduranza della propria competenza giurisdizionale sulle controversie antecedenti la formazione di un PEI – ambito in cui, peraltro, la giurisprudenza amministrativa si è sempre dimostrata capace di prospettare soluzioni giurisprudenziali particolarmente innovative ed efficaci per garantire la piena tutela dell’alunno disabile –, il Giudice amministrativo della nomofilachia ha colto l’occasione per stigmatizzare tanto la tesi, da ritenersi ormai definitivamente superata alla luce delle evoluzioni giurisprudenziali e normative, che collegava alla qualificazione “fondamentale” di un diritto la giurisdizione del giudice ordinario (c.d. tesi dei diritti indegradabili), quanto quella, spesso invocata da una parte della giurisprudenza civile al fine di affermare la propria giurisdizione, basata sulla distinzione fra attività vincolata e discrezionale: l’attribuzione al g.a. della giurisdizione esclusiva in determinate materia implica, infatti, una cognizione piena, e non limitata ai soli profili di esercizio discrezionale del potere[7].
A completamento del quadro, merita dare conto della sentenza n. 80/2010 con cui il Giudice delle leggi, pur non toccando lo specifico tema del riparto di giurisdizione, ha confermato la centralità del PEI e del relativo ossequio per la migliore integrazione dell’alunno disabile, dichiarando l’illegittimità costituzionale della legge finanziaria 2008 nella parte in cui prevedeva, da un lato, un limite massimo nella determinazione del numero degli insegnanti di sostegno e, dall’altro, l’eliminazione della possibilità di assumerli in deroga a fronte di esigenze di sostegno ulteriori individuate a livello di Piano. Tra i parametri costituzionali ritenuti violati, la Consulta ha invocato il quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché la propria consolidata giurisprudenza a protezione dei disabili, riconoscendo nelle previsioni sottoposte a suo vaglio una violazione del “nucleo indefettibile di garanzie” che la stessa Corte ha posto quale limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore.
Con precipuo riferimento al riparto di giurisdizione, a valle dei citati pronunciamenti delle Sezioni unite e della Plenaria, lo spartiacque tra le giurisdizioni pareva dunque essere stato individuato nell’approvazione del PEI: spetta al g.a., a titolo di giurisdizione esclusiva, conoscere della mancata predisposizione del Piano o della relativa carenza rispetto alla indicazione del numero di ore, mentre spettano al g.o. le controversie collocate a valle della predisposizione di un PEI completo rimasto inattuato.
Chiarito tale aspetto, i contrasti giurisprudenziali, lungi dall’essere sopiti, si sono spostati su un secondo livello esegetico, strettamente legato al primo, ossia sull’individuazione del giudice competente a decidere delle controversie che, pur collocandosi a valle dell’approvazione del PEI (i.e. in un ambito astrattamente spettante al g.o.) non attengano alla contestazione di una condotta discriminatoria.
La giurisprudenza amministrativa ha così nuovamente prospettato un allargamento delle maglie della propria giurisdizione, distinguendo i casi di contestazione degli atti della amministrazione scolastica (Uffici scolastici e Dirigente) che non avessero dato coerente seguito alle ‘proposte’ del G.L.O.H. (astrattamente spettanti al g.a.), da quelli in cui il Dirigente scolastico avesse attribuito le ore di sostegno in conformità alla proposta del G.L.O.H., senza tuttavia una concreta assegnazione delle medesime per ragioni contingenti. Solo in tale secondo caso, ai sensi dell’orientamento ben riassunto dal Consiglio di Stato nel 2017, si imporrebbe un’indagine sulla causa petendi e sul petitum posti a base della pretesa, con la precisazione che, in mancanza della deduzione specifica della “sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno” e dell’allegazione degli elementi di fatto in cui la discriminazione si manifesta, la fattispecie tipica devoluta dall’ art. 3, comma 3 l. n. 67/2006 alla giurisdizione ordinaria non verrebbe in rilievo, con conseguente riespansione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2017, n. 2023).
3. La decisione del TAR Molise
Nel contesto così delineato si iscrive la sentenza con cui il TAR Campobasso, chiamato a pronunciarsi su una controversia ingenerata dalla mancata erogazione delle ore di sostegno scolastico approvate nel PEI, ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario pur in assenza della contestazione di una condotta discriminatoria.
In sintesi, la fattispecie sottoposta al Collegio atteneva a un PEI con cui il G.L.O.H. dava l’indicazione di ampliare le ore di sostegno in favore del figlio della ricorrente. Benché, sulla base di tali elementi, il Dirigente dell’Istituto scolastico avesse richiesto all’Ufficio Provinciale competente di disporre l’aumento, quest’ultimo deliberava di confermare le ore di sostegno assegnate l’anno precedente.
La ricorrente insorgeva contro il provvedimento provinciale, lamentando diversi profili di violazione di legge ed eccesso di potere, ma non il relativo carattere discriminatorio.
L’amministrazione resistente eccepiva il difetto di giurisdizione del TAR adito richiamando l’orientamento secondo cui, a valle dell’approvazione del PEI, le domande di concreta erogazione del servizio di sostegno a favore del disabile spettano alla giurisdizione ordinaria (Cass. civ., sez. un. ord. 28 febbraio 2017, n. 5060 e Cons. Stato, ad. plen. n. 7/2016, cit.).
Nell’esaminare l’eccezione, la sentenza si sofferma sul contrasto giurisprudenziale sviluppatosi sulla peculiare ipotesi sottoposta al suo vaglio.
Come accennato, secondo l’orientamento sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, spetterebbe in linea di principio al g.a., a titolo di giurisdizione esclusiva, la cognizione sugli atti dell’amministrazione scolastica che non diano coerente seguito alle ‘proposte’ del G.L.O.H., trattandosi di controversie concernenti il pubblico servizio di istruzione ex art. 133, co. 1, lett. c c.p.a.. Diverso trattamento andrebbe invece riservato al caso in cui il Dirigente scolastico abbia attribuito le ore di sostegno in conformità alla proposta del G.L.O.H., ma tali ore non siano concretamente assegnate per cause contingenti. In tal caso, la competenza giurisdizionale spetterebbe al g.o. solo quando l'interessato lamenti espressamente che l'amministrazione scolastica abbia posto in essere "un comportamento discriminatorio a proprio danno", rappresentando gli elementi di fatto in cui la discriminazione si manifesta. Opererebbero invece le consuete regole sulla giurisdizione esclusiva del g.a. nel caso in cui le censure attengano a (i) la mancata corrispondenza tra il provvedimento finale del Dirigente scolastico e la proposta del G.L.O.H. per ragioni di contenimento della spesa; (ii) la mancata concreta fruizione delle ore di sostegno per la carenza delle risorse fornite dagli Uffici scolastici e conseguenti provvedimenti provvisori di “redistribuzione” delle ore di sostegno da parte del Dirigente. Tali ultime controversie, infatti, pur essendo relative alla fase successiva all’attuazione del PEI, atterrebbero alla “cattiva gestione del servizio pubblico scolastico di sostegno agli alunni disabili” spettanti al g.a., non già a discriminazioni rilevanti ai sensi della citata l. n. 67/2006 (Cons. Stato, sez. VI, n. 2023/2017, cit.).
La sentenza in commento aderisce invece al secondo, più recente, orientamento secondo cui, una volta approvato il PEI, sussisterebbe sempre la giurisdizione del giudice ordinario, a prescindere dalla circostanza che il ricorrente abbia espressamente dedotto una condotta antidiscriminatoria (Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 2019, n. 25101). Secondo tale impostazione, infatti, una volta che il PEI abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno dell'alunno, l'amministrazione scolastica risulterebbe (i) priva di un potere discrezionale espressivo di autonomia organizzativa e didattica e dunque incapace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura del supporto integrativo così come individuato dal Piano, (ii) gravata dal “dovere” di assicurare l'assegnazione, in favore dell'alunno, del personale docente specializzato, ciò “anche ricorrendo - se del caso, là dove la specifica situazione di disabilità del bambino richieda interventi di sostegno continuativi e più intensi - all'attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni”[8], con conseguente giurisdizione del g.o..
Prosegue il Collegio, richiamando le parole della Cassazione, che “l’omissione o le insufficienze nell'apprestamento, da parte dell'amministrazione scolastica, di quella attività doverosa si risolvono in una sostanziale contrazione del diritto fondamentale del disabile all'attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle specifiche esigenze rilevate, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico: l'una e le altre sono pertanto suscettibili di concretizzare, ove non accompagnate da una corrispondente contrazione dell'offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati, una discriminazione indiretta, vietata dalla L. n. 67 del 2006, art. 2 per tale intendendosi anche il comportamento omissivo dell'amministrazione pubblica preposta all'organizzazione del servizio scolastico che abbia l'effetto di mettere la bambina o il bambino con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni”.
La sentenza ne inferisce, sempre ripercorrendo l’insegnamento delle Sezioni unite, che la mancata deduzione esplicita nella domanda del ricorrente di un comportamento discriminatorio dell'amministrazione non può considerarsi una condizione cui subordinare la giurisdizione del g.o., facendone conseguentemente discendere la declinatoria della propria giurisdizione, ancorata non solo dall’esigenza di evitare il frazionamento delle controversie innanzi a plessi giurisdizionali diversi a seconda della prospettazione attorea, ma anche alla constatazione dell’assenza di poteri dell’amministrazione di modificare (tranne il caso di correzione di errori materiali o di sopravvenienze), il contenuto delle ore di sostegno proposte dagli organi tecnici, con conseguente assenza di margini di discrezionalità nell’attività in questione.
4. Considerazioni conclusive
La soluzione abbracciata dalla sentenza ha il merito di epurare il discorso sull’individuazione del giudice competente a conoscere dell’istruzione dell’alunno disabile dall’aspetto formalistico della prospettazione di parte.
La ricostruzione elaborata dal Consiglio di Stato nel 2017 – seguita dallo stesso TAR Molise sino alla decisione in analisi[9] – infatti, pur mirando dichiaratamente a evitare che l’individuazione del giudice competente dipendesse dalla deduzione “difensiva” dell’amministrazione scolastica diretta a configurare il proprio agire come discriminatorio al fine di sottrarsi alla giurisdizione del g.a.[10], e pur essendo guidata dall’apprezzabile intento di modulare la risposta giurisdizionale sulle esigenze concretamente prospettate dalla parte ricorrente, finiva invero con l’attribuire un rilievo eccessivo all’aspetto formale, rievocando una logica di riparto ormai superata, collocata a metà strada tra il criterio del c.d. “petitum formale” (che tiene conto del tipo di domanda di parte ai fini della discriminazione delle giurisdizioni – nella specie, repressione di una condotta discriminatoria o impugnazione di un atto/contestazione di un comportamento dell’amministrazione scolastica –) e la c.d. teoria della prospettazione (che assegna rilievo decisivo la “prospettazione” di parte in ordine alla posizione giuridica soggettiva azionata in giudizio – nella specie, deduzione specifica della sussistenza di un comportamento discriminatorio e allegazione degli elementi di fatto in cui si sostanzia o meno).
Il criterio di riparto della “causa petendi” o “petitum sostanziale”, impone invece, come noto, di indagare l’effettiva natura della posizione giuridica fatta valere in giudizio, senza che il discrimine tra le giurisdizioni possa essere rimesso alla volontà delle parti. Del resto, ammettere che la giurisdizione possa cambiare a seconda che il ricorrente deduca di aver subito o meno una discriminazione vorrebbe dire non solo riesumare un criterio respinto sin dal “concordato giurisprudenziale” degli anni ’30[11], ma anche consentire alla parte di “scegliere” la giurisdizione più appetibile, in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge.
Ciò non significa, si badi, che gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza amministrativa nella materia de qua possano essere obliterati attraverso il ritorno a una visione riduttiva e anacronistica della sua giurisdizione esclusiva.
In tale prospettiva, il richiamo operato dalle Sezioni unite (e ripreso dal TAR) alla categoria dei “diritti fondamentali”[12] può essere accettato a condizione che si intenda epurato da ogni tralatizio riferimento alla c.d. teoria dei diritti indegradabili e dunque a condizione che il coinvolgimento di tale categoria di diritti si consideri neutrale ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione. Come rimarcato dalla Plenaria nel 2016, infatti, la pacifica natura di diritto soggettivo della posizione soggettiva azionata nelle controversie de quibus, quand’anche qualificato come “fondamentale”, non esclude la sussistenza della giurisdizione amministrativa, in quanto “il carattere fondamentale del diritto nella specie azionato non può certo essere decifrato come un’eccezione innominata al perimetro della giurisdizione esclusiva” poiché “al giudice amministrativo è stata chiaramente riconosciuta la capacità di assicurare anche ai diritti costituzionalmente protetti una tutela piena e conforme ai precetti costituzionali di riferimento” sin dalla storica sentenza della Corte costituzionale del 27 aprile 2007, n. 140[13].
Del resto, come ribadito anche di recente dai vertici della giustizia amministrativa, la concezione dei diritti “perfetti” o “non degradabili” è stata elaborata per riconoscere ulteriori possibilità di tutela per il cittadino, non certo per escludere forme di tutela preesistenti. Di conseguenza da tale concezione non si può desumere alcuna riduzione della legittimazione a ricorrere avanti al giudice amministrativo[14].
Per altro verso, occorre tenere a mente che la strada esegetica da percorrere per individuare il giudice munito di giurisdizione in materie devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. resta quella tracciata dalla Corte costituzionale nella storica sentenza n. 204/2004: il collegamento con l’esercizio di un pubblico potere. Non sono pertanto ammissibili scostamenti dal percorso individuato dalla Consulta, guidati da una malintesa distinzione tra attività discrezionale e vincolata[15], mentre permane di utilità la distinzione tra potere e mero obbligo, da tempo individuata dalla giurisprudenza per guidare il riparto: ove sulla p.A. gravi il mero obbligo di verificare la sussistenza dei requisiti (come per il caso del conferimento delle ore di sostegno compiutamente individuate dal PEI, o anche per il caso dell’erogazione di contributi pubblici o aumenti di oneri economici collegati alla mera verifica delle variazioni del tasso di inflazione ecc.), la controversia rientrerà nella giurisdizione ordinaria facendosi questione dell’esatto adempimento dei meri obblighi in parola, non identificabili come espressione di potere e contrapposti a posizioni di puro diritto soggettivo[16].
[1] Come condivisibilmente affermato in giurisprudenza, del resto, “il diritto all'istruzione è parte integrante del riconoscimento e della garanzia dei diritti dei disabili, per il conseguimento di quella pari dignità sociale che consente il pieno sviluppo e l'inclusione della persona umana con disabilità” (Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2014, n. 25011).
[2] In giurisprudenza, tra le molte decisioni che evocano la categoria in parola, basti citare quelle in materia di diritto alla salute, tra cui Cass. civ., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2867, secondo cui “in materia di richiesta di rimborso delle spese sanitarie sostenute dai cittadini residenti in Italia presso centri di altissima specializzazione all’estero per prestazioni che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico (art. 5 l. n. 595 del 1985 e relativo decreto del Ministro della sanità del 3 novembre 1989, come successivamente modificato), la giurisdizione spetta al Giudice ordinario, sia nel caso che siano addotte situazioni di eccezionale gravità ed urgenza, prospettate come ostative alla possibilità di preventiva richiesta di autorizzazione, sia nel caso che l’autorizzazione sia stata chiesta e che si assuma illegittimamente negata, giacché viene comunque in considerazione il fondamentale diritto alla salute, non suscettibile di essere affievolito dalla discrezionalità meramente tecnica dell’amministrazione in ordine all’apprezzamento dei presupposti per l’erogazione delle prestazioni”. Più di recente anche il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 15 aprile 2013, n. 2073, confermava la sussistenza, in materia, della giurisdizione ordinaria, mentre in senso contrario si era espresso il C.G.A.R. Sicilia, sez. I, 5 gennaio 2012, n. 31, ove si affermava la giurisdizione amministrativa con la motivazione che “L’autorizzazione (preventiva) al ricovero o il rimborso (successivo) delle spese sostenute non integrano [...] (come già affermato per altro da una copiosa giurisprudenza, anche successiva – vedi Tar Valle d’Aosta n. 4/11 – alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2009) una pretesa di adempimento relativa ad una obbligazione, ma una pretesa accoglibile solo a seguito di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione”.
[3] Così definiva il confine tra diritto e interesse che dovrebbe, in teoria, segnare lo spartiacque sicuro tra le due giurisdizioni M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 171.
[4] In dottrina si v., in generale, G. Mari, La giurisdizione amministrativa, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2013, 61 ss.; A. Proto Pisani, Appunti sul giudice delle controversie fra privati e pubblica amministrazione, in Foro it., 2009, V, cc. 369 ss.; A. Orsi Battaglini, C. Marzuoli, Unità e pluralità della giurisdizione: un altro secolo di giudice speciale per l’amministrazione, in Dir. pubbl., 1997, 895 ss.. Più di recente A. Lamorgese, La giurisdizione contesa. Cittadini e pubblica amministrazione, Torino, 2014.
[5] Come noto, la l. 1 marzo 2006, n. 67 recante Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, nel promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali, traccia, all’art. 2, la distinzione tra le due possibili forme di violazione di tale parità – ai sensi del quale ricorre discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga; mentre ricorre discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone – mentre all’art. 3 affida al giudice ordinario la competenza giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti discriminatori, richiamando la disciplina dettata dal testo unico delle disposizioni concernenti l’immigrazione e la condizione dello straniero di cui al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e, oggi, le nuove norme sulla tutela antidiscriminatoria previste dall’art. 28 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150.
[6] Su cui, tra i commenti, cfr. A. Tomassetti, Sostegno scolastico e riparto di giurisdizione, in Libro dell’anno del diritto, 2017; A. Giampaolino, Assegnazione dell’insegnante di sostegno alla classe frequentata dall’alunno disabile e riparto di giurisdizione, in Il nuovo diritto amministrativo, 2017.
[7] La sussistenza di poteri conferiti dalla legge alla p.A. anche quando il bene della vita coinvolto è proiezione di un diritto fondamentale, trova conferma tanto nel riconoscimento, ad opera della Corte costituzionale, della idoneità del giudice amministrativo “ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa” (sent. n. 140 del 2007); che nel codice del processo amministrativo che, all’art. 55 c.p.a., nell’escludere che la concessione o il diniego della misura cautelare possa essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale postula la competenza giurisdizionale del g.a. su tali posizioni giuridiche soggettive e che, inoltre, affida alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati (art. 133, co. 1, lett. p).
[8] Sulla perdurante possibilità di attivare posti di sostegno in deroga v. supra par 2. la sentenza C. cost. n. 80/2010.
[9] Cfr. TAR Molise nn. 42/2017; 420/2019; 421/2019; 435/2019.
[10] Nelle parole del Consiglio di Stato, infatti, si sarebbero dovute applicare le consuete regole sulla giurisdizione esclusiva quando il ricorrente impugni gli atti del procedimento o contesti un comportamento dell'Amministrazione, “lamentando puramente e semplicemente: - la mancata corrispondenza tra il provvedimento finale del dirigente scolastico e la proposta del G.L.O.H. (ovvero lamentando che sia stata data illegittimamente prevalenza a ragioni di contenimento della spesa); - la mancata concreta fruizione delle ore di sostegno, attribuite dal dirigente scolastico in conformità alla proposta del G.L.O.H., perché il medesimo dirigente, per la carenza delle risorse fornite dagli Uffici scolastici, ha affrontato provvisoriamente la situazione con misure di 'redistribuzione' delle ore di sostegno” mentre in tali casi la devoluzione della controversia al giudice civile non sarebbe potuta “dipendere dalla deduzione 'difensiva' dell'Amministrazione scolastica, la quale prospetti essa stessa che il proprio agire - l'atto del dirigente scolastico dissonante dalla proposta del G.L.O.H. ovvero la mancata assegnazione degli insegnanti di sostegno da parte degli Uffici scolastici- vada ricondotto ad una "discriminazione"” (Cons. St., n. 2023/2017, cit.).
[11] Il riferimento è al c.d. “concordato giurisprudenziale” raggiunto con le sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 14 giugno 1930, nn. 1 e 2 e la successiva pronuncia delle Sezioni unite del 15 luglio 1930, che sancirono definitivamente il superamento del criterio del petitum, affermando che il criterio base per la discriminazione della giurisdizione è “la natura intrinseca della controversia” (di diritto soggettivo o di interesse legittimo), indipendentemente dall’eventuale interferenza di provvedimenti amministrativi e indipendentemente dalla domanda di rimozione di tali provvedimenti (in argomento, ex multis, M. Nigro, cit., 178; S. Cassarino, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 1990, 24 ss.; A. Zito, M.R. Spasiano, L’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, in F.G. Scoca (a cura di) Giustizia amministrativa, Torino, 2017, 71 ss.; A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2019, 115 ss.).
[12] Il riferimento va al passaggio della sentenza delle Sezioni unite n. 25101/2019, ripresa dalla decisione in analisi, secondo cui “…l’omissione o le insufficienze nell'apprestamento, da parte dell'amministrazione scolastica, di quella attività doverosa si risolvono in una sostanziale contrazione del diritto fondamentale del disabile all'attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle specifiche esigenze rilevate, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico”.
[13] In argomento, oltre a A. Zito, M.R. Spasiano, L’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, cit., 100 ss., v. in particolare F. Dinelli, Il riparto di giurisdizione e la teoria dei diritti indegradabili, in Aa.Vv., Problematiche del riparto di giurisdizione dopo il codice del processo amministrativo, Napoli, 2013, 63 ss..
[14] In questi termini si esprimeva Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2006, n. 556, con concetti sostanzialmente ripresi nell’intervento del Pres. F. Patroni Griffi al corso di formazione richiamato in apertura [v. già Id., L’eterno dibattito sulle giurisdizioni tra diritti incomprimibili e lesione dell’affidamento, Relazione al convegno su “L’azione risarcitoria nei confronti delle pp.AA. e l’eterno dibattito sulle giurisdizioni” (Università Roma Tre, 11 maggio 2011), in federalismi.it, n. 24/2011]. In argomento si veda anche G. Coraggio, La tutela del diritto alla salute nella dialettica tra G.A e A.G.O., Relazione Tar Napoli 9 maggio 2019, in giustizia-amministrativa.it, 2019.
[15] In punto basta richiamare l’eloquente dato normativo processuale (i.e. il c.p.a. che, all’art. 31, co. 3 afferma che “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata” e all’art. 34 subordina la possibilità di ottenere il provvedimento preteso alle stesse condizioni dell’articolo 31 a cui espressamente rinvia) e sostanziale (i.e. alla l. n. 241/1990, che, all’art. 21-octies, co. 2, nel disciplinare l’annullamento degli atti amministrativi, fa esplicito riferimento agli atti vincolati), per inferirne la chiara scelta ordinamentale nel senso della valorizzazione del potere in sé quale criterio di riparto e quindi del riconoscimento della giurisdizione amministrativa anche in presenza di un atto vincolato (in argomento G. Coraggio, op. cit.).
[16] In punto v., ex multis, Cons Stato, ad. plen., 29 gennaio 2014, n. 6 sul riparto di giurisdizione in materia di contributi e agevolazioni pubbliche e Cass. civ., sez. un., ordd. nn. 20566 e 2317/2013 (rispettivamente sul mancato adeguamento al tasso di inflazione dei diritti aeroportuali e sui danni da omessa realizzazione di opere di smaltimento rifiuti).