La specificità del mutuo fondiario assicura ai creditori tutele specifiche e maggiorate rispetto a quelle previste per i creditori non fondiari: tra queste la possibilità, espressamente prevista, di avviare o portare avanti procedure esecutive pur in costanza di procedure concorsuali. La giurisprudenza è , allora, costantemente chiamata a chiarire e specificare i rapporti tra procedure esecutive ex art. 41 T.U.B. e procedure concorsuali: in tal senso si leggono i recenti orientamenti che chiariscono l’impossibilità del curatore di agire in prededuzione per le spese sostenute per la procedura concorsuale in sede esecutiva e che specificano i rapporti tra credito ammesso al passivo in sede fallimentare e credito azionato in seno alla procedura esecutiva.
Sommario: 1.Il mutuo fondiari concesso per l’estinzione di finalità pregresse: natura e revocabilità.- 2.Procedure esecutive fondiarie e procedure concorsuali : il rilievo in sede esecutiva degli accertamenti già svolti in sede fallimentare.- 3.Esecuzione ex art. 41 T.U.B. e prededucibilità in sede esecutiva delle spese sostenute dal curatore fallimentare.
1. Il mutuo fondiari concesso per l’estinzione di finalità pregresse: natura e revocabilità.
Ai sensi dell’art. 38 T.U.B. il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili. La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”.
La delibera del CICR del 22 aprile 1995 ha, infatti, specificato che per i finanziamenti di credito fondiario l’ammontare massimo erogabile dagli istituti di credito è pari all’80% del valore dei beni ipotecati o del corso delle opere da eseguire sugli stessi ( e che tale percentuale può essere elevata fino al 100% solo ove vengano prestate garanzie integrative); tale limite è ritenuto dalla giurisprudenza requisito che attiene alla sostanza del rapporto tra la misura del credito concedibile e il valore della garanzia a servizio, tanto che interpretazione monolitica considera nullo ex art. 1418 c.c., per violazione di norme imperative, il contratto di mutuo fondiario che non rispetti tale rapporto (ex multis e di recente, Cass. 22459/2018).
E’ noto che la Corte Costituzionale, dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 38 T.U.B. e 67 L.F., in relazione all’art. 3 della Costituzione, ha ribadito il venir meno della distinzione tra credito fondiario e credito edilizio (C. Cost. n. 175 del 22 giugno 2004); la giurisprudenza ha così definitivamente chiarito che il mutuo fondiario non è subordinato alla necessaria compresenza dello scopo acquisitivo di un immobile e della garanzia ipotecaria di primo grado, ma può essere concesso anche per la ristrutturazione di un debito residuo.
Si delinea, per espressa previsione legislativa, un istituto duttile, capace di derogare al diritto comune grazie alle disposizioni contenute negli artt. 38 e 41 T.U.B. che, in particolare, escludono l’assoggettabilità a revocatoria fallimentare delle ipoteche iscritte almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, permettono la notifica del precetto non obbligando alla notifica del titolo contrattuale esecutivo e prevedono una disciplina speciale per i rapporti tra esecuzione e fallimento.
La giurisprudenza è stata a lungo chiamata a identificare la natura giuridica del contratto esaminato, questione resa di rilievo anche dalla disposizione normativa. In particolare, si è discusso se il contratto di mutuo fondiario rappresenti un mutuo di scopo anche perché, se è vero che nell’art. 38 co.1 T.U.B. manca alcun riferimento ad uno scopo, il riferimento appare presente nel comma 2 dello stesso articolo che da rilievo al valore dell’immobile e al costo delle opere da eseguirsi sugli stessi. E’ sulla base di questa disposizioni, del resto, che parte della dottrina affermava la natura di contratto di scopo del mutuo fondiario, affermazione ormai abbandonata da tutta la giurisprudenza.
Interpretazione monocorde della giurisprudenza afferma ormai che “il mutuo fondiario, quale risulta dalla disciplina del T.U.B., non è mutuo di scopo: di esso, cioè, non è elemento essenziale la distinzione della somma mutuata a determinate finalità (Cass. 9511/2007 e Cass. 317/2001), o ristrutturazione di immobili.
In tal senso si ritiene chiaramente legittima l’operazione di credito fondiario finalizzata al ripianamento di passività pregresse della banca mutuante, in quanto non confliggente con un inesistente vincolo “di scopo”, ed in quanto niente affatto simulata.
Così chiarito, l’analisi interpretativa si sposta sulla normativa da applicare ai mutui fondiari “con scopo diverso” da quello edilizio e volta a chiarire se resti valida l’esenzione da revocatoria disposta dall’art. 67, comma 4, l. fall., per le “operazioni di credito fondiario” in generale.
Un primo orientamento interpretativo ha ritenuto che l’operazione di finanziamento rivolta al risanamento di un debito fosse revocabile ai sensi dell’art. 67 L.F. poiché espressiva di un pagamento realizzato con mezzi anormali. Secondo altro orientamento, l’ipoteca fondiaria sarebbe revocabile perché costitutiva di una garanzia per un debito pregresso: il debito cioè che risulterebbe estinto con la provvista derivante dall’erogazione del mutuo (la banca mutuante rimarrebbe creditrice del mutuatario, ma beneficiando di una garanzia ipotecaria prima assente) [1].
Il problema, invero, nasce dal principio per cui, l’art. 64 L.F. rimarrebbe comunque applicabile ai finanziamenti in esame. Si prospetterebbe, così, la necessaria verifica della onerosità o gratuità della garanzia. La questione prende le mosse dal principio per cui , ex art. 2901, co. 2 c.c. ., una garanzia “contestuale” viene considerata, ex lege, sempre come garanzia “onerosa”, ma così non è per una garanzia “non contestuale” (per un finanziamento pregresso) che non è detto che sia da considerare sempre “gratuita” e quindi soggetta a inefficacia ex art. 64 L.F, ma di cui occorre indagare la natura. Si precisa, però, che una garanzia rilasciata dal cliente alla banca per un debito proprio e già scaduto non è mai considerata garanzia gratuita; mentre la garanzia rilasciata dal debitore per un debito pregresso, ma non ancora scaduto, potrebbe essere considerata “gratuita” nel caso in cui il debitore non abbia ricevuto vantaggio alcuno dalla banca. E’ allora chiaro che la questione ha poca ragione, le prestazioni di garanzia, pur se non contestuali, sono da ritenersi prevalentemente onerose, perché pur sempre collegate ad un vantaggio economico. Inoltre, la questione appare comunque mal posta poiché la garanzia sorge con l’operazione di mutuo fondiario, esentato da revocatoria ai sensi dell’art 67 L.F. e, precisa autorevole dottrina che L’ipotesi non è peraltro correttamente formulabile, dovendosi ritenere che la disciplina revocatoria degli atti costitutivi di garanzia sia interamente contenuta nell’art. 67 l. fall., senza possibilità di spazio per l’applicazione dell’art. 64 l. fall.
Deve allora concludersi che l’operazione di mutuo fondiario (finalizzata alla estinzione di passività pregresse dell’Istituto mutuante) non è né invalida né revocabile, ma più complessa è la questione , tutte le volte in cui l’ipoteca fondiaria sia stata costituita dal fallito nell’interesse di terzi, e tale atto di disposizione sia ritenuto qualificabile come atto a titolo gratuito, restando impregiudicata l’applicabilità dell’art. 64 L.F.
2. Procedure esecutive fondiarie e procedure concorsuali : il rilievo in sede esecutiva degli accertamenti già svolti in sede fallimentare.
Com’è noto l’art. 51 L.F. pone il divieto all’inizio e alla prosecuzione delle azioni esecutive dopo la pronuncia dichiarativa di fallimento. L’eccezione più rilevante a tale divieto si rinviene nell’art. 41 T.U.B. (D.lgs 385/1993) secondo il quale l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore e che il curatore ha la facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento.
I principi enunciati, che attengono al coordinamento dell’art. 41 TUB e dell’art. 52 L. F., sono confortati dai monolitici orientamenti di dottrina e giurisprudenza, oltre che dalla lettera della norma. La Corte di Cassazione a più riprese (Cass. 23572/2004; Cass. 8609/2007; Cass. 11014/2007; Cass. 13996/2008) ha ribadito che l’art. 41 T.U. B. attribuisce al creditore fondiario il potere di iniziare e proseguire l’azione esecutiva nei confronti del debitore nonostante il fallimento del debitore esecutato.
Nell’interpretazione della norme richiamate, la giurisprudenza ha affermato chiaramente che si configura un privilegio che si sostanzia nella possibilità di iniziare o proseguire l’azione esecutiva (in deroga a quanto previsto dall’art. 52 L.F.) e, altresì, nella possibilità di conseguire l’assegnazione delle somme ricavate dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del credito per il quale si è agito.
Trade union tra la disciplina fondiaria e fallimentare si è individuato nella natura solo “processuale” del privilegio citato: la norma non attribuisce un privilegio di credito, ma solo un privilegio di riscossione.
L’art. 41 T.U.B., infatti, non deroga all’accertamento del passivo in sede fallimentare "non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato nell'ambito della procedura individuale dall'intervento del curatore fallimentare" (Cass. 17368/2018). Ne deriva che l’attribuzione compiuta in sede esecutiva ha carattere provvisorio e in capo all’istituto di credito persiste l’onere di insinuarsi al passivo fallimentare per consentire la graduazione dei crediti, garantita solo dalla procedura concorsuale.
Più chiaramente, la procedura esecutiva, pur proseguita dal creditore fondiario, ha carattere accessorio alla procedura fallimentare : solo in sede di riparto fallimentare l’attribuzione provvisoria ottenuta in sede esecutiva diverrà definitiva.
In tal senso è riconosciuta al curatore, non intervenuto nel giudizio esecutivo, la possibilità di proporre l’azione di ripetizione per ottenere dal creditore fondiario la restituzione delle somme eventualmente ricevute in eccesso in sede di esecuzione, in ragione della mera provvisorietà delle attribuzioni.
Secondo la Cassazione, tale potere riconosciuto al curatore non implica, né giuridicamente né logicamente, che davanti al giudice dell’esecuzione non abbiano rilievo gli accertamenti già svolti in sede fallimentare, in modo che l’attribuzione provvisoria da parte del giudice dell’esecuzione sia comunque modulata sugli accertamenti realizzati in sede concorsuale, così da limitare eventuali successive azioni restitutorie.
Più chiaramente, se è previsto un rimedio esperibile ex post da parte del curatore (azioni restitutorie generalmente intese) volto ad accordare procedura esecutiva e procedura fallimentare, nulla esclude di dare rilievo ad un rimedio che ex ante miri ad armonizzare i due giudizi: se il primo soccorre il curatore nel caso in cui il processo esecutivo sia già avanzato al momento della definizione dei crediti concorsuali, il secondo si rileva utile ove la graduazione e definizione in sede fallimentare sia antecedente al riparto in sede esecutiva.
In sostanza, “poiché il principio desumibile dall’art. 52 L.F. e dalla ricostruzione sistematica della giurisprudenza della Corte è quello per cui l’accertamento e la graduazione dei crediti concorsuali devono avvenire in sede fallimentare, è evidente che debba concludersi nel senso che, laddove tali accertamenti e tali graduazioni siano in qualche modo già avvenuti nella sede ad essi deputata, sebbene non in modo definitivo (essendo la procedura concorsuale ancora pendente), al fine di determinare la somma da attribuire in via provvisoria al creditore fondiario nell’esecuzione individuale eccezionalmente proseguita, di tali accertamenti debba necessariamente tenersi conto”.
In via esemplificativa, se il creditore fondiario procedente non è stato ammesso al passivo non potrà certamente essere destinatario del ricavo della vendita operata in sede esecutiva e ove il riparto sia già avvenuto, quest’ultimo non potrà comunque trattenere la somma, ma piuttosto il curatore dovrà agire con un’azione di ripetizione.
Allo stesso modo, ove l’azione esecutiva sia iniziata dopo il fallimento del debitore, deve escludersi che il creditore fondiario possa trattenere le somme riscosse dall’aggiudicatario in misura superiore all’importo per cui è stato ammesso al passivo, anche in pendenza di opposizione allo stato passivo.
3. Esecuzione ex art. 41 T.U.B. e prededucibilità in sede esecutiva delle spese sostenute dal curatore fallimentare.
A completamento di quanto scritto, si è affermato che l’istituto di credito, pur nell’esercizio dell’azione esecutiva, deve insinuarsi al passivo della procedura fallimentare e che l'accertamento del diritto di credito conseguente al decreto di esecutività L. Fall., ex art. 97, pur avendo effetto preclusivo soltanto durante la procedura fallimentare, impedisce che, in corso di essa, possano essere proposte dal creditore e dal debitore, ad un giudice diverso da quello fallimentare, le questioni riconducibili al credito ammesso al passivo, come pure alla validità ed opponibilità del titolo da cui esso deriva (Cass. 12683/2011)
La decisione in sede di ammissione al passivo, allora, incide sul diritto attribuito dall’art. 41 T.U.B.; in tal senso si è chiarito che il creditore fondiario deve insinuarsi al passivo: in quella sede se il credito viene degradato al chirografo non ha più diritto all’attribuzione provvisoria delle somme in sede esecutive e se le ha già incassate perde il diritto a trattenerle in quanto l’esclusione del privilegio determina il venir meno della natura fondiaria del credito e del relativo privilegio processuale.
Di recente la Cassazione ha affermato, in particolare, che “per ottenere l'attribuzione (in via provvisoria, e salvi i definitivi accertamenti operati nel prosieguo della procedura fallimentare) delle somme ricavate dalla vendita, il creditore fondiario dovrà - anche a prescindere dalla avvenuta costituzione del curatore nel processo esecutivo - documentare al giudice dell'esecuzione di avere proposto l'istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura (anche se non definitivo)” (Cass.23482/2018).
E’ chiaro, in definitiva, che è in sede fallimentare che si procede a determinare definitivamente la massa attiva e la massa passiva, conteggiando nella massa attiva il bene oggetto di esecuzione e nella massa passiva tutte le spese sostenute dalla curatela anche per intervenire nell’esecuzione forzata.
Se questa è generalmente la disciplina del rapporto tra procedura concorsuale e procedura esecutiva ex art. 41 tub, si è discusso se le spese del curatore e del difensore della curatela intervenuto nel procedimento esecutivo siano collocabili in privilegio in sede di distribuzione nell’esecuzione forzata immobiliare proseguita dal creditore fondiario ex art.41 T.U.B.
In particolare, l’art. 2770 c.c. richiama, tra i crediti privilegiati, i crediti per le spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l’espropriazione dei beni immobili nell’interesse comune dei creditori; in sede esecutiva, più chiaramente, l’assegnazione delle somme derivanti dalla vendita forzata sconta l’anteposizione dei crediti per gli atti di cui all’art. 2270 c.c.
Il professionista delegato ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c., al fine della predisposizione del progetto di distribuzione del ricavato dell’esecuzione immobiliare, deve però operare una distinzione tra le spese di giustizia in privilegio ex art. 2770 c.c. da porre in prededuzione e le altre spese di procedura il cui grado segue quello del credito cui afferiscono.
Quid iuris per le spese del curatore e del difensore del curatore per l’intervento nell’esecuzione individuale?
La giurisprudenza di merito è di recedente intervenuta sulla questione chiarendo che l’art. 2270 c.c. è norma di stretta interpretazione che colloca in privilegio esclusivamente le spese strettamente strumentali all’esecuzione immobiliare. E’ chiaro, allora, che le spese eventualmente sostenute dalla curatela non rientrano propriamente nell’art. 2270 c.c. poiché tutte sostenute nell’interesse della procedura fallimentare e dei creditori e quindi prededucibili in sede concorsuale, ma non in sede esecutiva (Tribunale di Mantova 03/09/2018).
Il principio espresso trova la sua ratio in quanto sopra affermato: l’assegnazione delle somme ottenute dalla vendita forzata a favore del creditore fondiario è solo provvisoria ed è in sede fallimentare che si procede alla determinazione della massa attiva, comprensiva del ricavato della vendita realizzata in sede esecutiva, provvisoriamente attribuito al creditore fondiario, e della massa passiva. E’ in quella sede che si terrà conto di tutti i crediti prededucibili della procedura concorsuale, anche derivanti dall’intervento nell’esecuzione.
[1] Il Trib. Ravenna, 21 gennaio 2014 ha escluso illiceità della causa sottesa al mutuo fondiario erogato per l’estinzione di passività pregresse, osservando che “il finanziamento si realizza in tal caso nella forma del dilazionamento di un debito altrimenti immediatamente esigibile”. Secondo Trib. Vicenza, 5 ottobre 2010, “[i]l mutuo, con contestuale effettiva concessione di ipoteca, utilizzato per estinguere una passività preesistente (eventualmente mediante giroconto), è un negozio indiretto che ha per scopo ulteriore non l'estinzione della passività preesistente (sarebbe un pagamento anomalo), ma la sua trasformazione in un credito privilegiato, esclusa la simulazione, trattandosi di operazioni effettivamente volute dalle parti”.