ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Coronavirus e carcere di Giovanni Maria Pavarin
Nella sezione delle aree tematiche della Gazzetta Ufficiale denominata “Coronavirus” figurano, dal 31 gennaio 2020 ad oggi, ben 12 tra decreti-legge, leggi e d.p.c.m. riguardanti le misure urgenti fin qui adottate.
Il carcere fa in essi capolino solo col d.p.c.m. 25 febbraio, che si è preoccupato che i nuovi ingressi in istituto non siano occasione di contagio [lett. m) dell’art. 1).
La preoccupazione è stata ribadita tal quale 5 giorni dopo [lett. h) dell’art. 4 d.p.c.m. 1 marzo 2020].
E’ solo il giorno successivo che il Governo interviene sopprimendo di fatto il diritto ai colloqui visivi (art. 18 legge n. 354/1975) col prevedere che gli stessi, negli istituti in allora appartenenti alla cd. “zona rossa”, fossero “svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria”, ovvero “surrogando” tale diritto con la possibilità di ottenere l’aumento del numero delle telefonate consentite ex art. 39 d.p.r. n. 230/2000 (art. 10, 14° comma d.l. 2 marzo 2020, n. 9) (le telefonate in esubero restano comunque assoggettate al potere discrezionale dl Direttore).
Immediata deve essere stata a mio giudizio la ricaduta pratica di tale disposizione sul fronte del penitenziario, se è vero che appena sei giorni dopo il d.p.c.m. 8 marzo 2020 innesta una parziale retromarcia con la previsione secondo cui “in casi eccezionali può essere autorizzato il colloquio personale, a condizione che si garantisca in modo assoluto una distanza pari a due metri” [art. 2, lett. u)].
Molto interessante l’altra disposizione contenuta nella stessa lett. u), laddove - in relazione ai “casi sintomatici dei nuovi ingressi negli istituti penitenziari” - viene prevista la “condizione di isolamento” dagli altri detenuti “raccomandando di valutare la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare”.
Si tratta, all’evidenza, di raccomandazione rivolta agli organi dell’Amministrazione penitenziaria, che sono legittimati a chiedere alla magistratura di sorveglianza i benefici penitenziari (art. 57 l.n. 354/1975): chiara la volontà di evitare che il virus entri in carcere e che, una volta entratovi, vi si propaghi.
L’ultima parte della stessa norma concerne la raccomandazione di “limitare i permessi e la libertà vigilata o di modificare i relativi regimi in modo da evitare l’uscita e il rientro dalle carceri”: anche in questa ipotesi, evidente essendo che il Governo non può di certo “raccomandare” nulla alla giurisdizione, l’invito appare rivolto ai Direttori degli istituti, competenti a rilasciare il parere sulla concessione dei permessi premio ed a modulare il programma di trattamento dei semiliberi (art. 101 d.p.r. n. 230/2000), altro significato non potendo attribuirsi all’infelice ed atecnico richiamo alla libertà vigilata.
La sera dello stesso 8 marzo la Gazzetta Ufficiale pubblicava però il d.l. n. 11/2020, il cui art. 2, 8° comma interviene ad estendere a tutti gli istituti di pena (e prima ancora che l’intero paese divenisse “zona rossa”) la norma limitativa (rectius: soppressiva) del diritto ai colloqui, ignorando però la facoltà di deroga in casi eccezionali prevista qualche ora prima dal d.p.c.m. appena richiamato.
Dal che si dovrebbe far discendere, per incompatibilità del decreto-legge, fonte primaria di grado poziore e posteriore, rispetto a quella precedente e di grado inferiore (d.p.c.m.), il venir meno della facoltà concessa ai direttori degli istituti di pena di derogare in casi eccezionali alla norma impeditiva dei colloqui.
Il successivo 9° comma dello stesso art. 2 contiene poi una disposizione (per la verità alquanto eccentrica) che prevede che la magistratura di sorveglianza possa sospendere la concessione dei permessi premio e della semilibertà “tenuto conto delle evidenze rappresentate dall’autorità sanitaria”.
Qui si assiste ad una specie di tentativo (già leggibile in nuce nel d.p.c.m. 8 marzo 2020) del potere politico di “indirizzare” la giurisdizione: si tratta, infatti, di una norma del tutto pleonastica, evidente essendo che i magistrati di sorveglianza, facendo uso della discrezionalità loro concessa dalla più parte delle norme di ordinamento penitenziario, dispongono già del potere di sospendere la concessione dei permessi (o di non concedere la semilibertà) per motivi oggettivi (che non dipendono cioè da un giudizio di meritevolezza del condannato).
Inutile però negare la “suggestione” che la norma è destinata ad operare: ci saranno, e ci sono, magistrati di sorveglianza che sospenderanno in via generalizzata i permessi premio in corso di fruizione, altri che non ne concederanno di ulteriori, altri ancora che approveranno rimodulazioni dei programmi di trattamento della semilibertà in senso oltremodo restrittivo; altri magistrati effettueranno invece valutazioni caso per caso a seconda del tasso di rischio connesso al pericolo di importare il virus all’interno dell’istituto, ad esempio consentendo ai semiliberi di pernottare presso le loro abitazioni e computando le relative ore nel montante annuo delle licenze consentite dall’art. 52 l.n. 354/1975.
Va a tal proposito considerato che l’ambiente carcere non può essere considerato al riparo dal rischio epidemiologico solo perché si prevede una restrizione delle uscite: ogni giorno i detenuti, infatti, toccano cose (le merci, il cibo, i generi sopravittuari, ecc.) che vengono dall’esterno e vivono e respirano con persone (gli operatori penitenziari) che vengono dall’esterno.
Si deve dunque convenire che il rischio della propagazione all’interno degli istituti del coronavirus non è direttamente correlabile né all’abolizione dei colloqui né al giro di vite dei benefici penitenziari.
C’è di più: il detenuto non appare per definizione in grado di rispettare le norme comportamentali sul distanziamento sociale, essendo anzi obbligato a condividere numerose ore al giorno i propri spazi di vita con molte altre persone; del pari non è di certo applicabile ai detenuti il divieto di assembramento di cui all’art. 1, 2° comma del d.p.c.m. 9 marzo 2020, emanato quando tutta Italia è divenuta “zona rossa”.
Ma tant’è: il rebound nel pianeta carcere (non propriamente popolato da fini giuristi) di tali disposizioni, assommato a mille preesistenti motivi di tensione, è sfociato negli episodi di violenza, se non in vere e proprie sommosse ed evasioni di cui i media danno ogni giorno notizia e che ci restituiscono immagini del tutte inedite e non conosciute nemmeno all’epoca del terrorismo.
I preesistenti motivi di tensione sono noti a tutti: la sola parzialissima realizzazione delle riforme di sistema previste dalla legge Orlando, avendo i decreti legislativi delegati deluso le attese di molti detenuti; gli annunci “liberatori” seguiti ad alcune pronunce della Corte costituzionale e della Cedu in materia di ergastolo ostativo e di ammissibilità dell’istanza di permesso-premio anche in difetto di collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per reati di cui all’art. 4 bis l.n. 35471975; l’inedito viaggio dei giudici della Corte costituzionale nelle carceri (con relativa regia di un film), che può aver creato un clima di fiducia nell’inizio di un costruttivo dialogo con le istituzioni; l’incremento, lento ma costante, del tasso di sovraffollamento; l’assenza di provvedimenti di clemenza da ben 14 anni; il clima sociale pervaso dallo slogan della pena effettiva e certa, che rende obiettivamente più difficoltosi i percorsi di reinserimento sociale e che disturba maledettamente tutti gli addetti al cammino rieducativo.
Non sta certamente a me dare consigli, fornire ricette o indicare le possibili vie d’uscita, né alimentare le polemiche insorte tra i colleghi sulla bontà e l’opportunità dei rimedi possibili.
Una sola cosa mi sembra chiara: quanto sta succedendo in questi giorni in carcere esige una risposta (quale che sia) caratterizzata dall’urgenza: solo una risposta celere e risolutiva sarà in grado di placare il clima di tensione e di far cessare definitivamente gli inauditi episodi di violenza e di morte.
Solo due osservazioni: quanto alla liberazione anticipata speciale (ipotesi avanzata dall’ottimo Riccardo De Vito, uno tra i più valenti ed apprezzati colleghi della sorveglianza), ricordo (solo a chi non ne avesse memoria) che è stato proprio questo istituto a consentire al nostro Paese di salvarsi da ulteriori pesanti condanne da parte della Cedu.
Quanto all’abolizione dei colloqui, il divieto ben potrebbe essere rivisto e rimodulato, prevedendo ad esempio gli opportuni controlli nei confronti di chi ha diritto di accedervi.
Come magistrato mi sento solo di ricordare che il compito che la legge affida alla giurisdizione di sorveglianza è quello di dare alla pena l’unico senso possibile, che è quello della rieducazione: castigo sì, retribuzione sì, ma anche speranza nella riabilitazione e nel riscatto attraverso la costante e spesso affannosa ricerca di percorsi di reinserimento.
Come magistrato mi sento solo di ricordare a me stesso che il principio della pena effettiva e certa non può essere usato come uno slogan.
Esso evoca semplicemente una delle principali conquiste del moderno Stato di diritto: esso altro non significa che il principio di legalità (art. 25, 2° comma Cost.), il quale implica il divieto di punire se non in base ad una legge certa (sul reato e sulla pena) entrata in vigore prima del fatto commesso.
Per questo il carcere, per chi ha la sorte di finirci, va concepito come un trampolino di partenza verso l’inizio di una nuova vita: si tratta di un obiettivo che va perseguito con l'apertura massima alle misure alternative alla detenzione, tutte le volte - beninteso - in cui ciò sia possibile senza ledere il diritto della collettività alla sua sicurezza.
Da ultimo, e sempre riguardo al sovraffollamento, si tratta solo di far alloggiare dignitosamente poco più di 60.000 persone: credo non sfugga a nessuno che l’impegno economico necessario alla risoluzione del problema pare quasi irrilevante se raffrontato alle cifre che sono state impiegate per affrontare le altre dolorose piaghe delle quali lo Stato è stato costretto ad occuparsi, impegnando importanti risorse finanziarie (penso ai terremotati, ai cassintegrati, ai malati, ai disabili, a tutti quei soggetti, insomma, nei cui confronti le parole come Stato sociale e welfare hanno ancora un senso).
L’udienza civile ai tempi del coronavirus. Comparizione figurata e trattazione scritta (art. 2, comma 2, lettera h, decreto legge 8 marzo 2020, n. 11).
di Franco Caroleo e Riccardo Ionta
Il presente scritto è relativo alla possibilità prevista dall’art. 2, comma 2, lettera h) decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 di trattazione scritta della cause civili. Quella avanzata è solo una delle possibili ipotesi per l’utilizzo di uno strumento, aderente alla realtà delle cose, utile a scongiurare il rinvio di molte cause, e quindi l’aggravio della giustizia che verrà, e a rimediare alle iniziali difficoltà dell’udienza con sistemi da remoto.
Completano l’articolo alcune proposte schematiche modellate sui diversi riti processuali.
Sommario: I. Il flagello. II. Salute pubblica e giustizia. III. Il potere emergenziale del dirigente. IV. Il potere in merito allo svolgimento delle udienze: il rinvio e la disciplina delle modalità di svolgimento e partecipazione. V. Il potere-dovere di disciplina dello svolgimento delle udienze e della partecipazione alle udienze come limite al potere di rinvio. VI. Un sistema alternativo per la partecipazione alle udienze. VII. Comparizione e trattazione. VIII. Comparizione figurata e trattazione in forma scritta (lettera h). IX. Le regole generali per la comparizione figurata e la trattazione scritta. X. Il rito ordinario. XI. Il rito sommario di cognizione. XII. Il rito del lavoro. XIII. Il rito cautelare e camerale.
I. Il flagello
“I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati. Il dottor Rieux era impreparato, come lo erano i nostri concittadini, e in tal modo vanno intese le sue esitazioni. In tal modo va inteso anche com'egli sia stato diviso tra l'inquietudine e la speranza. Quando scoppia una guerra, la gente dice: «Non durerà, è cosa troppo stupida». E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare”. E quella peste che, ad Orano, pur sembrava interminabile, alla fine terminò. L’abitudine alla disperazione è peggiore della disperazione stessa, scrive Albert Camus.
Nel libro “La peste” c’è anche un magistrato e si chiama Othon. Giudice istruttore, ha un ruolo marginale e appare di riflesso. È di certo vicino alle idee assolutiste di Padre Paneloux. Afferma che non è la legge a contare. Conta solo la sentenza. Tarrou, deluso figlio di un pubblico ministero, lo definisce, per questo, il nemico pubblico numero uno. Il personaggio, dopo la malattia del figlio, supera la burocratica indifferenza per il flagello e si presta ad aiutare, sino alla morte, il dottor Rieux.
II. Salute pubblica e giustizia
Il decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 attribuisce un ruolo da protagonista al magistrato, in particolar modo al dirigente dell’ufficio, chiamato a gestire l’emergenza odierna della giustizia e a progettare, in queste settimane, la giustizia di domani. “Almeno, adesso, la situazione era chiara: il flagello riguardava tutti”, scrive ancora Camus.
Il decreto ha la finalità generale e immediata - comune alla recentissima normativa d’urgenza - di contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Le finalità specifiche e mediate, perlomeno quelle più evidenti, sono due.
La prima è quella di contenere l’incidenza negativa, sul sistema giurisdizionale, delle misure restrittive soggettive, imposte o suggerite, sia dal medesimo decreto, sia dall’ulteriore normativa emergenziale in vigore o prossima ad esserlo. La seconda e parallela finalità è quella di implementare le misure restrittive stesse. Il presupposto di partenza è che gli uffici giudiziari sono luoghi di un’intensa circolazione e presenza, da limitare. Il vizio di fondo, da correggere, è che le udienze sono (ancora e purtroppo) momenti di assembramento, e comunque di facile occasione di trasmissione, da regolamentare.
La disciplina della libertà, ovvero della necessità, di circolazione e presenza negli uffici giudiziari e la disciplina dell’onere di partecipazione delle udienze rappresentano quindi il fine ultimo del testo.
III. Il potere emergenziale del dirigente
L’art. 2 conferisce ai dirigenti degli uffici giudiziari il potere discrezionale - mediato dall’interlocuzione con i soggetti istituzionali indicati al comma 1 e vincolato dal fine della normativa emergenziale - di disciplinare la circolazione e presenza negli uffici, e lo svolgimento delle udienze, nella direzione espressa dal decreto legge.
Una precisazione appare necessaria. Il potere del dirigente, per quanto discrezionale, deve esser comunque esercitato nell’ambito del contesto normativo ordinamentale e quindi, salvo esigenze emergenziali, interloquendo anche con i magistrati del proprio ufficio.
Il senso che emerge dalla lettura delle diverse lettere che strutturano l’art. 2, comma 2, è quello della necessità di modificare le modalità di svolgimento delle attività che si tengono nelle cancellerie e nelle aule d’udienza, consentendo la partecipazione fisica dei soggetti esterni all’amministrazione e alla magistratura solo ove non altrimenti ovviabile, anche al fine di rendere concreto, per l’amministrazione stessa, il c.d. lavoro agile (smart working).
IV. Il potere in merito allo svolgimento delle udienze: il rinvio e la disciplina delle modalità di svolgimento e partecipazione
Il potere del dirigente in merito allo svolgimento delle udienze - riservato dal codice di procedura civile al magistrato ovvero al presidente del collegio - riguarda sia la possibilità di disciplinarne il rinvio, sia la possibilità di disciplinarne le modalità di svolgimento e partecipazione.
L’art. 2, comma 2, lettera g) consente al dirigente “la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020 nei procedimenti civili e penali”.
Le disposizioni invece relative alla disciplina dello svolgimento e partecipazione sono quattro.
La lettera d) consente “l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze”.
La lettera e) consente “la celebrazione a porte chiuse…ai sensi dell’articolo 128 del codice di procedura civile, delle udienze civili pubbliche”.
La lettera f) consente “la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento. All’udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale”.
La lettera h) consente “lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
V. Il potere-dovere di disciplina dello svolgimento delle udienze e della partecipazione alle udienze come limite al potere di rinvio
Il potere di rinvio dei procedimenti è quello che, ad una lettura immediata, per primo risalta. Uno strumento tanto agevole per la giustizia di oggi quanto problematico per la giustizia di domani e dopodomani.
Il primo e immediato limite al potere di rinvio è quello prescritto dal numero 1 dell’art. 2, comma 2, lettera g) che indica i procedimenti esclusi in quanto valutati in astratto, o in concreto, come urgenti.
Il potere di rinvio del dirigente incontra un altro e generale limite che si deduce - oltre che dalla finalità normativa di “contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria” - dalle richiamate disposizioni che attribuiscono allo stesso il potere di disciplinare lo svolgimento delle udienze prevedendo specifiche modalità di partecipazione e trattazione.
Un’interpretazione diretta in modo stringente al fine - riduzione al minimo delle occasioni di contagio e preservazione al massimo delle normali attività giudiziarie - consente di affermare che è un potere-dovere del dirigente l’individuazione delle modalità alternative di partecipazione alle udienze.
Orientando in modo diverso la sintesi dei poteri attribuiti al dirigente può affermarsi che il primo potere-dovere allo stesso attribuito è quello di individuare le modalità alternative di svolgimento delle udienze e dei procedimenti e ciò al duplice fine di evitare, nei limiti del possibile, la partecipazione fisica nei procedimenti urgenti, e di evitare, il più possibile, il rinvio dei procedimenti non urgenti.
VI. Un sistema alternativo per la partecipazione alle udienze
L’interpretazione proposta consente di sistematizzare gli strumenti offerti dal decreto legge secondo la logica del miglior contemperamento tra l’esigenza della minor partecipazione orale e l’esigenza della massima continuità dell’attività giurisdizionale.
La sistematizzazione tiene altresì conto che allo stato non sempre gli uffici giudiziari, ovvero i difensori, sono adeguatamente forniti di strumenti e conoscenze utili allo svolgimento dell’udienza da remoto, modalità in astratto preferibile.
La modalità di svolgimento dell’udienza che, in concreto, per prima rileva - e che verrà trattata in questa sede - è quella che consente di tenere un’udienza figurata con partecipazione in forma scritta delle parti a mezzo dei soli difensori (lettera h). Laddove non sussistano i presupposti per fare ricorso a questa modalità, ovvero sia necessaria la presenza sia di parti che di difensori, rileva lo strumento della partecipazione da remoto (lettera f). Nel caso in cui non sussistano i presupposti, ovvero le condizioni, per l’utilizzo delle due modalità, l’udienza seguirà il modello codicistico con la possibilità di escluderne la pubblicità e di prevedere in modo specifico l’orario e le modalità di trattazione (lettere d-e). Nulla vieta che tali modalità siano combinabili.
VII. Comparizione e trattazione.
La trattazione della causa richiede la comparizione delle parti. L’art. 181 c.p.c. indica che la comparizione - concetto diverso dalla costituzione in giudizio - si concretizza nella presenza effettiva all’udienza della parte costituita, a mezzo di difensore. Presenza che è espressione dell’onere di partecipazione all’udienza, per la trattazione della causa, il cui riferimento normativo è nell’art. 176, secondo comma, c.p.c.
La trattazione della causa è orale, recita l’art. 180 c.p.c. Per trattazione il linguaggio del codice intende, in senso ampio, tutta l’attività che conduce al giudizio, dalla prima udienza sino a quella di precisazione delle conclusioni, ad esclusione della eventuale fase istruttoria. L’oralità della causa, con redazione del processo verbale, sta nella prevalenza di tale forma espressiva rispetto alla scrittura, dice Chiovenda, senza escludere quest’ultima. E sta ancora nella forma in cui i protagonisti del processo, dice Mandrioli, comunicano tra loro.
La trattazione della causa scritta - normativamente esclusa dalla soppressione della disposizione che prevedeva la possibilità per il giudice di autorizzare comunicazioni di comparse a norma dell'art. 170, ultimo comma, c.p.c. - è stata inclusa nella prassi dello scambio di memorie, che parte della dottrina fonda sui poteri ex art. 175 c.p.c., utile ad evitare lunghe discussioni e interminabili verbalizzazioni.
Nel disegno codicistico quindi, almeno in tendenza, l’onere della partecipazione all’udienza è soddisfatto con la comparizione reale della parte (a mezzo di difensore, anche da remoto) che sola può consentire la trattazione orale della causa e quindi l’immediatezza e concentrazione della stessa.
La lettera h) cambia, ad oggi, il paradigma, perché l’onere della partecipazione può essere soddisfatto con una trattazione della causa in forma scritta che sola può favorire una comparizione figurata. In tal ordine di senso l’art. 83 bis disp. att. c.p.c., mai abrogato - secondo cui il giudice “quando autorizza la trattazione scritta della causa, a norma dell'articolo 180 primo comma del Codice [nella formulazione oggi abrogata], può stabilire quale delle parti deve comunicare per prima la propria comparsa, ed il termine entro il quale l'altra parte deve rispondere” - può tornare ad avere una ragione.
VIII. Comparizione figurata e trattazione in forma scritta
La lettera h) consente “lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
La disposizione, come annunciato, si presta ad una interpretazione che esclude totalmente la trattazione orale in favore di una trattazione solo scritta.
Nelle udienze fissate per adempimenti in cui non è necessaria - anche perché non disposta - la presenza di soggetti processuali diversi dai difensori, il giudice ha la possibilità di provvedere senza che si sia svolta l’udienza con la comparizione reale dei difensori e quindi la relativa attività orale. L’onere di partecipazione, o meglio la sua soddisfazione, è assicurato garantendo la possibilità di uno scambio, con deposito telematico, di note scritte contenenti le medesime istanze e conclusioni proponibili oralmente. La comparizione è figurata, così come l’udienza, e il termine per provvedere decorre dalla data della stessa.
Una diversa e contenuta interpretazione - secondo cui per dette udienze sarebbe possibile escludere la presenza di tutti i soggetti del processo, salvo i difensori (con una limitazione ulteriore quindi rispetto a quella della lettera e), chiamati solo a “riportarsi” a quanto già dedotto per forma scritta - appare incongrua con gli scopi emergenziali, se non in contrasto con gli stessi, inducendo i difensori a frequentare le udienze per attività spesso superflue.
Le udienze escluse dalla comparizione figurata
Una lettura rigida della norma tesa ad escludere dal novero delle udienze “che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti”, quindi a comparizione figurata, tutte quelle in cui è ammessa la presenza delle parti personalmente impedirebbe la sua applicazione a tutte le udienze civili, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 84 disp. att. c.p.c., le parti possono partecipare a qualsiasi udienza inerente la loro causa (purché assistano in silenzio).
Al contrario, proprio al fine di attribuire una qualche operatività alla disposizione in commento, deve ritenersi che il legislatore abbia voluto fare riferimento a quelle udienze per il cui svolgimento è sufficiente la presenza dei difensori.
Di conseguenza, le udienze escluse dalla possibilità di partecipazione scritta sono di certo:
a) le udienze in cui è richiesta la comparizione personale delle parti (ad esempio: udienza di tentativo di conciliazione ex art. 185 c.p.c.; udienza davanti al presidente nei procedimenti di separazione e divorzio);
b) le udienze di escussione dei testimoni e di espletamento dell’interrogatorio formale;
c) le udienze di giuramento del c.t.u. ex art. 193 c.p.c. e quelle in cui il c.t.u. comunque interviene su disposizione del giudice ai sensi dell’art. 197 c.p.c. (tenuto peraltro conto che in queste occasioni possono presenziare anche i consulenti tecnici di parte ex art. 201 c.p.c.);
d) comunque tutte quelle udienze che necessitino, ex lege o per ordine del giudice, la partecipazione di soggetti ulteriori rispetto ai difensori della parti muniti di valida procura ad litem.
La ratio legislativa del limite così imposto si comprende: da un lato, in ragione della frustrazione dell’utilità processuale di alcuni istituti (un interrogatorio formale reso per iscritto sarebbe decisamente privo di significato); da un altro lato, con la difficoltà oggettiva per i soggetti diversi dai difensori di prendere parte all’udienza a mezzo di scritti (appare quanto mai complicato tentare la conciliazione dei coniugi separandi/divorziandi sulla base di una loro semplice deposizione scritta); da un altro lato ancora, alla luce delle dinamiche processuali che possono scaturire da udienze più partecipate (si pensi, ad esempio, alle eccezioni e alle istanze che possono essere avanzate all’esito di una testimonianza o una volta ascoltati i chiarimenti resi dal c.t.u.), che necessitano della contestualità e non potrebbero essere agevolmente condensate in una nota scritta nemmeno dai difensori.
Gli strumenti dell’attività difensionale
L’attività propria dell’udienza figurata avviene “mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte”.
Lo spazio di manovra difensionale è dunque concentrato nello scambio e nel deposito telematico di note scritte.
Quanto allo scambio, non vengono specificate le modalità in cui questo debba esplicarsi. Tuttavia, lungi dal ritenere che il legislatore emergenziale abbia inteso rievocare lo scambio di memorie disciplinato dagli artt. 164 e ss. del codice di procedura civile del 1865 (con notifica all’uffizio del procuratore della controparte certificata dall’usciere), è immaginabile che, alla luce della piena operatività del processo civile telematico, scambio e deposito siano attività da intendere congiuntamente; e ciò perché il deposito telematico di un documento ha il duplice effetto di perfezionare la sua acquisizione agli atti del fascicolo telematico e consentirne la ricezione nella sfera di conoscenza della controparte (che può agilmente prenderne visione in via telematica).
Peraltro, per non svuotare totalmente di contenuto il riferimento all’operazione di “scambio”, è pure prospettabile che la disposizione suggerisca di regolare cronologicamente il deposito delle note difensive (ad esempio con la concessione di termini sfalsati) in modo da garantire una più efficace interlocuzione tra le parti.
Il principio di sintesi e lo scopo delle note scritte
Le note depositabili in vista dell’udienza a comparizione figurata non possono essere altro che scritti “contenenti le sole istanze e conclusioni”. Nel concetto di istanze possono intendersi incluse domande ed eccezioni.
Previdentemente, la norma circoscrive il contenuto delle note, vietando così che le stesse possano surrettiziamente integrare nuovi atti processuali esorbitanti le istanze e le conclusioni che possono prospettarsi in un’udienza di rito.
Il provvedimento del giudice
Una volta assicurato lo scambio/deposito delle note scritte, le difese delle parti hanno trovato la loro compiuta cristallizzazione e sull’udienza può calare il sipario con il provvedimento del giudice.
La lettera h) parla di “adozione fuori udienza del provvedimento” ma, a ben vedere, se lo stesso legislatore ricollega i passaggi citati in un unico composito “svolgimento” dell’udienza, bisognerebbe riconoscere che il provvedimento del giudice possa anche avvenire in udienza: vale a dire, il giorno stesso fissato per l’udienza, alla luce delle note scritte depositate dalle parti. Alternativamente, il giudice, al pari di una riserva, potrà statuire sulle istanze e sulle eccezioni delle parti successivamente (e allora sì che emetterà un provvedimento fuori udienza).
IX. Le regole generali per la comparizione figurata e la trattazione scritta
Prima di esaminare le modalità di trattazione secondo i vari riti, appare utile riassumere qui di seguito le regole pratiche che potrebbero governare l’udienza a comparizione figurata.
1) Le udienze che richiedono la presenza di soggetti ulteriori rispetto ai difensori – ad esempio, testimoni, parte interroganda, parte per gli adempimenti ex art. 420 c.p.c., ausiliare giudiziale - sono escluse dalla comparizione figurata e dalla trattazione scritta.
2) La data di udienza è quella fissata a norma di legge per la prima comparizione (artt. 168 bis, 415, 702 bis c.p.c.) o quella giudizialmente stabilita per il rinvio. Il luogo dell’udienza rimane l’aula allo scopo destinata, in cui il magistrato è presente personalmente.
3) Il giudice, prima della data di udienza, con provvedimento d’ufficio (ovvero nel decreto di differimento, se trattasi di udienza di prima comparizione, ovvero nel decreto di fissazione, in caso di ricorso): invita le parti al deposito di note scritte congiunte per l’udienza fino a quattro giorni prima della stessa; assegna alle parti, in subordine al mancato accordo sul deposito di note congiunte, i termini (preferibilmente sfalsati) per lo scambio/deposito delle note scritte ai fini della prima udienza; fornisce eventuali indicazioni sullo svolgimento dell’udienza a comparizione figurata.
Se il giudice non provvede, le parti sono comunque autorizzate alla comparizione figurata con il deposito di note scritte. Se le note sono congiunte il termine è fino a quattro giorni prima dell’udienza. Se le note sono disgiunte il termine per l’attore è fino a quattro giorni prima dell’udienza e per il convenuto è fino a due giorni prima.
4) Le parti, entro i termini assegnati o previsti, provvedono al deposito telematico delle note scritte.
È preferibile, nel solco del principio di leale collaborazione, che i difensori depositino un’unica nota congiunta (alla stregua delle “Note di udienza” di cui al sito note.didirittopratico.it, già in uso da tempo presso alcuni tribunali) in cui dare già conto dello sviluppo alternato delle rispettive difese (ad esempio: “L’avv. Tizio per parte attrice disconosce il documento n. 1 allegato alla comparsa di controparte. L’avv. Caio per parte convenuta, preso atto del disconoscimento, ne chiede la verificazione con ammissione di c.t.u. grafologica. L’avv. Tizio si oppone e, in caso di accoglimento dell’istanza di verificazione, chiede termine per poter articolare mezzi di prova sul punto”).
Le parti, benché la condotta possa risultare distonica rispetto alla leale collaborazione, restano comunque libere di depositare note scritte sino al giorno di udienza, nel termine orario fissato per la trattazione della causa più un’ora (così se l’udienza è fissata per le 9.15, il termine scade alle ore 10.15).
5) Le note scritte per la comparizione figurata sono esclusivamente relative all’attività d’udienza. Esse devono contenere, sinteticamente, solo istanze (domande ed eccezioni; ad esempio: “l’Avv. Tizio eccepisce l’improcedibilità della domanda di controparte per violazione dell’art. X”), conclusioni (“l’Avv. Caio precisa le conclusioni riportandosi all’atto di citazione”) o deduzioni discussionali, in caso di udienza di discussione (“l’Avv. Sempronio discute la causa riportandosi ai precedenti scritti difensivi”).
6) Il giudice può:
6.1.) redigere il verbale, il giorno dell’udienza, in cui prende atto della comparizione mediante il deposito delle note scritte pervenute ai fini di udienza e riservarsi o disporre per il prosieguo su quanto richiesto;
6.2.) non redigere il verbale (la cui necessità non è sancita espressamente dall’art. 2, co. 2, lett. h, decreto legge 8 marzo 2020, n. 11) ed emettere il giorno dell’udienza il proprio provvedimento in cui, preliminarmente, dà atto delle note scritte pervenute ai fini di udienza.
6.3.) non redigere il verbale ed emettere fuori udienza il proprio provvedimento sempre dando atto, preliminarmente, della comparizione delle parti mediante note scritte. Il termine per il deposito del provvedimento è quello previsto per ciascuna tipologia di riserva o atto decisorio.
7) Il mancato deposito della nota scritta, entro il termine stabilito o al più tardi entro il giorno dell’udienza (nel termine orario fissato per la trattazione della causa più un’ora) equivale alla non comparizione; sicché, qualora nessuna delle parti abbia depositato le note scritte, si procederà ai sensi dell’art. 309 c.p.c.
8) Nel rito ordinario, nel caso in cui il giudice, all’esito dell’udienza di precisazione delle conclusioni, intenda procedere ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., ordina la discussione orale e fissa all’uopo un’udienza successiva, assegnando alle parti un termine per il deposito di note contenenti le deduzioni discussionali. In alternativa, nel provvedimento con cui il giudice fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni, può già ordinare la discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. (eventualmente dando alle parti i termini per il deposito di memorie conclusionali, ad esempio 30 giorni prima dell’udienza). All’udienza così fissata le parti potranno comparire in modo figurato depositando note scritte contenti le deduzioni discussionali.
9) Nel rito del lavoro, per garantire l’effettività della discussione ex art. 429 c.p.c., le parti, prima dell’udienza, depositano note contenenti le rispettive deduzioni discussionali entro il termine stabilito dal giudice (fatta salva comunque per il giudice la possibilità di concedere alle parti un altro termine per il deposito di memorie scritte).
X. Il rito ordinario
L’udienza di prima comparizione ex art. 183 c.p.c. rientra certamente tra quelle che possono svolgersi virtualmente.
Il deposito di una nota congiunta delle parti è la modalità preferibile. In caso di mancanza della nota congiunta è auspicabile che vengano assegnati termini sfalsati; ma questo solamente nell’ipotesi in cui la costituzione del convenuto sia avvenuta tempestivamente nel termine di cui all’art. 167 c.p.c. o comunque entro un termine tale da consentire all’attore di preparare delle minime repliche per iscritto. In tal caso, la scansione dei termini può avvenire con l’assegnazione:
- di un primo termine (ad esempio, quattro giorni prima dell’udienza) all’attore per depositare la propria nota in cui, oltre a poter precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, potrà prendere posizione in ordine alle difese del convenuto, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ex art. 183, comma 5, c.p.c.;
- di un termine successivo (ad esempio, due giorni prima dell’udienza) al convenuto per depositare la propria nota in cui, oltre a poter precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, potrà replicare alle deduzioni ed eccezioni dell’attore.
Nelle cause contumaciali o in quelle in cui la costituzione del convenuto avvenga troppo a ridosso dell’udienza o per la stessa, il termine per il deposito delle note non potrà che corrispondere al giorno di udienza. In quest’ultimo caso, e comunque ogni qual volta ritenga le difese spiegate dalle parti richiedano un’ulteriore interlocuzione nel contraddittorio, il giudice può rinviare ad altra udienza fissando nuovi termini per note deduttive.
Il giudice, quindi, con provvedimento in udienza o successivo alla stessa (entro trenta giorni ex art. 183, comma 7, c.p.c.), provvederà sulle istanze e richieste dedotte-
L’udienza di ammissione dei mezzi istruttori
L’udienza di ammissione dei mezzi istruttori è quella che più si presta alla trattazione scritta in commento.
Infatti, prima dell’udienza (ad esempio, quattro giorni prima), le parti procederanno al deposito delle proprie note con cui potranno riportarsi alle memorie istruttorie e muovere contestazione (sintetica) delle sole (eventuali) istanze avversarie formulate nella terza memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.
Il giudice, quindi, con provvedimento in udienza o successivo alla stessa (entro trenta giorni ex art. 183, comma 7, c.p.c.), provvederà sulle richieste istruttorie fissando l’udienza di cui all’art. 184 per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti.
L’udienza di precisazione delle conclusioni
Come per l’udienza di ammissione dei mezzi istruttori, anche quella di precisazione delle conclusioni non trova grandi ostacoli nella comparizione figurata: prima dell’udienza (ad esempio, tre giorni prima), le parti procederanno al deposito delle note contenenti le rispettive conclusioni.
Il giudice, quindi, con provvedimento in udienza (virtuale) o successivo alla stessa, stabilirà se:
- trattenere la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.;
- procedere nelle forme e nei termini dell’art. 281 quinquies, comma 2, c.p.c., dovendo allora assegnare alle parti un ulteriore termine (rispetto a quello per il deposito delle comparse conclusionali), a ridosso dell’udienza (ad esempio, tre giorni prima), per depositare note di udienza contenenti le deduzioni discussionali;
- ordinare la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.; in tal caso, non potrà procedere al deposito della sentenza ma fisserà un’udienza successiva, assegnando alle parti un termine per il deposito di note contenenti le deduzioni discussionali; solo all’esito di questa successiva udienza, soddisfatta l’attività discussionale (figurata), potrà depositare la sentenza con sottoscrizione del verbale ex art. 281, comma 2, sexies c.p.c. In alternativa, nel provvedimento con cui il giudice fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni, può già ordinare la discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. (eventualmente dando alle parti i termini per il deposito di memorie conclusionali, ad esempio 30 giorni prima dell’udienza). All’udienza così fissata le parti potranno comparire in modo figurato depositando note scritte contenenti le deduzioni discussionali.
XI. Il rito sommario di cognizione
Alla trattazione scritta delle udienze previste nel rito sommario di cognizione potrà procedersi sulla falsariga di quanto avviene nel rito ordinario.
Così, all’udienza di prima comparizione, a meno che le parti non depositino una nota congiunta, è preferibile che vengano assegnati termini sfalsati; nell’ipotesi in cui la costituzione del convenuto sia avvenuta tempestivamente nel termine di cui all’art. 702 bis, co. 2, c.p.c. o comunque entro un termine tale da consentire all’attore di preparare delle minime repliche per iscritto. In tal caso, la scansione dei termini può avvenire con l’assegnazione:
- di un primo termine (ad esempio, quattro giorni prima dell’udienza) all’attore per depositare la propria nota in cui, oltre a poter precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, potrà prendere posizione in ordine alle difese del convenuto, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo;
- di un termine successivo (ad esempio, due giorni prima dell’udienza) al convenuto per depositare la propria nota in cui, oltre a poter precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, potrà replicare alle deduzioni ed eccezioni dell’attore.
Nelle cause contumaciali o in quelle in cui la costituzione del convenuto avvenga troppo a ridosso dell’udienza, il termine per il deposito delle note non potrà che corrispondere al giorno di udienza.
In quest’ultimo caso, e comunque ogni qual volta ritenga le difese spiegate dalle parti richiedano un’ulteriore interlocuzione nel contraddittorio, il giudice può rinviare ad altra udienza fissando nuovi termini per note deduttive.
Per l’udienza di assunzione dei mezzi di prova non può trovare applicazione la modalità di comparizione figurata in commento.
Ai fini dell’udienza eventualmente fissata per la discussione conclusiva, il giudice assegnerà alle parti un termine (ad esempio, quattro giorni prima dell’udienza) per il deposito di note scritte contenenti le conclusioni.
XII. Il rito del lavoro
Il rito lavoristico, quantomeno per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c., si presta con minor favore alle ipotesi di comparizione figurata e di trattazione scritta della lettera h. Il rito realizza difatti con vigore i principi di oralità, immediatezza e concentrazione e vede la presenza personale della parte come un elemento tendenzialmente coessenziale, non solo per gli adempimenti previsti dall’art. 420 c.p.c. Per il processo previdenziale, almeno tendenzialmente, le problematiche di una trattazione scritta sono minori.
La trattazione delle cause di lavoro quindi non potrà esser scritta, e la comparizione non potrà esser figurata, poiché l’interrogatorio libero, e un’efficace tentativo di conciliazione, richiedono la comparizione reale della parte personalmente. Un margine di possibilità è per quelle cause in cui l’interrogatorio libero non ha peculiare valore ovvero in cui il tentativo di conciliazione è tendenzialmente fallimentare (come avviene ad esempio, per l’uno e l’altro caso, in molte delle cause di pubblico impiego). Per tali ipotesi - ferma restando la possibilità per il giudice di formulare per iscritto la proposta conciliativa all’esito della prima udienza - la trattazione scritta è possibile se entrambe le parti rinunciano preventivamente all’interrogatorio libero, fatta salva comunque la diversa determinazione del giudice che le convocherà nell’udienza ordinaria.
La trattazione scritta della causa con comparizione figurata ha comunque dei margini di concrete possibilità, considerando che, con frequenza, le cause di lavoro non si esauriscono in una sola udienza.
In relazione alla prima udienza - che tendenzialmente termina con la decisione o la riserva in merito all’ammissione dei mezzi istruttori o con il rinvio per la discussione - la trattazione è possibile solo nei limiti prima descritti.
Per l’udienza successiva alla prima, ossia quella di discussione (essendo esclusa l’udienza dedicata all’assunzione dei mezzi istruttori) la trattazione scritta della causa con comparizione figurata non presenta particolari ostacoli. Le parti, prima dell’udienza, depositano note contenenti le rispettive deduzioni discussionali entro il termine stabilito dal giudice (fatta salva comunque per il giudice la possibilità di concedere alle parti un altro termine per il deposito di memorie scritte).
XIII. Il rito cautelare e camerale
Per le udienze previste nel procedimento cautelare ex art. 669 sexies c.p.c. e nel procedimento camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c. (che disciplina anche la fase di reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c.) ci si può modellare sullo schema già elaborato con riferimento all’udienza di prima comparizione nel rito ordinario.
Pertanto, a meno che le parti non depositino una nota congiunta, è preferibile che vengano assegnati termini sfalsati; nell’ipotesi in cui la costituzione del resistente sia avvenuta tempestivamente nel termine fissato dal giudice o comunque entro un termine tale da consentire al ricorrente di preparare delle minime repliche per iscritto. In tal caso, la scansione dei termini può avvenire con l’assegnazione:
- di un primo termine (ad esempio, cinque giorni prima dell’udienza) al ricorrente per depositare la propria nota in cui potrà prendere posizione in ordine alle difese del resistente;
- di un termine successivo (ad esempio, due giorni prima dell’udienza) al resistente per depositare la propria nota in cui potrà replicare alle deduzioni ed eccezioni del ricorrente.
Nelle cause contumaciali o in quelle in cui la costituzione del resistente avvenga troppo a ridosso dell’udienza, il termine per il deposito delle note non potrà che corrispondere al giorno di udienza.
In quest’ultimo caso, e comunque ogni qual volta ritenga le difese spiegate dalle parti richiedano un’ulteriore interlocuzione nel contraddittorio, il giudice può rinviare ad altra udienza fissando nuovi termini per note deduttive.
Per l’udienza di assunzione di eventuali mezzi di prova (qualora, ad esempio, nell’ambito di un procedimento ex art. 700 c.p.c., si disponga l’audizione di informatori o la nomina di un c.t.u.) non può trovare applicazione la modalità di trattazione scritta in commento.
Ai fini dell’udienza eventualmente fissata per la discussione conclusiva, il giudice assegnerà alle parti un termine (ad esempio, quattro giorni prima dell’udienza) per il deposito di note scritte contenenti le conclusioni.
RITO ORDINARIO
Udienza |
Comparizione figurata
|
Modalità e termini*
|
prima comparizione (183 c.p.c.)
|
SÌ |
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) termini sfalsati entro 4 giorni e entro 2 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti e il convenuto si costituisce tempestivamente)
C) note entro il giorno di udienza (se non c’è accordo tra le parti e il convenuto non si costituisce tempestivamente).
|
ammissione dei mezzi istruttori |
SÌ
|
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) note separate entro 4 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti)
|
assunzione mezzi di prova (184 c.p.c.)
|
NO |
|
giuramento c.t.u. (193 c.p.c.)
|
NO |
|
precisazione delle conclusioni (189 c.p.c.)
|
SÌ
|
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) note separate entro 4 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti)
|
|
|
* In ogni caso, le parti sono libere di depositare note separate entro il giorno di udienza. Il termine orario è un’ora dopo l’orario fissato per l’udienza (se l’udienza è fissata per le ore 9.30, il termine è per le ore 10.30)
|
RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE
Udienza |
Comparizione figurata
|
Modalità e termini*
|
prima comparizione
|
SÌ |
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) termini sfalsati entro 4 giorni e entro 2 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti e il convenuto si costituisce tempestivamente)
C) note entro il giorno di udienza (se non c’è accordo tra le parti e il convenuto non si costituisce tempestivamente). |
assunzione mezzi di prova/ giuramento c.t.u.
|
NO |
|
discussione conclusiva
|
SÌ
|
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) note separate entro 4 giorni prima (se c’è non accordo tra le parti)
|
|
|
* In ogni caso, le parti sono libere di depositare note separate entro il giorno di udienza. Il termine orario è un’ora dopo l’orario fissato per l’udienza (se l’udienza è fissata per le ore 9.30, il termine è per le ore 10.30) |
RITO LAVORO
Udienza |
Comparizione figurata
|
Modalità e termini*
|
discussione (420 c.p.c.)
|
NO |
|
assunzione mezzi di prova/ giuramento c.t.u.
|
NO |
|
discussione (429 c.p.c.)
|
SÌ
|
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) note separate entro 4 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti)
|
|
|
* In ogni caso, le parti sono libere di depositare note separate entro il giorno di udienza. Il termine orario è un’ora dopo l’orario fissato per l’udienza (se l’udienza è fissata per le ore 9.30, il termine è per le ore 10.30) |
RITO CAUTELARE E RITO CAMERALE
Udienza |
Comparizione figurata
|
Modalità e termini*
|
trattazione
|
SÌ |
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) termini sfalsati entro 4 giorni e entro 2 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti e il convenuto si costituisce tempestivamente)
C) note entro il giorno di udienza (se non c’è accordo tra le parti e il convenuto non si costituisce tempestivamente). |
assunzione mezzi di prova/ giuramento c.t.u. |
NO |
|
discussione conclusiva
|
SÌ
|
A) nota congiunta entro 4 giorni prima (se c’è accordo tra le parti)
B) note separate entro 4 giorni prima (se non c’è accordo tra le parti)
|
|
|
* In ogni caso, le parti sono libere di depositare note separate entro il giorno di udienza. Il termine orario è un’ora dopo l’orario fissato per l’udienza (se l’udienza è fissata per le ore 9.30, il termine è per le ore 10.30) |
Informazione e comunicazione: tra reattività e riflessione di Bruno Montanari
Al tempo del “coronavirus” il tema dell’informazione mostra tutta quella sua intrinseca valenza, che in tempi meno apparentemente “contagiosi” sembra non richiamare la medesima attenzione. Segnalo che già in questo secondo rigo della proposizione di esordio ho usato una espressione giocata su quel profilo dell’immediatezza reattiva che l’informazione, non da oggi, prevalentemente insegue; l’espressione è: “meno apparentemente contagiosi sembra…” segnata dall’avverbio “apparentemente” e dal verbo “sembra”.
E’ sull’apparire e sul sembrare, entrambi verbi che incarnano la contingenza, che si determina quell’immediatezza reattiva che l’informazione oggi affida al “linguaggio”; da qui una prima chiarificazione, destinata a distinguere le finalità dei processi comunicativi in generale. Mi spiego.
Ho parlato di “linguaggio” e non di “parola”; tra i due termini vi è differenza. La “parola” è ciò che innerva il pensiero, così come la figura antica e classica del Logos suggerisce. Altra cosa è il “linguaggio”, che è costituito da sequenze di parole, o in quanto insiemi grammaticali idonei all’argomentazione, o, anche, come semplici emissioni sonore, dotate però di capacità suggestiva atte quindi a indurre reattività. Più si assottiglia la “parola”, come luogo di concretizzazione del pensiero, più si accresce la forza suggestiva dei linguaggi. Le tecnologie comunicative, che vanno diffondendosi, proprio a causa della loro struttura ingegneristica, operano percorsi linguistici, linguaggi, che esse stesse organizzano, sempre più suggestivamente efficaci, che annientano la “parola” come consustanziale al pensare ed al “pensiero”. Un linguaggio funzionale a stimolare la reattività si muove sul piano della immediatezza e, sostituendosi al pensare, annulla la categoria della “temporalità”. Ne segue che l’a-temporalità, che ne costituisce il modello espressivo, prende il posto che la temporalità del pensare avrebbe nel decidere e nell’agire di ciascuna persona, destinataria del linguaggio e fruitore dell’informazione in esso contenuta. L’attuale tecnologia comunicativa colpisce direttamente, infatti, le persone, cogliendole nella loro singolarità, e intercettandone im-mediatamente le istanze, i bisogni, i disagi, le paure… Ciò che viene investito e manipolato in maniera anche inavvertita e subliminale è quello spazio di vita che possiamo definire l’ “orto di casa”: quel mondo del quale ciascuno di noi vuole mantenere il controllo, pena lo spaesamento e l’insicurezza. L’effetto è duplice: la sostituzione del c.d. “impatto”, che si concretizza nella “immediatezza” della reattività, alla “lentezza” del pensiero (l’espressione è il titolo di un libro del 2014 di Lamberto Maffei, Elogio della lentezza, Il Mulino, Bologna) e il liquefarsi di ogni spazio relazionale e associativo, come momenti esistenziali di compensazione ed elaborazione della solitudine e del ragionamento. Tutto si risolve in una rete di segnali brevi, che arrivano in modalità reattiva, creando, a livello del proprio privato, l’illusione della “amicizia”; illusione, appunto, poiché non vi sono occhi che si guardano né sonorità di voci che si intrecciano. Al cospetto di un like ognuno resta stretto nella propria singolarità e con la personale solitudine di vita. Maffei insegna che la tecnologia dell’impatto e dell’immediatezza modifica il funzionamento delle aree cerebrali, mettendo a riposo quelle che presiedono al pensiero. Nasce così quella che altrove ho definito l’epoca del “post-pensiero”, nella quale lo smartphone ed il cane-giocattolo hanno preso il posto degli occhi e della voce dell’altro e degli altri.
Ho ritenuto di svolgere questa premessa per mettere in luce su quali aspetti di fondo, propri della struttura linguistica dei messaggi, occorra riflettere quando si parla di comunicazione, prima ancora dei consueti profili della libertà dell’informazione e del diritto-dovere di fornirla da parte degli addetti ai lavori.
Alla questione della “struttura linguistica” ne segue una seconda, anch’essa preliminare agli aspetti “normativi” e che in qualche misura dovrebbe orientarli, perché va ad incidere non sulla modalità espressiva, ma più direttamente sui “contenuti”; anche se “modalità espressiva” e “contenuti” sono interdipendenti.
“Informare” vuol dire “mettere in forma” o “dare forma” ad un “qualcosa”, che può essere un evento della natura, un pensiero, un discorso, uno scritto e così via. Il primo elemento è dunque la centralità costitutiva della “forma”: se la “cosa” non si mostrasse in virtù di una forma non sarebbe osservabile e, poi, leggibile e nel caso comunicabile. Dunque informare significa mettere in forma un “qualcosa” che ha già una sua forma. E’ quanto sperimenta quotidianamente il mondo del diritto con la forma che costituisce il tessuto normativo e, leggendolo, lo interpreta.
Proprio l’analogia con l’operazione interpretativa dei giuristi consente di mostrare i profili che strutturano i contenuti dei processi informativi. Come per l’interpretazione normativa anche l’informazione ha una struttura comunicativa ternaria: una “cosa” da comunicare, un soggetto attore della comunicazione ed un destinatario.
E’ una operazione attraverso la quale viene messa in forma quella che comunemente si chiama “realtà”, cui, altrettanto comunemente, si aggiunge l’aggettivo “oggettiva”. E’ dentro questo meccanismo, ad un tempo comunicativo e speculativo, che occorre addentrarsi. Innanzitutto, cosa vuol dire “realtà oggettiva”? Vuol dire, nella percezione comune, che le “cose sono” o “stanno” così come vengono comunicate. Il punto, invece, è che una tale “realtà” corrisponde, come sottolineava Cassirer nelle lezioni amburghesi del ‘21 – ’22 aventi ad oggetto la relatività di Einstein, al “punto di vista” dell’attore della comunicazione, reso “oggettivo” dalla legittimazione della sua competenza o posizione professionale. In altre parole, ciò che comunemente definiamo “realtà” è sempre, di necessità, la rappresentazione di una elaborazione mentale del soggetto. Non è, infatti, la “cosa” ad auto definirsi, ma è il soggetto, che la incontra e la osserva, a rappresentarla innanzitutto a sé e poi agli altri. Ed è su questa scissione tra sé e gli altri “destinatari” che può inserirsi un processo di possibile alterazione comunicativa, nel senso che l’attore può decidere, per ragioni sue proprie, di fornire una rappresentazione diversa da quella che egli ha costruito per sé. In ogni caso, però, la “realtà” coincide comunque con una rappresentazione del soggetto; per questo i processi comunicativi hanno bisogno di riferimenti argomentativi per trovare condivisione, oltre che ascolto, ed è ancora per questo che la medesima “cosa” si offre a rappresentazioni diverse. Esattamente come l’interpretazione normativa.
Vi è poi la seconda rappresentazione, quella che si costruisce il destinatario; e questa dipende dalla forma dell’atto comunicativo. Dipende, cioè, da come l’attore della comunicazione usa il linguaggio allo scopo di mettere in forma (in-formare) quella “realtà” che intende diffondere. Per questo ho ritenuto di svolgere le osservazioni sulla funzione comunicativa affidata alla modalità linguistica, la quale, come si ricorderà, può assumere due paradigmi. Quello comunicativo-riflessivo, che Maffei definirebbe “lento”, fondato sulla argomentazione, che induce il destinatario alla riflessione razionale e critica; esercita cioè quella funzione neurale che produce il pensare (è sempre Maffei che lo spiega). E quello, oggi di moda, costruito sulla forza di impatto di termini capaci di suscitare un’ immediata re-azione nel destinatario. Si pensi, come esempio significativo, alla odierna comunicazione politica (sia nostrana che internazionale), fatta di frasi brevi, spesso icastiche ed apodittiche; prive cioè di argomentazione e totalmente assertive. Non è senza ragione che, oggi, la politica non sia più costruita con “visioni del mondo”, progetti, pensieri, e confronti dialettici, ma sulla mera contingenza, messa in forma da leaders alla testa di quelli che il linguaggio dei social definisce followers. E’ un tipo di comunicazione che costruisce una “realtà” priva della struttura argomentativa della discutibilità, poiché la contingenza, coincidendo con il darsi di una fattualità puntistica, è per sua struttura epistemologica non discutibile. E non è senza significato che tale tipo di comunicazione-informazione sia determinata contenutisticamente da esperti di linguaggi dotati di incisività immediata delle rappresentazioni prodotte. Ne segue che per loro costituzione intrinseca tali processi comunicativi aprono ad una alternativa secca: condivisione integrale o conflitto altrettanto integrale. Per questo il mondo politico è popolato esclusivamente da “capi” e “seguaci” e non da persone pensanti
La sostituzione della a-temporalità della contingenza alla temporalità della progettualità produce una distorsione della stessa idea di governo nei sistemi democratico rappresentativi, poiché trasforma le procedure elettorali da percorsi comunicativi per governare in mezzi estemporanei per andare al governo. Il governare, infatti, legge il presente per progettare un futuro, l’andare al governo insegue quella reattività dell’immediato che è stata suscitata da appropriati messaggi. In breve, il governare si muove nella temporalità, l’andare al governo nella contingenza. L’attuale pratica dei sondaggi, esercitata a ritmi serrati, addirittura anche settimanali, costituisce una sorta di legittimazione elettoralistica della contingenza.
Ancora, si rifletta sulla informazione legata alle statistiche. Le statistiche, per avere un valore significativo, devono svilupparsi per comparazione tra eventi, contesti temporali e ambientali analoghi (se si assume, per es., l’evento “morte”, si pensi alla diversa significatività tra i dati assoluti e relativi delle statistiche legate alle morti per patologie polmonari, per tumori, per cardiopatie, per droga, per disastri naturali ecc.).
Ho cercato di descrivere, sia pure sommariamente, la struttura dei processi comunicativi che oggi costituiscono l’informazione genericamente intesa, sia quella messa in opera direttamente dal personale politico, sia quella più generale veicolata dai media. Ho soprattutto cercato di sottolineare che l’espressione “realtà oggettiva” è epistemologicamente priva di significato, poiché ogni atto umano è “per natura” soggettivo, in quanto originato dai sensi ed elaborato dal cervello di un uomo. E’ sempre, dunque, ricordando Cassirer, il “punto di vista” di un soggetto che disegna quella rappresentazione detta “realtà”.
Credo, allora, che la consapevolezza di quest’ultimo profilo sia così decisiva da chiamare in causa la responsabilità dell’attore della comunicazione; responsabilità che si coniuga con due profili: quello della libertà, poiché non si può essere responsabili se non si è liberi; e quello della onestà intellettuale, altrimenti definibile come “lealtà”, che soprattutto i protagonisti dei media dovrebbero avere a cuore. Certo, anche i destinatari dovrebbero porsi un problema che li riguarda in prima persona se vogliono avere la dignità di uomini liberi: quello di saper distinguere le “bufale” a effetto da una informazione e comunicazione che sicuramente è meno immediata ed emotivamente attraente, ma proprio per questo è capace di suscitare riflessione e pensiero; riflessione e pensiero, che non possono che essere quelli propri del soggetto che la riceve, ma giustificati e non soddisfatti da un misero, immediato e contingente like.
La non convalida dell'arresto. Brevi note di Giorgio Spangher
Con la sentenza n. 112 della III Sezione la Cassazione ha affrontato il ricorso del procuratore della repubblica del Tribunale di Agrigento per l’annullamento del provvedimento del gip del Tribunale di Agrigento che non ha convalidato l’arresto in flagranza di C.R. effettuato dalla Guardia di Finanza per i reati di cui agli artt. 1100 cod. nav. e 337 c.p.
La grande risonanza del tema impone di considerare in termini problematici la questione soprattutto nel suo profilo di maggior interesse: le condizioni in presenza delle quali la p.g. può procedere all’arresto in flagranza ed i poteri al riguardo conferiti al giudice in sede di convalida.
Va subito detto, sotto questo profilo, che la Cassazione fa propria una tesi in ordine alla quale non mancano anche indicazioni contrarie nella giurisprudenza della Cassazione.
Il punto di partenza attiene al tipo di valutazione che il giudice deve fare per valutare l’attività della p.g.; al riguardo, deve porsi nelle condizioni della p.g. al momento in cui ha effettuato l’arresto.
Sul punto, Cass. 29.9.2000, Mates Ion, Riv. pen. 2001, 862; nonché Cass. 4.4.2006, p.m. in c. Oprea, Riv. pen. 2007, 454; ed altre hanno affermato che in tema di convalida dell’arresto facoltativo in flagranza, ferma la necessità della verifica dei requisiti formali, il giudice della convalida deve operare rispetto ai presupposti sostanziali della stessa (gravità del fatto e personalità dell’arrestato) un controllo di mera ragionevolezza per il quale deve porsi nella stessa situazione in cui ha operato la p.g. e verificare, sulla base degli elementi in tale momento conosciuti e conoscibili, se la valutazione di procedere all’arresto rimanga nei limiti della discrezionalità alla medesima p.g. riconosciuta e pertanto se trovi ragionevole motivo nella gravità del fatto o nella pericolosità del soggetto, senza però poter sostituire ad un giudizio ragionevolmente fondato una propria differente valutazione (fattispecie in cui è stata ritenuta ragionevolmente motivata la convalida dell’arresto di un soggetto privo di documenti e senza fissa dimora sorpreso a rubare in un supermercato, quanto meno al fine di procedere ad ulteriori accertamenti sull’identità personale e sull’esistenza di precedenti penali).
V. anche Cass. 28.9.2005, p.m. in c. Sorgia, Guida dir. 2006, f. 11, 98, con cui si è affermato che il controllo sulla legittimità dell’operato della p.g. va effettuato sulla base del criterio di ragionevolezza, ovvero dell’uso ragionevole del potere discrezionale riservato alla p.g. e solo quando ravvisi un eccesso o un malgoverno di tale discrezionalità il giudice può negare la convalida, fornendo in proposito adeguata motivazione senza poter sostituire a un giudizio ragionevolmente fondato una propria differente valutazione. In tema di convalida dell’arresto (art. 391 c. 4), il giudice ha l’obbligo di: a) verificare l’osservanza dei termini previsti dagli artt. 386 c. 3 e 390 c. 1 (verifica meramente formale); b) controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto secondo gli artt. 380, 381 e 382, ossia se ricorrono gli estremi della flagranza e se sia configurabile, con riferimento al caso specifico, una delle ipotesi criminose che impongono o consentono l’arresto (fumus commissi delicti); c) valutare la legittimità dell’operato della p.g. sulla base di un controllo di ragionevolezza dell’arresto stesso, in relazione allo stato di flagranza e all’ipotizzabilità di uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381. Tale ultimo controllo, peraltro, non può riguardare l’aspetto della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, riservato ex art. 391 c. 5 in combinato disposto con gli artt. 273 e 274, all’applicabilità di taluna delle misure cautelari coercitive, e non può sconfinare in un apprezzamento riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito (Cass. 12.12.2007, Fiorenza, Guida dir. 2008, f. 9, 69). Conf. Cass. 24.11.10, p.m. in c. Aladie, ivi 2011, f. 13, 71.
In altri termini il giudice non può sostituire la sua valutazione a quella della p.g., ma solo verificare se essa abbia violato i limiti della discrezionalità che in quella fase è attribuita alla p.g. che si differenzia dai poteri e dalla valutazione che il giudice deve fare quando applica una misura cautelare.
Sulla base di questa premessa vanno considerate le disposizioni di cui all’art. 385 ove si prevede il divieto di arresto o di fermo in determinate circostanze e si precisa che l’arresto è escluso quando, tenendo conto delle circostanze di fatto, appare che questo è stato compiuto in presenza di una scriminante o per una causa di non punibilità.
Al riguardo, Cass. 16.1.2017, Iattarulo, CED 269428 e Cass. 28.9.2004, p.m. in c. Flosco, CED 230044, fanno riferimento ad una manifestazione chiara, ovvero ad uno stato che si sia manifestato in modo chiaro all’agente.
Del resto, l’art. 389 c.p.p. precisa che la liberazione è disposta dal p.m. nel caso in cui risulti evidente che l’arresto … è stato eseguito fuori dai casi previsti dalla legge.
In altri termini, appare necessario evitare di sovrapporre il giudizio ex post con la posizione ex ante nella quale ha agito la p.g., configurandosi situazioni diversificate. Come emerge dalla diversità dei provvedimenti che il giudice della convalida è chiamato ad effettuare – convalida ed eventuale ordinanza cautelare – e dalla diversità dei rimedi apprestati nei confronti dei due provvedimenti.
Si consideri altresì che la convalida si rende necessaria anche se il soggetto fosse stato liberato, ovvero se il p.m. non dovesse chiedere una misura cautelare e che la convalida è possibile anche quando il giudice non accolta la richiesta di misura cautelare.
Postilla a La giustizia di fronte all’emergenza Coronavirus. Le misure straordinarie per il processo amministrativo.
Fabio Francario
Si segnala che il parere reso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza della Commissione speciale del 10 marzo 2020 esclude che il richiamo dell’art. 54 d lgs 104/2010 da parte dell’art. 3 del dl 11/2020 comporti una vera e propria sospensione dei termini processuali nel periodo che va dall’entrata in vigore del dl 11/2020 al 22 marzo 2020. La Commissione si è espressa infatti nel senso che “il periodo di sospensione riguardi esclusivamente il termine decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41 c.p.a.)” e non anche gli altri termini endoprocessuali. La conclusione viene raggiunta muovendo dalla duplice considerazione che “con precipuo riguardo al termine per il deposito del ricorso (art. 45 c.p.a.) e soprattutto a quelli endoprocessuali richiamati dal già citato art. 73, comma 1, c.p.a., non si ravvisano le medesime esigenze che hanno giustificato la sospensione delle udienze pubbliche e camerali perché trattasi di attività che il difensore può svolgere in via telematica e senza necessità di recarsi presso l’ufficio giudiziario. Non appare esservi, dunque, alcun pericolo per la salute dei difensori né si moltiplicano le occasioni di contatto sociale e dunque le possibilità di contagio” ; e che “se la rapida diffusione dell’epidemia giustifica pienamente il rinvio d’ufficio delle udienze pubbliche e camerali, disposto dal decreto nel periodo che va dall’8 al 22 marzo 2020, allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, lo spostamento delle persone per la celebrazione delle predette udienze, nonché la trattazione monocratica delle domande cautelari (salva successiva trattazione collegiale), sempre allo scopo di evitare lo spostamento delle persone e la riunione delle stesse all’interno degli uffici giudiziari, non sembra reperirsi adeguata giustificazione, invece, per la dilatazione dei termini endoprocessuali”. Secondo il Consiglio di Stato, in buona sostanza, non si tratta affatto di un’applicazione eccezionale dell’istituto della sospensione dei termini processuali contemplato dall’art 54 del d lgs 104/2010, ma di una sospensione del solo termine per la notifica del ricorso giustificata da una ratio normativa che si prefigge di evitare gli spostamenti delle persone e la loro riunione presso gli uffici giudiziari.
Al riguardo si segnala altresì che le disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente del Consiglio di Stato con il decreto 71 del 10 marzo 2020 precisano che “trattasi di avallo esegetico che, seppur autorevole, non ha efficacia cogente per i giudici chiamati a decidere sul caso concreto, sicchè non può che confidarsi, al fine di una effettiva, pronta e corale reazione alla diffusione epidemiologica che non sacrifichi oltremodo l’efficienza e la capacità di risposta del sistema giudiziario amministrativo, in un atteggiamento pienamente collaborativo dell’avvocatura e dei singoli avvocati che si traduca in una sostanziale rinuncia ad avvalersi, per quanto concerne il deposito telematico degli atti defensionali di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., della sospensione di cui all’art. 3 comma 1 del DL 11/2020”.
Si riporta di seguito il testo del parere.
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