ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia
Renato Rordorf
Sommario: 1. Il cigno nero. - 2. Il Codice della crisi di fronte all’imprevisto. - 3. Rinviare l’entrata in vigore del codice? - 4. Strumenti giuridici ed interventi di sostegno economico.
1. Il cigno nero.
Nel flusso continuo della storia si producono talvolta eventi improvvisi che paiono deviarne il corso. Quel corso, a dire il vero, non è mai rettilineo, ed a guardarlo da vicino appare sempre punteggiato da scarti e sbalzi, ma spesso accade che i contemporanei non percepiscano l’importanza di eventi destinati in seguito a grandi conseguenze o che, viceversa, sopravvalutino fatti che i futuri storici a malapena registreranno. Oggi, tuttavia, è difficile sottrarsi alla sensazione di star vivendo un evento di eccezionale rilievo. La pandemia provocata dal diffondersi nel mondo intero del virus denominato Covid 19, la drammatica scia di lutti che ha lasciato dietro di sé, la rapidità del contagio e la gravità dei suoi effetti, anche sul piano economico-sociale (per tacere dei risvolti psicologici), consentono pochi dubbi sul fatto che si sia davvero in presenza di un evento di portata storica destinato a lasciare forti tracce nello sviluppo avvenire delle vicende umane. Un evento di per sé forse non eccezionale, giacché l’umanità ha conosciuto una lunga serie di epidemie (ed anche pandemie) di vario genere, ma certamente del tutto imprevisto e perciò tanto più sconvolgente. Non so se sia del tutto esatto parlare a tal proposito di quello che gli economisti chiamano un “cigno nero” (un evento estremamente improbabile e del tutto inatteso, capace di provocare a largo raggio conseguenze di grande portata), ma mi pare che ci siamo assai vicini.
Anche il diritto è parte della storia: si traduce nelle regole giuridiche che una comunità si dà in un determinato momento storico e si modifica nel tempo a seconda del mutare delle esigenze che quella comunità avverte e della sensibilità che essa esprime. E’ naturale perciò, anzi è in qualche misura inevitabile, che eventi di rilevanza storica possano avere ripercussione su uno o più settori dell’ordinamento giuridico. E, tuttavia, occorre guardarsi dal rischio di concepire il mutamento normativo come se fosse una conseguenza necessaria e quasi meccanica del mutare del quadro storico-economico cui esso si riferisce. Nell’ordinamento giuridico si manifestano anche esigenze di continuità, vi si rispecchiano valori di lunga durata non scalfiti – o non scalfiti nell’immediato, ma eventualmente solo dopo un lento sedimentare nel profondo della sensibilità sociale – neppure da eventi dotati di forte impatto.
2. Il Codice della crisi di fronte all’imprevisto.
Ecco dunque il problema: come deve reagire l’ordinamento – ed in particolare il diritto concorsuale – al “cigno nero” del Covid 19 senza compromettere la propria coerenza di fondo e senza intaccare principi ai quali neppure in una situazione di emergenza si sarebbe disposti a rinunciare? Un interrogativo reso ancor più complicato dal fatto che questo evento straordinario ed imprevisto ci coglie in un momento nel quale ci stavamo attrezzando ad attuare una riforma del diritto concorsuale che ha l’ambizione di rivisitarlo completamente, di fargli recuperare l’organicità perduta da una serie di modifiche parziali e non sempre coerenti e di adeguarlo ad una visione più moderna del modo in cui si dovrebbero poter affrontare la crisi d’impresa e l’insolvenza. E’ indubbio che il blocco quasi totale delle attività economiche, produttive e commerciali, dovuto alla necessità di fronteggiare l’impetuoso diffondersi del contagio, stia producendo e produrrà ancora conseguenze assai gravi sulla tenuta del nostro già un po’ malandato tessuto aziendale. Ed appare perciò comprensibile che, nell’ambito delle misure di sostegno all’imprenditoria imposte dalla necessità del momento, si valuti anche la possibilità d’intervenire sulla rinnovata normativa concorsuale. Occorre tener conto di una situazione ancora del tutto imprevista quando quella normativa è stata elaborata e che, altrimenti, rischierebbe di produrre conseguenze altrettanto imprevedibili. Calibrare opportunamente interventi normativi finalizzati a mitigare le conseguenze di questa situazione di emergenza è però un compito davvero assai arduo, anche perché sconta l’obiettiva impossibilità di prevedere sino a quale momento ed in quale misura la pandemia continuerà ad imperversare, e la difficoltà di capire come, in un sistema economico-finanziario così legato al contesto internazionale, quale quello in cui attualmente ci troviamo, il manifestarsi del morbo con diversa intensità ora in questa ora in quella parte del mondo possa influire sull’andamento della nostra economia nazionale, che molto dipende dall’importazione di materie prime e dall’esportazione di manufatti.
3. Rinviare l’entrata in vigore del codice?
La reazione immediata del legislatore è stata quella di procrastinare l’entrata in vigore di alcune ben limitate disposizioni riguardanti l’istituto dell’allerta. Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, com’è noto, al termine di una vacatio legis di diciotto mesi, dovrebbe entrare in vigore il 15 agosto 2020 (salvo che per un piccolo gruppo di disposizioni già operanti). L’art. 11 del d.l. n. 19 del 2020 ha però prorogato sino al 15 febbraio 2021 l'obbligo di segnalare all’OCRI gli indizi della crisi che gli articoli 14, comma 2, e 15 del codice ha posto a carico degli organi di controllo societari e di alcuni creditori qualificati.
Dico subito che questa scelta, nel contesto in cui è stata operata, appare ragionevole, ma mi sembrano necessarie alcune precisazioni. Credo sia importante non avallare l’idea che la proroga dipenda dalla necessità di sollevare l’imprenditore in crisi da un onere che nell’attuale contingenza potrebbe risultare eccessivo. Al contrario, ci si potrebbe chiedere se questa proroga, che comporta di fatto l’impossibilità di far funzionare sino alla nuova scadenza gli istituti dell’allerta e della composizione assistita della crisi, sia coerente con gli scopi della riforma in presenza delle difficoltà generate dal blocco delle attività aziendali causato dalla pandemia. Come più volte ho avuto occasione di dire, l’allerta e la composizione assistita della crisi non vanno concepite, né dovranno essere fatte funzionare, come una sorta di ultimatum rivolto all’imprenditore, minacciato di subire in futuro la liquidazione giudiziale della sua azienda, bensì come un mezzo di supporto che al medesimo imprenditore si offre per aiutarlo a superare, nei limiti del possibile, la situazione di crisi in cui versa e ad evitare il paventato esito liquidatorio. Viene allora spontaneo pensare che, proprio nella condizione di estrema difficoltà nella quale l’imprenditore potrebbe venire a trovarsi a causa del blocco dell’attività provocato dal diffondersi del virus, quegli strumenti di supporto risultino più utili. Perché allora differirne l’operatività quando maggiormente se ne sentirebbe il bisogno? Credo che la ragione vada banalmente ricercata in esigenze di carattere organizzativo. Come ogni nuovo istituto, l’allerta e la composizione assistita della crisi richiederanno una fase di rodaggio che vedrà soprattutto messa alla prova la capacità organizzativa delle Camere di commercio e degli OCRI in esse destinati ad operare. E’ purtroppo facile pronosticare che al diffondersi del virus Covid 19 corrisponderà il diffondersi di situazioni aziendali che, in base ai parametri enunciati dal codice della crisi e dell’insolvenza, comporterebbero l’insorgere dell’obbligo di segnalazione. Forte è perciò il rischio che, proprio all’avvio, il nuovo istituto e gli organismi di nuovo conio che dovrebbero farlo funzionare si trovino sommersi da una enorme quantità di segnalazioni non facilmente gestibili; ed è invece di tutta evidenza che sia preferibile far partire l’allerta e la composizione assistita quando, sperabilmente, la drammatica situazione ora in atto sia stata superata.
Da più parti, però, la proroga dei soli obblighi di segnalazione di cui s’è detto è stata giudicata insufficiente, e si è sollecitato il differimento per almeno altri sei mesi dell’entrata in vigore dell’intero codice. La principale ragione risiederebbe nell’opportunità di evitare che imprenditori, professionisti e giudici si trovino alle prese con una nuova normativa e con le inevitabili incertezze interpretative insite nella sua applicazione in un momento di grave difficoltà quale quello provocato dalla pandemia e dai suoi effetti sul mondo delle imprese. Non posso nascondere l’impressione che queste istanze di rinvio sottintendano un certo scetticismo, se non proprio una netta ostilità, nei confronti del nuovo codice. La difficoltà di applicare una nuova normativa non mi pare un ostacolo davvero rilevante, ove si consideri l’ampia vacatio legis che ha già consentito agli studiosi ed agli operatori di riflettere a lungo sulle disposizioni del codice e di assimilarne i principi ispiratori. Non so quanto sia calzante il paragone che spesso si fa tra le condizioni di vita nel corso della seconda guerra mondiale e quelle oggi imposte dal dilagare del virus Covid 19, ma se proprio in questo paragone si vuole indulgere, per sottolineare quanto grave sia la situazione attuale, non si dovrebbe dimenticare che la legge fallimentare di cui il codice della crisi e dell’insolvenza prende il posto fu emanata nel 1942 ed entrò in vigore in pieno periodo bellico. Se si condivide la convinzione che il nuovo codice, pur con gli inevitabili difetti, rappresenta un progresso ed una significativa modernizzazione della disciplina concorsuale, anche e soprattutto perché segna il definitivo abbandono di un’antica concezione punitiva del fallimento a fronte di una maggiore propensione a favorire il più possibile soluzioni conservative dell’impresa e ad evitare la dispersione dei suoi valori, è logico auspicare che esso entri in vigore proprio in un momento in cui ci si sforza di impedire che la crisi generale provocata dalla pandemia travolga un gran numero di imprese altrimenti ancora sane.
4. Strumenti giuridici ed interventi di sostegno economico.
Questo non vuol dire che non si possa pensare di introdurre qua e là nel codice disposizioni volte a tener conto degli effetti dell’anzidetta crisi generale. Molte sono le proposte già in tal senso formulate, principalmente allo scopo di differire termini che nell’attuale situazione difficilmente potrebbero essere rispettati, di sospendere alcune scadenze ed alcuni obblighi implicanti impegni finanziari oggi poco sopportabili, di consentire la sospensione temporanea di procedure, di rettificare opportunamente alcuni criteri di valutazione delle poste di bilancio, e così via. Non ho qui la possibilità di entrare nel merito di tali proposte, per ciascuna delle quali occorrerebbe un esame approfondito di costi e benefici. Non v’è dubbio che possa risultare opportuno introdurre momenti di maggiore elasticità nel sistema permettendo al giudice di valutare meglio in qual misura le difficoltà di un’impresa dipendano dalla crisi sistemica generata dal Covid 19 o ne prescindano, e quali reali prospettive vi siano che l’impresa possa riprendersi una volta superata quella crisi sistemica. Vorrei tuttavia osservare, in termini del tutto generali, per un verso che occorre comunque tener ben presente la prevedibile provvisorietà della situazione da cui quelle proposte di modifica normativa traggono origine e, per altro verso, che neppure in momenti come questo – forse men che mai in momenti come questo – si deve sopravvalutare la capacità degli strumenti normativi di rimediare a difficoltà radicate nell’intrinseca dinamica dei fatti economici. Non vorrei sembrare cinico e sono ben consapevole dei drammi umani che si consumano in questi frangenti, ma resta che il diritto concorsuale ha l’indefettibile compito di fotografare le situazioni di crisi e d’insolvenza per tentare di disciplinare nel modo più equilibrato possibile i contrastanti interessi del debitore, dei creditori, dei dipendenti e di ogni altro soggetto coinvolto. Se la crisi o l’insolvenza sono frutto di cause esterne alla normale dinamica dell’impresa, ed imprevedibili, non per questo si potrà evitare l’applicazione degli istituti destinati oggettivamente a regolare il concorso dei diversi interessi che la crisi o l’insolvenza pongono in causa. Sospendere o impedire il funzionamento di questi istituti non risolve il problema, semmai lo aggrava. Se un’azienda si trova ad esser priva di ogni realistica prospettiva di recuperare in un ragionevole futuro il proprio equilibrio economico-finanziario, né può mettere in campo un piano di risanamento credibile, è inevitabile che sia assoggettata a liquidazione giudiziale, quantunque a ridurla in tale condizione sia stata la crisi sistemica provocata dalla pandemia. Delle ragioni della crisi si dovrà certo tener conto, anche per utilizzare proficuamente gli strumenti con i quali il codice intende favorire la possibilità per l’imprenditore insolvente di trovare nuove chances imprenditoriali, disciplinando altresì in vario modo l’esdebitazione del sovraindebitato. Ma i veri rimedi per favorire il superamento delle attuali difficoltà del nostro mondo produttivo, fatto soprattutto di piccole e medie imprese che la pandemia potrebbe distruggere, bisogna cercarli altrove: sul terreno dell’intervento finanziario dello Stato, dell’agevolazione del credito bancario, degli sgravi fiscali, e simili. Ed è sempre su questo piano, piuttosto che modificando la relativa disciplina giuridica, che mi sembra si debba fronteggiare un altro grave rischio: che un sempre maggior numero di imprenditori in difficoltà (ma il discorso potrebbe valere pure per qualsiasi altro debitore incapace di saldare i propri creditori) cada nella rete sempre tesa della criminalità usuraria.
Quello di voler risolvere i problemi economici del Paese intervenendo in fretta e furia con disposizioni legislative d’emergenza, spesso improvvisate, asistematiche ed anche per questo quasi sempre di difficile interpretazione ed applicazione, è un vizio antico dei nostri governanti. Mi auguro che non si ripeta proprio all’indomani di uno sforzo di sistemazione organica compiuto con l’emanazione del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
LIBERTA’, DIRITTI, RESPONSABILITA’
di Bruno Montanari
Sulle pagine di “Giustizia insieme” è comparso il 16 marzo scorso un articolo di Maurizio Bozzaotre (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/922-il-diritto-ai-tempi-del-coronavirus-come-cambia-la-nostra-vita-e-perche) il quale, con grande acribia, ha analizzato le disposizioni contenute nei diversi decreti che si sono succeduti in questi giorni per contrasto al contagio di cui siamo vittime noi, come il resto del mondo.
Non intendo entrare nel merito delle diverse disposizioni, che sono motivate dalla drammaticità inedita della situazione e che, d’altra parte, Bozzaotre ha magistralmente spiegato e riassunto. Voglio trarre spunto, invece, da una sua frase quasi conclusiva: “…quando l’emergenza sarà finita avremo tutti il dovere di non dimenticare quanto siano preziose le nostre libertà e i nostri diritti…”.
Certo, può essere considerata una proposizione scontata e in qualche misura anche retorica; se si va fuori dall’ovvio, è una frase, invece, che pone una serie di questioni, che si dislocano su piani tra loro diversi, ma tra loro strettamente connessi: dallo stile linguistico-comunicativo, attorno al quale mi sono soffermato in un mio precedente contributo su questa Rivista, al profilo socio-politico-governativo.
Il primo livello è quello “prescrittivo”, che non può che avere una forma comunicativa dal contenuto tipizzante: il contenuto prescrittivo di una qualsiasi norma è sempre “tipico”, poiché la norma è, come si usa dire, una disposizione generale e astratta e non individuale e concreta. Qui si apre una prima considerazione: quale può essere l’ampiezza della materia sulla quale operare in modalità tipizzante. Infatti, quanto più si tipizza nello specifico, tanto più – paradossalmente – si lascia fuori la rilevanza della “particolarità” di ciascun caso concreto e che è essenziale alla corretta esecuzione della norma. Tale sottolineatura vale in modo particolare quando oggetto della norma è la limitazione di comportamenti che riguardano la libertà personale: vale a dire lo “stato di necessità”, consistente nell’interesse pubblico alla non diffusione del contagio. Nella esecuzione del divieto occorre tener presente se nel caso concreto ricorrano, in maniera attuale o anche solo potenziale, le condizioni materiali per fronteggiare le quali la prescrizione è stata emanata. Qualora esse non ricorrano, la normativa non è applicabile perché mancano le premesse di fatto che ne hanno giustificato l’emanazione e che costituiscono parte integrante della sua motivazione. Faccio un esempio semplice, per il quale ci sono state incertezze e controversie: il divieto di passeggio e simili. Un conto è che si passeggi in una strada di città, altro che ciò avvenga in una strada di campagna o su di una spiaggia in quasi perfetta solitudine Gli esempi potrebbero continuare, come il divieto della bicicletta, quando questo è un mezzo che per sua natura non può stare fermo e certamente non consente di avvicinarsi a meno di un metro (se no, si cade in due o più!), in più, non inquina. O ancora, l’uscire in mare con una imbarcazione quale forma di contagio si rischia di ricevere o di infliggere (è molto più rischioso l’equipaggio di un peschereccio)? Eseguire il decreto interdittivo da parte dei funzionari preposti, in mancanza delle condizioni di fatto che ne hanno legittimato l’emanazione in base alla sola motivazione della sua esistenza formale, integra una violazione indebita della libertà personale. Certo si potrebbe osservare che la tipizzazione del divieto è una misura per stabilire l’uguaglianza di tutti cittadini; come dire perché dare diritto ad alcuni di uscire mentre altri stanno a casa? La risposta è: infatti il divieto non impedisce di uscire ad ognuno, purchè non ricorrano nel singolo caso concreto condizioni di pericolo; qualora queste si verifichino, il divieto va immediatamente applicato. Un esempio appropriato: che senso ha vietare in generale di uscire da casa, quando il problema è l’affollamento dei mezzi pubblici o le file ai supermercati, dettate queste ultime, dall’ansia di approvvigionamento, che muove il cittadino impaurito? Come dire: usiamo la paura e non educhiamo il buon senso. A dopo qualche riflessione, per il momento proseguo il quadro.
Altro divieto: quello di alcune attività commerciali certamente non essenziali. Anche qui ci si accorge di alcuni aspetti che sfuggono alla tipizzazione. Occorrerebbe, infatti, distinguere le attività commerciali o artigianali “di quartiere”, nelle quali l’attore vive del quotidiano, da quelle svolte da aziende o imprese di maggiore ampiezza e di più alto fatturato. Le prime possono non essere essenziali per l’utente, ma lo sono per il titolare; ed essendo “di quartiere” possono raggiungersi a piedi senza l’uso di mezzi pubblici. La tipizzazione non distingue né può farlo, poiché vi sono aspetti non tipizzabili.
Ho mostrato come la tipizzazione linguistica apra la questione della applicazione della norma al caso concreto. L’ “applicazione” implica o dovrebbe implicare, come ho segnalato, l’interpretazione della norma, il cui riferimento, nel caso presente, è quello “secondo le sue finalità”. Il nesso applicazione – interpretazione conduce ad una “decisione”, che apre ad altre due questioni: la capacità interpretativa del decisore ed il suo “potere” decisionale. A partire da qui, un’altra questione: la legittimazione funzionale del decisore, che va da quella dell’agente di pubblica sicurezza (genericamente inteso) a quella del Sindaco, del Presidente di Regione e del Presidente del Consiglio. Tali posizioni chiamano in causa l’ampiezza costituzionale del potere decisorio di queste figure, la loro formazione tecnico-professionale, la loro “cultura” intellettuale e socio-politica e, non ultima, la loro “mentalità” e “psicologia” di persone. Proprio queste ultime, spesso così trascurate quando si discute di questioni giuridico-formali, vanno considerate quando entra in campo il “potere”. Prescrivere o anche solo eseguire è, comunque, decidere (si può sempre, infatti, non eseguire); e decidere è esercizio di “potere”.
Il “potere” è per sua struttura una situazione umana formata dalla sequenza comando-obbedienza-sanzione. Tale sequenza sta a significare che il potere deve fronteggiare il suo paradosso strutturale: da un lato la sua effettività o “performatività”, che coincide con la sua assolutezza; dall’altro, effettività e assolutezza dipendono dalla osservanza-obbedienza dei destinatari. Di qui l’uso necessario della sanzione, come mezzo per immunizzarsi dalla sempre possibile disobbedienza. Per questo il potere è per struttura non debole, ma fragile. E, ancora per questo, il modo più semplice, pratico e apparentemente efficace di esercitarlo è l’interdizione immediata della libertà altrui, senza giudizio, ma come conseguenza, altrettanto immediata, della mera applicazione senza interpretazione di una disposizione normativa, a qualsiasi livello essa si dispieghi. Poiché, però, resta in campo la disobbedienza in quanto possibilità, che appartiene alla strutturale finitudine della condizione umana, il “tempo” corrode la forza della immunizzazione propria della sanzione. La storia delle rivolte e delle rivoluzioni lo ha ampiamente dimostrato; non solo, ma la stessa prassi di una politica criminale costruita sull’ aggravamento delle sanzioni, dalla loro crudeltà pubblica di un tempo a quella carceraria delle attuali democrazie liberali, non ha ridotto il crimine né sembra essere in grado di fronteggiarlo efficacemente.
Fin qui il tema dei limiti della tipizzazione normativa che riguarda chi, a vari livelli, pone o “applica” le disposizioni. Vediamo ora cosa succede dalla parte dei destinatari. Cominciamo con il distinguere le caratteristiche dell’ambiente umano: età, formazione (lato sensu), educazione, provenienza sociale, consistenza economica. Sono questi i fattori principali, così mi sembra, che costituiscono il modo nel quale ciascuno di noi vede la propria vita, ed il cosiddetto “mondo” che lo circonda, e di conseguenza costruisce i propri orizzonti. In pratica: chi deve mettere insieme il pranzo con la cena non ha la stessa visione della vita di chi ha una consistenza economica e culturale che gli consente di riflettere e decidere oltre la contingenza della mera quotidianità, sia in termini di spazio che di tempo. Ne segue che l’effetto di una normatività solamente interdittivo-sanzionatoria è diverso a seconda delle caratteristiche psico-antropologiche dei destinatari. In ogni caso, anche se l’effetto del modello interdittivo-sanzionatorio è diverso, in nessun caso è utile oltre la contingenza dell’immediato, cioè nel medio tempo. In coloro che hanno esigenze di vita impellenti si sviluppa una sorta di osservanza passiva e quindi di subordinazione securitaria (che è la base di ogni dittatura); in chi vive una condizione più agiata prende consistenza una riflessione critica che può condurre, nel medio tempo, a forme di contestazione normativa più o meno organizzate.
Vi è poi il profilo psicologico di chi esercita il potere. Si può riassumere nella immagine che ne dà Canetti in un libretto dal titolo: “Potere e sopravvivenza”. Canetti mette a fuoco uno stato d’animo inquietante, perché subliminale. E’ la sensazione di potere che ha il vivo di fronte al corpo disteso di un morto e indipendentemente da ogni profilo affettivo: “…intanto, Io sono vivo e tu sei morto”.
Il profilo psicologico del “potere” si attua in particolare nella comunicazione mediatica. Il paradigma è fondamentalmente analogo a quello già descritto, solo che in questo caso l’ “obbedienza” coincide con la subordinazione-manipolazione dei fruitori, il comando con la performatività dell’atto del comunicare e la sanzione con l’accentuare la tragicità del contenuto comunicato, tale, da farla penetrare “nella pelle”. Il comunicatore si sente, allora, come il vivo di fronte al morto di Canetti: sente, quasi inavvertitamente, esaltato il suo Ego personale, insieme a quello dell’Ente per il quale lavora. E più la notizia è terrifica, più è idonea a sottomettere psicologicamente il destinatario e più soddisfa l’Ego.
Con queste osservazioni, ho cercato di mostrare come la sequenza comando - divieto – sanzione chiami in causa il “potere”, nei diversi campi nei quali si dispiega e nei suoi profili umani e psicologici e come esso funzioni nella immediatezza propria della intimidazione emotiva, che costituisce il suo fine, sia sotto la specie di “obbedienza – sanzione”, sia sotto quella di “manipolazione psicologica – subordinazione emotiva.
Queste considerazioni, che restano ovviamente sommarie, possono condurre ad una pausa di riflessione, come si usa dire. Una normativa fatta di divieti e sanzioni, o di manipolazione psicologica, se può essere considerata utile nella immediatezza della contingenza, è praticamente sbagliata di principio, e quindi rischia di non funzionare se si protrae nel medio tempo. Per il tempo, che non è determinabile a priori, dovrebbe affermarsi una normazione per principi forti e di facile indicazione pratica e operativa e di evidente e asciutta comunicazione, che consentano di guidare la vita pratica di ciascuno, nel quotidiano, secondo il fine stabilito: nel caso presente, la non diffusione del contagio. Si dovrebbe porre in essere una educazione culturale dei responsabili istituzionali (diversificata, secondo il loro livello e grado di legittimazione operativa) che induca ad una mentalità collaborativa dei destinatari, fondata sulla abitudine a vivere in un insieme, dove ciascun io è in relazione con un tu, e dove ogni “io” è esso stesso un “tu” per l’ “io” dell’altro. Dunque ognuno di noi contiene in sé l’IO e il TU; quindi è “interesse” (al di là del dovere morale) di ciascuno di esercitare la responsabilità che il principio regolativo impone. Questo evita criminalizzazioni indebite e non necessarie. E’ qui che la collaborazione e responsabilità della “gente” mostra tutta il suo valore sociale; solo educando la libertà si evita l’arbitrio individualistico e si può ottenere responsabilità.
Purtroppo mi rendo conto che noi viviamo un tempo, in cui, dagli anni ’90 in poi, si è formato un ambiente umano, distribuito tra “classe dirigente” e gente comune, nel quale il mercatismo e la globalizzazione finanziaria, prima, e la loro materializzazione e volgarizzazione attraverso l’ “infosfera”, poi, hanno dato luogo ad una visione della vita improntata ad una sorta di individualismo egoistico di massa, soddisfatto dalla perenne immediatezza delle soluzioni. E questo vale sia per le qualità intellettuali delle classi dirigenti (e qui mi riferisco all’intero mondo dei decisori in ogni campo del vivere civile), sia per quelle di coloro che sono i destinatari delle loro decisioni. Non è un caso che films di fantascienza, come Minority Report di Spielberg o Matrix dei fratelli Wachowski, immaginino un mondo dove l’autoritarismo tecnocratico della intelligenza artificiale ha soppiantato la ragione libera dell’uomo naturale.
Covid-19: misure di contenimento ed effetti collaterali sulla crisi familiare
di Marzia Di Bari
Il contributo costituisce una riflessione sugli effetti derivanti dal Covid-19 sul diritto di famiglia, con la finalità di fornire prime indicazioni sul versante processuale e su quello sostanziale nei settori sensibili, quali la tutela delle vittime di violenza domestica, la frequentazione del figlio minore da parte del genitore non collocatario e degli ascendenti, ed il coinvolgimento di operatori socio-sanitari e delle strutture incaricati della cura del minore.
sommario: 1.Premessa. - 2.Provvedimenti del Giudice civile a tutela della vittima di violenza domestica durante l’emergenza epidemiologica. - 3.Frequentazione del figlio da parte del genitore non collocatario. 4. Cenni alla frequentazione degli ascendenti. - 5.Frequentazione in modalità protetta. - 6.Conclusioni
1.Premessa
L’emergenza epidemiologica da COVID-19 introduce scenari peculiari nella quotidianità della persona, avuto particolare riguardo al concreto atteggiarsi delle relazioni familiari, innescando dinamiche correlate alla necessaria permanenza presso la casa familiare.
Gli elementi di precarietà e di incertezza che caratterizzano il presente, destinati a proiettare i propri effetti nel lungo periodo con una evidente difficoltà di delimitazione, introducono un fattore di criticità nella gestione del tempo, caratterizzato da ritmi inusuali ed assolutamente nuovi.
Ogni nucleo familiare è chiamato a confrontarsi con la necessaria ricerca di diversi equilibri a fronte della brusca e repentina modifica degli assetti consolidati alla stregua dei quali la casa familiare costituiva il punto di riferimento e di arrivo all’esito di un vissuto quotidiano proiettato prevalentemente all’esterno.
Tali criticità fisiologiche in presenza della crisi familiare possono trasformarsi in patologiche e sono suscettibili di determinare rilevanti questioni applicative con le quali l’interprete è chiamato a confrontarsi.
Le aree nelle quali le misure approvate per contrastare l’emergenza epidemiologica possono avere maggiore impatto sulla crisi familiari sono:
-le situazioni di violenza domestica, destinate ad amplificarsi a causa delle limitazioni della circolazione;
-le frequentazioni tra il genitore non coabitante e la prole, con peculiari problematicità nel caso in cui siano in essere incontri in “spazio neutro”, ovvero il minore sia collocato al di fuori della famiglia.
2. Provvedimenti del Giudice civile a tutela della vittima di violenza domestica durante l’emergenza epidemiologica
In primis, la convivenza forzata può, all’evidenza, costituire fattore scatenante di elementi latenti di tensione già presenti nelle dinamiche familiari[1].
Tale rischio specifico rinviene adeguata misura di tutela nella necessaria trattazione dei procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari prevista dapprima dall’art. 2, lett. g, n. 1, del D.L. n. 11 dell’8/03/2020 e, poi, dall’art. 83, comma 3, lett. a, del D.L. n. 18 del 17/03/2020[2].
Come noto la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari che possono essere adottati in sede civile, disciplinati dagli artt. 342bis e 342ter del codice civile e 736bis, comma 3, del codice di procedura civile prevedono la possibilità di disporre l’allontanamento del coniuge o del convivente che abbia tenuto una “condotta pregiudizievole” dalla casa familiare, oltre all’adozione di altre misure (intervento dei servizi sociali, versamento di somme per il sostentamento del coniuge o dei familiari etc.). Nella normalità dei casi alla presentazione del ricorso per l’adozione dell’ordine di protezione segue l’emissione di un decreto di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, all’esito della quale il giudice decide sull’istanza.
A causa dei limiti alla circolazione e della convivenza coatta imposta dalle misura di repressione del contagio il momento della notifica del ricorso per l’adozione di ordini di protezione e del decreto di fissazione dell’udienza potrebbe provocare un rischio di esplosione incontrollata di violenza, ovvero creare un clima di tensione potenzialmente idoneo a compromettere l’equilibrio dell’intero nucleo familiare.
A tal fine appare preferibile ricorrere, in questo periodo di emergenza sanitaria, con maggiore frequenza rispetto all’ordinarietà all’adozione di ordini di protezione inaudita altera parte.
Ai sensi dell’art. 736bis c.p.c., infatti, il giudice competente nei casi di urgenza può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione davanti a sé per la conferma, la revoca o la modifica del provvedimento nel pieno contraddittorio tra le parti, entro un termine non superiore a quindici giorni. Al fine di evitare che l’ordine venga emesso senza opportuna istruttoria, seppure sommaria, e sulla base delle mere allegazioni della parte ricorrente, il giudice potrebbe fare maggiore ricorso al potere, previsto dal comma 3 dell’art. 736bis c.p.c., di assumere sommarie informazioni anche prima dell’adozione dell’ordine di protezione (si pensi all’escussione come informatori di vicini di casa o familiari che possano riferire sui fatti di violenza, ovvero all’acquisizione dei verbali di intervento delle Forze dell’Ordine, ove ostensibili). In questo modo la vittima di violenza domestica verrebbe tutelata dal rischio di dover forzatamente convivere con l’autore della violenza nel periodo intercorrente tra la notifica del ricorso e la data di adozione del provvedimento.
In questo senso si è espressa la “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” nella “Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19”[3].
Occorre, infine, rammentare che nell’ambito delle misure a sostegno delle vittime di violenza domestica è attivo il numero di pubblica utilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri 1522, quale strumento teso a sostenere l’emersione della domanda di aiuto[4], soprattutto in questa delicata fase in cui le situazioni di convivenza forzata appaiono suscettibili di incidere negativamente sulla presentazione di richieste di intervento alle autorità competenti (centri antiviolenza, sportelli, interventi da parte delle forze dell’ordine)[5].
3.Frequentazione del figlio da parte del genitore non collocatario
Quanto al profilo riguardante il rapporto genitori-figli, la prima questione da affrontare è la possibilità di ricondurre l’esercizio del diritto di visita ad una ipotesi legittimante l’allontanamento temporaneo dalla abitazione in ragione delle misure restrittive esistenti[6].
Tale interrogativo deve avere certamente risposta positiva.
Sul punto si osserva che la liceità dello spostamento finalizzato alla attuazione della frequentazione da parte del figlio minore del genitore non collocatario rinviene fondamento nel riconosciuto essenziale apporto all’equilibrio psico-fisico del minore correlato alla presenza di entrambi i genitori ossia costituisce misura attuativa del suo diritto alla bigenitorialità, diritto che assume rilievo nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale[7].
In coerenza con tale linea interpretativa, le risposte alle domande frequenti sulle misure adottate dal Governo[8], nel ribadire il divieto di uscire di casa, evidenziano come gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore e per condurli presso di sé siano consentiti nel rispetto delle modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio.
Al contempo, il modulo per l’autodichiarazione, come da ultimo aggiornato in data 26/03/2020[9], espressamente annovera «gli obblighi di affidamento di minori» nell’ambito della elencazione esemplificativa delle circostanze da dichiarare legittimanti lo spostamento.
Il problema, dunque, si sposta sul tema delle possibili limitazioni connesse alla situazione eccezionale e straordinaria di pandemia con riferimento al concreto atteggiarsi del diritto del minore ad intrattenere rapporti con entrambi i genitori, questione che si pone in termini più complessi nelle ipotesi in cui venga in rilievo una situazione qualificata di rischio, come nel caso di genitore appartenente ad una categoria maggiormente esposta all’infezione (si pensi ai medici, agli addetti ai negozi di distribuzione alimentare con contatti con il pubblico, ai farmacisti, ai genitori residenti in zone ad alto rischio etc.).
In altri termini, la questione concerne la disciplina in concreto del diritto di visita.
Nell’analizzare la questione occorre distinguere tra gli aspetti processuali, sempre complessi nella materia in esame caratterizzata dalla parcellizzazione delle competenze tra diverse autorità giudiziarie, e gli aspetti sostanziali[10].
Con riferimento alla individuazione della autorità competente per dirimere il conflitto, diverse possono essere le situazioni di concreto contrasto tra i genitori che potrebbero delinearsi sia nell’ambito di famiglie non ancora formalmente “separate” (perché non sia ancora intervenuto provvedimento di separazione, divorzio ovvero cessazione della convivenza), sia nei casi in cui già sia stato emesso un provvedimento disciplinante l’affidamento dei figli (all’esito di separazione, divorzio, procedimento di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, ovvero di misura limitativa della responsabilità genitoriale emessa ex art. 330 o 333 c.c.).
Tali differenze di fatto, si riverberano sulla competenza dell’autorità giudiziaria chiamata a dirimere l’eventuale contrasto tra i genitori in merito alla frequentazione dei figli.
Nel caso in cui non sia stato ancora emesso un provvedimento disciplinante l’affidamento (si pensi a genitori conviventi ovvero a genitori “separati” di fatto dove manchi una disciplina giuridica dell’affidamento e la divergenza genitoriale attenga solo l’aspetto delle frequentazioni genitore figlio nel corso della pandemia) per dirimere l’eventuale contrasto sulla eventuale frequentazione del figlio ciascuno dei genitori potrà ricorrere “senza formalità”, ai sensi dell’art. 316 c.c. al giudice, indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
Il giudice sentiti i genitori e disposto l’ascolto del minore può suggerire le determinazioni che ritiene più utili e in caso di permanenza del contrasto potrà attribuire il potere di decidere al genitore ritenuto più idoneo (art. 316, comma 3, c.c.).
Si discute in dottrina se tale potere sia rimesso al Giudice tutelare (ex art. 344 e segg. c.c.) ovvero al Tribunale in composizione collegiale (ex art. 38 disp. att., comma 2, c.c.).
Al di là dei diversi orientamenti interpretativi, dal punto di vista dell’efficacia del provvedimento in presenza di un contrasto tale da indurre uno dei genitori a rivolgersi al giudice apparrebbe preferibile inoltrare il ricorso al Tribunale, potendo l’organo collegiale emettere un decreto suscettibile di divenire titolo esecutivo, nel caso in cui il giudice non dovesse riuscire a comporre il contrasto.
Nella diversa ipotesi in cui sia pendente procedimento di separazione, divorzio, affidamento di figli nati fuori dal matrimonio, la domanda potrà essere posta al giudice procedente (di primo o secondo grado) o nelle forme della modifica delle condizioni di affidamento in essere, ovvero nelle forme di ricorso ex art. 709 ter c.p.c., proposto in corso di causa.
Nel caso di procedimento definito sarà possibile proporre al Tribunale in composizione collegiale, ricorso ex art. 709ter c.p.c., ovvero istanza di modifica delle condizioni di separazione e divorzio in ragione della sopravvenienza ex art. 710 c.p.c. ed ex art. 9 L. Div.
Nei casi in cui non si richieda la modifica dei provvedimenti vigenti, ma la domanda sia limitata a richiedere interventi attuativi dei provvedimenti in essere potrà essere proposta istanza al Giudice tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c., considerando tuttavia i limitati poteri del giudice tutelare, che non potrà intervenire per disporre eventuali modifiche del provvedimento vigente qualora non concordate tra i genitori.
Nel caso di provvedimenti che disciplinino le frequentazioni dei figli nell’ambito di misure limitative della responsabilità genitoriale adottate dal Tribunale per i minorenni ex art. 330 e 333 c.c. (si pensi ai minori collocati in strutture ovvero in famiglie affidatarie), competente a dirimere eventuali contrasti in relazione alle frequentazioni genitore prole, deve ritenersi sia il giudice che ha adottato la misura, pertanto sarà compente il Tribunale specializzato.
Quanto alle modalità procedurali, tali istanze sicuramente devono ritenersi connotate da urgenza e pertanto rientranti tra quelle per le quali il capo dell’ufficio giudiziario, il suo delegato, ovvero il giudice procedente (giudice istruttore o presidente del Collegio) sono chiamati a pronunciare l’urgenza per la trattazione anche nel periodo di sospensione dell’attività giudiziaria a causa della pandemia, ex art. 83, comma 3 lett. a, ultimo capoverso, del D.L. 17/03/2020, n.18.
La sussistenza dell’emergenza sanitaria in essere suggerisce la trattazione del procedimento con udienza da svolgere mediante lo scambio e il deposito telematico di note scritte contenenti istanze e conclusioni secondo quanto previsto dall’art. 83, comma 7, lett. h, del citato D.L.
Deve, infatti, essere segnalato l’orientamento interpretativo, seguito da numerosi Tribunali, che ha previsto il ricorso a tale modalità di svolgimento dell’udienza anche nel periodo di sospensione delle udienze civili, pure in mancanza di specifiche misure dettate a tal fine dai capi dell’Ufficio giudiziario.
Quanto all’ascolto del minore la necessità di limitare l’accesso a luoghi pubblici a tutela della sua salute impone che all’adempimento si ricorra solo ove assolutamente necessario, curando che lo stesso si svolga con modalità di collegamento remoto di cui all’art. 83, comma 7, lett. f, D.L. 18/2020.
Passando all’esame del profilo riguardante il merito delle decisioni, va osservato che l’intervento del giudice presenta all’evidenza carattere solo eventuale e subordinato all’emergere di una contrapposta posizione dei genitori.
Difatti, come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza di merito già pronunciatasi in materia, occorre rimarcare che la responsabilità genitoriale impone, in primo luogo, ai genitori nell’esercizio del munus loro demandato di individuare le misure adeguate a tutelare la salute della prole[11] in un contegno che non può che essere ispirato da reciproca e qualificata collaborazione e da fiducia nell’altro, in assenza di effettivi e concreti elementi indicatori di atteggiamenti inadeguati.
Al contempo e in una prospettiva speculare, è obbligo specifico del genitore che sia stato esposto ad alto rischio di contagio di adottare, in attuazione del principio di autoresponsabilità, ogni misura idonea a preservare il figlio da possibile infezione, nonché di evitare di esporre il minore, nella attuazione del diritto di visita, ad un pericolo per la sua incolumità con riferimento ai luoghi frequentati[12].
Dunque, laddove il contrasto tra i genitori sia sottoposto all’attenzione della autorità giurisdizionale, si impone una attenta valutazione, caso per caso, della fattispecie concreta che dia conto in maniera rigorosa della sussistenza di un pericolo di pregiudizio, tale da determinare una esigenza di tutela rafforzata della prole, al fine di correttamente individuare il concreto interesse del minore, venendo in rilievo una decisione da assumere nei suoi confronti[13].
In particolare, in tali casi il giudice è chiamato ad operare una delicata operazione di bilanciamento degli interessi in gioco, in cui i valori di riferimento potenzialmente confliggenti sono rappresentati, da un lato, dal diritto alla bigenitorialità del minore, e, dall’altro, dal diritto alla salute[14].
L’individuazione del best interest of the child nella fattispecie in esame non appare dall’esito scontato, venendo in rilievo diritti di rilievo costituzionale di primaria importanza ossia diritti fondamentali della persona.
Nelle prime pronunce intervenute nella giurisprudenza di merito, a fronte di una lettura che assegna prevalenza al diritto alla bigenitorialità del minore, sia pure con le necessarie cautele imposte dalla emergenza epidemiologica[15], altro orientamento ha evidenziato la prevalenza del diritto alla salute ex art. 32 Cost., anche nella prospettiva della tutela della collettività, e delle misure limitative del diritto alla libera circolazione legalmente stabilite ai sensi dell’art. 16 Cost[16].
In ogni caso, anche nelle ipotesi in cui l’interprete approdi ad una soluzione favorevole ad assicurare preminente rilievo al diritto alla salute, escludendo la frequentazione con il genitore, appare auspicabile e utilmente percorribile l’introduzione di modalità di relazione con regolamentazione specifica mediante sistemi di comunicazione a distanza (quali skype, whatsapp e simili), al fine di attenuare gli effetti correlati alla temporanea sospensione della frequentazione figlio-genitore[17].
Appare preferibile un orientamento che giustifichi la compressione del diritto del minore a godere della bigenitorialità solo in presenza di oggettive e specifiche ragioni di tutela della salute proprie del caso concreto (per esempio in considerazione della specifica attività lavorativa prestata dal genitore, ovvero della provenienza da zone “rosse” o da contesti abitativi esposti in misura rilevante al pericolo di contagio, ovvero dall’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici per raggiungere il minore), con congrua motivazione sul punto.
Il generico riferimento alla emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio a godere di congrua frequentazione di entrambi i genitori, dovendo ritenersi che permanere con il genitore non coabitante presso l’abitazione dello stesso, quando sia assicurato il trasporto in sicurezza, sia a livello di rischio individuale e collettivo inferiore rispetto al rischio cui si è esposti per far fronte ad altri adempimenti (quali l’approvvigionamento di generi di prima necessità).
4. Cenni alla frequentazione degli ascendenti
Con riferimento alla frequentazione degli ascendenti, va considerato che i nonni, sovente di avanzata età, rientrano nelle categorie maggiormente esposte al contagio da Covid-19 e, per tale ragione, la frequentazione dei nipoti introduce un elemento di rischio di contagio.
Va, inoltre, evidenziato che il diritto dei nonni di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni ex art. 317bis c.c. non è equiparabile al diritto di visita previsto in favore dei genitori e non costituisce un diritto assoluto degli ascendenti, assumendo piuttosto valenza strumentale alla realizzazione dell’interesse esclusivo del minore[18].
Alla stregua dei superiori elementi, sembra, pertanto, possibile sostenere che, nella operazione di bilanciamento degli interessi, la tutela della salute debba ricevere prioritaria ed adeguata considerazione, rendendo preferibile il ricorso a mezzi di comunicazione a distanza ai fini della conservazione di rapporti significativi tra nonni e nipoti.
Proprio per le ragioni esposte, a fronte dell’elevato rischio di contagio in capo agli anziani, le risposte alle domande frequenti sulle misure adottate dal Governo autorizzano quale misura residuale la collocazione temporanea dei minori presso i nonni esclusivamente per ragioni di lavoro o di forza maggiore che interessano i genitori, precisando che detta soluzione è comunque sconsigliata e, al contempo, indicano quale soluzione assolutamente preferibile quella secondo cui i figli minori rimangono collocati presso i genitori in congedo ovvero in modalità di lavoro agile[19].
5.Frequentazione in modalità protetta
La tematica in esame presenta ulteriori profili di complessità nei casi in cui la frequentazione sia sottoposta a particolari cautele mediante un regime di incontri secondo modalità protetta ossia con il coinvolgimento dei Servizi socio-sanitari.
I richiamati profili di complessità sono correlati, in primis, alla problematica relativa alle risorse disponibili in capo ai Servizi territoriali, chiamati a confrontarsi con una situazione emergenziale che impone l’uso attento dei mezzi posseduti[20].
Occorre, altresì, evidenziare che le modalità di frequentazione in modalità protetta rinviano alla presenza del genitore, del minore e dell’operatore socio-sanitario presso una struttura (cd. spazio neutro) ossia al contatto tra i soggetti interessati in un luogo frequentato anche da altre persone, con conseguente configurabilità in concreto di un rischio di contagio.
Non trascurabile, inoltre, nell’attuale emergenza sanitaria la necessità di sanificazione delle strutture con elevata frequentazione di utenti, con costi e impegno di mezzi e personale che sarebbe opportuno non distogliere dalle strutture di cura.
Ne consegue che non appare possibile nella attuale situazione emergenziale e nella vigenza delle misure di contrasto adottate sostenere la prosecuzione degli incontri secondo tali modalità[21].
Tuttavia, anche in tale ipotesi il supporto mediante collegamenti da remoto - ossia con videochiamata (audio-video) - dei soggetti interessati ben potrà garantire l’attenuazione dei negativi effetti derivanti dalla sospensione totale dei contatti nel rispetto del superiore interesse del minore, contatti audio video da organizzare con la necessaria presenza dell’operatore del servizio sociale (senza rischi per lo stesso trattandosi di modalità di lavoro attuabile a distanza).
Difatti, la vigilanza dell’operatore appare necessaria perché in grado di consentire un pronto intervento nel caso in cui il genitore in occasione dei collegamenti dovesse assumere condotte inadeguate o anche solo idonee ad ingenerare tensione nell’atteggiarsi della relazione genitoriale, così da assicurare che le forme di contatto avvengano in concreto nell’esclusivo interesse del minore.
In altri termini, nelle fattispecie in questione la tutela del diritto alla bigenitorialità del minore, di cui è componente la continuità della relazione genitoriale, non potrà che avvenire mediante tali modalità a distanza, assumendo rilievo preminente la tutela della salute in ragione dell’elevato rischio correlato alla frequentazione di ambienti esterni, dovendosi necessariamente procedere alla sospensione degli incontri[22].
Analoghe e ancor più rilevanti problematiche si pongono in relazione alla presenza di minori presso le comunità, parimenti interessate da rischio di contagio elevato.
In queste situazioni appare preminente la tutela dell’interesse collettivo alla minimizzazione del rischio di contagio nelle strutture di accoglienza, che spesso ospitano un certo numero di minori, rispetto alla momentanea compressione del diritto del figlio e del genitore alla frequentazione (da assicurare comunque con videochiamate).
Per tale ragione alcuni Tribunali per i Minorenni hanno disposto la sospensione delle visite all’interno delle strutture e dei rientri dei minori in famiglia.
Ulteriore difficoltà si rilevano per tutte quelle situazioni nelle quali era previsto l’inserimento dei minori in famiglie affidatarie.
In queste ipotesi il necessario coinvolgimento degli operatori specializzati dei servizi sociali chiamati a verificare la positività dell’inserimento del minore nella nuova famiglia, con contatti frequenti e periodici, sconsigliano la prosecuzione del percorso, da rinviare al termine dell’emergenza per garantire la sicurezza del minore e minimizzare i rischi di diffusione del contagio.
6. Conclusioni
Come per ogni decisione relativa a minori non è possibile dettare principi che possano valere nella generalità dei casi, essendo necessaria la valutazione del caso concreto, rilevando che comunque nel bilanciamento tra interessi parimenti fondamentali quali il diritto del minore a godere dell’accudimento, della frequentazione, della presenza di entrambi i genitori e il diritto alla tutela della salute individuale e collettiva, quest’ultimo possa prevalere non in linea astratta ma solo in presenza di concrete ed oggettive situazioni che possano esporre il minore a effettivo rischio di contagio ovvero aumentare considerevolmente il rischio di diffusione dell’epidemia.
Rilevando comunque che il primo sforzo deve essere compiuto da parte dei genitori per esercitare il ruolo genitoriale in maniera condivisa mediante la individuazione di soluzioni di tutela della prole senza l’intervento di terzi.
[1] Cfr. sul punto circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 27 marzo 2020 nella quale si legge «I divieti imposti in materia di circolazione delle persone fisiche potrebbero, infatti, accentuare situazioni conflittuali preesistenti, determinando un sommerso di violenze e maltrattamenti»
[2]L’art. 83, comma 3, lett. a del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 inserisce i procedimenti per l’adozione di ordine di protezione contro gli abusi familiari tra i procedimenti la cui trattazione non è stata sospesa;
[3] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, consultabile sul sito del Senato, a fronte del rischio di una maggiore esposizione alla violenza domestica ed assistita correlato alla attuale situazione di emergenza, si raccomanda di valutare l’emanazione dell’ordine di protezione ex artt. 342bis e ss. c.c. inaudita altera parte, riservando l’instaurazione del contraddittorio nel momento in cui l’allontanamento sia stato già eseguito ed, al contempo di onerare le forze dell’ordine dell’esecuzione dell’ordine di allontanamento con la notifica del provvedimento contenente la fissazione dell’udienza
[4] Cfr. sul punto circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 27 marzo 2020, cit. nella quale si legge: «Come misura a sostegno delle vittime in parola è attivo, come noto, il numero di pubblica utilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri –Dipartimento per le Pari Opportunità 1522 che, nel sostenere l’emersione della domanda di aiuto, può veicolare, nei casi di emergenza, una richiesta di intervento alle forze di Polizia, direttamente alle sale operative ovvero contattando il NUE 112»
[5] La Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., sul punto evidenzia che nel periodo di emergenza Covid-19 si è registrato un calo delle denunce significativo, con conseguente riduzione degli interventi da parte delle Forze dell’ordine, calo che può essere posto in relazione non già con una situazione «di regressione» ma quale «segnale di una situazione nella quale le donne vittime di violenza rischiano di trovarsi ancora più esposte alla possibilità di controllo e all’aggressività del partner maltrattante», evidenziando la necessità da parte del Parlamento e del Governo di «predisporre misure e risorse economiche aggiuntive e procedure più snelle per garantire misure di protezione, sostegno e accoglienza alle donne e ai minori coinvolti, assicurando in particolare l’operatività –in piena sicurezza – delle strutture antiviolenza»;
[6] Il divieto di spostamento delle persone fisiche anche all’interno del territorio è stato introdotto dapprima nella cd. zona rossa dall’art. 1 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8/03/2020, con l’eccezione degli spostamenti «motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute»; l’estensione all’intero territorio nazionale delle misure è stata, quindi, prevista dall’art. 1 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9/03/2020, contenente, altresì, espresso divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico; il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22/03/2020 ha, poi, previsto il divieto nei confronti di tutte le persone fisiche di «trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute»;
[7]Sul rilievo del diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale, v. C. Cost. 25 gennaio 2017, n. 17 e C. Cost. n. 76 del 12 aprile 2017; sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, v. sentenza C. Edu del 9/02/2017, nel caso Solarino c. Italia; sulla necessità da parte delle autorità nazionali di adottare ogni misura idonea a rendere effettivo il rapporto tra il genitore e la prole, v. C. Edu, 17 novembre 2015, Bondavalli c. Italia; sull’importanza del rispetto del principio della bigenitorialità, quale presenza nella vita dei figli, e sulla conseguente necessità di sottoporre ad un controllo rigoroso le restrizioni apportate dalla autorità al diritto di visita dei genitori: v. Cass. 8 aprile 2019, n. 9764;
[8] Le FAQ sono consultabili sul sito htpp://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa, sotto la voce “spostamenti”;
[9] Il modulo è consultabile sul sito www.interno.gov.it.;
[10] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., si evidenzia la necessità di modificare sul sito www.governo.it la risposta alla domanda sul diritto di visita della prole mediante l’espressa indicazione che nel caso di difficoltà nell’attuazione dei provvedimenti di affidamento dei figli, o di contrasto tra i genitori, è possibile chiedere l’intervento del giudice competente segnalando l’urgenza ai sensi dell’art. 83, comma 3, lett. a del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18".
[11] Il riferimento è al decreto adottato dal T. di Milano, l’11 marzo 2020, edito nel portale telematico IlFamiliarista.it; in senso conforme il decreto emesso in data 20 marzo 2020 dal Giudice Tutelare presso il T. di Benevento: «anche nella situazione emergenziale attuale non possono essere la legge, le ordinanze del Presidente della Regione o i provvedimenti della Autorità giudiziaria a proteggere la salute dei bambini, ma il comportamento dei genitori (così come già chiarito dal Tribunale di Milano l’11/03/2020)»;
[12] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., si propone la modifica sul sito www.governo.it della risposta alla domanda sul diritto di visita della prole mediante la espressa introduzione della compilazione da parte del genitore di una autocertificazione in cui dichiari di non essere un soggetto esposto ad alto rischio di contagio o che il luogo dove intende condurre i figli non espone gli stessi ad un pericolo per la loro incolumità;
[13] Sulla necessità di «considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano», v. C. Cost. 18 dicembre 2017, n. 272, in motivazione, anche per il richiamo a numerosi precedenti; sul fondamentale rilievo da attribuire al best interest of the child, cfr. C. giust. 16 luglio 2015, C-184/2014, che in motivazione espressamente richiama la necessità di adottare letture conformi all’art. 24, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; per l’enunciazione dell’interesse morale e materiale del minore quale criterio fondamentale che deve guidare l’interprete: v. Cass. 23 ottobre 2017, n. 25055; Cass. 30 luglio 2018, n. 20151; Cass. 7 ottobre 2019, n. 22219; sulla applicazione dell’interesse superiore del minore quale elemento che giustifica una regolamentazione del diritto di visita tale da privilegiare le esigenze di stabilità nelle abitudini di vita del figlio rispetto al regime di frequentazione più ampio invocato dal padre, v. Cass. 7 ottobre 2019, n. 24937;
[14] Sulla possibilità del bilanciamento diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori con interessi contrapposti, di rilievo costituzionale, quali ad esempio quelli della di difesa sociale, v. C. Cost. 25 gennaio 2017, n. 17 e C. Cost. 12 aprile 2017, n. 76;
[15] Il T. di Palermo, con ordinanza del 27 marzo 2020, adottata in un ricorso ex art. 709 ter c.p.c., ha ammonito il genitore inadempiente in ordine all’osservanza del provvedimento vigente in punto di diritto di visita del padre, imponendo la adozione di «ogni cautela nel rispetto delle indicazioni, circa gli spostamenti nella città e le misure di igiene previste nei provvedimenti governativi adottati per l’emergenza Covid-19»;
[16] Il T. di Bologna, con decreto del 23 marzo 2020, ha disposto la sospensione delle visite paterne fino al 15 aprile 2020, evidenziando la necessità di contemperare «il diritto di visita con l’esigenza della tutela della collettività e con la correlata limitazione degli spostamenti delle persone, allo stato consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza ovvero per motivi di salute»; A. Bari, con decreto del 26/03/2020, ha sospeso le frequentazioni tra il genitore non collocatario e il minore fino al 3 aprile 2020, in ragione della residenza del genitore in diverso Comune; il T. di Bari, con provvedimento del 26/03/2020, ha parimenti privilegiato nella operazione di bilanciamento la tutela del diritto alla salute mediante la sospensione del diritto di visita del genitore non collocatario fino alla cessazione della emergenza epidemiologica, invocando il DPCM del 22 marzo 2020 nella parte in cui prevede il divieto di spostamento in un Comune diverso, ad eccezione delle ipotesi in cui vengano in rilievo comprovate esigenze di lavoro, di assoluta urgenza, ovvero motivi di salute e, comunque, le limitazioni vigenti sull’intero territorio nazionale in virtù del DPCM 8/03/2020 e del DPCM 9 marzo 2020, nonché rimarcando l’irrilevanza della risposta alle FAQ –nella parte in cui consente di ricondurre il diritto di visita alle situazioni di necessità di cui al DPCM 8 marzo 2020- poiché mero indirizzo interpretativo non inquadrabile nella fonte normativa;
[17] T. di Bologna, decreto del 23 marzo 2020, cit.; v. anche decreto A. Bari, cit., che ha disposto l’esercizio del diritto di visita paterno fino alla data del 3/04/2020 mediante «lo strumento della videochiamata, o skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati e secondo il medesimo calendario», con previsione che in concreto verosimilmente potrà introdurre difficoltà di integrale attuazione, essendo improbabile che un minore riesca a permanere dinanzi al video per molte ore consecutive.
[18] Cass. 11 agosto 2011, n. 17191: «L'art. 1, comma primo, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l'art. 155 cod. civ., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale), non attribuisce ad essi un autonomo diritto di visita, ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata». Principio ribadito anche a seguito della riforma della filiazione intervenuta con la l. n. 219/2012 e con il d.lgs. n. 154/2013, cfr. Cass. 21 giugno 2018, n. 15328: «Il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall'art. 317bis c.c., coerentemente con l'interpretazione dell'articolo 8 Cedu fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, non ha un carattere incondizionato, ma il suo esercizio è subordinato ad una valutazione del giudice avente di mira l'esclusivo interesse del minore. La sussistenza di tale interesse - nel caso in cui i genitori dei minori contestino il diritto dei nonni a mantenere tali rapporti - è configurabile quando il coinvolgimento degli ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con i genitori per l'adempimento dei loro obblighi educativi, in modo tale da contribuire alla realizzazione di un progetto educativo e formativo volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore»;
[19] Le FAQ sono consultabili sul sito htpp://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa, sotto la voce spostamenti;
[20] Al riguardo, si evidenzia che in alcune realtà locali i Servizi sanitari hanno comunicato agli Uffici giudiziari la difficoltà di adempiere con puntualità le statuizioni contenute nei provvedimenti giurisdizionali, poiché costretti a limitare gli interventi esclusivamente alle prestazioni mediche e farmacologiche non procrastinabili;
[21] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., si raccomanda di disporre la sospensione su tutto il territorio nazionale delle visite protette stabilite in pendenza di procedimento penale per i reati di cui all’art.1 legge 2019, n. 69 ai danni della madre.
[22] v. T. di Terni, ordinanza del 30 marzo 2020, adottata inaudita altera parte, previa dichiarazione d’urgenza ex art. 83, comma 3, D.L. n. 18/2020, secondo il quale, nell’operazione di bilanciamento del diritto di rango costituzionale della bigenitorialità ex art. 30 Cost. e di quello alla salute ex art. 32 Cost., è necessario prevedere nel disposto regime di incontri protetti una modalità di frequentazione che «pur assicurando il costante contatto non metta a rischio la salute psicofisica dei minori», prevedendo a tal fine l’utilizzo di «modalità da remoto, quali ad esempio video chiamate (skype ovvero con chat whatsapp, ovvero con ogni altra modalità compatibile con le dotazioni nella disponibilità degli operatori e dei genitori) previa idonea preparazione dei figli, attuata con le medesime modalità, e assicurando che sia l’operatore a mettere in contatto il padre con ciascuno dei figli» con la precisazione che l’operatore dovrà assicurare la propria presenza per l’intera durata della chiamata.
La violenza nei confronti delle donne durante l’emergenza sanitaria
di Teresa Manente, avvocata penalista, responsabile dell’ufficio legale Associazione Differenza Donna
sommario: 1. I dati - 2. L’emergenza covid-19 - 3. Strumenti normativi specifici esistenti
1. I dati
Il 25 novembre 2019, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, le indagini diffuse dai media hanno rappresentato un quadro ancora preoccupante: ogni tre giorni in Italia viene uccisa una donna e ogni 15 minuti una donna subisce una qualche forma di violenza, come emerge dal rapporto Femminicidio e violenza di genere in Italia della Banca Dati EURES pubblicato il 20 novembre 2019[1]. Nello stesso documento si riporta che nel 2018 sono state uccise 142 donne (+0,7% rispetto al 2017), di cui 119 in famiglia (+ 6,3%) e solo nei primi mesi del 2019 le donne uccise ammontano a 102. L’EURES sottolinea che mai «sul totale degli omicidi si era registrata una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%)», in un contesto sociale nel quale si registra una diminuzione complessiva degli omicidi restituendo la fotografia di un paese nel complesso più sicuro[2].
Sempre il 25 novembre 2019 sono stati diffusi anche i risultati della ricerca condotta dall’Istat su Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, da cui emerge in tutto il suo spessore il problema culturale e sociale sotteso alla violenza nei confronti delle donne: una persona su quattro (uomini e donne) si dice convinta che la violenza dipende dai comportamenti delle donne. In particolare, con riferimento alla violenza sessuale è emersa l’opinione diffusa in base alla quale tale reato sia determinato da come le donne si vestono e in generale si ritiene che sia sempre possibile, se si vuole, sottrarsi all’aggressione sessuale (poco meno del 40%). Nel solco del medesimo pregiudizio, il 15% degli intervistati ritiene che se la donna ha bevuto alcolici è responsabile della violenza subita. Il 10% della popolazione, inoltre, sostiene che le denunce di violenza sessuale siano per lo più false e che, anche quando le donne rifiutano un rapporto sessuale, in realtà il loro comportamento sottende un’adesione allo stesso (il 7,2%). Come se non bastasse, il 7,4% delle persone intervistate ritiene accettabile che il fidanzato schiaffeggi la sua ragazza «perché ha flirtato con un altro» e ben il 17,7 % considera normale che un uomo controlli il cellulare o gli account dei social della compagna[3].
Quello che emerge, dunque, è una cultura dominante intrisa di pregiudizi discriminatori, come riconosciuto da tutti gli organismi internazionali, sia a carattere universale, come le Nazioni Unite[4], sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa[5].
Conseguenza diretta di questo atteggiamento culturale dinanzi alla violenza che le donne subiscono nella società è la sottovalutazione della gravità stessa del fenomeno che incide anche sulla qualità ed effettività della risposta istituzionale.
2. L’emergenza covid-19
Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria in cui la quotidiana condivisione dello spazio abitativo con il partner violento non trova interruzione e la libertà della circolazione è limitata, il rischio per l’incolumità delle donne e dei bambini è molto alto e costante è il pericolo dell’escalation delle condotte violente, che da lesive del patrimonio morale della persona offesa, possono trasmodare in violenza fisica, non di rado alla presenza dei figli e delle figlie minorenni. In particolare, le donne riferiscono di essere oggetto di un controllo pervasivo di tutti i dispositivi di comunicazione di cui dispongono (dal telefono al computer) che impedisce loro di beneficiare di uno spazio riservato per poter riferire i fatti che accadono e inibisce ogni richiesta di aiuto, dal momento che il sospetto di un loro atto di ribellione potrebbe innescare comportamenti ritorsivi ancora più gravi.
Questa situazione è stata rilevata in gran parte dei paesi interessati da misure di contenimento dell’epidemia, tanto che Segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, ha espresso preoccupazione per l’aumento della violenza domestica durante l’isolamento dovuto al Coronavirus, riferendo di numerose segnalazioni degli Stati membri sul tema nelle ultime settimane relative agli ostacoli all’emersione della violenza tra le mura domestiche. La Segretaria generale sul punto ha sottolineato che i numeri telefonici di assistenza hanno ricevuto una quantità di chiamate quattro volte inferiore rispetto al solito, mentre sarebbero aumentati i messaggi istantanei diretti alle organizzazioni di soccorso pertinenti in tutta Europa[6].
Medesimo allarme è stato lanciato dall’Associazione Differenza Donna che a partire dal 9 marzo ha registrato una diminuzione pari all’85% degli accessi delle donne ai centri antiviolenza e agli sportelli gestiti, rimasti attivi 24 ore su 24, pur adottando tutte le misure di sicurezza coerenti con le disposizioni entrate in vigore[7]. Si rileva, inoltre, anche una riduzione degli invii delle donne presso le strutture protette da parte delle forze dell’ordine.
La Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, On. Valeria Valente, recependo le segnalazioni delle organizzazioni di donne impegnate nella prevenzione della violenza maschile sul territorio nazionale, ha confermato il dato europeo della diminuzione non solo degli accessi fisici e di telefonate delle donne ai centri antiviolenza, sportelli antiviolenza e al 1522 (numero nazionale antiviolenza), ma anche delle stesse notizie di reato per maltrattamenti contro familiari e conviventi, passate dai 1.157 dei primi 22 giorni del marzo 2019 ai “soli” 652 dello stesso periodo di quest’anno[8].
Tra le misure concordate con i Ministeri competenti, si segnala l’incremento della pubblicizzazione del numero 1522, sono state prese misure volte a rifornire i centri antiviolenza di adeguati strumenti di protezione e misure volte ad assicurare un coordinamento diretto e costante tra le forze dell’ordine e i centri antiviolenza per un pronto intervento.
Con riguardo alla risposta delle autorità, occorre ribadire la necessità della piena attuazione di tutti gli strumenti utili che il nostro ordinamento prevede per garantire immediata protezione alle vittime, obbligo che costituisce un pilastro del sistema di misure che gli ordinamenti sono tenuti ad adottare e che impone, prima di tutto, di allontanare l’autore della violenza dalle vittime, quindi prioritario non è solo rinvenire nuove strutture per l’ospitalità in emergenza, ma assicurare alle donne di poter rimanere nelle loro case in sicurezza, e non solo dal rischio di contagio.
In questa direzione si pone la circolare n. MI-123-U-C-3-2-2020-25 del 27 marzo 2020 del Ministero dell’interno a firma del direttore generale della pubblica sicurezza Franco Gabrielli, che nel suo atto di indirizzo sollecita l’applicazione delle misure personale di prevenzione per una tutela immediata delle vittime.
3. Strumenti normativi specifici esistenti
Sempre, e non solo “in tempi di Coronavirus” sarebbe auspicabile un intervento attuativo delle molteplici misure di prevenzione e protezione, gradate e proporzionato all’entità del pericolo che caso per caso viene rilevato, evitando ogni forma di vittimizzazione secondaria alle vittime di reato, tra le quali rientra anche l’essere costretti a lasciare la propria abitazione per mettersi al riparo dai maltrattanti. A tal riguardo, giova ricordare proprio in questo frangente che il nostro ordinamento normativo dispone di misure in grado di assicurare in maniera tempestiva protezione alle donne (arresto in flagranza, ordine di allontanamento urgente dalla casa familiare, misure cautelari specifiche e ordini di protezione in sede civile), strumenti che, se applicati in maniera rigorosa, eviterebbero la necessità di fuga dalla casa familiare da parte delle donne consentendo un’adeguata tutela della loro incolumità e quella dei figli minori[9].
Nonostante la loro innegabile efficacia e la complessiva snellezza procedurale che il legislatore ha previsto per gli istituti richiamati, se ne registra una diffusa disapplicazione sul territorio nazionale, non di rado correlata alla scarsa credibilità che si riconosce ancora alle donne[10].
Mi limito in questo contributo a richiamare l’attenzione in sede penale sull’ordine di allontanamento urgente dalla casa familiare previsto dall’articolo 384-bis c.p.p. e in sede civile sugli ordini di protezione dagli abusi familiari di cui agli articoli 342-bis c.c..
Con riferimento all’allontanamento urgente dalla casa familiare introdotto all’articolo 384-bis c.p.p. si evidenzia che l’istituto disciplinato, di fatto ignorato nella prassi, proprio in questo periodo di emergenza rivela la sua utilità, poiché consente «previa autorizzazione del pubblico ministero anche resa oralmente e confermata in via telematica», di intervenire in maniera tempestiva e adeguata a proteggere la vittima da ulteriori violenze. Giova ricordare, inoltre, che l’articolo 384-bis c.p.p. consente l’allontanamento urgente dall’abitazione familiare per minacce gravi (articolo 612 co. 2 c.p.), lesioni volontarie, anche lievissime, se vi è querela e siano aggravate (per esempio se il fatto è commesso con armi, contro coniuge o convivente o persona legata da relazione affettiva). Trattasi di norma che si prefigge, infatti, lo scopo di dotare l'autorità giudiziaria, e, in particolare, la polizia giudiziaria, di un efficace e pronto strumento di contrasto alla violenza domestica in presenza di quelle fattispecie “spia” dei maltrattamenti[11]. Qualora l'indagato, raggiunto da un ordine di allontanamento urgente dall'abitazione familiare ai sensi dell'articolo 384-bis, si renda irreperibile, ponendosi pertanto nella condizione di non essere raggiunto dall'avviso di fissazione dell'udienza di convalida e di non rendere l'interrogatorio di garanzia, si realizza una causa impeditiva che non esonera il giudice dal dovere di procedere comunque alla convalida, in presenza dei presupposti di legge[12], valutando inoltre l’opportunità di applicare le misure cautelari previste dagli articoli 282-bis e 282-ter c.p.p.
Dopo l’entrata in vigore delle disposizioni per l’emergenza sanitaria, i centri antiviolenza hanno ricevuto richiesta di aiuto da donne che a seguito di intervento delle forze dell’ordine sono state costrette loro ad allontanarsi dalla casa familiare e a chiedere ospitalità a parenti o amici proprio su indicazione degli operanti intervenuti, perché le violenze rappresentate alle forze dell’ordine non sono state ritenute “abbastanza gravi” per allontanare l’autore delle condotte illecite in via d’urgenza. A titolo esemplificativo, riporto il caso di una donna per la quale il pubblico ministero non ha autorizzato le forze dell’ordine a procedere all’allontanamento urgente pur in presenza di lesioni che a seguito di accesso al pronto soccorso sono state giudicate guaribili in dieci giorni. La donna è stata costretta, di conseguenza, a lasciare la casa familiare e a rifugiarsi presso i suoi genitori anziani insieme ai figli minorenni, poiché, alla luce del rischio di contagio attuale, non è stato possibile prospettare un immediato ingresso nelle strutture protette sul territorio di riferimento[13].
Al riguardo, si precisa che va sempre valutata prioritariamente l’adozione di misure di allontanamento dall’abitazione familiare dell’autore delle condotte illecite e non delle vittime anche allorché queste ultime siano state costrette a fuggire dalla casa di convivenza, per consentire loro il tempestivo rientro, considerando la possibilità di applicazione della modalità di controllo con il cosiddetto braccialetto elettronico[14].
Anche in sede civile sono previsti ordini di protezione (disciplinati dagli articoli 342-bis, 342-ter codice civile; articolo 736-bis c.p.c), che l’autorità giudiziaria, su ricorso della parte interessata, può adottare anche inaudita altera parte, ossia prima di instaurare il contraddittorio, ordinando l’immediato allontanamento del partner violento dalla casa familiare che sia «causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente»[15].
Si consideri che gli ordini di protezione rientrano tra le materie la cui trattazione non è sospesa dal D.L. 17 Marzo 2020, n.18, tuttavia rimangono di scarsa applicazione e ancora più raramente è considerata l’opzione dell’emanazione della misura di protezione posticipando il contraddittorio, che sarebbe salvifica nella situazione attuale per tutelare al massimo l’incolumità di coloro che sono esposte alle condotte pregiudizievoli: una volta depositato il ricorso, i giudici, di regola, fissano un termine per la notificazione alla controparte del ricorso con fissazione dell’udienza. Ciò mette in pericolo l’incolumità della donna, perché il partner violento, venuto a conoscenza del ricorso, può peggiorare la sua condotta. È questo quanto accaduto a una donna che l’11 marzo, in attesa dell’udienza di trattazione a seguito della sua richiesta di ordine di allontanamento, si è vista aggredita dal convivente con un coltello; l’uomo è stato arrestato, solo grazie all’intervento immediato delle forze dell’ordine, allertate dal figlio e dal centro antiviolenza.
Anche nel caso degli ordini di protezione previsti dal codice civile, non è d’ostacolo all’adozione del provvedimento il temporaneo allontanamento dalla casa di convivenza delle donne che chiedono la misura di protezione, dal momento che non occorre che la coabitazione sia in atto al momento della pronuncia «quando vi sia stato un allontanamento dalla casa familiare provocato dal profondo timore di subire violenze fisiche, mantenendo peraltro presso la stessa il centro degli interessi materiali ed affettivi»[16], giungendo a chiarire la giurisprudenza che gli ordini di protezione contro gli abusi familiari «non hanno soltanto la funzione di interrompere situazioni di convivenza turbata, ma soprattutto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare, a prescindere dal perdurare o meno della convivenza tra le parti al momento del fatto»[17].
Dalle brevi considerazioni esposte, si comprende come l’emergenza sanitaria in corso non costituisca un concreto e oggettivo impedimento per le autorità di adottare nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne le misure adeguate ed effettive necessarie caso per caso, in attuazione degli obblighi interni e internazionali, derivanti tra l’altro, dall’articolo 50 Convenzione di Istanbul, che impone alle autorità incaricate dell’applicazione della legge di affrontare «in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime, nonché garantire che le autorità incaricate dell’applicazione della legge operino in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza, anche utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove», valutando con attenzione ai sensi dell’articolo 51 Convenzione di Istanbul «il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, al fine di gestire i rischi e garantire, se necessario, un quadro coordinato di sicurezza e di sostegno».
In definitiva, l’epidemia di Convid-19 non offre giustificazione alcuna né alle condotte illecite che si stanno registrando nelle ultime settimane nei confronti delle donne, poiché fenomeno radicato nella struttura delle relazioni nella nostra società ancora governate da un diffuso sessismo, né all’inadeguatezza delle risposte delle autorità alle richieste di protezione proveniente dalle donne, bensì offre occasione di autocritica a tutti gli operatori del diritto, dal momento che conferma come gli istituti di cui l’ordinamento italiano si è dotato negli ultimi venti anni per far fronte al fenomeno della violenza di genere non siano effettivi, solo perchè applicati in modo superficiale o interpretati contro la ratio legis loro sottesa.
[1]F. Piacenti, Femminicidio e violenza di genere in Italia, EURES, 2019, https://www.eures.it/sintesi-femminicidio-e-violenza-di-genere-in-italia/.
[2] Ibidem.
[3]Istat, Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, 25 novembre 2019, https://www.istat.it/it/files/2019/11/Report-stereotipi-di-genere.pdf.
[4] Ex multis si rinvia a Comitato Cedaw, Raccomandazione generale n.19: Violenza nei confronti delle donne, doc. A/47/38, 1992.
[5] Si veda il preambolo della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul nel 2009, ratificata dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, ed entrata in vigore il 1° agosto 2014.
[6] Si rinvia all’intervista rilasciata dalla Segretaria Generale del Consiglio d’Europa Marija Pejčinović Burić alla Deutsche Presse Agentur (DPA), https://www.coe.int/it/web/portal/-/covid-19-crisis-secretary-general-concerned-about-increased-risk-of-domestic-violence.
[7] Ass. Differenza Donna, Problematiche dei centri antiviolenza, delle case rifugio e sportelli antiviolenza e antitratta, 18 marzo 2020, https://www.differenzadonna.org/wp-content/uploads/2020/03/Proposte_EmergenzaCovid19.pdf.
[8] V. Valente, Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, Senato della Repubblica, 26 marzo 2020, http://www.senato.it/Leg18/4730?shadow_organo=1180141.
[9] Si consenta per un approfondimento il rinvio a T. Manente (a cura di), La violenza nei confronti delle donne dalla convenzione di Istanbul al Codice Rosso, Giappichelli, 2019,
[10] Si veda sul punto F. Puglisi, Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Relazione al Senato, 6 febbraio 2018; GREVIO, Baseline evaluation report on Italy, 2020, https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/-/grevio-pubishes-its-report-on-italy.
[11] R. Bricchetti, Arriva agli inquirenti l'arma dell'allontanamento, GDir, 2013, n. 36, p. 74.
[12] Cass. 22 maggio 2019, n. 22524.
[13] Tra le richieste avanzate dalle organizzazioni delle donne alle istituzioni vi è, infatti, anche quella di assicurare case rifugio temporanee dove poter accogliere le donne in fuga almeno per la durata del periodo cautelativo di quarantena.
[14] Cass. 27 marzo 2019, n. 23472, CED Cass. pen. 2019.
[15] Giurisprudenza consolidata sin da T. Reggio Emilia, 6 maggio 2002; T. Reggio Emilia 21 maggio 2002; Trib. Napoli 1 febbraio 2002, Famiglia e Diritto, 2002, n. 5, pp. 506-508, nt. Figone, Violenza in famiglia ed intervento del giudice.
[16] T. Padova, 31 Maggio 2006, FI, 2007, fasc. 12, n. 1, p. 3572; T. Bologna, 22 marzo 2005, Fam. Pers. Succ., 2005, n.2, p. 184.
[17] T. Firenze, 15 Luglio 2002; T. Monopoli, 21 ottobre 2010; T. Napoli, 2 luglio 2008; T. Napoli, 19 dicembre 2007; T. Mantova, 4 maggio 2012.
Una nuova applicazione mobile per Giustizia Insieme.
Riflettere su distonie e utopie del rapporto tra tecnologia e società
di Oreste Pollicino
La Rivista Giustizia Insieme, sempre più snodo indispensabile nel dibattito tra magistratura, avvocatura accademia e società civile, lancia oggi un’applicazione mobile che renderà fruibile tutti i suoi contenuti anche su smartphone. La domanda che si pone la Direzione della Rivista (che ha appena inaugurato anche una collana in cartaceo con il titolo I dialoghi di Giustizia insieme) è cruciale per ogni progetto scientifico, non solo di natura giuridica, che punti anche alla diffusione telematica dei propri contenuti. Alla luce del processo vorticoso di accelerazione tecnologica a cui tutti stiamo assistendo, ove la pandemia in atto sta valorizzando le funzioni “vitali” della tecnologia digitale, quale il modo per rendere più agevole la lettura e la consultazione di un’offerta scientifica, quando non si è di fronte ad un personal computer o, a maggior ragione, seduti tra i banchi di una biblioteca? Una domanda che sottintende interrogativi più sistemici, legati al rapporto tra tecnologia, diffusione e condivisione delle informazioni nella società della conoscenza. Ci sono almeno due modi per guardare alle sfide che non solo il diritto, ma la società come la conosciamo, sta affrontando in questa stagione della pandemia globale. Il primo è uno sguardo che, per forza di cose, si concentra prevalentemente sul presente dell’emergenza e, quindi, per esempio, oltre ovviamente a sostenere in tutti i modi possibili gli sforzi (ed i sacrifici) eroici di donne e uomini del nostro servizio sanitario, rifletta sulla proporzionalità (e costituzionalità) delle misure di restrizione delle nostre libertà, sul rapporto tra fonti governative e primazia del parlamento nella nostra forma di governo e cosi via.
Il secondo è uno sguardo che prova a ragionare anche sul futuro prossimo, in cui si tenga conto dell’impatto sistemico del momento eccezionale che stiamo vivendo al fine di poter provare a immaginare prospettivamente tanto la pars destruens quanto, per così dire, la pars costruens di questa stagione, non fosse altro perché essa lascerà un vuoto che andrà prima o poi, in qualche modo, riempito. Ed il come lo si farà non è esattamente un dettaglio. Non sono e non possono essere due sguardi alternativi, ma complementari. L’attenzione massima e necessitata al presente non può e non deve impedire di interrogarsi su un futuro che, evidentemente, a dimostrazione che i più banali ritornelli nascondono comunque degli scenari assai più complessi, sarà strutturalmente e irrimediabilmente diverso da ciò che conosciamo. Impossibile concentrarsi sugli svariati campi, da quello economico a quello sociale e perfino geopolitico, in cui bisognerà provare a combinare, evitando lo strabismo, i due sguardi evocati. In questa sede vuol tentarsi, in modo assai approssimativo, di abbozzare questo esercizio di osservazione del momento di patologia presente per capire come il fattore tecnologico possa essere in grado di incidere ed a tratti rifondare il sistema che verrà fuori da questa crisi. In altre parole, guardando al ruolo sempre più pervasivo che la tecnologia digitale sta giocando in questa fase di emergenza e che non potrà non continuare a giocare quando, si spera il prima possibile, quest’ultima sarà terminata, si cercherà di partire da una ricognizione dell’esistente per tentare di immaginare degli scenari, se non futuri, futuribili. In questa stagione è quasi inutile ribadire come le tecnologie digitali siano fondamentali sotto almeno quattro aspetti.
Innanzitutto, stanno facendo in modo che il confinamento fisico non diventi isolamento emotivo. Da nord a sud, da una parte all’altra della città o della strada, immagini di amici e familiari accorciano distanze e creano ponti niente affatto virtuali in un’epoca di assenze forzate. Anche la fruibilità a distanza delle offerte di biblioteche, musei, cinema e teatri non sarebbe possibile altrimenti.
In secondo luogo, sotto il profilo socio- economico, la tecnologia digitale è di fatto uno degli strumenti attraverso cui si tenta di garantire continuità ai diritti sociali nel nostro Paese. Dal lavoro agile, alla istruzione scolastica e universitaria a distanza, alla telemedicina. Si trattava per molti versi di un potenziale tecnologico già a disposizione, ma utilizzato in misura ridottissima rispetto al suo pieno regime. L’emergenza ha necessitato lo sviluppo massimo di detto potenziale.
In terzo luogo, la stessa tecnologia digitale sta consentendo lo svolgimento continuativo delle funzioni essenziali di alcuni organi costituzionali. Si pensi non solo alla Corte Suprema degli Stati Uniti o al Tribunale costituzionale tedesco, ma anche, e soprattutto, alla Corte costituzionale italiana, ed alla bellissima intervista, pubblicata su questa Rivista (La Corte costituzionale non si ferma davanti all'emergenza, questo è il tempo della collaborazione tra istituzioni) della sua Presidente, Marta Cartabia, in cui la Professoressa, da una parte, sottolineava come detta tecnologia stia assicurando la garanzia costituzionale della continuità delle funzioni essenziali della Consulta e, dall’altra, faceva notare, in modo molto significativo, come si sia “deciso di proseguire i lavori di deliberazione in Camera di Consiglio di letture sentenze anche da remoto. Lo stesso vale per le altre attività interne della Corte. Un bel cambiamento per una istituzione che non era avvezza a queste modalità di interazione.
È esattamente questo il punto: non essere abituati ad interazioni che però sono sicuramente possibili dal punto di vista tecnologico ed a dettato della Costituzione e (spesso anche della normativa primaria e secondaria) invariata. Nuove interazioni che stanno gradualmente ma inesorabilmente modificando il nostro modo di esercitare tutta una serie di professioni, anche quella cruciale dello ius dicere. Non si vuole certamente qui approfondire il dibattito accesissimo su utilità e preservazione dell’udienza telematica. Basteranno due riflessioni. La prima è che l’utilità al momento è indiscussa, perché lo strumento tecnologico sta consentendo la continuità dell’esercizio della funzione giurisdizionale. La seconda è che, pur essendo necessario, come ha richiamato l’Esecutivo di Magistratura Democratica, una volta tornata la normalità, vegliare sulla ri-espansione di “tutte quelle regole processuali che non sono neutre, essendo state previste dal legislatore in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo di garanzia della giurisdizione”, va fatta anche un’altra considerazione. Non si può non considerare che la “la normalità” post-emergenza sarà una assai diversa da quella che ha caratterizzato la stagione del pre-virus. Una normalità che non potrà, anche volendo, ignorare l’accelerazione esponenziale del processo di digitalizzazione che la pandemia ha imposto. Resettare non solo sarebbe non particolarmente lungimirante, ma di fatto impossibile. È vero che le regole processuali non sono neutrali, ma neanche l’accelerazione esponenziale prima evocata non lo è.
Se la singola tecnologia è neutra, il processo di digitalizzazione a cui stiamo assistendo, non riguardando solo il rafforzamento di un singolo medium ma, piuttosto, la rifondazione dell’ecosistema digitale nel suo complesso, non può essere neutro, ha un sistema valoriale che va compreso appieno e guidato con padronanza e chiarezza sulla direzione da intraprendere e sul fine da raggiungere.
Discorso in parte diverso vale per il voto a distanza dei parlamentari. Non si vuole qui aprire il dibattito, infuocato in questo momento tra i costituzionalisti, sul significato da attribuire a quel concetto di “presenza” previsto dal terzo comma dell’ art. 64 della Costituzione. In ogni caso, a quest’ultimo proposito, come ha sottolineato correttamente Nicola Lupo, è essenziale pensare ad una reingegnerizzazione delle procedure vigenti alla luce della portata costitutiva e non semplicemente accessoria della tecnologia digitale. Reingegnerizzazione che ha un humus culturale prima ancora che tecnologico e che costituisce, lo si ribadisce, un processo evolutivo irreversibile con cui bisognerà fare i conti. Per ulteriori informazioni chiedere a Westminster ed al modello ibrido di Hybrid House of Commons che sembra emergere a Londra, con parlamentari che sono incoraggiati a collegarsi da remoto in quanto, quelli fisicamente presenti in Parlamento, come si legge sul sito www.parlament.uk, “will be treated the same as one appearing virtually and would only be called to speak if listed”.
D’altronde, anche a volere lasciare da parte quest’ultima questione, non c’è dubbio che la le forme di comunicazione e di espressione del pensiero via internet abbiano un fondamento costituzionale, grazie alla capacità quasi profetica dei Padri Costituenti e alle consequenziali clausole d’apertura previste dagli articoli 15 e 21 della Costituzione. In questo contesto, non è detto che non possa diventare permanente quanto al momento è previsto dal decreto legge n. 18/2020 in via transitoria ed al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus COVID-19. Vale a dire la possibilità per consigli di comuni, province e città metropolitane nonché le giunte comunali di riunirsi in teleconferenza, a patto ovviamente di rispettare i criteri in ordine di pubblicità e trasparenza dei lavori, anche qualora non avessero già previsto e regolamentato tale modalità di svolgimento delle sedute nei propri regolamenti di funzionamento.
In quarto luogo, è sotto gli occhi di tutti come la tecnologia digitale può essere cruciale per una reazione efficace all’aumento dei contagi. In particolare si fa riferimento a un’applicazione mobile su smarthphone per il tracciamento degli spostamenti per monitorare e ricostruire la diffusione del virus, il c.d. “contact tracing”. Una tale tecnologia può permette infatti di monitorare e intrecciare tramite sistemi di Big Data analytics diverse informazioni attinenti alla vita quotidiana e personale degli utenti con il supporto di operatori quali telco o istituti finanziari. Il risultato è una mappa precisa del virus e dei suoi vettori sul territorio che prescinde dal numero di infetti in un determinato comune o altri dati di natura non capillare. Ovviamente dall’altra parte ci sono tutte le preoccupazioni che le restrizioni apportate due altri diritto fondamentali privacy e alla protezione dei dati personali, siano proporzionate e non vadano a ledere il nucleo essenziale del diritto, alla luce di quanto prescritto dall’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Constatiamo con piacere che "Immuni", la nuova app scelta dal governo per il tracciamento dei contagi, segua i principi di adesione volontaria, interoperabilità, trasparenza (codice sorgente aperto) e rispetto della privacy (tramite ID temporanei) che Marcello Ienca ed io avevamo elencato nel nostro Decalogo per l’utilizzo responsabile delle app di tracciamento del virus".
Rimangono, come ha precisato il prof. Ienca, da chiarire la precisa data di scadenza per il trattamento di questi dati, la validità scientifica del tracciamento di prossimità via bluetooth e soprattutto come implementare il tracciamento in quella larga fetta della popolazione italiana che non possiede (o non sa usare propriamente) uno smartphone, composta soprattutto di persone anziane -dunque a più alto rischio.
Se è questo è un tentativo abbozzato di rileggere l’attuale impatto della tecnologia nella stagione dell’emergenza: cosa bisogna aspettarsi da domani? Quali le implicazioni per la società post-virus di un impatto che, e su questo non ci possono essere dubbi, è di natura costitutiva e (ri)fondativa? Si scontrano a riguardo, come si è avuto modo di scrivere di recente con il Prof. Pitruzzella, visioni utopistiche e distopiche, entrambe da maneggiare con cura.
La prima, che vede tra i suoi fautori anche il filosofo François Levin, individua nell’impatto appena descritto del fattore tecnologico la capacità di rappresentare un tentativo di “grande riconciliazione tra le passioni e i desideri individuali da un lato e le esigenze della produzione dall’altro; tra l’anelito alla felicità e lo sviluppo delle proprie capacità da un lato e le necessità dell’inserimento economico dall’altro; quella tra la vita e il lavoro, insomma”.
Dall’altra parte, in termini distopici, Shoshana Zuboff, nel suo Il Capitalismo della sorveglianza, pur ovviamente scrivendo prima dell’emergenza, vede nell’accelerazione tecnologica la concretizzazione di una società, per l’appunto della sorveglianza, in cui le grandi piattaforme, nuovi poteri privati, nutrendosi di una mole di dati sempre più ingente, saranno in grado il compito di strutturare e strumentalizzazione il comportamento degli individui/utenti, al fin di modificarlo, predirlo, monetizzarlo e controllarlo .
Si diceva prima, visioni utopistiche e distopiche da maneggiare con attenzione perché hanno lo stesso punto debole di vedere il cyberspace come uno spazio del tutto disconnesso da quello reale, idealizzandolo sia negativo che in positivo.
Se è vero, per quanto si è fatto emergere in apertura, che la tecnologia digitale ha effetti costitutivi e radicati sul mondo degli atomi e sulla realtà analogica, è più utile una visione che guardi alle mutazioni che avvengono nell’ecosistema di internet come legate a doppio filo ai cambiamenti che hanno caratterizzato una società analogica sempre più interconnessa.
Sembrano dunque più convincente, proprio in questa logica di continuità tra società analogica e società digitale, le proposte di chi, come l’economista Daniel Coehn, vede nella emergenza sanitaria un vettore di accelerazione verso quello che lui chiama capitalism numérique. Una forma di capitalismo digitale che occuperà lo spazio vuoto lasciato dal declino, sempre a detta dell’economista francese, del processo di globalizzazione cosi come trainato dal capitalismo neo-liberista. O meglio, quella sua particolare espressione che, da quarant’anni a questa parte, è alla ricerca dei costi più bassi di manodopera localizzando in luoghi sempre più distanti, in genere in Cina o in India, le sedi di produzione.
Visto che al declino di una forma di capitalismo non potrà che seguire l’ascesa di una sua nuova espressione, quella che sembra avere i titoli nel dominare la scena nella stagione post emergenza è proprio la forma del capitalismo digitale. Un capitalismo che ha come combustibile la dimensione tecnologica digitale e, in particolare l’enorme numero di dati che caratterizzano il serbatoio della società dell’informazione. Lo stesso Cohen, infatti, sottolinea, come riportato dal Il Foglio, che “se l’essere che sono può essere trasformato in un insieme di informazioni, di dati che possono essere gestiti a distanza piuttosto che faccia a faccia, allora posso essere curato, istruito e posso spassarmela senza aver bisogno di uscire di casa. Vedo film su Netflix piuttosto di andare al cinema, vengo curato senza andare all’ospedale. La digitalizzazione di tutto ciò che può essere digitalizzato è il mezzo per il capitalismo del Ventunesimo secolo di ottenere nuove riduzioni dei costi”.
Attenzione però, il capitalismo digitale, certamente attraente per la sua capacità di rimodulare il rapporto tra tecnologia, kilometro zero, riduzione dei costi e condivisione delle informazioni, ha un triplice rischio.
Il primo è quello di non garantire alcuna certezza sulla trasparenza ed affidabilità delle piattaforme che costituiscono la base portante, come stiamo sperimentando in questi giorni, di questo cambio di marcia. Si tratta di società private, veri colossi del digitale, a tutti gli effetti nuovi poteri privati che competono con quelli statali. Piattaforme che di fatto in questo periodo stanno fornendo servizi essenziali di pubblica utilità, senza alcun contratto, onere o particolare responsabilizzazione in questo senso. L’algoritmo rimane non trasparente e le modalità di utilizzo dei dati costituiscono una variabile spesso ignota.
Uno dei grandi fallimenti del capitalismo neo-liberista è stato il suo digital laisser faire, convinto che il minimalismo dell’intervento pubblico comportasse una delega in bianco alle piattaforme private, con una colonna sonora di perdurante self-regulation, riguardo conformazione dell’assetto digitale della società globale dell’informazione negli ultimi vent’anni. Il che ha comportato, non solo, come si diceva, l’emersione di nuovi poteri privati sempre più ingordi di dati, ma anche un passaggio dal paradigma della sovranità territoriale degli Stati (o dell’Unione europea) a quello della sovranità funzionale esercitata da dette piattaforme. D’altronde, a guardar bene, quest’ultime sono in una trappola. Se diventano digital utilities adesso, come a tutti gli effetti stanno diventando, nel post-emergenza dovranno essere di conseguenza pesantemente regolate, come lo è chi fornisce servizi pubblici essenziali. Unico modo per sfuggire a questa trappola è offrire all’individuo/utente un digital new deal, di cui gli ingredienti non possono che essere quella della trasparenza nelle procedure di moderazione di contenuti, riconoscimento dei diritti di accesso, di traduzione e di spiegazione connessi al funzionamento dell’algoritmo. Il capitalismo digitale non può essere un capitalismo opaco. Inoltre c’è anche una questione di fiducia da parte del consumatore/utente nei confronti di tali piattaforme che va alimentata. Si pensi alla proposta di Google e Apple di lanciare una serie di strumenti integrati che permetteranno di tracciare la prossimità fra le persone e quindi facilitare la ricostruzione della catena epidemiologica. Bene, quando i due giganti ci garantiscono che l’accesso ai dati sarà consentito soltanto alle autorità sanitarie, potrebbe non bastarci tale rassicurazione, visti gli scandali degli ultimi tempi ed i vari problemi, non solo di concorrenza, che si stanno riscontrando, non solo a Bruxelles, per le piattaforme digitali. È probabile che serva qualcosa di più. Per esempio, un sistema open source, che consenta, da parte di chi conosce il linguaggio del codice tecnologico, di guardarci dentro e accertarsi che sia effettivamente come si dice che sia. Non è un caso che, proprio, da una parte, la poca trasparenza delle piattaforme digitali e, dall’altra, la poca fiducia sul modo in cui esse “maneggiano” i dati ha comportato, per l’appunto con riferimento al tema trattato prima dell’udienza telematica e in particolare dello svolgimento del processo penale, un intervento del il Garante per la protezione dei dati personali.
Più specificatamente, proprio ieri, 16 aprile, il Garante ha scritto al Ministro della Giustizia facendo notare come l’Unione Camere Penali abbia sollevato una serie di legittimi dubbi sulle caratteristiche delle piattaforme indicate dal Ministero per la celebrazione da remoto del processo penale, nonché “sull’opportunità della scelta di un fornitore del servizio in questione (Microsoft) stabilito negli Usa e, come tale, soggetto tra l’altro all’applicazione delle norme del Cloud Act (che come noto attribuisce alle autorità statunitensi di contrasto un ampio potere acquisitivo di dati e informazioni)”.
Di nuovo, manca quel digital trust, ed è ragionevole che sia cosi. Un affidamento del genere ha bisogno, come si diceva, di un cambio di marcia da parte delle piattaforme in tema di trasparenza, accesso e disponibilità alla traduzione del codice tecnico in un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori.
Attenzione, però, un obbligo di trasparenza non va richiesto soltanto ai “nuovi” poteri privati, ma anche ai “vecchi” poteri pubblici, a cominciare da quelli governativi. Il secondo rischio è che la stagione di emergenza tenti alcuni governi a tramutarsi in big government ed a immagazzinare big data utilizzando il mezzo tecnologico per fini anche differenti da quelli strettamente legati alla lotta al virus. Come ha scritto Byung-Chul Han: “la digitalizzazione smonta la realtà. La realtà la si esperisce tramite la resistenza, che può anche far male. La digitalizzazione, tutta la cultura del mi piace elimina la negatività della resistenza”. Ed e proprio in questo vuoto di resistenza che il digital populism può attecchire e diventare una minaccia molto pericolosa, come dimostra il passaggio da una democrazia illiberale ad un regime quasi autoritario sancito in Ungheria proprio approfittando dell’emergenza e incidendo anche sulla dimensione digitale. Si pensi alla reazione assolutamente non proporzionale, restrizione fino a cinque anni della libertà personale, nei confronti della diffusione di disinformazione in merito al Covid 19. Ed il contagio, anche quello del digital populism, è sempre dietro l’angolo.
D’altronde, come lo stesso filosofo coreano prima richiamato ha sostenuto, “la digitalizzazione è una sorta di ebbrezza collettiva. C’è anche un motivo culturale. In Asia domina il collettivismo. Manca uno spiccato individualismo. E l’individualismo si differenzia dall’egoismo, che ovviamente abbonda anche in Asia. I Big Data sono in tutta evidenza più efficaci nella lotta al virus rispetto alla chiusura delle frontiere, ma in Europa, per via della protezione dei dati personali, un’analoga lotta al virus non è praticabile”. Ma il bello del costituzionalismo europeo è proprio questo, il fatto che si fondi sui concetti di dignità e tutela di libertà dell’individuo, ovviamente anche all’interno delle formazioni sociali. Non si vuole barattare una mappa chirurgica del virus con uno slittamento verso una dimensione collettivistica ed impersonale della (non) protezione dei diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà personale e dal diritto alla privacy.
L’ultimo rischio, il terzo, è quello di trovarsi di fronte ad un processo di disumanizzazione e di automazione della società digitale. La tecnologia può accorciare distanze, ma può anche amplificarle, e con esse accrescere l’impoverimento dettato dalla riduzione drastica del momento empatico che si nutre dello scambio e del confronto interpersonale. Se capitalismo digitale deve essere, la persona umana e la sua dignità non possono essere un elemento accessorio di questo processo, che necessita dell’affiancamento di un secondo processo, uguale e contrario legato dell’emersione di una nuova forma di umanesimo digitale.
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