1. La questione dei rapporti fra un ordinamento giuridico che si rappresenta come sovrano (lo Stato), almeno al suo interno, e organizzazioni criminali mosse da fini di eversivi (in tutto o in parte) dell’ordine costituito è antica e si ripropone, di tempo in tempo, in occasione di condizioni di particolare debolezza del primo o di particolare forza delle seconde. E’ possibile che in alcuni fra gli infiniti Stati dell’universo questi rapporti si siano tradotti in trattative, alcune risoltesi in accordi o forme di patteggiamenti, altre rimaste latenti o comunque improduttive. E’ facile considerare che in Stati con vicende storiche analoghe a quelle dello Stato italiano queste possibilità presentano un grado di probabilità maggiore che in altri.
2. Per cause certamente fra loro indipendenti di recente sul tema sono stati pubblicati e presentati in molte sedi due libri (ovviamente non si esclude che ne siano stati pubblicati altri…)
Il primo è stato scritto Francesco Benigno (professore ordinario di Storia moderna, insegna Metodologia della ricerca storica nell’Università di Teramo), con il titolo “ La mala setta. Alle origini di mafia e camorra 1859-1878 (Torino, Einaudi, 2015, pp.403), e esamina fatti non recenti.
Il secondo è stato scritto da Roberta Ruscica (giornalista d’inchiesta e scrittrice), con il titolo “ I boss di Stato. I protagonisti, gli intrecci e gli interessi dietro la trattativa Stato-mafia (Milano, Sperling & Kupfer, 1° ed. 2015, pp. 224). Contiene anche un’intervista a Teresa Principato (procuratore aggiunto a Palermo) e esamina le note vicende (nel senso che al riguardo molto è stato detto e qualcosa pure pensato) successive al processo a Cosa Nostra, svoltosi a Palermo nel 1992.
3. Francesco Benigno ha illustrato il rapporto fra il neonato Stato italiano e lo sviluppo del crimine organizzato nei primi venti anni dell’Italia unificata: la forza della mafia e della camorra (considerate come associazioni segrete) risultano strettamente legate alla lotta dello Stato contro gli eversori (repubblicani, prima, e socialisti internazionalisti, poi). Come storico, si è avvalso delle fonti dell’epoca (poliziesche, giudiziarie, giornalistiche). La sua indagine mostra che attorno al nodo dell’ordine pubblico la società italiana si è divisa e si è ricomposta lungo linee che oppongono e/o compongono differenti opzioni ideali e politiche e diverse concezioni della pubblica sicurezza. Inoltre, illustra la genesi di attività attraverso le quali la polizia si è infiltrata in ambienti criminali e li ha manipolati durante l’epoca liberale, quella fascista e la repubblicana. I limiti cronologici dell’indagine non gli hanno consentito di approdare all’epoca post-repubblicana (che, del resto, non è ancora giunta; né è certo che giungerà).
4. Roberta Ruscica prova a descrivere intrecci, accordi, contatti, l’affaire mafia-appalti e, tramite le dichiarazioni dei cosiddetti collaboratori di Giustizia, possibili retroscena dei modi in cui furono progettati piani destabilizzanti (attuati o non) per il non più neonato (adolescente, forse?) Stato italiano. Il libro attinge alle fonti giudiziarie, ma segue un passo narrativo, a tratti romanzesco, con acuti approfondimenti della psicologia di alcuni personaggi. Pone queste domande: “Ma c’è stata davvero una trattativa?” “Ce n’è stata una sola?”, “ Chi mercanteggiò con Cosa Nostra?”. Offre qualche risposta, con contenuti vividi e attraenti anche dal punto di vista letterario.
5. Poiché si occupano di ricostruire eventi singoli, gli storici, i giornalisti d’inchiesta e i magistrati sono esposti allo stesso genere fallacie. Con delle differenze: il magistrato è vincolato alla pertinenza alla fattispecie normativa astratta e anche alle regole processuali; lo storico reinventa il passato tramite le fonti di cui dispone, seguendo il rigore di un suo metodo, ma – soprattutto – sceglie con libertà i fatti che ritiene rilevanti per dare un senso alla sua ricostruzione; il giornalista d’inchiesta fruisce di una più ampia gamma di opzioni, fatti salvi alcuni limiti legali (come quelli della coerenza con fonti affidabili e della continenza espressiva). Tutti e tre (gli storici molto meno perché hanno consapevolezza del metodo scientifico) rischiano che la ricostruzione dell’evento singolo sia frutto di errori logici o di dati per varie ragioni errati, per cui quello che dovrebbe essere un fatto si risolve in un fattoide, che, essendo spesso generato da forti inconsce influenze psicologiche o da ansie di semplificazione (e, seppur raramente, da depistaggi), può apparire più convincente di un fatto reale.