Contrasto delle cessioni dei crediti bancari deteriorati con la normativa antiriciclaggio
Mettiamo a disposizione delle lettrici e dei lettori l’ordinanza con la quale il 22 ottobre 2024 il Tribunale di Brindisi ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione della omessa iscrizione nell'albo ex art. 106 Tub, tenuto dalla Banca d'Italia, delle plurime società – anche costituite all'estero e in contesti extra Ue – che proliferano con finalità di acquisire e gestire i crediti deteriorati. Società che, in difetto di iscrizione, si sottraggono agli obblighi di adozione dei presidi antiriclaggio e alle prescrizioni imposte dalla B.d.I, in sede di vigilanza ispettiva.
Si affronta il problema sotto il profilo della compatibilità con la normativa unionale di tale circolazione massiva del credito che reca in sé il chiaro rischio di alimentare il fenomeno del riciclaggio; prefigurando, in chiave innovativa per il panorama intepretativo, la categoria del "contratto anticomunitario".
Sintesi della questione e quesiti posti al vaglio della Corte di Giustizia
A) Il limite della normativa antiriciclaggio
Alla luce dell’articolata normativa di fonte euronitaria, evolutasi nel tempo per fronteggiare anche le nuove insidie poste dal fenomeno del riciclaggio, è evidente la volontà dell’ordinamento comunitario di imporre agli Stati ogni misura che si renda necessaria e, al contempo, proporzionata al fine di contrastare sia tale modalità di operare della criminalità organizzata.
Ciò sia con prescrizioni di scopo, contenute nelle direttive, invero, in parte dotate di immediata operatività per il loro carattere chiaro e incondizionato; sia con norme puntuali e immediatamente operative, quali sono, di norma, quelle regolamentari.
Anche per quanto concerne le direttive in materia, è evidente che gli Stati membri, per quanto dotati di una certa discrezionalità nella scelta dei mezzi, non possano prescindere, nella loro azione politica, dal raggiungimento delle finalità imperative, prescritte dalla disciplina comunitaria.
Peraltro, la prospettiva di una violazione (rectius di una elusione) della disciplina unionale appare aggravato dall’assenza, in materia di cessioni in blocco, della previsione, da parte dell’ordinamento interno, di un obbligo di forma scritta, anche solo ad probationem (nelle forme della scrittura provata autenticata), né tanto meno del ricorso al rogito notarile, tal ultimo, presidiato dalle garanzie che contornano l’atto pubblico, in particolare, sotto il profilo dei controlli antiriciclaggio.
Dunque, il quadro regolatorio è fitto e si va arricchendo di regole sempre più rigide che cercano di assecondare il passo di un’incessante evoluzione delle forme giuridiche e delle tecniche elaborate per eludere la normativa antiriciclaggio.
Accettando tali premesse, la normativa italiana sarebbe disapplicabile se interpretata in senso anticomunitario, ovvero se intesa come inidonea ad assicurare un effettivo e sostanziale contrasto del fenomeno del riciclaggio nell’ipotesi della cessione fra soggetti non iscritti nell’albo vigilato dalla Banca d’Italia.
Dunque, devono ritenersi in contrasto con l’ordinamento eurounitario non solo l’esegesi delle norme nazionali che pervenga a ritenere che alla cessione in blocco siano legittimate anche le società prive di iscrizione nell’albo ex art. 108 tub, così come dei requisiti legittimanti alla stessa, ma anche lo stesso contratto di cessione in blocco fra soggetti non iscritti.
Contrasto da ritenersi, più esattamente, non diretto, ma mediato, data la finalità dell’operazione economica, sostanzialmente e oggettivamente elusiva.
Dunque, l’articolato e crescente apparato rimediale in materia di contrasto del riciclaggio, specie di provenienza sovranazionale, pone anche il problema della sorte del contratto di cessione di grandi quantità di crediti a fronte di corrispettivi di particolare entità, specie, quando intervenga fra due soggetti entrambi non iscritti nell’albo ex art. 106 tub e, dunque, non qualificati, né vigilati, né conformati nel proprio assetto organizzativo.
Nel caso di specie, si tratta, dunque, di chiarire quali conseguenze giuridiche discendano in relazione alle cessioni in blocco dal predetto quadro regolatorio, ogniqualvolta le stesse, per effetto dei soggetti partecipanti ai negozi traslativi, violino o, meglio, eludano le predette norme antiriclaggio.
A sommesso avviso del giudice remittente, il principio di effettività del diritto comunitario dovrebbe imporre la più radicale delle sanzioni, ovvero la nullità o, comunque, la neutralizzazione degli effetti del contratto, mediante l’istituto della disapplicazione degli effetti prodotti dallo stesso.
Diversamente, l’effetto utile del diritto unionale, che si estrinseca in materia anche tramite regolamenti e principi generali (come quello di trasparenza), sarebbe totalmente frustrato.
D’altronde, è noto come, nella logica del sistema di tutela delle posizioni di rilevanza comunitaria, acquisti valenza primaria la tutela in forma specifica, ovvero idonea ad assicurare il conseguimento del bene della vita agognato o di un’utilità, succedanea.
Per contro, il ristoro per equivalente costituisce forma di tutela del tutto residuale e ammissibile solo quando la prima non sia garantibile.
Come già evidenziato, l’esegesi – che fa discendere dalla violazione dell’obbligo di iscrizione e della connessa vigilanza conseguenze sul solo piano amministrativo – è inidonea ad assicurare il principio di effettività della tutela in una materia di sicuro rilievo sovranazionale e comunitario, anche in considerazione dei noti fenomeni di globalizzazione.
D’altronde, ritenere che un così articolato apparato normativo, fondato su una pluralità di livelli di intervento, in costante evoluzione, possa essere aggirato da una mera operazione economica volta alla traslazione dei crediti deteriorati fra soggetti non qualificati e non vigilati, rappresenterebbe una evidente e macroscopica contraddizione in termini.
A sommesso avviso del giudice remittente, l’interesse tutelato deve, invece, individuarsi, nell’arco della plurioggettività della fattispecie, proprio nell’esigenza, di indubbio rilievo comunitario, di contrastare il riciclaggio del denaro di provenienza illecita, oltre che nelle già evidenziate ragioni di garanzia della stabilità dei mercati finanziari.
Come noto, infatti, gli intermediari, iscritti nell’albo ex art. 106 Tub, sono soggetti alla predisposizione di una serie di misure, tra cui l’adozione di sistemi di vigilanza interna, preordinati a impedire che le attività, da essi poste in essere, possano essere piegate a fini di riciclaggio.
Deve, invece, ritenersi che i superiori obblighi comunitari possano essere soddisfatti solo dalla «neutralizzazione» degli effetti delle transazioni economiche cui sia sotteso il rischio di riciclaggio; rischio che può essere oggettivamente contenuto solo se si riserva la negoziazione in blocco dei crediti ai soggetti iscritti e se si presidia, con la sanzione della nullità, gli atti in contrasto con i predetti obblighi.
B) Il limite della normativa consumeristica, nonché dei principi di effettività della tutela, di buona fede oggettiva con i suoi corollari in punto di obblighi informativi.
Altrettanto evidente è la volontà del legislatore comunitario di apprestare un’adeguata tutela in favore del consumatore, quale soggetto debole sotto il profilo della sua forza contrattuale e del suo bagaglio informativo e, come tale, bisognevole, di una particolare protezione.
Tale tutela non può attuarsi senza la neutralizzazione di ogni forma di opacità dei meccanismi negoziali in danno della figura del consumatore, così come degli stessi fenomeni di circolazione del credito che avvengano con modalità non trasparenti.
Ciò, può avvenire mediante l’apprestamento di adeguati obblighi informativi, in capo agli attori delle descritte vicende circolatorie, trovanti fondamento nei generali principi di buona fede e di effettività della tutela.
Peraltro, poiché i cessionari, nel contesto previgente al recepimento della direttiva 2167 del 2021, non soggiacevano all’obbligo d’iscrizione in alcun elenco, tenuto dall’autorità di vigilanza di settore, e al correlato monitoraggio, gli stessi non erano sanzionabili e, dunque, doveva ritenersi violato il principio di una tutela effettiva, in via sanzionatoria, degli interessi di rilievo anche comunitario.
Per quanto concerne la normativa interna di fonte secondaria, deve ritenersi un evidente vulnus rispetto ai superiori dettami comunitari nella parte in cui sottrae alla nozione di attività di finanziaria, seppur alle richiamate condizioni, la fattispecie della cessione in blocco.
Dunque, il dubbio di conformità all’ordinamento euronitario non è limitato alla singola norma ma si estende all’intero microsistema normativo delle cessioni in blocco dei crediti deteriorati, il quale, allo stato, può divenire agevole strumento di concretizzazione della finalità della criminalità organizzata di celare la provenienza del denaro investito.
A sommesso giudizio di questo remittente, è la combinazione della disefficienza delle singole scelte di disciplina nazionali che ineriscono a profili diversi (cessione dei crediti, inesistenza dell’obbligo d’iscrizione ecc.) ma correlati allo stesso fenomeno, a ingenerare il predetto contrasto, concorrendo a delineare un quadro di anticomunitarietà per così dire «sistemica», in quanto affliggente non tanto le singole norme, ma il micro-sistema nel suo complesso.
Sembra, dunque, prefigurabile un vizio di legittimità c.d. di sistema, specie, per quanto concerne il periodo anteriore all’approvazione del decreto attuativo della dir. 2167 del 2021.
E ciò rende, a sommesso avviso di questo remittente, ancora più stringente la necessità di un intervento nomofilattico del giudice sovranazionale.
L’approccio sistemico appare utile anche sotto altro e diverso profilo, essendo evidente che l’anticomunitarietà della disciplina nazionale nasce, a sua volta, dal raffronto con l’insieme delle norme comunitarie, sia in termini di disposizioni puntuali sia di principi.
Ed è indubbio che potrebbe profilarsi un’ipotesi di sopravvenuta anticomuniarietà della disciplina non solo per il carattere postumo del parametro comunitario, e per l’introduzione di regole sempre più stringenti (anche in virtù del passaggio dallo strumento della direttiva a quello del regolamento), ma anche perché è stato il mutare del quadro fattuale ed, in particolare, il proliferare delle cessioni anche in favore di soggetti non iscritti, a porre il problema della eurocompatibilità di tale statuto normativo.
A modesto parere del remittente, potrebbe essere un esito comunitariamente imposto quello di vietare la cessione fra soggetti non iscritti e di presidiare tale violazione con la sanzione della nullità o altra idonea forma rimediale.
Sorge il dubbio a questo remittente, se fra le suesposte plurime opzioni esegetiche, debba ritenersi che l’unica comunitariamente conforme, perché idonea ad assicurare il rispetto del principio di trasparenza sia quella rigorosa della radicale nullità della cessione, almeno quando a venire in rilievo sia la cessione di un contratto al consumatore.
Per quanto concerne la forma dei contratti di cessione, verrebbe un’ipotesi di forma scritta imposta, non da una norma interna, bensì dal generale principio euronitario di trasparenza, inteso come conoscibilità delle vicende giuridiche e degli effetti che ineriscono alla propria sfera giuridica e ciò al fine di approntare i rimedi giurisdizionali o anche stragiudiziali in maniera consapevole e, dunque, effettiva.
Dunque, il contrasto dell’ordinamento italiano parrebbe sussistere anche rispetto al principio di effettività della tutela, di buona fede oggettiva con i suoi corollari in punto di obblighi informativi.
P.Q.M.
Il Tribunale così provvedendo, rimette all’ill.ma Corte di Giustizia dell'Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:
A) "Se e a quali condizioni il diritto unionale ed, in particolare, la normativa antiriciclaggio, così come i generali principi di effettività della tutela, di trasparenza, di buona fede oggettiva con i suoi corollari in punto di obblighi informativi, debbano considerarsi o meno ostativi ad una normativa interna in materia di cessioni in blocco (o cumulative) dei crediti deteriorati – quella applicabile alla fattispecie concreta e anteriore all’approvazione del DECRETO LEGISLATIVO 30 luglio 2024, n. 116, entrato in vigore il 13-8-2024, attuativo della dir. UE 2167 del 2021 – che presenta le seguenti caratteristiche:
a) non prevede una forma scritta ad substantiam o ad probationem, in particolare nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o, comunque, modalità di confezionamento idonee a assicurarne la data certa. Ciò, in particolare, quando il contraente ceduto sia un consumatore;
b) non contemplava, fino all’entrata in vigore del predetto decreto, alcun obbligo di iscrizione in albi vigilati per soggetti che svolgono attività di cessione in blocco, in quanto non svolgenti attività finanziaria, come stabilito dalla Suprema Corte e che, dunque, sono automaticamente sottratti anche, per via dell’assenza di un obbligo di atto pubblico, alle regole in materia di antiriciclaggio;
B) Laddove la Corte ravvisi l’evidenziato contrasto, se la normativa unionale, cosi come descritta, imponga o meno, a tutela dell’effettività degli interessi comunitari, la radicale sanzione della nullità:
a) delle cessioni perfezionatisi nella vigenza del quadro anteriore all’approvazione del decreto attuativo della dir. 2167 del 2021”;
b) delle procure all’incasso rilasciate a soggetti non iscritti ad un albo vigilato dall’autorità indipendente di settore e incaricate della verifica dell’osservanza della normativa di contrasto del riciclaggio;
2. sospende il procedimento sino alla restituzione degli atti da parte della Corte di Giustizia, successivamente alla definizione della questione;
3. manda alla Cancelleria per l’immediata trasmissione della presente ordinanza e degli atti del fascicolo processuale alla Corte di Giustizia, per le comunicazioni alle parti e per gli ulteriori consequenziali adempimenti.
Così deciso in Brindisi, il 22 ottobre 2024.