Ottemperanza al giudicato civile: interpretazione, integrazione o sostituzione del giudicato?
(nota a Consiglio di Stato, Sez. III, 7 luglio 2020, n. 4369)
di Raffaella Dagostino
Sommario: 1. Il caso di specie. 2. Le questioni giuridiche. 3. Brevi considerazioni conclusive.
1. La recente pronuncia del Consiglio di Stato (7 luglio 2020, n. 4369) ha offerto una preziosa occasione per riflettere, ancora una volta, sulla natura giuridica del giudizio di ottemperanza e sull’ampiezza dei poteri di cognizione da riconoscersi al giudice dell’ottemperanza medesima, in relazione all’oggetto del giudicato, in particolare allorché si tratti di dare compiuta attuazione a sentenze del giudice civile.
La questione originava da una sentenza passata in giudicato del giudice ordinario del lavoro con cui era stato riconosciuto al lavoratore esposto al rischio amianto il diritto a beneficiare del ricalcolo della pensione contributiva per ogni anno di lavoro svolto con esposizione all’agente patogeno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, comma 8, della l. n. 257/1992.
In particolare, la sentenza disponeva che si procedesse alla supervalutazione della pensione contributiva per gli anni di esposizione all’inalazione di fibre di amianto, da calcolarsi moltiplicando il coefficiente pari a 1,5 per il periodo di contribuzione individuato per un arco temporale definito (dal 15.12. 1960 al 31.12.1985). Pertanto, si condannava l’INPS al pagamento delle differenze sulla pensione e alla maggior somma dovuta a titolo di rivalutazione monetaria, oltre che al pagamento degli interessi legali maturati.
Tuttavia, il lavoratore, in esecuzione della sentenza, chiedeva che gli venisse riconosciuta una ulteriore maggiorazione di anzianità (di 12 anni e mezzo) rispetto a quella contributiva complessiva già conseguita (pari a 39 anni circa), per un totale di 52 anni di anzianità, sul presupposto che la sentenza passata in giudicato avesse implicitamente accertato il proprio diritto alla riliquidazione della pensione sulla base di tutta l’anzianità contributiva.
Si opponeva l’INPS, contestando che, diversamente, tale calcolo non poteva che essere effettuato sulla base dell’anzianità contributiva utilmente valutabile, il cui limite massimo, imposto dalla legge, nello specifico ambito del Fondo trasporti, era pari a 36 anni di contribuzione.
Veniva, pertanto, adito in sede di ottemperanza il Tar del Lazio che, in applicazione del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., sez. lavoro, n. 17528/2002; n. 7556/2014; n. 27677/2011; n. 5419/2020), fatto proprio anche dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. III, n. 1718/2018), riteneva che il diritto alla rivalutazione contributiva di cui all’art. 13 della l. n. 257/1992, poiché funzionale ad agevolare il conseguimento della pensione massima per i lavori esposti a rischio amianto che non avessero raggiunto il massimo della prestazione conseguibile, implicasse che il ricalcolo della pensione a seguito dell’applicazione della suddetta rivalutazione dovesse avvenire entro e non oltre i limiti della massima anzianità contributiva, ope legis stabiliti.
Era proposto appello al Consiglio di Stato sul presupposto che il Tar Lazio, così decidendo, avesse inopinatamente compresso il diritto alla riliquidazione della pensione entro i limiti ordinamentali, violando quanto implicitamente accertato con sentenza passata in giudicato, ossia il diritto al superamento del tetto massimo contributivo ai fini del ricalcolo della pensione.
2. Il Consiglio di Stato respingeva l’appello, perché infondato, facendo leva su alcune rilevanti argomentazioni.
Innanzitutto, si confutava la tesi secondo cui in sede di cognizione civile si fosse formato giudicato implicito relativamente all’eccezione di merito, sollevata dall’INPS, intesa a determinare il tetto massimo del montante contributivo. Piuttosto, si riteneva che il giudice civile fosse rimasto silente sul punto, non affrontando specificatamente la questione.
Più specificatamente, si riteneva che, nel caso di specie, il giudicato civile si fosse limitato a riconoscere il solo diritto alla rivalutazione dell’anzianità per via dell’accertata esposizione all’amianto, senza nulla sancire in ordine al diritto ad ottenere la liquidazione della pensione sulla base di tutta l’anzianità contributiva, per come complessivamente maturata, a prescindere dal rispetto del limite legale.
Il Consiglio di Stato, quindi, acclarava che il giudice civile non si fosse espresso sulla questione sollevata dall’INPS e che la statuizione di condanna al pagamento delle differenze di trattamento retributivo, conseguenti a supervalutazione da esposizione ad amianto, non contenesse alcuna indicazione, nemmeno nella parte motivazionale, sulle modalità di calcolo dell’anzianità contributiva e alla riconduzione entro i limiti ordinamentali.
Di conseguenza, richiamando il consolidato principio per cui il giudicato civile copra il dedotto e il deducibile, il Consiglio di Stato riteneva di escludere che tale ultima questione (afferente il possibile superamento del limite del tetto contributivo) potesse ritenersi implicitamente affrontata e decisa in quella sede, poiché estranea all’oggetto del contendere, non costituendo un passaggio logico-pregiudiziale necessariamente implicato nel percorso argomentativo e motivazionale di cui in sentenza, rimasta neutra rispetto al tema.
Pertanto, si riteneva che l’oggetto del contendere su cui si era formato giudicato, avesse riguardato specificatamente il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 13, comma 8, della l. n. 257/1992, beneficio, si ribadiva, previsto esclusivamente al fine di agevolare il conseguimento della pensione massima ai lavoratori esposti al rischio amianto, ottenibile da coloro che non avessero raggiunto il massimo della prestazione conseguibile.
Circoscritto l’oggetto del giudicato in stretta aderenza alla res controversa e chiarito, di conseguenza, che nel caso di specie il giudicato “silente” non avesse comportato la formazione di un giudicato implicito su questioni, pur eccepite ma non affrontate, collegate ma logicamente consequenziali a quelle oggetto del decisum, il Consiglio di Stato, ai fini dell’ottemperanza[1], riteneva di poter comunque garantire puntuale attuazione del giudicato formatosi in sede di cognizione civile, procedendo all’applicazione del medesimo in conformità con le regole ordinamentali, le sole capaci di ricondurre l’ottemperanza a conclusioni coerenti con il sistema normativo.
Facendo leva sul criterio di stretta continenza che deve orientare il giudice amministrativo nell’esecuzione del giudicato civile (o più in generale, nell’esecuzione di pronunce emesse da organi appartenenti a plessi giurisdizionali diversi), il Consiglio di Stato giungeva a ritenere che fosse consentito integrare il precetto di cui in sentenza, mediante l’applicazione dei principi generali dell’ordinamento (ex art. 12 disp. att.), così da colmare lo spazio regolativo lasciato vuoto dal giudicato, senza incorrere in alcuna manipolazione interpretativa del decisum.
La pronuncia, dunque, sebbene si ponga formalmente in linea con il costante e risalente orientamento della giurisprudenza amministrativa che riconosce la sussistenza di limiti stringenti ai generalmente penetranti poteri di cognizione spettanti al giudice dell’ottemperanza nell’ipotesi in cui si tratti di dare esecuzione al giudicato civile[2], merita di essere segnalata perché esplicita alcuni importanti principi per la comprensione delle tecniche giurisdizionali di attuazione del giudicato, invitando a riflettere sull’ampiezza e sui limiti dei poteri, di cognizione prima che di esecuzione, spettanti al giudice amministrativo in qualità di giudice dell’ottemperanza del giudicato civile e sulla peculiare natura giuridica dell’ottemperanza, che è da considerarsi complessa anche in tali ipotesi[3].
Si ritiene, infatti, che la natura giuridica e la funzione di un istituto processuale non possa mutare in ragione dell’imputabilità del giudicato, che ne formerà oggetto di attuazione e che ne costituisce presupposto processuale, a un organo appartenente ad altro plesso giurisdizionale.
Certamente l’asserzione merita chiarimenti, posto che non è assolutamente da confutare la diversità ontologica che corre fra l’assetto dei rapporti scaturenti dai due tipi di sentenza, del giudice civile e del giudice amministrativo, la diversità degli obblighi di conformazione gravanti sulla p.a. in conseguenza del giudicato amministrativo piuttosto che civile e, di conseguenza, il diverso grado di penetrazione e di ampiezza dei poteri cognitori spettanti al giudice dell’ottemperanza a garanzia della compiuta attuazione del giudicato, a seconda che ricorra l’una o piuttosto l’altra ipotesi[4].
Sicuramente, nell’ipotesi di ottemperanza di provvedimenti del giudice civile è da negare la sussistenza di poteri di accertamento su elementi esterni al provvedimento da eseguirsi o su questioni non ricadenti nell’oggetto del giudicato né implicitamente coperte dal giudicato stesso, in ragione dei vincoli derivanti dal riparto di giurisdizione che escludono, a pena di violazione dei limiti esterni[5], un’attività di cognizione su materie rientranti nell’altrui giurisdizione.
E in aderenza a siffatta prospettiva si pone la pronuncia che si commenta, posto che essa muove proprio dal principio fondamentale di stretta continenza interpretativo-cognitoria del giudice dell’ottemperanza al contenuto e all’oggetto del giudicato civile, in funzione della corretta attuazione del precetto ivi espresso, nonché – si aggiunge – a garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale, ai sensi e per gli effetti degli artt. 24 e 113 della Cost.
Infatti, sebbene sia pacifico che la natura poliforme del giudizio di ottemperanza e la poliedricità delle forme di tutela iviapprestabili non ne consenta una reductio ad unitatem[6], ciò non permette di accantonare la tesi della ricostruzione in termini unitari dell’istituto dell’ottemperanza, perché la complessità intrinseca dell’ottemperanza stessa (recte: delle forme di tutela apprestabili con il giudizio di ottemperanza) non collima con il diverso assunto che mira a riconoscerne natura giuridica e funzione unitaria.
Lungi dal poter considerare il giudice dell’ottemperanza alla stregua di giudice di mera esecuzione, non fosse altro perché Egli è il giudice naturale del potere amministrativo, o per meglio dire della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni a carico della p.a. che dal giudicato discendono o che in esso trovano legittimo presupposto[7], ciò che muta è il contenuto della domanda, anche in ragione del diverso presupposto processuale[8], da cui deriva il diverso atteggiarsi dei poteri di cognizione del giudice dell’ottemperanza, senza per questo poter ritenere di escluderne qualsiasi margine d’intervento.
In conformità con le origini storiche dell’istituto[9], sorto come rimedio per dare attuazione alle sentenze del giudice ordinario emesse nei confronti della p.a. (ex art. 4 L.A.C.) e poi, in via pretoria esteso anche all’esecuzione delle sentenze del G.A., il giudizio di ottemperanza assolve la fondamentale funzione di garantire effettiva «giustizia nell’amministrazione», perseguendo piuttosto l’obiettivo del buon funzionamento dell’amministrazione pubblica, obbligata a conformarsi al giudicato[10], a garanzia dell’effettività della tutela del privato coinvolto nell’esercizio dell’attività amministrativa, non solo discrezionale bensì vincolata[11], prima ancora che quello della responsabilità civile della amministrazione medesima[12].
Pertanto, posto che il giudizio di ottemperanza richiede l’attuazione di una regola espressa in sentenza e che spesso la medesima si appalesa incompleta o indeterminata, l’ampiezza dei poteri cognitori del giudice dell’ottemperanza può dirsi inversamente proporzionale al grado di astrattezza e autonomia – rispetto al giudizio di cognizione – del contenuto del precetto espresso nel titolo esecutivo, che tendenzialmente dovrebbe offrire al G.A. tutti gli elementi per ricavare le coordinate operative da imporre alla p.a., in assenza dei quali il provvedimento resta ineseguibile[13].
Ciò porta certamente a distinguere le ipotesi di condanna generica, in cui il dictum posto dal giudice ordinario non è passibile d’integrazione nemmeno in via interpretativa, essendo indispensabili ulteriori accertamenti, in fatto e in diritto, da compiersi dinanzi al giudice munito di giurisdizione[14], da quelle di condanna (rectius: giudicato) implicita[15], in cui invece l’integrazione è meramente apparente, perché frutto della esplicitazione di questioni o accertamenti che, costituendo presupposto logico indispensabile per la soluzione di questioni su cui invece si è formato giudicato esplicito, debbono ritenersi implicitamente accertate e risolte, e ancora, le ipotesi di giudicato silente non implicito bensì incompleto[16].
Secondo la sentenza che si annota nel caso di specie il giudicato presenterebbe un vuoto regolativo in ragione del fatto che il dispositivo di cui in sentenza non esplicita compiutamente le obbligazioni gravanti sulla p.a. a garanzia della corretta esecuzione del giudicato, lasciando margini d’incertezza in relazione al faciendum[17].
Rimane il dubbio se di fronte a un parziale non liquet del giudice di cognizione su questioni, pur eccepite in giudizio ma non specificatamente affrontate, si formi effettivamente giudicato o meno, dal momento che questo copre, ancor prima del deciso, il dedotto (e il deducibile). A fronte del dubbio sta però il fatto che se al giudice dell’esecuzione di regola è precluso completare il dispositivo contenuto in sentenza compiendo accertamenti su questioni di merito esterne al giudicato, il giudice dell’ottemperanza non può considerarsi alla stregua di mero giudice di esecuzione – a maggior ragione oggi in cui le derive evolutive di quest’ultimo giudizio, sempre più proteso verso l’eterointegrazione del titolo esecutivo, impongono di rimarcare la specialità del primo[18] . Il bilanciamento concretamente operato nel caso di specie ha portato il giudice amministrativo a ritenere possibile che, in mancanza di una espressa statuizione nella sentenza, il giudicato potesse essere integrato in via interpretativa come se si fosse in presenza di un dispositivo incompleto.
Esclusa la possibilità di qualificare l’ipotesi di cui al caso di specie alla stregua di una condanna generica[19], posto che al giudice amministrativo erano stati forniti tutti i parametri per il calcolo del quantum dovuto, il giudice amministrativo ha dunque ritenuto di poter procedere a un’interpretazione e applicazione del giudicato (attraverso la lettura del dispositivo e della motivazione a sentenza) conforme alle regole ordinamentali.
Conseguentemente, «l’effetto arricchente»[20] che ne è derivato è stato legato all’interpretazione sistematica e all’applicazione della normativa in questione e il problema del non liquet è stato superato mediante l’applicazione dei criteri generali d’interpretazione della legge, di cui all’art 12 disp. att., che permettono una lettura del dispositivo coerente con il sistema normativo vigente, evitando manipolazioni interpretative ed extra ordinem del decisum.
Il non liquet del giudice civile sulla questione “connessa”, in via succedanea, alla materia oggetto del contendere, su cui si era formato giudicato, è stato così spiegato in ragione di un silente rinvio all’inderogabile disciplina di legge che fissa le soglie massime del tetto contributivo[21].
La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato, è evidente, si preoccupa di bilanciare esigenza di certezza delle regole e principio di effettività della tutela sfruttando al massimo le potenzialità offerte dalla natura cognitoria del giudizio di ottemperanza per contestualizzare il dispositivo della sentenza nel quadro normativo di riferimento [22].
I poteri interpretativi e cognitori spesi nel caso di specie dal giudice dell’ottemperanza sembrerebbero così non avere integrato il decisum con accertamenti di merito ricadenti nell’altrui giurisdizione.
Pare doveroso sottolineare che, al mutare del presupposto, giudicato civile piuttosto che giudicato amministrativo, e delle modalità con cui è esplicato, ciò che muta non è la natura giuridica e la funzione del giudizio di ottemperanza, piuttosto le caratteristiche e l’estensione del potere di cognizione del giudice dell’ottemperanza medesima.
Allorché si domandi esecuzione del giudicato civile, nelle peculiari ipotesi di profili non espressamente esplicitati in sentenza, il diverso atteggiarsi dei poteri di cognizione del g.a. è condizionato dall’oggetto del giudicato e dal suo contenuto[23], per come esplicato in sentenza, oltre a essere vincolato al rispetto dei criteri di riparto della giurisdizione, che inevitabilmente, impediscono al giudice dell’ottemperanza di effettuare accertamenti extra ordinem ma non di integrare il precetto contenuto nella sentenza del g.o. attraverso un’attività d’interpretazione conforme alle regole e ai principi generali dell’ordinamento giuridico, in stretta aderenza all’oggetto del giudicato.
Giova ricordare un antico brocardo latino, ubi remedium ibi ius[24], ove il concetto di “rimedio”, colto nella sua valenza sostanziale dell’effettività della tutela è incontrovertibilmente legato al concetto di ius, di diritto oggettivamente inteso. Principio che riecheggia i ben noti e insuperati insegnamenti di autorevoli Maestri del diritto processuale civile[25] che, nell’avviare la riflessione sulla estensione e sui limiti dell’attuazione della legge nel processo, hanno posto una pietra miliare ancor oggi valida per il sistema processuale generalmente considerato, per cui «il processo deve dare per quanto è possibile … a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire».
Pertanto, nell’ipotesi di esecuzione dei provvedimenti del giudice civile (ex art. 112, co. 2, lett.c), è sullo scivoloso crinale del distinguo fra interpretazione e integrazione (interna o esterna) del giudicato che si attagliano i poteri di cognizione del giudice dell’ottemperanza, da esercitarsi in equilibrio fra legalità ed effettività della tutela, al fine di evitare di travalicare i limiti esterni della giurisdizione.
Torna, dunque, la vexata quaestio dell’individuazione dell’oggetto della res iudicata, dell’ampiezza dell’ambito oggettivo di efficacia del giudicato medesimo, da discernere attraverso oculata attività interpretativa della sentenza, quale bilanciata sintesi fra comando e giudizio, fra dictum contenuto nel dispositivo e ragioni giuridiche espresse in motivazione[26], su i cui profili problematici non è possibile soffermarsi in questa sede.
Questione complessa che, tuttavia, non esclude anzi rimarca l’esistenza di poteri di cognizione interna al giudicato, esercitabili dal g.a. anche ad integrazione del dispositivo incompleto, a garanzia dell’effettività della tutela in conformità alle regole ordinamentali.
3. Volendo ripercorrere gli insegnamenti d’illustre dottrina[27], non resta che ribadire che l’ottemperanza sia sempre necessariamente giudizio di cognizione prima che di esecuzione, sebbene diverso sia il grado di penetrazione dei poteri del giudice ai fini della compiuta conformazione dell’attività amministrativa agli obblighi discendenti dal giudicato.
Ciò si spiega in ragione del fatto che il giudizio di ottemperanza sia sempre necessariamente volto prima all’accertamento puntuale degli obblighi derivanti dal giudicato[28], sia civile sia amministrativo, e di conseguenza all’attuazione[29] del medesimo.
A differenza del giudizio di esecuzione, il giudice dell’ottemperanza non guarda solamente al titolo esecutivo, bensì al giudicato nella sua completezza, ossia alla complessità di rapporti giuridici ad esso sottesi.
Ciò garantisce un maggior grado di penetrazione ed estensione dell’attività d’interpretazione, fino a consentire di spingerla sino ai margini d’integrazione del dispositivo ove tale attività di cognizione abbia ad oggetto questioni implicitamente coperte dal giudicato. Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha ricompreso nel suddetto margine l'ipotesi del giudicato silente ma “incompleto”[30], ritenendo che l’attività interpretativo-integrativa del dispositivo possa spingersi oltre il dispositivo guardando alle regole ordinamentali che disciplinano compiutamente il rapporto giuridico oggetto di controversia, al precipuo fine di dare attuazione al giudicato in maniera conforme ad esse. E un percorso che viene seguito nell'intento di evitare eterointegrazioni manipolative del decisum e di garantire al contempo l'effettività della tutela, nella evidente consapevolezza di muoversi sul crinale dell'eccesso di potere giurisdizionale.
Pertanto, emerge chiaramente come l’ottemperanza di sentenze del giudice civile implichi per il g.a. uno sforzo interpretativo maggiore, dovendo Egli chiarire, interpretandoli, gli esatti contenuti del giudicato[31]; ragione, questa, che sottolinea carattere e natura cognitoria del giudizio.
Concludendo, il sapiente bilanciamento fra interpretazione e legittima integrazione del dispositivo, nei limiti di cui si è detto, necessitata dalla compiuta individuazione degli obblighi discendenti dal giudicato, per come accertati dal giudice ordinario, in uno con quelli discendenti dalla legge, fa dell’ottemperanza strumento di attuazione del giudicato, espressione del contemperamento fra limite giurisdizionale, legalità processuale e ordinamentale, effettività e concentrazione della tutela (ex art. 113 Cost.).
* * *
[1] Sul giudizio di ottemperanza, per un inquadramento generale: A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2018. Più specificatamente sul tema, cfr.: M. Nigro, Il giudicato amministrativo e il processo di ottemperanza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, 195 ss.; L. Mazzarolli, Il giudizio di ottemperanza oggi: risultati concreti, in Dir. proc. amm., 1990; Aa.Vv., Il giudizio di ottemperanza, Atti del XXVII Convegno di Scienza dell’amministrazione di Varenna, Milano, 1983, fra cui v.: F.G. Scoca, Aspetti processuali del giudizio di ottemperanza; C. Calabrò, L’ottemperanza come prosecuzione del «giudizio amministrativo»; A. Sorrentino, Provvedimenti elusivi e giudizio di ottemperanza; F. Francario, Sentenze di rito e giudizio di ottemperanza, in Dir. proc. amm., 2007, 52 ss.; M. Lipari, L’effettività della decisione tra cognizione e ottemperanza, in federalismi, 2010; F. Manganaro, Il giudizio di ottemperanza come rimedio alle lacune dell’accertamento, in La sentenza amministrativa ingiusta ed i suoi rimedi, F. Francario - M.A. Sandulli (a cura di), Napoli, 2018, 119 e ss., ibidem: A. Storto, Il giudizio di ottemperanza come rimedio alle lacune dell’accertamento, 139 e ss.; A. Police, Giudicato amministrativo e sentenze di Corti sovranazionali. Il rimedio della revocazione in un’analisi costi benefici, 181 e ss; G. Montedoro, Esecuzione delle sentenze CEDU e cosa giudicata nelle giurisdizioni nazionali, 199 e ss; N. Paoloantonio, Riapertura del processo, giurisprudenza CEDU e giudicato nazionale: un irragionevole orientamento della Corte Costituzionale, in Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, F. Francario - M.A. Sandulli (a cura di), Napoli, 2018, 275 e ss.; ibidem, I. Raiola, Esecutività della sentenza ed efficacia preclusiva o conformativa, 289 e ss.; A.M. Angiuli, Esecutività della sentenza ed efficacia conformativa o preclusiva. Profili introduttivi, 319 e ss.; Aa.Vv. Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., Atti dei seminari tenuti presso il Consiglio di Stato (30 novembre 2017) e il Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli (6 febbraio 2018), B. Capponi - A. Storto (a cura di), Napoli, 2018.
[2] Non a caso generalmente ricorrere la tralaticia affermazione per cui nel giudizio di ottemperanza di un giudicato civile il momento cognitorio sia da considerarsi ridotto rispetto al momento esecutivo, ragion per cui deve ritenersi che in tal caso, i tratti del giudizio di ottemperanza siano piuttosto quelli del processo esecutivo e solo minimamente di un giudizio cognitorio. F. Taormina, L’ottemperanza al giudicato. La giustizia nell’amministrazione, in Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., Atti dei seminari tenuti presso il Consiglio di Stato (30 novembre 2017) e il Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli (6 febbraio 2018), B. Capponi - A. Storto (a cura di), Napoli, 2018, 163-258.
[3] Per una puntuale ricostruzione in termini unitari dell’istituto dell’ottemperanza, sia con riferimento al giudicato civile sia a quello amministrativo, cfr.: F. Francario, Il giudizio di ottemperanza. Origini e prospettive, in Il Processo, 3/2018, 171-215, Id., Giudicato e ottemperanza, in F. Francario,Garanzia degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, sez. II, Napoli, 2019.
[4] A. Storto, Tra esecuzione e ottemperanza dei provvedimenti del giudice civile, in Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., op.cit., 373 - 398, che richiama M. Nigro, Giustizia amministrativa, III° ed., Bologna, 1983.
[5] Sulla violazione dei limiti esterni di giurisdizione, breviter: F.G. Scoca, Riflessioni sui criteri di riparto delle giurisdizioni (ordinaria e amministrativa), in Dir. proc. amm. 1989, 549 ss.; Id., Piccola storia di un serrato “dialogo” fra giudici: la vicenda della c.d. pregiudizialità amministrativa, in Scritti in memoria di Roberto Maramma, vol. II, Napoli, 2012, 1009 ss.; R. Villata, Problemi attuali della giurisdizione amministrativa, Milano, 2009; Id., Giustizia amministrativa e giurisdizione unica, in Riv. dir. proc., 2014, 2, 285-301; Id., Sui motivi inerenti alla giurisdizione, in Riv. dir. proc., 2015, 3, 632-645; Id., La giurisdizione amministrativa e il suo processo sopravviveranno ai «cavalieri dell’apocalisse»?, in Riv. dir. proc., 2017, 1, 106-111; Id., La Corte di cassazione non rinuncia al programma di imporre al Consiglio di Stato le proprie tesi in tema di responsabilità della pubblica amministrazione attribuendo la veste di questione di giurisdizione a un profilo squisitamente di merito, in Dir. proc. amm., 2009, 1, 236-240; Id., Scritti in tema di questioni di giurisdizione: tra giudice ordinario e giudice amministrativo, Milano, 2019; M.A. Sandulli, Finalmente “definitiva” certezza sul riparto di giurisdizione in tema di “comportamenti” e sulla c.d. “pregiudiziale” amministrativa? Tra i due litiganti vince la “garanzia di piena tutela” (a primissima lettura in margine a Cass. SS.UU., 13659, 13660 e 13911 del 2006), in Giust. amm., 2006, fasc. 3, pp. 569-574; E. Follieri, Il sindacato della Corte di Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, in Giustamm.it, 2014; C.E. Gallo, Il controllo della Corte di Cassazione sul rifiuto di giurisdizione del Consiglio di Stato, in La sentenza amministrativa ingiusta ed i suoi rimedi, op. cit., 229 e ss.; ibidem: R. Rordorf, Il rifiuto di giurisdizione, 239 e ss.; A. Caia, L’eccesso di potere di giurisdizione, 249 e ss.; M.A. Sandulli, A proposito del sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni dei giudici amministrativi, 325 e ss.; A. Travi, Rapporti fra le giurisdizioni e interpretazione della Costituzione: osservazioni sul Memorandum dei presidenti delle tre giurisdizioni superiori, in Memorandum sulle tre giurisdizioni superiori, in Foro it., 2018, fasc. II, parte V, 57-136; M.C. Cavallaro, Riflessioni sulle giurisdizioni: il riparto di giurisdizione e la tutela delle situazioni soggettive dopo il codice del processo amministrativo, Milano, 2018; A. Police – F. Chirico, «I soli motivi inerenti la giurisdizione» nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Il Processo, 1, 2019, 113-150; F. Francario, Diniego di giurisdizione, in Il libro dell’anno del diritto, 2019.
[6] A. Storto, Tra esecuzione e ottemperanza dei provvedimenti del giudice civile, op.cit.
[7] Cons. di Stato, Ad. Pl., 15 gennaio 2013, n. 2 con nota di A. Travi, in Foro it., 2014, III, 712; nonché M. Trimarchi, Sui vincoli alla riedizione del potere amministrativo dopo la pronuncia dell’adunanza plenaria n. 2/2013, in Dir. proc. amm., 2015, 384 ss.
[8] Si veda: Cons. Stato, 16 maggio 2016, n. 1956: «L’azione di ottemperanza, lungi dal costituire soltanto uno strumento per l’esecuzione della sentenza e/o di altro provvedimento a essa equiparabile, evidenzia profili diversi per quanto attiene non solo al «presupposto», cioè al provvedimento per il quale l’ottemperanza può essere chiesta, ma anche ai «contenuti» che la stessa può assumere …». Cfr. anche: F. Taormina, L’ottemperanza al giudicato. La giustizia nell’amministrazione, op.cit.
[9] Cfr.: E. Cannada Bartoli, La tutela giudiziaria del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1964; A.M. Sandulli, Consistenza ed estensione dell’obbligo delle autorità amministrative di conformarsi ai giudicati, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, ora in Aldo M. Sandulli, Scritti giuridici, vol. V, Napoli, 1990.
[10] Sul giudicato: F. Benvenuti, Giudicato (dir. amm.), in Enc. Dir., XVIII, Milano, 1969. Si veda altresì: M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989; A. Romano Tassone, Sulla regola del dedotto e deducibile nel giudizio di legittimità, in www.giustamm.it; A. Lolli, I limiti soggettivi del giudicato amministrativo, Milano, 2002; L. Maruotti, Il giudicato, in Il nuovo diritto processuale amministrativo, G.P. Cirillo (a cura di), Padova, 2014. Per una lettura del giudicato in una prospettiva sovranazionale, nell’ambito del network della nomofilachia europea: A. Barone, La nomofilachia “oltre i confini”; G. Tropea, Diritto alla sicurezza giuridica nel dialogo “interno” ed “esterno” tra Corti, entrambi in Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, op.cit.
[11] Per l’esperibilità del ricorso per l’ottemperanza con riguardo a tutte le sentenze, passate in giudicato, emesse dal G.O. nei confronti della P.A., finanche in riferimento a quelle che impongono un’attività vincolata: Cons. Stato, Ad. Pl., 10 aprile 2012, n. 2.
[12] Cfr. B.G. Mattarella, La natura del giudizio di ottemperanza per l’esecuzione dei giudicati del giudice civile, in Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., op. cit., 335 - 339.
[13] C. Delle Donne, Le decisioni del giudice civile e il lodo arbitrale: l’ambito della cognizione, le tecniche di redazione, il titolo esecutivo e il contenuto ottemperabile, in Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., op.cit., consultabile anche sul sito della giustizia amministrativa (www.giustizia-amministrativa.it); F. Francario, La sentenza: tipologia e ottemperanza nel giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 2016, 4, 1025 - 1047.
[14] Cons. Stato, 13 maggio 2016, n. 1952; Cons. Stato, 21 dicembre 2011, n. 6773.
[15] Sulle problematiche connesse alla condanna implicita fondamentali le sentenze della Cassazione: Cass. Civ., 31 gennaio 2012, 1367 e Cass. Civ., 26 gennaio 2005, n. 1619, nonché Cons. Stato, 13 maggio 2016, n. 1952; Id., 14 aprile 2016, n. 1499, su cui cfr.: F. Francario, Il giudizio di ottemperanza. Origini e prospettive, in Il Processo, 3/2018, op. cit., 172. Sui poteri del giudice dell’ottemperanza nelle ipotesi di condanna generica e di condanna implicita cfr.: F. Taormina, L’ottemperanza al giudicato. La giustizia nell’amministrazione, op.cit.; F. D’Alessandri, Il giudizio di ottemperanza delle pronunce del giudice ordinario, rinvenibile sul sito della giustizia amministrativa.
[16] Si chiariranno meglio nel prosieguo i termini dell’incompletezza.
[17] F. Francario, Il giudizio di ottemperanza. Origini e prospettive, op. cit.
[18] Sul tema, si leggano gli Atti dei seminari tenuti presso il Consiglio di Stato (30 novembre 2017) e il Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli (6 febbraio 2018), ora in Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., B. Capponi - A. Storto (a cura di), op.cit.
[19] La cui ottemperanza, come noto, è preclusa al Giudice amministrativo. Cfr.
[20] Così, specificatamente, si legge in sentenza.
[21] Non a caso l’orientamento della Cassazione Civile, pur richiamata dal g.a., sul punto, è stabile e conforme da tempo, non consentendo per il ricalcolo della pensione per esposizione all’amianto, lo sforamento del limite contributivo massimo previsto dalla legge.
[22] A.M. Sandulli, I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica, 21 novembre 2018, consultabile al sito www.federalismi.it,.
[23] S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987.
[24] Per una disamina critica del concetto, attualizzato al moderno contesto giuridico, anche in prospettiva comparata fra ordinamenti di civil law e common law, cfr.: G. Smorto, Sul significato di “rimedi”, in Europa e dir. priv., 2014, 1, 159 - 200.
[25] Si allude all’insegnamento del Chiovenda, Istituzioni del diritto processuale civile, vol. I e II, Napoli, 1933-1934, su cui v. A. Proto Pisani, Nel centenario del magistero di Giuseppe Chiovenda: la tutela giurisdizionale dei diritti nel sistema di Giuseppe Chiovenda, in Foro it., 2002, 125 - 130.
[26] Chiaramente sul tema: F. Francario, La sentenza: tipologia e ottemperanza nel giudizio amministrativo, op. cit.
[27] M. Nigro, Il giudicato amministrativo e il processo di ottemperanza, op. cit.
[28] Sul tema cfr.: F. Francario, Il giudizio di ottemperanza. Origini e prospettive, op. cit.
[29] Può farsi altresì notare che il termine «attuazione» è quello espressamente adoperato dal legislatore nell’art 112 c.p.a., a ribadire la diversità ontologica dell’ottemperanza rispetto al giudizio di esecuzione, propriamente inteso.
[30] Questa volta l’attributo “incompleto” è posto tra virgolette perché si sono chiariti i termini dell’incompletezza, legati non già all’oggetto del giudicato, all’accertamento di questioni di merito relative al rapporto giuridico controverso, bensì alla esplicitazione (mediante interpretazione sistematica e conseguente applicazione) del complessivo quadro normativo di riferimento.
[31] F. Taormina, L’ottemperanza al giudicato. La giustizia nell’amministrazione, op.cit.