Solo il bambino non conosce obblighi, è per dirla con Freud un essere amorale le cui azioni sono esclusivamente volte al soddisfacimento dei suoi bisogni. È l’intervento degli adulti, dei genitori a produrre le regole, sono loro che esercitano una tutela morale sulla sua condotta. Quando il bambino recalcitra e non si adegua si dice che è disobbediente, se troppo spesso viola le regole si dice che comincia ben presto a manifestare atteggiamenti trasgressivi. Sì, perché trasgredire significa passare al di là, travalicare, oltrepassare il campo delle obbligazioni, delle regole, dei comandi qualunque sia la loro natura. Da questo punto di vista si intuisce senza discorsi troppo complicati che una qualsiasi società organizzata lo è solo nella misura in cui diventa stato di diritto, stato in cui tutti i cittadini rispettano le leggi ed esse sono uguali per tutti. In tale contesto ogni trasgressione richiama la sanzione e il cerchio si chiude. Ma non si esaurisce il discorso sugli aspetti direi etico-psicologici della questione.
Che cosa ci obbliga interiormente e che cosa ci spinge oltre?
Kant affermava che l’imperativo categorico non ci obbliga con la forza, ma la volontà che accetta il “costringimento” della ragione, solo essa è capace di compiere il dovere puro, il dovere per sé stesso; in caso contrario le nostre azioni sono orientate verso il conseguimento di fini particolari a seconda dei moventi soggettivi. Ci sono, però, anche obbligazioni morali che sono il frutto di determinate abitudini, come avviene in quel tipo di società chiusa così ben delineata dallo spiritualista francese H. Bergson. Nella società chiusa vige “l’abitudine di contrarre abitudini” e il sistema radicato delle abitudini corrisponde ai bisogni della collettività. Qui l’individuo agisce come parte del tutto, che sia questo la famiglia, il club, la nazione. A questa morale ossequiosa e conformista Bergson contrappone una morale aperta, di uomini liberi e creativi, slegati dagli stereotipi, dalla fissità degli schemi precostituiti. E come si può intraprendere tale strada se oggi il massimo della trasgressione rispetto alle abitudini sociali condivise è un rapporto on line consumato nella massima comodità ad orari prestabiliti? Si parla spesso di “gusto della trasgressione” e il riferimento è quasi sempre alla sfera della sessualità vissuta in modo morboso, complicata da riti (vedi lo scambio delle coppie) e iniziative che nulla hanno a che fare con l’esuberanza limpida e serena del corpo e della mente. Il fatto è che nella società meccanizzata e alienata queste forme sono il contrassegno di nuove oppressioni, sono manifestazioni neppure tanto larvate di coscienze profondamente infelici. Mi si potrebbe obiettare che non è così, che il gusto del proibito appartiene all’uomo già dai primordi, già dal comando divino ”non mangerai il frutto dell’albero”. E va bene, c’è pure qualcosa in noi che solletica la possibilità di potere, di sapere, di dominare e certo non va demonizzata o semplicisticamente risolta nella categoria del “peccato”. Se fossimo davvero liberi dall’ignoranza e dalla paura dovremmo considerare oggi trasgressivo più che mai disobbedire al conformismo, non accendere le TV che raccontano il mondo dalla parte dei potenti di turno, ritrovarci sempre più spesso insieme per discutere e prendere decisioni, perché facce troppo allegre non le prendano per noi. Pensate ad una società civile così dinamica da ottimizzare il lavoro e le energie non più solo per volare in posti lontanissimi a prendere il sole (che tanto ne abbiamo di sole caldo e stupendo sulle nostre coste), ma anche per investire il denaro in quelle attività che ci facciano riscoprire il senso comune dell’appartenenza a questa terra. Adesso mi direte che vaneggio e ed esco fuori tema, ma trovo follemente trasgressivo non fare e non dire quello che i più si aspetterebbero per vincerle sulla sorpresa queste cosiddette anime belle che si paludano solo all’esterno delle loro virtù. A questo punto sarebbe necessario un pensiero corrosivo, almeno quanto quello nietzschano per “una trasmutazione dell’esistente” perché anche la cultura per quelli che ne hanno la responsabilità, possa essere qualcosa d’altro che semplice “decorazione della vita”. Uno spirito è veramente trasgressivo se come afferma Nietzsche, “odia tutte le abitudini e regole, tutto ciò che è durevole e definitivo, perciò lacera sempre di nuovo, con dolore, la rete intorno a sé: benché in conseguenza di ciò sia destinato a soffrire di numerose, piccole e grandi ferite, giacché quei fili egli li deve strappare da sé, dal proprio corpo”. E ci vuole proprio tanto coraggio per essere trasgressivi in queta maniera!
Immagine: René Magritte, Valori personali, olio su tela, 1952, San Francisco Museum of Modern Art.