Avevo 12 anni quando è morto Berlinguer, la Bari era in semifinale di coppa Italia e mia nonno disse che era un signore (che al Meridione è un gran complimento).
Insomma sono uno “di mezzo”, il più giovane di vecchi fra noi.
Il film di Segre è certamente affascinante per chi si occupa di politica.
Affascinante per le immagini di repertorio, per la colonna sonora, per i bozzetti molto gustosi dei politici di allora (anche se Ingrao, Terracini, Andreotti e Cossutta sembrano maschere da Bagaglino, per chi lo ricorda).
Affascinante perché restituisce un modo di fare politica fatto di riunioni infinite, di discorsi cesellati a penna, di adunate oceaniche.
Un modo morto dall’inizio degli anni ' 80, nel volgere del passaggio dalla stagione di Moro e Berlinguer a quella di Craxi e poi Berlusconi, Veltroni, Renzi ed i nostri giorni.
Al Maxxi c’è’ la mostra sulla Rai: andate a vedere una puntata di Mixer con Berlinguer, con il suo periodare lungo, e poi una con Craxi, con le sue pause e battute ad effetto.
Passano pochi mesi l’una dall’altra ma sembrano epoche politiche e dialettiche lontane decenni.
Come ha detto bene Segre non è un film politico (molto di più lo sono stati – per assurdo – quelli di Bellocchio) ma un film sulla solitudine.
Lui era solo in famiglia, che lo prendeva in giro chiamandolo “grigio funzionario”.
Solo, ed a rischio di vita, nelle trasferte nel blocco sovietico.
Solo nelle riunioni nelle direzioni di partito, dalle quali si allontanava per “trattare” da solo e in segreto con Moro.
Solo nelle regate a Stintino.
Si confronta con i figli (che hanno aiutato a scrivere il film) solo quando li convoca per chiedergli di lasciarlo morire, ancora una volta solo, se dovesse essere rapito.
Ma non li capisce e rimane stizzito quando parteggiano per i movimenti di piazza e gli indiani metropolitani.
È assurdo che fosse solo chi parlava innanzi piazze gremite.
La solitudine di Berlinguer è infatti soprattutto storica, un’asincronia rispetto al presente.
Dobbiamo chiederci se era in anticipo o drammaticamente in ritardo sui tempi. Se l’emancipazione dall’URSS sia avvenuta troppo tardi. Se il desiderio di salvare la specificità italiana l’abbia talmente impegnato da non metterlo nelle condizioni di capire la modernità e mitigarne gli effetti negativi. Di non intercettare e gestire il disagio giovanile, il ribellismo degli anni '70, la generazione persa appresso alla eroina e poi la televisione a colori, l’edonismo degli anni '80, i nuovi eroi popolari e capaci di riempire le piazze (da Giovanni Paolo II a Lech Wałęsa, da Lady D a Reagan, non per nulla citati nelle ultime immagini del film).
Come PPP è morto troppo presto per capire cosa avrebbe fatto nei decenni successivi.
Proprio la loro morte “eroica” ha contribuito a trasformaRli in “santino” (piacciono tutti e due a tutti: a destra e a sinistra) forse perché in quanto morti non hanno potuto reagire alla versione di maniera nella quale sono stati ridotti.
Il film di Segre ha, almeno, il merito di restituire a Enrico Berlinguer una dimensione umana, intima, e magari a «dissolvere la retorica un po’ troppo autoindulgente secondo cui l’impegno e la rettitudine appartengono solo a un passato irraggiungibile».