GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​G. Luccioli, Dignità della persona e fine della vita, Cacucci, Bari, 2022. Recensione di R.Conti

    G. Luccioli, Dignità della persona e fine della vita, Cacucci, Bari, 2022

    Recensione di R.Conti

    Sommario: 1. Dal Diario di una giudice a “Dignità della persona e fine della vita”. - 2. L’arena in cui si svolge il viaggio  della Luccioli. - 3. I quattro punti cardinali del libro. La dignità della persona malata. - 4. Autodeterminazione e consenso - 5. Le cause bandiera e il ruolo del giudice e della Cassazione. - 6. La legge n.219/2017 e il suicidio assistito. - 7. Le (possibili e plurali) chiavi di lettura del volume. - 8. Dalla decostruzione alla costruzione del sistema per mezzo della cooperazione fra  giudice e legislatore. - 9. Il coraggio responsabile di Gabriella Luccioli.

    1. Dal Diario di una giudice a “Dignità della persona e fine della vita

    Gabriella Luccioli ci regala, all’interno della collana diretta da Pietro Curzio “Biblioteca di cultura giuridica, Breviter et dilucide, un saggio dedicato a “Dignità della persona e fine vita”.

    Avevamo lasciato Gabriella al Suo Diario di una giudice che, ben prima delle note vicende dell’Hotel Champagne, rivendicava “con orgoglio di non avere mai salito le scale di Palazzo dei Marescialli se non per motivi istituzionali e non aver mai alzato il telefono per chiedere”.

    Correva l’anno 2016, le acque in magistratura erano assolutamente “chete” e l’organo di autogoverno si apprestava alla nomina di un numero vertiginoso di posti direttivi e semidirettivi che avrebbero per il successivo lustro governato la magistratura italiana. Quella sua “rivendicazione” allora cadde nel nulla, come spesso accade alle riflessioni che alcuni grandi fanno ma che si preferisce non ricordare, salvo poi spendere elogi postumi circa la loro ariosità ed intrinseca verità.

    Ora, il lettore potrà chiedersi il senso di questa considerazione in una riflessione sul libro dedicato al fine vita. A questo interrogativo crederà di poter rispondere evidenziando che proprio nel trattare la questione, tormentata e dolorosa, che anima “Dignità della persona e fine della vita” esce a tutto tondo la figura della giurista, donna magistrato, dell’Autrice, autorevole e soprattutto credibile, con la sua ferma convinzione di doversi mettere ancora una volta al servizio della scienza giuridica, dell’opinione pubblica e della comunità dei giuristi per offrire il proprio pensiero.

    In un tempo di ormai bassa estate, comunque dedicato al riposo ed alla ricarica mentale e fisica potrebbe sembrare poco indicato suggerire la lettura di una riflessione su un tema complicato e non certo “allegro” quale è quello che immediatamente si coglie dal titolo del saggio.

    Ma è proprio la riflessione della Luccioli a suggerire il contrario, ad indurre il lettore a fermarsi  e riflettere, fuori dai tormenti del lavoro e delle occupazioni ordinarie, su questioni che toccano la persona umana del nostro tempo, i nostri cari e noi stessi.

    2. L’arena  in cui si svolge il viaggio  della Luccioli

    In gioco ci sono, infatti, i destini dei più anziani - quando la vita comincia ad imboccare un declino tormentato e doloroso -, dei figli minori - quando hanno la sventura di subire, innaturalmente, insieme ai genitori un destino altrettanto tormentato ed angusto per malattie che la medicina non può governare - e di chi, infine, non appartenendo né all’uno né all’altro segmento dell’esistenza umana avverte comunque il bisogno di dedicarsi ad un momento di conoscenza per farsi un’idea, un’opinione ed acquisire consapevolezza su ciò che il destino di ciascuno potrebbe riservargli, contro la propria volontà e le proprie speranze.

    Il viaggio di Gabriella Luccioli è un bell’itinerario, guidato da un’interprete sui generis, accompagnatrice e guida davvero speciale per la storia che si porta dietro.

    A volte accade che per spiegare fatti e vicende complesse occorrano fiumi di parole, ricostruzioni storiche che fanno tremare i polsi per quanto esse appaiono indaginose, complicate, farraginose ed impervie al fine di consentire una visione di insieme al lettore che poco sa di un dato argomento.

     Il libro  di Gabriella è - sotto questo profilo - straordinario, perché racchiude in una pubblicazione cartacea che, in linea con la collana, ha il formato di un libro virtuale Kindle di poco meno di 100 pagine, la “storia” del fine vita.

    Una storia che scorre fluida e che consente di leggere il libro, metterlo da canto per qualche giorno e rileggerlo in pochi giorni per sentirne il battito, la pressione, la temperatura. 

    3. I quattro punti cardinali del libro. La dignità della persona malata

    Ogni espressione, ogni parola, ogni ragionamento è un distillato prezioso che l’Autrice ha raccolto naturalmente, senza alcun sforzo se non quello rivolto a renderne l’analisi  tanto asciutta quanto scorrevole e lineare, quasi da proporsi anche sul piano della tecnica argomentativa come “modello” anche per il giurista del nostro tempo.

    Il che avvantaggia di molto il ruolo di chi ha il privilegio di offrire una panoramica di questo percorso attraverso il fine vita che sembra svolgersi attorno a quattro punti cardinali sui quali si dipana il ragionamento dell’Autrice.

    Il primo è rappresentato dalla dignità della persona sulla quale la Luccioli si diffonde, cogliendo i tratti qualificanti di un super valore che “appare maggiormente a rischio di essere calpestato” quando il tempo della vita “è quello della malattia, perché l’infermità rende fragili, vulnerabili, dipendenti dagli altri.” (21)

    Ed è proprio a quel concetto plurale di dignità - sul quale v., volendo, anche R. Conti, Bioetica e biodiritto. Nuove frontiere, in questa Rivista, 28 gennaio 2019 - che occorre rifarsi ed ispirarsi per delineare una proficua relazione tra esseri umani ed una valida relazione terapeutica proprio quando, dice Gabriella, “i venti gelidi dell’indifferenza, della noncuranza e peggio dell’intolleranza verso la malattia, il dolore e la fragilità dei più deboli sembrano prendere il sopravvento.” Né sembra esservi nell’Autrice alcun intento moraleggiante, pedagogico o paternalista, intendendo piuttosto la stessa sottolineare la centralità della “persona” nel senso che la Costituzione mira a promuovere e proteggere, lasciando in ombra quella, solo apparentemente conforme, di “individuo”.

    In ciò sembra esservi piena sintonia fra la giurista laica Luccioli ed il pensiero espresso da Papa Francesco alla presenza dell’Associazione Nazionale Magistrati nell’anno 2019 ed il suo invito a considerare al centro della giustizia l’uomo e la sua dignità o, meglio, come disse, la carne viva delle persone, soprattutto di quelle più indigenti. Un invito ad essere capaci di garantire sempre, a qualunque persona, senza discriminazioni e pregiudizi di sesso, di cultura, di ideologia, di razza o di religione, la dignità che gli è propria, non dimenticando che la peculiare condizione di chi versa in situazioni di estrema debolezza e di indigenza impone, a volte, di adottare dei correttivi al canone del suum cuique tribuere, in modo da offrire e garantire una giustizia ‘con uno sguardo di bontà’, ‘sempre più inclusiva, attenta agli ultimi e alla loro integrazione’ - v. volendo, R. Conti, Se lo dice il Papa, in questa Rivista, 11 febbraio 2019 -.

    4. Autodeterminazione e consenso

    Segue poi, nella riflessione di Gabriella, l'analisi del principio di autodeterminazione e del consenso nonché degli sviluppi provocati dalla legge n.217 del 2019 sulla relazione di cura.

    Il ruolo del consenso è centrale. Lo è nella materia che tratta la Luccioli autrice e lo è parimenti per la Luccioli studiosa e giurista, naturalmente portata a formare le proprie opinioni ed i propri giudizi sulle rime obbligate del confronto schietto, leale e aperto.

    In questa prospettiva, cara all’Autrice, il medico che dà attuazione alla scelta consapevole e informata del paziente di rifiutare la cura, non è un essere inanimato, roboticamente programmato per eseguire la volontà altrui, ma è “un coprotagonista della vicenda, in quanto nessuna scelta libera, consapevole o meditata è possibile se non preceduta da una fruttuosa interlocuzione fra i due.” (34)

    Il ribaltamento che si produce per effetto della (nuova) relazione di cura intessuta fra il medico e il paziente scompagina la figura tradizionale del sanitario, rendendola centrale nel percorso di realizzazione massima della dignità del malato.

    Si giunge così al cuore della questione sul fine vita, agganciata alla sentenza Englaro ed alle pronunce della Corte costituzionale rese tra il 2018 ed il 2020.

    Questo cammino che la Luccioli si prende cura di delineare prende forma e consistenza da iniziative di persone  che reclamano il rispetto della dignità delle persone coinvolte in fatti tragici delle proprie esistenze.

    5. Le cause bandiera e il ruolo del giudice e della Cassazione

    Queste “fonti di innesco” impongono risposte coraggiose e responsabili da parte degli organi giurisdizionali che hanno preso forma e sostanza nella sentenza Englaro resa dal Collegio della prima sezione della Corte di Cassazione che l’Autrice ha presieduto in quella circostanza, per poi diventare presidente titolare della stessa sezione. Una sentenza che traccia, anzitutto, una differenza netta fra rifiuto di cura ed eutanasia, solo la seconda attenendo alla condotta diretta ad interrompere la vita, a fronte del desiderio dell’interessato a che la malattia segua il suo corso sotteso invece al rifiuto di cura. Una pronuncia nella quale si preconizzava la rilevanza del c.d. testamento biologico, che successivamente assumerà consistenza normativa con le “Disposizioni anticipate di trattamento” disciplinate dalla l. n.219/2017.

    Era compito ineludibile della Cassazione, in quel caso, “dare una risposta alla domanda di giustizia tenacemente proposta dal padre di Eluana Englaro…” e la Cassazione, in quel contesto “non ha gestito un interesse” ma ha statuito su un diritto (p.38). Una Cassazione che, dunque, è stata al tempo stesso protagonista di una risposta  giurisprudenziale creativa inchiodata ai principi costituzionali individuati non soltanto attraverso le sentenze della Corte costituzionale, ma anche grazie alla giurisprudenza delle Corti sovranazionali ed al contempo custode della piena legalità della decisione.

    In poche battute l’Autrice offre una risposta in punta di penna alle critiche feroci che sono piovute sulla sentenza Englaro dal mondo politico ed ancora di più tenacemente da non marginali settori dell’Accademia e della magistratura, tuttora fortemente arroccate sull’idea che quella pronunzia abbia rappresentato un innaturale, pericoloso ed indebito intervento del potere giudiziario, tale da mettere in crisi il riparto dei poteri, fissato dalla Costituzione, fra organi di produzione legislativa e giurisdizione.

    Quando in ballo ci sono i diritti, scrive la Luccioli, e si tratta di offrire loro tutela, “…quando si tratta di concorrere alla costruzione del diritto vivente, soprattutto quando si riscontra l’incapacità o il rifiuto del legislatore a provvedere…la giurisdizione non può esimersi dal rendere risposte di giustizia adeguate e dall’assumere un carico morale che la costringa a riempire i vuoti lasciati dal legislatore”(38).

    Una navigazione, quella imposta al giudice, non solitaria ed “in mare aperto”, ma avente piuttosto “come stella polare e parametro decisorio la Costituzione e le Corti sovranazionali” (38), con una “bussola orientata verso i principi di libertà, dignità ed autodeterminazione della persona” (39).

    Dunque, una giurisdizione che, prosegue la Luccioli, per effetto e a causa del progresso scientifico e medico, è stata chiamata nell’ultimo ventennio a “costruire” il sistema attraverso la tavola dei diritti fondamentali in materia di fine vita.

    Una costruzione che si alimenta non certo attingendo ai personali convincimenti e ai valori come soggettivamente percepiti dal decisore di turno, ma tutto al contrario nutrendosi di fonti normative  e giurisprudenziali nazionali che muovono dalle Carte dei diritti fondamentali, inserite a pieno titolo nell’ermeneutica alla quale il giudice è tenuto (40).

    Da qui la sempre più intensa valorizzazione dello strumento comparatistico sul quale altre volte ci è capitato di ragionare (v., volendo, R. Conti, I giudici e il biodiritto. Un esame concreto dei casi difficili e del ruolo del giudice di merito, della Cassazione e delle Corti europee, Roma, 2015, 223 ss.) e che anche nell’ordinanza n.2014/2019 della Corte costituzionale ha giocato un rilevante peso, avvertendosi - anche sulla scelta di rinviare la decisione sull’incostituzionalità consentendo al legislatore di intervenire - le influenze della giurisprudenza straniera nonché dell’accademia nordamericana - sul punto, v., specificamente, una delle risposte di Guido Calabresi in Un intervista impossibile a Guido Calabresi di Roberto Conti, in questa Rivista, 13 settembre 2021 -.

    La sentenza Englaro diventa così “un pieno di principi e di regole” (40) che, proprio per dare veste giuridica e consistenza all’idea di dignità manifestata in vita da Eluana, attinge a strumenti normativi anche se privi di vincolatività (Convenzione di Oviedo), fonte di ispirazione dotata di autorità persuasiva al pari delle pronunce della Corte costituzionale (Corte cost. n.262/2016) - cfr. B. Pastore, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, Padova, 2022, 162-.

    6. La legge n. 219/2017 e il suicidio assistito

    Si giunge, così, al tema della l. n.219/2017, figlia della sentenza Englaro. Ed è proprio questa paternità - più o meno dichiarata - che non garba a coloro che si fanno portatori di concezioni, idee e rappresentazioni della giustizia che additano la sentenza Englaro come esempio di cattiva giurisprudenza da mettere al bando. Venti che si fanno ancora più consistenti e presenti in un clima politico contrastato come lo è quello attuale, nel quale il tema del fine vita dopo gli interventi della Corte costituzionale è rientrato nell’agenda politica di alcune forze politiche. Queste critiche non persuadono. La legge n.219/2017 – al netto dei pur esistenti deficit che possono intravedersi al suo interno – proseguendo la linea tracciata dalla legge n.6/2004, sembra essersi pienamente coniugata e coordinata con alcuni punti di partenza offerti proprio dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Ciò in uno spirito di piena e leale cooperazione che ha visto, nel caso di specie, la legge fissare in termini astratti alcuni elementi di base già valorizzati in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità all’interno di una disciplina che si presta, poi, ad essere attuata dal giudice nel caso concreto. Il tutto all’interno di un circuito destinato ad arricchirsi ulteriormente attraverso l’opera ermeneutica del giudice, al quale spetterà eventualmente di colmare le lacune esistenti attraverso il ricorso ai principi fondamentali del sistema dotati di immediata precettivitá ovvero di investire la Corte costituzionale per verificare l’esistenza di disposizioni che realizzino uno iato con quegli stessi principi, riletti anche attraverso le Carte sovranazionali dei diritti. Di questo senso sembra essere intessuto il fil rouge del pensiero della Luccioli sul punto.

    Si approda, pertanto, al tema del suicidio assistito.

    La Luccioli ripercorre allora la vicenda dolorosa di Fabiano Antoniani, la malattia e le fortissime limitazioni da questa derivate alle basilari funzioni vitali, definitivamente ed irreversibilmente compromesse. Da qui la volontà di dj Fabo di porre fine alla propria esistenza che Marco Cappato agevolò accompagnandolo in Svizzera per consentirgli l’assunzione del farmaco in grado di condurlo rapidamente e senza dolore alla fine.

    I due interventi della Corte costituzionale e le ragioni poste a base della decisione sono dalla Luccioli analizzati non nascondendo la delicatezza dell’esito finale prodotto sull’art. 580 c.p. e dando anzi espressamente atto che la Corte, nell’opera di bilanciamento fra tutela della vita e diritto all’autodeterminazione, si mosse “lungo un crinale sottilissimo tra valutazioni politiche divergenti in ordine alla perdurante attualità della fattispecie penale di aiuto al suicidio” (p.67), ridefinendo la disposizione incriminatrice in termini coerenti con i valori costituzionali e radicalmente ribaltando l’approccio del codice penale del 1930 attraverso la valorizzazione dell’autonomia decisionale del paziente “in connessione con la dignità umana” (p.71).

    Un’operazione compiuta immutando la teoria crisafulliana delle rime obbligate, “ricavando dalle coordinate del sistema vigente i criteri di riempimento costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato, fin tanto che sulla materia non intervenga il Parlamento" (72) -sul tema, in generale, v. D. Tega, La Corte nel contesto. Percorsi di «ri-accentramento» della giustizia costituzionale in Italia, Bologna,2020 e, di recente, L. Bartolucci, La disciplina del “doppio cognome” dopo la sentenza n. 131 del 2022: la prolungata inerzia del legislatore e un nuovo capitolo dei suoi rapporti con la Corte, in www.consultaonline-. Ma il risultato raggiunto da Corte cost. n.242/2019 non è, agli occhi della Luccioli, un punto fermo, bensì apre nuovi scenari che dimostrano quanto il cammino intrapreso dalle Corti sia ben lontano dal potersi dire conchiuso, come dimostrano i casi di suicidio medicalmente assistito riconosciuti in Italia – successivamente alla pubblicazione del libro qui recensito - dopo la sentenza della Corte costituzionale -  v. M. Annoni, Suicidio assistito e sedazione profonda: la storia di "Mario" e Fabio, in fondazioneveronesi.it, 17 giugno 2022- nonché la vicenda che di recente ha visto ancora una volta protagonista Marco Cappato per avere nuovamente accompagnato in Svizzera, per cessare la propria esistenza, una malata terminale di cancro – Elena - non sottoposta a trattamento di sostegno vitale, nuovamente autodenunziandosi- v., di recente, A. Pugiotto, Chissà perché nessuno ha candidato Cappato, in Il riformista, 23 agosto 2022, 4. -  Vicenda, quest’ultima, che finisce col rimettere al giudice penale la valutazione della condotta di aiuto, ciò confermando la gravità del silenzio del legislatore e della decisività del ruolo del giudice.

    L’idea che Corte cost. n.242/2019 possa interpretarsi in senso estensivo quanto ai requisiti  fissati per giungere ad affermare la liceità della condotta di  chi offre il proprio aiuto al malato terminale in assenza di trattamento di sostegno vitale è ben presente nel libro, ponendo essa stessa interrogativi di non facile soluzione, in parte sperimentati dalla giurisprudenza di merito ma che, in ogni caso, rendono necessario un intervento del legislatore “non essendo possibile che le molte problematiche che la vita si dà carico di proporre siano risolte dai non detti della Corte costituzionale, piuttosto che da una disciplina organica della materia (p. 75).

    Ma nelle more il legislatore, già rimasto silente nel periodo fissato da Corte cost. n.208/2017, ha continuato a latitare. Né l’iniziativa referendaria sul tema ha superato il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale - cfr. proprio G. Luccioli, Le ragioni di un’inammissibilità. Il grande equivoco dell’eutanasia, in questa Rivista, 8 marzo 2022 -.

    7. Le (possibili e plurali) chiavi di lettura del volume

    Diverse sembrano essere le chiavi di lettura che si possono scegliere per accostarsi al libretto di Gabriella Luccioli, ma tutte convergenti verso la ricostruzione di un sistema nel quale la produzione del diritto è sempre più plurale, promanando da centri di imputazione che la democrazia, le sue regole, e in particolare quelle che la Costituzione ha fissato, individuano come “motori propulsori” dei diritti al servizio della società.

    Si tratta di strumenti che trovano nell’azione giudiziaria intrapresa da - o nei confronti di - una persona innanzi ad un giudice la fonte di innesco per la verifica, demandata al giudice,  sulla coerenza, attualità e capacità del sistema normativo vigente di rispondere alle esigenze avvertite da chi è parte della società. L’attività del giudiziario è rivolta a verificare tanto la fondatezza delle ragioni esposte da chi chiede di poter esercitare un diritto - o di consentire a che altri possano effettivamente ottenere protezione di tale diritto - quanto la legittimità o meno delle condotte poste in essere dai consociati. Tanto la magistratura persegue attraverso un’attività di continua ricerca e ricostruzione del sistema, inverato dalla Costituzione e dai valori portanti che essa incarna. Tornano alla mente le parole del Professore e Presidente emerito della Corte costituzionale Paolo Grossi che in questi giorni è mancato ai vivi, ormai da lustri orientate a descrivere il mondo del diritto sempre più votato e indirizzato verso la postmodernità proprio per il caos normativo che costituisce la regola dell’essere giuristi del nostro tempo. Ed è stato proprio Grossi che "...La Costituzione è còlta - ripetiamolo, perché sta qui una soluzione davvero appagante - come testo e come sostrato valoriale, quasi un continente che affiora solo parzialmente alla superficie, ma la cui consistenza maggiore è sommersa (anche se perfettamente vitale). Realtà, dunque, di radici, di valori che non si irrigidiscono nella secchezza di comandi, ma divengono plastici principii con la immediata concretizzazione in diritti fondamentali del cittadino. Radici, sì, ma già ad origine giuridiche, basamento del complesso diritto positivo della Repubblica…”. Ed aggiungeva, ancora, che “…Il vecchio giudice, condannato ad essere 'bocca della legge' dai riduzionismi strategici degli illuministi (dapprima) e dei giacobini (successivamente), non può che togliersi volentieri di dosso la veste opprimente dell'esegeta, ormai del tutto inadeguata, e indossare quella dell'interprete, dell'inventore, intendendo la sua operazione intellettuale irriducibile in deduzioni di semplice natura logica (come in una celebre pagina di Beccaria) e concretizzabile piuttosto in una ricerca, in un reperimento, con le conseguenti decifrazione e registrazione…”- P. Grossi, Il mestiere del giudice, Prefazione, in Il mestiere del giudice, a cura di R.G. Conti, Padova, 2020. -

    Eguaglianza, libertà, e dignità si pongono, in questa prospettiva, come valori non negoziabili da alcuno e bisognosi di protezione e tutela per tutti. Non si tratta di valori “propri” del giudice di turno - costituzionale e non - ma di principi inviolabili e irrinunciabili che hanno necessità di essere appagati nel rispetto delle “regole” che la Costituzione ha fissato.

    Qui sta tutto il senso dell’esperienza della Luccioli giurista, come Lei stessa sintetizza in una conversazione sul tema del mestiere del giudice e la religione - cfr. Il mestiere del giudice e la religione. Intervista di R. Conti a M. G. Luccioli, in questa Rivista, 2 ottobre 2020 -. In quell’occasione l’Autrice affermò che  “…La  generalizzazione sempre più diffusa e convinta dell’argomento costituzionale come criterio di interpretazione della legge, secondo acquisizioni maturate sin dal Congresso di Gardone, facendo della Costituzione una fonte in grado di regolare  direttamente, attraverso l’interpretazione, la vita delle persone e i rapporti sociali,  ha  profondamente inciso sull’ esercizio della giurisdizione, consentendo alla giurisprudenza di collocarsi, anche dal punto  di vista dommatico, nel sistema delle fonti di produzione del diritto ed attribuendo al giudice un ruolo molto più incisivo e dinamicamente aperto rispetto al passato, ponendolo come cerniera tra legge e cittadino, tra un comando che resta fissato in un testo scritto e richieste di tutela di diritti spesso non immediatamente riconducibili a quel testo.  Ed è inevitabile che nel momento in cui l’attività interpretativa si inserisce nel processo di individuazione del significato della norma, e dunque di produzione del diritto, che si fa diritto vivente, si aprano spazi sterminati per l’interpretazione, anche a causa dell’affiorare, spesso inconsapevole, di sensibilità personali, stereotipi inconsciamente alimentati, pregiudizi, convincimenti radicati e mai posti in discussione, esperienze di vita, forme mentali, dati caratteriali. E lì dove premono orientamenti pregiuridici le linee di ragionamento e di valutazione restano profondamente influenzate. In realtà tutte le nostre decisioni sono impregnate di stereotipi, pregiudizi e ideologie, ed anche la proposizione di questioni di costituzionalità riflette, a ben vedere, la maggiore sensibilità del giudice remittente rispetto ad altri giudici che della norma impugnata hanno fatto sino a quel momento applicazione.”

    8. Dalla decostruzione alla costruzione del sistema per mezzo della cooperazione  fra  giudice e legislatore

    Il che non vuol certo dire che il giudice abbia un potere incontrastato di usare i canoni ermeneutici per “creare” diritti non riconosciuti dalla Costituzione o dal legislatore. Ed è  la stessa Luccioli a spiegare in modo adamantino il suo pensiero quando, nell’intervista da ultimo ricordata sul tema del ruolo del giudice rispetto alla religione - cfr. Il mestiere del giudice e la religione, cit. -, ebbe ad osservare, con un occhio particolarmente rivolto ai giovani magistrati, che “…a fronte delle nuove potenzialità dell’interpretazione in un sistema così articolato e complesso è necessario mettere in campo  una forte attenzione e un’ estrema cautela, nel rispetto di quel limite di legalità, di quella soglia ideale oltre la quale si sconfinerebbe nel soggettivismo e nell’arbitrio. Deve essere a tutti chiaro che attraverso l’interpretazione non si può fare tutto, non si può far dire ai testi normativi ciò che essi non intendono dire e che si oppone alla loro ratio, né si può utilizzare il metodo dell’interpretazione conforme come uno schermo per compiere una sostanziale manipolazione del disposto legislativo, anziché proporre le pertinenti questioni di costituzionalità. Vorrei inoltre ricordare  ai giovani colleghi che compito dei giudici non è quello di seguire o assecondare nuove mode o tendenze, che sono fenomeni effimeri, ma di comprendere e analizzare i cambiamenti sul piano culturale e sociale e di aver cura, nel dare risposta alle istanze dei cittadini che su  tali cambiamenti si innestano, che le decisioni  adottate  costituiscano coerente sviluppo delle precedenti acquisizioni giurisprudenziali, atteso che ogni distonia può determinare effetti gravemente negativi sulla tenuta complessiva del sistema, come purtroppo di recente è avvenuto”.  

    Ora, chi scrive sa bene che questa prospettiva, sunteggiata nelle parole della Luccioli, è oggi fortemente avversata da chi, autorevolmente, ritracciando il senso della dottrina Montesquieu, ricorda i limiti del potere giudiziario e ne critica l'attivismo additandolo come pericolo per le fondamenta delle democrazie occidentali e sottolineando come la  funzione creativa dei giudici sia capace di porsi in supplenza dei corpi legislativi. Tanto per poi constatare l’incertezza del diritto prodotta dalle scelte della magistratura, la mutazione del proprio ruolo da "guardiana della legalità" a “guardiana dei poteri”, con il progressivo  indebolimento dei principi di legalità, determinatezza e tassatività in corrispondenza dell'affermarsi della teoria di un diritto vivente di matrice giurisprudenziale, tutto orientato verso una tendenza creativa della giurisdizione, favorita dall’utilizzo ipertrofico della giurisprudenza delle Corti sovranazionali rivolta verso la soluzione giusta, in tal modo pericolosamente confondendo legalità e legittimità - cfr. di recente, su tali temi, S. Cassese, Il governo dei giudici, Bari/Roma, 2022-.

    E tuttavia, riavvolgendo il pensiero della Luccioli attraverso il libro qui esaminato e le riflessioni appena ricordate, non può non colpire la forte sintonia di questo modo di interpretare la funzione giurisprudenziale con recenti e profondi studi sull’interpretazione del diritto – cfr. G.Pino, L’interpretazione nel diritto, Milano, 2022 -, capaci di evidenziare, dopo un’analisi assai approfondita sugli argomenti interpretativi e sulla quasi inevitabile commistione fra formalismo e sostanzialismo che convive nel giurista del nostro tempo quasi endemicamente, che nell’opera interpretativa affidata per Costituzione al giudice vi è indubitabilmente ed inevitabilmente una componente creativa, pur  non mancando di sottolineare la complessità del significato che può attribuirsi a tale aggettivazione. E così, in definitiva, confermando quanto sia utopico “classificare il giurista” in modo più sostanzialista ovvero formalista e/o più creativo ovvero più incline ad una interpretazione fedele alla norma. E ciò non tanto per la difficoltà di individuare una linea di confine fra interpretazione e integrazione/creazione della norma, sulla quale lo stesso  Pino si è soffermato con analisi lucide e persuasive (G. Pino, L’interpretazione nel diritto, cit., 262 ss.), quanto piuttosto per la necessità di spostare l’indagine sul prodotto cui giunge l’interprete nonché sul risultato cui lo stesso perviene rispetto alla vicenda esaminata e in particolare sulle motivazioni che utilizza per dare un senso, un significato, al dato normativo dal quale parte la sua indagine, sugli argomenti di cui si avvale, sul consolidamento o meno che un’interpretazione riceverà nel futuro da parte di altri operatori, sulla sua persuasività e plausibilità. Ciò che alla fine dimostra, probabilmente, la pluralità che sta dentro il diritto, promanando volta a volta da vari fattori “dislocati ai livelli della sua produzione, integrazione, ricostruzione, applicazione - cfr. B. Pastore, Interpreti e fonti, cit., 119 -.

    Insomma, un mondo, quello dell’interpretazione, complesso, nel quale le diverse argomentazioni interpretative vivono rispetto al caso sottoposto all’esame del giudicante, facendo in tal modo del diritto vivente una “fonte di produzione” comunque sui generis, ricorda ancora Pino, proprio perché non vincolante come lo è invece per ogni interprete la legge, anche se proveniente da una giurisdizione chiamata a svolgere il ruolo di nomofilachia qual è la Corte di Cassazione.

    Ora, pur senza essere in grado qui sviluppare in questa sede - anche per evidenti limiti di chi scrive - il tema altre volte oggetto di riflessioni profonde (cfr. T. Epidendio, La grande decostruzione del disegno costituzionale della magistratura, in questa Rivista, 24 maggio 2022; si v. ancora sul tema, sempre su questa rivista, gli scritti di G. Montedoro-Derrida, Il giudice, il fare giustizia; G. De Amicis, Per l’alto mare aperto…: la Magistratura tra sogni spezzati e nuove speranze; A. Cosentino, Crisi della legge o crisi del giudice? Considerazioni a margine di un recente scritto di Tomaso Epidendio e, da ultimo, B. Montanari, “La fine di un sogno”. Una lettura epistemologica), non sembra possibile dissertare in via teorica sull’interpretazione senza calarla nel contesto che le appartiene, appunto rappresentato dall’applicazione concreta che il decisore di turno è chiamato a svolgere rispetto al caso posto al suo cospetto.

    E sembra essere questa la prospettiva che conduce a considerare come estreme le riflessioni - R. Bin, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, in Quaderni costituzionali, 2019, n.4, 757; A. Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in Quaderni costituzionali, n.2, 2019, 251- che gridano all’eversione consumata da parte dei giuristi pratici rispetto all’uso (recte, abuso) di tecniche argomentative sistematiche e per principia tratti dalle Carte dei diritti, piuttosto forse dovendosi prediligere quell’impostazione che, mediando fra approccio formalistico, scettico e misto dell’interpretazione,  giunge alla conclusione per cui “il ragionamento giuridico ha una ineliminabile componente particolaristica, che rende la nozione di interpretazione corretta almeno in parte legata alle circostanze” - G. Pino, L’interpretazione nel diritto, cit., 335 -.

    9. Il coraggio responsabile di Gabriella Luccioli

    Ora, la Luccioli, anche in questo volumetto ha la dignità ed il coraggio di rappresentare ciò che è accaduto  in Italia sul fine vita, riconoscendo al padre di Eluana Englaro ed all’iniziativa di Marco Cappato il giusto valore che ad essi va attribuito non tanto per avere essi determinato un cambio di paradigma nell’ordinamento, quanto per avere dato piena attuazione ai canoni costituzionali per la difesa piena ed effettiva dei diritti della persona, affidando ad un organo giurisdizionale il compito di affermare l’esistenza o meno di quel diritto e di verificare se il quadro normativo di riferimento esistente sia compatibile con il quadro dei valori scolpiti dalla Costituzione e non già, si ripete, dei valori propri del giudice, ma della Repubblica nella quale egli svolge il proprio ruolo di garante della legalità e custode dei diritti.

    Le iniziative di Beppino Englaro e di Marco Cappato non decostruiscono affatto il sistema, ma lo rendono vicino alle istanze delle persone, offrendone un’immagine efficace, effettiva ed adeguata alla centralità che la persona umana ricopre all’interno dell’ordinamento costituzionale.

    Ci si accorge, allora, che il tema affrontato è centrale per la società, per i giudici, per il mondo politico e per il legislatore.

    La Luccioli, lo si è detto e piace ripeterlo, spiega e ricostruisce il cammino, non nascondendosi affatto che esso appare ancora incompiuto proprio a causa dell’inerzia del legislatore.

    Ciò fa in una prospettiva di ricercata alleanza fra mondo politico ed operatori del diritto, offrendo alcune indicazioni che potrebbero tornare utili al legislatore, senza con questo invadere competenze altrui, ma appunto mettendo a disposizione dell’organo che lei stessa indica come legittimato a provvedere, la sua esperienza da giudice e da giurista al servizio delle istituzioni svolta per ormai ben oltre cinquant’anni. Tanto riflette il desiderio di creare una “rete” e di cooperare insieme agli altri costruttori del diritto che questa Rivista ha da tempo caldeggiato anche sul tema - Il fine vita e il legislatore pensante, Editoriale - e che  viene ormai indicato come paradigma sul quale il diritto non può che fondarsi a fronte della sua pluralità - cfr., ancora, B. Pastore, Interpreti e fonti, cit., 28 ss. -. Il che, in definitiva, sembra essere una prospettiva sulla quale potere e dovere investire fruttuosamente.

    Ed invero, come ci è capitato di affermare altre volte, nell’attuale contesto della giustizia, tutto aggrovigliato attorno a chi si accapiglia sul rapporto fra giudice e legge, la tendenza allo scontro che, a volte, prende il sopravvento non pare adeguatamente considerare che è proprio la complessità dell’ordinamento giuridico - B. Pastore, Interpreti e fonti, cit, 40 -, della società nel suo dinamismo, del fenomeno giuridico - come l’aveva tracciata Angelo Falzea nella sua lectio magistralis del 2006, in Annali enc. Dir., 2007, 201 ss. -, a non potere essere imbrigliata in formule astratte e/o all’interno delle categorie, le quali non possono certo in alcun modo essere elise o eliminate, ma devono continuamente essere riponderate, attualizzate rispetto al contesto, rinvigorite, riempite dal nuovo rappresentato dalla caotica e sempre cangiante fattualità, in cui i confini e le certezze tradizionali devono continuamente fare i conti  con una  sempre più avvertita esigenza di protezione e salvaguardia della persona.

    Inscrivendosi in questa prospettiva di fondo che pone al centro la teoria ermeneutica dell’interpretazione - sulla quale v. G. Zaccaria, Postdiritto, Bologna, 2022, 149 ss.-, l’Autrice mostra lo stesso coraggio che lei stessa attribuisce alla Corte costituzionale per avere infranto il paradigma dell’art. 580 c.p. Tanto emerge quando affronta, nel paragrafo finale, il problema non risolto dell’eutanasia, riconoscendone l’estrema delicatezza e complessità, sulla quale comunque il Parlamento dovrebbe esercitare le sue prerogative facendo saggio uso dei canoni del bilanciamento, della ragionevolezza e della proporzionalità. Il che si palesa oltremodo pressante quando il tema del fine vita riguarda ipotesi nelle quasi sono coinvolti i minori di età- sul quale  ho provato a riflettere in Il giudice e il biodiritto, in Trattato di diritto e bioetica, a cura di A.  Cagnazzo, Napoli,2017, 462 ss.-  come ha dimostrato la legislazione introdotta dalla l. n.219/2017, sicuramente da meglio declinare proprio con riguardo ad alcuni aspetti circa le interruzioni delle cure per i minori, come ci è capitato di evidenziare in altra occasione - volendo, v.ancora  il mio Scelte di vita o di morte, cit., 111 ss.- Ed è stata ancora una volta la cronaca più e meno recente a dare conferma della centralità del ruolo del giudice anche rispetto a tali vicende (P. De Carolis,  I medici staccano la  macchina. Archie si spegne dopo due ore, in Corr. sera, 7 agosto 2022, 10; id. e ib., Le lacrime e la rabbia di mamma Hollie. Ho il cuore a pezzi: perché non ho potuto decidere per lui?).  

    Tanto altro resterebbe ancora da dire sul volumetto della Luccioli poiché esso affronta un tema specifico, peraltro non allegro, ma che - come si è detto - tocca il cuore delle questioni pulsanti che ogni giurista ed ogni persona di senso ha il dovere di conoscere e di maneggiare con coraggio, responsabilità, passione e consapevolezza della centralità del dialogo. Esso costituisce dunque un garbato ma fermo invito a non indietreggiare di fronte alle critiche ideologiche, agli attacchi scomposti, alle accuse dei pavidi che intendono delegittimare gli avversari. Invito che giunge da una signora della cultura giuridica italiana, figura centrale nel dibattito scientifico che ruota attorno alle persone, al giudice ed alla società.

    Un dono, dunque, per chi legge ed un monito per tanti giuristi ed operatori del diritto.

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