ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Prime osservazioni al Decreto “Semplificazioni bis” 31.05.2021 n. 77: il regime dei progetti finanziati in tutto o in parte con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Piano nazionale per gli investimenti complementari
di Lidia Maria La Rocca
Sommario: 1. Le linee di fondo del provvedimento - 2. Le nuove procedure in materia di opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto e di interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR o del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR - 3. Le misure acceleratorie - 4. Misure per la fase di esecuzione dei contratti - 5. Le ulteriori misure funzionali agli obiettivi di coesione sociale.
1. Le linee di fondo del provvedimento
Con il D.L. n. 77/2021[1] il Governo ha varato un robusto plesso di norme volte, come da epigrafe del provvedimento[2], ad assicurare la “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza” e ad apprestare le “prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”.
Tutte le misure adottate rispondono, come affermato all’art. 1 del decreto, all’esigenza di assicurare la “sollecita e puntuale” realizzazione degli interventi inclusi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (da porre in essere – secondo le disposizioni comunitarie inerenti al “Recovery and Resilience Facility”, RRF[3] – nell’arco di sei anni, dal 2021 al 2026), nonché nel Piano nazionale per gli investimenti complementari di cui al D.L. 6.03.2021 n. 59 e nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui al Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio delll’11.12.2018.
A tale fondamentale obiettivo di rispetto della tempistica e degli adempimenti comunitari che presiedono all’impiego delle straordinarie risorse[4] messe a disposizione al fine di riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica (oltre che al fine di contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana, e ad accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale), si correla la scelta del Governo di introdurre, unitamente a fondamentali organismi di raccordo ed indirizzo[5] ed a presidi di controllo[6], generali misure di snellimento e velocizzazione dell’azione amministrativa[7] e dei procedimenti autorizzativi, nonché numerose disposizioni destinate a facilitare il raggiungimento degli obiettivi del Piano nel settore, nevralgico per gli investimenti, degli appalti pubblici.
Per tale ultimo comparto, la scelta di fondo è stata quella di non procedere a modifiche strutturali del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ma di individuare – in linea con la precedente normativa derogatoria già introdotta in concomitanza dell’emergenza pandemica[8] - delle specifiche normative “speciali” o procedimenti ad hoc (improntati essenzialmente a semplificazione delle fasi ed accelerazione dei tempi, ma anche al soddisfacimento degli altri obiettivi del Piano) dedicati alle opere di particolare complessità o di rilevante impatto individuate dal decreto medesimo, ovvero ai progetti finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR e con quelle del Piano nazionale per gli investimenti complementari.
A fianco di tali previsioni “mirate”, definite dalla tipologia degli interventi da realizzarsi, si è poi scelto di prorogare talune delle disposizioni eccezionali e “a termine” in precedenza introdotte dal D.L. 16.07.2020 n. 76 (“semplificazioni”)[9] e talune delle misure “sperimentali” (sempre a termine) introdotte dal D.L. 18.04.2019 n. 32 (“sblocca cantieri”)[10]; mentre poche sono le modifiche “strutturali” apportate al Codice dei contratti pubblici[11], sicchè – come già da più parti rilevato – appare confermata la tendenza normativa a rendere sempre meno centrale la disciplina organica dei contratti pubblici dettata dal D. Lgs. N. 50/2016, con tutto ciò che inevitabilmente ne consegue in termini di sovrapposizione tra regime “ordinario” e regimi “speciali” di disciplina e di possibili incertezze applicative, in antitesi rispetto allo stesso obiettivo di semplificazione dichiaratamente perseguito[12].
Nell’estrema varietà delle disposizioni e degli istituti contemplati dal decreto, si andranno di seguito ad esaminare i principali aspetti di specialità della disciplina espressamente riservata ai soli contratti pubblici finanziati nell’ambito del PNRR o del PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR).
2. Le nuove procedure in materia di opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto e di interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR o del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR
Per tutte e le opere e gli interventi ricollegabili al PNRR il D.L. n. 77/2021 introduce svariati istituti chiaramente finalizzati a rendere efficace e tempestiva l’azione delle Amministrazioni preposte e a semplificare i procedimenti autorizzativi.
Si prevedono, a tal fine, meccanismi di rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti[13], importanti poteri sostitutivi nella fase di esecuzione dei progetti[14], forme di semplificazione ed al superamento dei dissensi in grado di precludere, in tutto o in parte, la realizzazione di un intervento rientrante nel PNR[15].
Agli obiettivi di semplificazione, che senz’altro rivestono un ruolo preponderante nel complessivo impianto normativo, si affiancano tuttavia ulteriori esigenze legate al raggiungimento di altri obiettivi più a lungo termine e di “sistema” del Piano, che valgono anch’esse (e forse più delle prime) a delineare la “filosofia” delle misure varate.
3. Le misure acceleratorie
Il Titolo III della Parte II del decreto individua poi la “Procedura speciale per alcuni progetti PNRR”, individuando – all’art. 44 – un percorso accelerato e semplificato per l’approvazione di una serie predeterminata di opere, indicate nell’Allegato IV del decreto, da realizzarsi assolutamente nei tempi previsti dai Regolamenti (UE) 2021/240 e 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché dal D.L. n. 59 del 2021. Tale procedimento “ad hoc” si caratterizza per una interlocuzione preliminare tra la stazione appaltante ed il Consiglio superiore dei lavori pubblici propedeutica alla approvazione del progetto di fattibilità tecnico ed economica di cui all’art. 27 del D. Lgs. n. 50/2016, con contestuale indizione di una conferenza di servizi all’interno della quale acquisire e valutare le prescrizioni e direttive impartite dal citato Consiglio e destinata a concludersi con una determinazione conclusiva avente effetto di variante agli strumenti urbanistici vigenti ed assoggettamento delle aree a vincolo espropriativo. Il progetto così approvato viene indi trasmesso al Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici[16], con previsione di un meccanismo di superamento del dissenso innanzi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per poi pervenire alla indizione della procedura di aggiudicazione da parte della stazione appaltante.
Il successivo Titolo IV del decreto (rubricato “Contratti pubblici”) reca poi ulteriori innovativi aspetti di disciplina delle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal Regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 febbraio 2021 e dal Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, nonché dal PNC.
Con riferimento alla procedura di affidamento di tali contratti, invero, l’art. 48, oltre a prevedere (al comma 1) l’applicazione dell’elevazione fino al 30% dell’anticipazione prevista dall’art. 207, comma 1, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, delinea incisive misure semplificatorie, con una disciplina che trova i propri punti qualificanti nella designazione di un responsabile unico del procedimento preposto a validare ed approvare ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera, ferme restando le previsioni dell’art. 26, comma 6, del Codice dei contratti[17]; nella possibilità per le stazioni appaltanti di ricorrere “nella misura strettamente necessaria” alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara di cui all’art. 63 del Codice (e dell’art. 125 per i settori speciali) quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti da circostanze imprevedibili, non imputabili alla stazione appaltante, l'applicazione dei termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie possa compromettere la realizzazione degli obiettivi o il rispetto dei tempi di attuazione di cui al PNRR nonchè al PNC e ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell'Unione Europea; nella ammissibilità, in deroga a quanto previsto dall'articolo 59, commi 1, 1-bis e 1ter, del Codice, dell’affidamento di progettazione ed esecuzione dei relativi lavori anche sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica di cui all'articolo 23, comma 5, del Codice medesimo[18]; nella introduzione di una deroga al disposto dell’art. 215 del Codice riguardo al parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici[19].
L’art. 53 del D.L. n. 77/2021 prevede poi una procedura semplificata per gli acquisti di beni e servizi informatici strumentali alla realizzazione del PNRR e in materia di procedure di e-procurement ed acquisto di beni e servizi informatici sopra soglia comunitaria (per quelli sottosoglia si applicano, invece, le previsioni semplificate di cui al d.l. n. 76/2020, così come modificate dal D.L. in esame).
Il Next Generetion EU prevede infatti che il 20% dei fondi destinati agli Stati membri attraverso la Recovery and Resilience Facility sia destinato alla trasformazione digitale; la quale costituisce dunque uno dei pilastri del PNRR[20]. Da qui, dunque, la stringente necessità di acquisti di beni e servizi ICT[21], finanziati in tutto o in parte con le risorse previste per la realizzazione dei progetti del Piano e strumentali ai progetti medesimi. Il tutto con riferimento, peraltro, a beni e servizi che supportano le funzioni ed i servizi essenziali dello Stato ma che, al contempo, sono soggetti a rapida obsolescenza. La scelta effettuata si pone dunque nel senso di una decisa velocizzazione e semplificazione delle procedure, realizzata, innanzi tutto (comma 1), attraverso il ricorso al solo affidamento diretto per tutti gli appalti fino al raggiungimento della soglia comunitaria, ovvero, per gli appalti sopra soglia la cui determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2026, attraverso il ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando, ex art. 63 del codice dei contratti pubblici per i settori ordinari (ovvero, per i settori speciali, ex art. 125 del medesimo codice). Il ricorso a tale procedura è ammesso altresì quando, a determinare l’urgenza, sia proprio la rapida obsolescenza tecnologica delle soluzioni disponibili.
Nella medesima ottica di accelerazione si pone altresì (comma 2) la possibilità per le Amministrazioni di stipulare il contratto sulla base di una mera autocertificazione dell’aggiudicatario circa il possesso dei requisiti[22], fermo restando il rispetto degli obblighi di stand still eurounitari. Il contratto, in tal caso, sarà sottoposto a condizione risolutiva. Per le verifiche antimafia, invece, si procede in base a quanto già previsto dall’art. 3 del D.L. n. 76/2020[23].
Il comma 4 dell’art. 48 dispone poi che in caso di impugnazione degli atti inerenti a tutte le procedure di affidamento dei contratti riconducibili al PNRR o al PNC e relative ai lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro, trova applicazione l'articolo 125 del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), che reca le disposizioni processuali per le controversie relative a infrastrutture strategiche.
Tale regime processuale si caratterizza per l’onere del Giudice di amministrativo di tenere conto, in sede di pronuncia cautelare, “delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera”, nonché della “irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure”. Ai fini della decisione di merito, invece, la norma processuale in questione dispone che, ferma restando l'applicazione degli articoli 121[24] e 123[25], al di fuori dei casi in essi contemplati la sospensione o l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto possa avvenire soltanto per equivalente[26].
4. Misure per la fase di esecuzione dei contratti
È l’art. 50 del D.L. n. 77/2021 a delineare misure semplificatorie per la fase relativa alla esecuzione dei contratti pubblici PNRR e PNC, stabilendo che decorsi inutilmente i termini per la stipulazione del contratto, per la consegna dei lavori, per la costituzione del collegio consultivo tecnico, gli atti e le attività di cui all'articolo 5 del D.L. n. 76/2020[27] , nonché gli altri termini, anche endoprocedimentali, previsti dalla legge, dall'ordinamento della stazione appaltante o dal contratto per l'adozione delle determinazione relative all'esecuzione dei contratti pubblici in questione, il responsabile o l’unità organizzativa titolare del potere sostitutivo lo eserciti, d'ufficio o su richiesta dell'interessato, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto.
Si dispone, ancora, che in deroga all’art. 32, comma 12, del Codice dei contratti, il contratto diviene efficace con la stipulazione[28] e che la stazione appaltante prevede, nel bando o nell'avviso di indizione della gara, un “premio di accelerazione per ogni giorno di anticipo” per l’ipotesi in cui l'ultimazione dei lavori avvenga in anticipo rispetto al termine contrattuale con successiva approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità. Detto premio andrà determinato sulla base degli stessi criteri stabiliti per il calcolo della penale, mediante utilizzo delle somme indicate nel quadro economico dell'intervento alla voce imprevisti, nei limiti delle risorse ivi disponibili, e sempre che l'esecuzione dei lavori sia conforme alle obbligazioni assunte.
Quanto alle penali per il ritardato adempimento, invece, si dispone che esse, in deroga all’articolo 113-bis del D. Lgs. n. 50 del 2016, possono essere calcolate in misura giornaliera compresa tra lo 0,6 per mille e l'1 per mille dell'ammontare netto contrattuale, da determinare in relazione all'entità delle conseguenze legate al ritardo. Esse, comunque, non potranno superare, complessivamente, il 20 per cento dell’ammontare netto contrattuale.
5. Le ulteriori misure funzionali agli obiettivi di coesione sociale
A fianco di tali misure, tutte chiaramente leggibili in chiave acceleratoria, il decreto legge introduce – sempre per gli interventi riconducibili al PNRR – anche disposizioni tese invece a perseguire le esigenze di tutela, innovazione e sviluppo sociale parimenti riconducibili al Piano[29].
Nel medesimo Titolo III si collocano, invero, all’art. 46, le “modifiche alla disciplina del dibattito pubblico”, rimesse – per la loro individuazione – ad un successivo decreto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ed anch’esse in ogni caso specificamente destinate, oltre che agli interventi dell’art. 44, a quelli finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR e del PNC. In tale ambito, in una logica di potenziamento e valorizzazione dell’istituto delineato dall’art. 22 del Codice dei contratti, certamente oggetto di una particolare attenzione da parte del Governo, si prevede la possibile individuazione di soglie dimensionali di opere da sottoporre obbligatoriamente a dibattito pubblico inferiori a quelle previste, in via generale, dall’Allegato 1 del D.P.C.M. 10.05.2018 n. 76[30].
Sul piano procedimentale, il confronto tra le diverse istanze, finalizzato al raggiungimento di una decisione finale oggetto di condivisione ed espressione di democrazia partecipativa, si colloca, fisiologicamente, nella fase iniziale di elaborazione del progetto di fattibilità, donde la previsione, nell’art. 46, che nei casi di obbligatorietà del dibattito pubblico relativamente alle opere dell’Allegato IV al D.L. n. 77/2021, lo stesso venga avviato contestualmente all’inoltro del progetto di fattibilita' tecnica ed economica al Consiglio superiore dei lavori pubblici per l'acquisizione del parere di cui all'articolo 44, comma 1, con possibile esercizio del potere sostitutivo da parte della Commissione nazionale per il dibattito pubblico.
L’istituto del dibattito pubblico, ispirato al modello del “débat public” francese, ha fatto ingresso nel nostro ordinamento per la prima volta proprio con il Codice dei contratti pubblici del 2016 e si pone come strumento finalizzato ad assicurare – anche in un’ottica di riduzione della conflittualità sociale che normalmente accompagna la progettazione e la costruzione delle grandi opere pubbliche – trasparenza e possibilità di confronto con la collettività ed i soggetti portatori dei vari interessi coinvolti riguardo relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulla città o sull’assetto del territorio[31].
La tensione tra le predette esigenze di partecipazione e quelle di efficienza dell’azione amministrativa trovano un “ragionevole punto di equilibrio”, secondo la Corte Costituzionale[32], proprio nella disciplina delineata dal combinato disposto dell’art. 22 D. Lgs. n. 50/2016 e dal successivo regolamento di cui al D.P.C.M. 10.05.2018 n. 76, nella misura in cui, ferma restando la cruciale rilevanza del dibattito pubblico quale “prezioso strumento della democrazia partecipativa”[33], “se ne devono evitare abusi e arbitrarie ripetizioni, in particolare con riferimento ai diversi piani (statale e regionale) su cui lo stesso deve svolgersi, pena un ingiustificato appesantimento dell'intera procedura”.
Da tale angolazione, pertanto, la previsione di un possibile ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto proprio per gli interventi riconducibili al PNRR, intrinsecamente caratterizzati da imperative e pressanti esigenze di efficienza e rapidità nella relativa realizzazione, appare alquanto significativa ed apprezzabile, ancorché certamente non convergente verso obiettivi di accelerazione e semplificazione delle procedure.
Agli obiettivi di Piano di “Inclusione e Coesione”[34], si riconducono, ancora, le disposizioni su “Pari opportunità generazionali e di genere, nei contratti pubblici PNRR e PNC” contenute all’art. 47, che impone agli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale di cui all'articolo 46 del D. Lgs. 11.04.2006 n. 198[35], di produrre, “a pena di esclusione”, tale documento al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell'offerta, attestandone la conformità a quello trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità ai sensi della richiamata normativa. Per gli altri operatori economici non contemplati dal D. Lgs. N. 198/2008 ma che occupino e che occupano un numero pari o superiore a quindici dipendenti si prevede l’obbligo di consegnare alla stazione appaltante entro sei mesi dalla conclusione del contratto, una relazione di genere sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta[36]. L’inadempimento a tale obbligo di presentazione della relazione è sanzionato (comma 6) con apposite penali da prevedersi nei contratti di appalto; penali commisurate alla gravità della violazione e proporzionali rispetto all'importo del contratto o alle prestazioni del contratto, nonché, per le ipotesi del comma 3, con la “impossibilità” per l'operatore economico inadempiente di partecipare, in forma singola ovvero in raggruppamento temporaneo, per un periodo di dodici mesi ad ulteriori procedure di affidamento afferenti gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR e del PNC.
Assai significativa è l’introduzione del potere delle stazioni appaltanti di prevedere, nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, specifiche clausole dirette all'inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell'offerta, criteri orientati a promuovere l'imprenditoria giovanile, la parità di genere e l'assunzione di giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne[37], così come di prevedere “ulteriori misure premiali” comportanti l'assegnazione di un punteggio aggiuntivo per i candidati o offerenti che rientrino in una delle situazioni individuate dal comma 5 dell’art. 47[38]. L’inserimento di tali avvisi e clausole premiali nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti potrà essere escluso dalle stazioni appaltanti soltanto dietro “adeguata e specifica motivazione” e per le sole ipotesi in cui l'oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l'inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonchè di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Dispone a tal fine il comma 4 dell’art. 47 che, ad esclusione dei casi disciplinati dal successivo comma 7, costituisce “requisito necessario dell'offerta l'assunzione dell'obbligo di assicurare una quota pari almeno al 30 per cento, delle assunzioni necessarie per l'esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, all'occupazione giovanile e femminile”.
Chiara (e senz’altro cogente) è la finalità che sorregge tutte le predette disposizioni, volte ad incentivare e “premiare” politiche del lavoro effettivamente articolate su principi di parità attraverso uno stringente e vincolante connubio con le dinamiche di affidamento dei contratti e di valorizzazione, sia in chiave di requisiti di ammissibilità che di elemento “premiante”, di significativi standards di promozione dell’occupazione femminile e giovanile.
E proprio nelle misure ispirate agli obiettivi di coesione e sviluppo sociale è dato cogliere, al netto delle verifiche sulla loro concreta efficacia e delle inevitabili occasioni di contenzioso che da esse potranno scaturire, gli aspetti più qualificanti ed innovativi di disciplina dei contratti pubblici riconducibili al PNRR ed al PNC.
* * * *
[1] Pubblicato nella G.U. n. 29 del 31.05.2021 ed attualmente in corso di conversione.
[2] Così come corretta all’esito del Comunicato 1.06.2021, inserito tra gli “Avvisi di rettifica” pubblicati nella G.U. 1.06.2021 n. 130.
[3] Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12.02.2021.
[4] Per complessivi 248 miliardi di euro, cui si aggiungono le ulteriori risorse (13 miliardi) rese disponibili dal programma REACT-EU e da spendersi negli anni 2021-2023 (https://www.mef.gov.it/focus/Il-Piano-Nazionale-di-Ripresa-e-Resilienza-PNRR/) .
[5] La “cabina di regia” istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 2), il “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale” (art. 3) e la “Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (art. 4).
[6] Il Servizio centrale per il PNRR(art. 6) e l’ufficio di controllo Audit (art. 7), entrambi istituiti presso il MEF, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato.
[7] Si vedano, al riguardo, le “disposizioni di accelerazione e snellimento delle procedure e di rafforzamento della capacità amministrativa” contenute nella Parte II del decreto, con pregnanti modifiche ai procedimenti di V.I.A. e V.A.S. e alle procedure per le fonti rinnovabili, misure urgenti in materia paesaggistica e modifiche agli istituti del silenzio assenso, dell’annullamento d’ufficio e del potere sostitutivo in caso di inerzia della P.A.
[8] D.L. 16 luglio 2020, n. 76 (cosiddetto Decreto Semplificazioni) e il D.L. 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. decreto sblocca cantieri).
[9] Si veda l’art. 51 del D.L. in commento.
[10] Art. 52.
[11] Tra esse spiccano senz’altro le variegate modifiche alla disciplina del subappalto contenuta all’art. 105 del Codice dei contratti introdotte dall’art. 49 del D.L. n. 77/2021 in vista del superamento di alcune criticità evidenziate dalla Commissione UE con la procedura di infrazione n. 2018/2273, e, segnatamente, di quella relativa alla prevista limitazione percentuale al subappalto. Si tratta, in sintesi, di un ulteriore tassello - non definitivo – del complesso cammino che caratterizza, nel nostro ordinamento, l’armonizzazione della disciplina del subappalto alle direttive comunitarie: un’armonizzazione resa difficile dalla tensione tra la ratio di prevenzione che permea sin dall’origine l’istituto a livello interno ed il diverso approccio comunitario. La principale questione oggetto di contestazione è invero quella relativa alla legittimità del limite quantitativo del 30% dell'importo complessivo del contratto individuato quale quota massima subappaltabile dall'art. 105, commi 2 e 5, D.Lgs. n. 50/2016, avendo la CGUE affermato, con la sentenza del 26 settembre 2019 della Sezione quinta (causa C-63/2018; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62018CJ0063 ) l'incompatibilità delle Direttive UE con una normativa nazionale, quale quella italiana, che, a pena di automatica esclusione dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto, limitava rigidamente al 30% (successivamente elevato al 40% a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 55/2019) la parte di prestazione che l'offerente era autorizzato a subappaltare a terzi. La stessa CGUE, quinta sezione, con la precedente sentenza del 27.11.2019 (causa C-402/18; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62018CJ0402 ), nel valutare contrastante con le direttive comunitarie l’imposizione di un limite al ricorso ai subappaltatori “a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità degli eventuali subappaltatori e il carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe”, aveva ritenuto eccessiva rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato del Governo italiano di rendere la partecipazione agli appalti pubblici meno appetibile per le organizzazioni criminali e, conseguentemente, di tutelare l’ordine pubblico, la limitazione percentuale del 30% in precedenza prevista dall’art. 118 del D. Lgs. n. 163/2006. Come dunque affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella Sentenza n. 389 del 16.01.2020 il limite quantitativo del 30% imposto dall’art. 105 dell’attuale Codice dei contratti doveva “ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia”.
L’art. 49 dispone dunque, sia pur a termine (fino al 31.10.2021), l’elevazione al 50% del sopra richiamato limite quantitativo percentuale, mentre modifiche “a regime” all’art. 105 del Codice sono invece quelle apportate al comma 14 (riguardante gli standards qualitativi ed occupazionali che il subappaltatore dovrà garantire qualora “le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l'oggetto dell'appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell'oggetto sociale del contraente principale”), al comma 8 (recante espressa previsione che “Il contraente principale e il subappaltatore sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto di subappalto”, laddove invece, in base al Codice, il subappalto, quale contratto derivato, rilevante nella fase di esecuzione del rapporto, si caratterizzava per il fatto che il rischio imprenditoriale ed economico inerente all’esecuzione delle prestazioni in esso previste è assunto dal subappaltatore attraverso la propria organizzazione, mentre il subappaltante rimane responsabile nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice - in termini, in relazione alla previgente disciplinare di cui al codice dei contratti pubblici approvato con decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, cfr. Cons. Stato, V, 25 febbraio 2015, n. 936, 16 aprile 2013, n. 2105, 26 marzo 2012, n. 1726) ed al comma 2 (ove si rimette alle stazioni appaltanti l’onere di indicare nei documenti di gara le prestazioni del contratto di appalto da eseguire a cura dell’aggiudicatario “in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto”, nonché “dell'esigenza, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori ovvero di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui al comma 52 dell' articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero nell'anagrafe antimafia degli esecutori istituita dall'articolo 30 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229”).
[12] Sul codice dei contratti quale “sorta di anello debole di una serie di sub-sistemi derogatori e provvisori nel tempo”, si vedano le osservazioni di C. Contessa, “Le novità del “Decreto semplificazioni”, ovvero: nel settore dei contratti pubblici esiste ancora un “Codice”?”, in Urbanistica e appalti, 6/2020, 757 e ss..
[13] Art. 11, che mira, attraverso la Consip S.p.A., a garantire alle pubbliche amministrazioni gli strumenti necessari per l’attuazione del PNRR (specifici contratti, accordi quadro e servizi di supporto tecnico).
[14] Art. 12 (che delinea un procedimento gestito dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con possibile designazione anche di un commissario ad acta).
[15] Art. 13 (che delinea, su impulso della Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri o del Servizio centrale per il PNRR, un meccanismo di avocazione apicale del potere decisionale in capo al Governo, analogo a quello storicamente utilizzato dalla L. n. 537/1993per il superamento del dissenso in sede di conferenza di servizi ex art. 14 e ss. L.n. 241/1990).
[16] Organo “temporaneo”, in quanto destinato a durare in carica fino al 31.12.2026, istituito ai sensi del successivo art. 45 e preposto alla formulazione dei pareri sulle grandi opere dell’Allegato IV.
[17] Ai sensi di tale disposizione, “L'attività di verifica è effettuata dai seguenti soggetti: a) per i lavori di importo pari o superiore a venti milioni di euro, da organismi di controllo accreditati ai sensi della norma europea UNI CEI EN ISO/IEC 17020; b) per i lavori di importo inferiore a venti milioni di euro e fino alla soglia di cui all'articolo 35, dai soggetti di cui alla lettera a) e di cui all'articolo 46, comma 1, che dispongano di un sistema interno di controllo di qualità ovvero dalla stazione appaltante nel caso in cui disponga di un sistema interno di controllo di qualità; c) per i lavori di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 35 e fino a un milione di euro, la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti ove il progetto sia stato redatto da progettisti esterni o le stesse stazioni appaltanti dispongano di un sistema interno di controllo di qualità ove il progetto sia stato redatto da progettisti interni; d) per i lavori di importo inferiore a un milione di euro, la verifica è effettuata dal responsabile unico del procedimento, anche avvalendosi della struttura di cui all'articolo 31, comma 9”.
[18] Si prevede che sul progetto di fattibilità tecnica ed economica posto a base di gara deve essere sempre convocata la conferenza di servizi di cui all'articolo 14, comma 3, L.n. 241/1990 e che l'affidamento avvenga mediante acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta ovvero, in alternativa, mediante offerte aventi a oggetto la realizzazione del progetto definitivo, del progetto esecutivo e il prezzo. In entrambi i casi, l'offerta relativa al prezzo dovrà indicare distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione definitiva, per la progettazione esecutiva e per l'esecuzione dei lavori. In ogni caso, alla conferenza di servizi indetta ai fini dell'approvazione del progetto definitivo partecipa anche l'affidatario dell'appalto, che provvede, ove necessario, ad adeguare il progetto alle eventuali prescrizioni susseguenti ai pareri resi in sede di conferenza di servizi. Sempre in punto di progettazione, il comma 6 dell’art. 48 dispone che le stazioni appaltanti che procedono agli affidamenti dei contratti in commento possano prevedere, nel bando di gara o nella lettera di invito, l'assegnazione di un punteggio premiale per l'uso nella progettazione dei metodi e strumenti elettronici specifici di cui all'articolo 23, comma 1, lettera h), del D. Lgs. n. 50 del 2016.
[19] Il parere in questione dovrà essere reso esclusivamente sui progetti di fattibilità tecnica ed economica di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro e, in deroga a quanto previsto dall'articolo 1, comma 9, del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, non riguarderà anche la valutazione di congruità del costo. Viceversa, per gli investimenti di importo inferiore ai 100 milioni di euro, dalla data di entrata in vigore del DL n. 77/2021 fino al 31.12.2026, “si prescinde” dall'acquisizione del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
[20] Rientrante nella Missione 1, Componente 1 “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella P.A.”.
[21] Information and communications technology.
[22] In linea con quanto già in precedenza previsto dall’art. 75 del D.L. n. 18/2020
[23] Sulla portata di tale norma si veda F. Gaffuri, ”Il decreto semplificazioni alla prova dei fatti – La disciplina degli appalti pubblici dopo il “decreto semplificazioni”, in Giur. It., 2021, 5, 1242, ove si rileva che l'art. 3 del decreto "semplificazioni" ha introdotto significative novità in materia di verifiche antimafia e protocolli di legalità, alla ricerca di un nuovo punto di bilanciamento tra le esigenze preventive di contrasto alla criminalità organizzata e l'obiettivo, perseguito dal D.L. n. 76/2020 e dalla normativa emergenziale legata al Covid 19, di incentivare gli investimenti pubblici e di favorire la ripresa economica. Si è dunque disposto (al comma 1) che, sino al 31 dicembre 2021, deve essere ritenuto sempre sussistente, per tutti i "procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l'erogazione di benefici economici comunque denominati, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti da parte di pubbliche amministrazioni", il caso di urgenza delineato dall'art. 92, 3° comma, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice delle leggi antimafia), con conseguente possibilità per le amministrazioni di procedere alla stipulazione dei contratti aggiudicati anche prima del rilascio dell'informativa liberatoria provvisoria (salvo il diritto di recesso dal contratto, nel caso in cui le verifiche successivamente espletate determinino l'interdizione del contraente privato). Al comma 2 del medesimo art. 3, D.L. n. 76/2020 che, per le verifiche antimafia riguardanti l'affidamento e l'esecuzione dei contratti pubblici, si provvede mediante il rilascio della informativa liberatoria provvisoria, immediatamente conseguente alla consultazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia ed alle risultanze della consultazione di tutte le altre banche date disponibili. L'ottenimento dell'informativa liberatoria provvisoria permette di stipulare, approvare o autorizzare - sotto condizione risolutiva - i contratti e i subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture, ferme restando le ulteriori verifiche necessarie per il rilascio delle certificazioni antimafia, che devono essere comunque completate entro sessanta giorni. In caso, poi, di esito negativo delle verifiche successivamente effettuate, scatta l’istituto della revoca del contratto da parte dell’Amministrazione (tenuta a pagare le opere già eseguite e di rimborsare le spese sostenute dalla controparte privata per l'esecuzione dei lavori rimanenti, nei limiti delle utilità conseguite), con la precisazione, peraltro, che la revoca non può essere disposta "nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni o servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi" (cfr., art. 94, 4° comma, D.Lgs. n. 159/2011, richiamato dal comma dell’art. 3). In tale ultima ipotesi, è comunque consentita l'adozione di misure idonee a limitare l'autonomia gestionale dell'impresa, quali, ad esempio, il provvedimento che dispone la straordinaria e temporanea gestione, ai sensi dell'art. 32, 10° comma, D.L. n. 90/2014, convertito con L. n. 114/2014 (quest'ultima norma è parimenti richiamata dall'art. 3, 4° comma, del decreto "semplificazioni").Sempre l’art. 3 del D.L. “semplificazioni”, infine, aveva introdotto, al comma 7, una modifica al codice delle leggi antimafia del 2011 (precisamente, all'art. 83-bis, relativo alla facoltà del Ministero dell'Interno di sottoscrivere protocolli (o altre intese comunque denominate) per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, anche allo scopo di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia. In tale ambito, si è innovativamente previsto che tali intese siano sottoscritte anche dalle imprese di rilevanza strategica per l'economia nazionale, dalle associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale delle categorie produttive, economiche o imprenditoriali e dalle associazioni sindacali.
[24] “Inefficacia del contratto in caso di gravi violazioni”.
[25] “Sanzioni alternative”.
[26] Come rilevato da Cons. Stato Sez. IV, Sent., 05.05.2016, n. 1798 la disposizione processuale in commento, posta a tutela della stessa amministrazione e del suo interesse alla più sollecita esecuzione delle infrastrutture strategiche, è intesa a disciplinare i poteri del giudice amministrativo, con la preclusione, nel caso di intervenuta stipulazione del contratto relativo all'esecuzione di infrastrutture di carattere strategico, di ogni declaratoria giudiziale d'inefficacia e di ogni eventuale subentro nel contratto, e con la limitazione delle relative statuizioni alla sola condanna al risarcimento del danno in forma equivalente. Se, infatti, “con l'art. 121 c.p.a. sono tipizzate le fattispecie in cui è obbligatoria la declaratoria d'inefficacia del contratto (salva l'applicazione delle sanzioni alternative ex art. 123 c.p.a.) e con l'art. 122 c.p.a. sono indicati i criteri che devono orientare, in tutte le altre ipotesi, la riconosciuta discrezionalità del giudice in ordine alla (eventuale) declaratoria d'inefficacia; con l'art. 125 comma 3 c.p.a. il legislatore ha inteso dettare una disposizione speciale per le infrastrutture strategiche che esclude in radice la declaratoria giurisdizionale d'inefficacia, circoscrivendo la tutela erogabile al solo risarcimento del danno ex art. 34 comma 3 c.p.a., e al paradigma generale ivi enunciato, secondo il quale se l'annullamento del provvedimento non è più utile alla parte (e qui non lo sarebbe per il divieto della declaratoria d'inefficacia, che impedisce il subentro nel medesimo), la pronuncia d'illegittimità ha mero valore di accertamento (e non già l'usuale valore costitutivo dell'annullamento) che fonda il consequenziale riconoscimento del diritto al risarcimento del danno”.
[27] E cioè le misure temporanee e derogatorie in tema di sospensione dei lavori introdotte da tale norma.
[28] Senza cioè la sottoposizione alla condizione sospensiva ex lege dell’esito positivo dell'eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti. L’art. 32 comma 6 del D. Lgs. n. 50/2016, dispone infatti che “L'aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta. L'offerta dell'aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 8” (cioè nel termine di 60 giorni per la successiva stipula del contratto); mentre il seguente comma 7 sancisce che “L'aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti”. Una volta, inoltre, divenuta efficace l'aggiudicazione, e “fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti”, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni (salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario). Inoltre, “Se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, l'aggiudicatario (la cui proposta, fino allo spirare di tale termine, era irrevocabile) può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All'aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate”. Come ricordato, dunque, da Cons. Stato Sez. V, Sent., 31/08/2016, n. 3742, “detto termine non ha natura perentoria, né alla sua inosservanza può farsi risalire ex se un'ipotesi di responsabilità precontrattuale ex lege della pubblica amministrazione, se non in costanza di tutti gli elementi necessari per la sua configurabilità. Infatti, le conseguenze che derivano in via diretta dall'inutile decorso del detto termine sono: da un lato, la facoltà dell'aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto; dall'altro, il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. III, 28 maggio 2015, n. 2671)”. Da qui, dunque, la pregnanza, per l’affidamento della categoria di contratti di cui si discute, sia dei previsti poteri sostitutivi, che della deroga agli ordinari presupposti di efficacia del contratto.
[29] Il Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo, digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale, e si articola su sei “missioni”: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute.
[30] Ove si definisce il “dibattito pubblico” come “il processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico sull'opportunita', sulle soluzioni progettuali di opere, su progetti o interventi di cui all’Allegato”.
[31] Si è rilevato come i criteri – qualitativi ed economici – per i quali il D.P.C.M. 10.05.2018 n. 76 prevede l’obbligatoria attivazione del dibattito pubblico siano eccessivamente elevati, circostanza che, unita alla discrezionalità nell’attivazione di cui dispone l’Amministrazione aggiudicatrice (per i restanti casi) ed alla collocazione della Commissione nazionale per il dibattito pubblico (CNDP) presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, concorre a limitare, allo stato, le potenzialità dell’istituto. Si veda, al riguardo, M. Cardone, “Il dibattito pubblico: tra casi pratici e criticità applicative”, Osservatorio AIR , https://www.osservatorioair.it/il-dibattito-pubblico-tra-casi-pratici-e-criticita-applicative/ . La Commissione è stata istituita decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 30 dicembre 2020, n. 627 e si propone di essere un modello di democrazia partecipativa per gli interventi infrastrutturali di maggiore rilevanza nel Paese.
[32] Corte cost., Sentenza 14.12.2018, n. 235.
[33] Rileva la Corte che, come evidenziato dal Consiglio di Stato nel parere n. 855 del 1 aprile 2016 sullo schema di decreto legislativo recante "Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione", il dibattito pubblico è "uno strumento essenziale di coinvolgimento delle collettività locali nelle scelte di localizzazione e realizzazione di grandi opere aventi rilevante impatto ambientale, economico e sociale sul territorio coinvolto". “Esso configura, analogamente all'inchiesta pubblica prevista dall'art. 24-bis del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), una fondamentale tappa nel cammino della cultura della partecipazione, rappresentata da un modello di procedimento amministrativo che abbia, tra i suoi passaggi ineliminabili, il confronto tra la pubblica amministrazione proponente l'opera e i soggetti, pubblici e privati, ad essa interessati e coinvolti dai suoi effetti, alimentandosi così un dialogo che, da un lato, faccia emergere eventuali più soddisfacenti soluzioni progettuali, e, dall'altra, disinneschi il conflitto potenzialmente implicito in qualsiasi intervento che abbia impatto significativo sul territorio”.
[34] Volti a facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, rafforzare le politiche attive del lavoro e favorire l’inclusione sociale.
[35] Dispone l’art. 46 del "Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246". che“Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”.
[36] Il comma 9 dell’art. 47 dispone poi che i rapporti e le relazioni in questione debbano essere pubblicati sul profilo del committente, nella sezione "Amministrazione trasparente", ai sensi dell'articolo 29 del D. Lgs. N. 50/2016. aprile 2016, n. 50
[37] Con la precisazione che Il contenuto delle clausole andrà determinato tenendo conto, tra l’altro, dei principi di libera concorrenza, proporzionalita' e non discriminazione, nonche' dell'oggetto del contratto, della tipologia e della natura del singolo progetto in relazione ai profili occupazionali richiesti, dei principi dell'Unione europea, degli indicatori degli obiettivi attesi in termini di occupazione femminile e giovanile al 2026, anche in considerazione dei corrispondenti valori medi nonche' dei corrispondenti indicatori medi settoriali europei in cui vengono svolti i progetti.
[38] E cioè per l’operatore che: “a) nei tre anni antecedenti la data di scadenza del termine di presentazione delle offerte, non risulti destinatario di accertamenti relativi ad atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67, quelle di cui agli articoli 35 e 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ovvero quelle di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; b) utilizzi o si impegni a utilizzare specifici strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro per i propri dipendenti, nonche' modalita' innovative di organizzazione del lavoro; c) si impegni ad assumere, oltre alla soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, giovani, con eta' inferiore a trentasei anni, e donne per l'esecuzione del contratto o per la realizzazione di attivita' ad esso connesse o strumentali; d) abbia, nell'ultimo triennio, rispettato i principi della parita' di genere e adottato specifiche misure per promuovere le pari opportunità generazionali e di genere, anche tenendo conto del rapporto tra uomini e donne nelle assunzioni, nei livelli retributivi e nel conferimento di incarichi apicali; e) abbia presentato o si impegni a presentare per ciascuno degli esercizi finanziari, ricompresi nella durata del contratto di appalto, una dichiarazione volontaria di carattere non finanziario ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254”.
Prosegue l’analisi ragionata del Programma di gestione della Corte di cassazione, annualmente elaborato ai sensi dell’art. 37 della legge 15 luglio 2011, n. 111, che per la prima volta comprende anche il settore penale, delineando profili organizzativi ed obiettivi di miglioramento qualitativo nell’esercizio della funzione nomofilattica, i cui contenuti e finalità, oltre a sollecitare una serie di approfondite riflessioni sul ruolo della giurisdizione penale di legittimità nel terzo millennio, consentono al contempo una valutazione dinamica della situazione esistente ed una ragionevole prognosi sull’andamento della gestione futura delle complesse attività della Corte in tale settore.
Nel fotografare gli imponenti dati statistici relativi ai flussi di lavoro e i nodi problematici legati alle conseguenti difficoltà emerse nelle modalità di gestione dei procedimenti penali nel corso dell’ultimo triennio, il Programma ha considerato anche le tematiche organizzative legate all’esigenza di fronteggiare l’emergenza epidemiologica in atto, per un verso individuando alcuni possibili obiettivi qualitativi specifici del settore penale (con particolare riguardo all’esame preliminare dei ricorsi, all’adozione di tecniche di motivazione semplificata nelle decisioni, alla gestione informatizzata dei ruoli di udienza, all’individuazione di aree di competenza specialistica e alla valorizzazione del ruolo dei Presidenti di Sezione non titolari), per altro verso tracciando delle linee di intervento organizzativo prospetticamente orientate sia ad una migliore efficienza delle funzioni di legittimità, sia all’incremento di un proficuo dialogo con la giurisdizione di merito.
Di particolare rilievo appaiono, in tale contesto, le implicazioni sottese alla fissazione di taluni obiettivi qualitativi comuni ai settori civile e penale, con riferimento al ruolo delle Sezioni Unite, ai temi della motivazione e del linguaggio dei provvedimenti assunti nell’esercizio della funzione nomofilattica, alla necessità di una rinnovata valorizzazione della centralità di un organo di eccellenza della Corte, quale quello rappresentato dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo, allo sviluppo delle potenzialità dell’informatica giudiziaria nel miglioramento delle attività amministrative e giurisdizionali della Corte ed, infine, alla progressiva implementazione delle attività svolte dal Gruppo di lavoro da tempo istituito a seguito dei protocolli d’intesa fra la Corte di cassazione, la Corte EDU e la Corte di giustizia dell’Unione europea.
Emergono dunque con evidenza, specie nella prospettiva della individuazione di possibili “filtri” selettivi nell’accesso al giudizio di legittimità penale e nell’opera di una puntuale e realistica determinazione dei “carichi esigibili” di lavoro dei Consiglieri della Corte, le interrelazioni, ormai ineludibili, tra l’effettività della funzione nomofilattica e la dimensione del supporto organizzativo – di strutture, di mezzi e di personale amministrativo – necessario a garantirne l’esercizio ai fini di una reale garanzia dei diritti fondamentali in uno scenario multilivello di confronto con le Corti sovranazionali e le Corti di ultima istanza degli Stati membri dell’UE e del Consiglio d’Europa.
Parimenti ineludibile, dunque, appare l’esigenza di interrogarsi sulle attuali dimensioni della Corte – anche nell’abnorme entità del suo organico –, sulle peculiarità normative del settore penale e sulle reali prospettive di efficace funzionamento di una istituzione centrale come la Corte di legittimità, sia per il numero assai rilevante delle sopravvenienze – di problematica “tenuta”, anche per gli intuibili costi, in una società democratica avanzata – sia per il loro oggettivo collegamento con la necessità di una prevedibile “lettura” del precedente, oltre che di una qualificazione professionale maggiormente selettiva nell’esercizio del patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori e attentamente “mirata” ai fini di una corretta formulazione degli atti introduttivi del giudizio di legittimità.
Vengono così ospitati sulla rivista contributi di riflessione che intendono stimolare ulteriori forme di dialogo sugli effetti delle scelte organizzative che connotano il funzionamento delle interne articolazioni della giurisdizione di legittimità: contributi che investono, nell’ordine, le ricadute delle sue prospettive organizzative sull’esercizio del diritto di difesa (Avv. Cataldo Intrieri); la gestione dei fascicoli di manifesta inammissibilità - da decidere secondo le specifiche procedure dell’art. 610, commi 1 e 5-bis, cod. proc. pen., con assegnazione alla settima sezione penale – (Cons. Pierluigi Di Stefano); le tematiche relative alla struttura della motivazione e al linguaggio dei provvedimenti della Corte (Cons. Matilde Brancaccio); quelle attinenti alla concreta gestione dei carichi e delle udienze e ai conseguenti riflessi sull’attività e sul ruolo del giudice di legittimità (Cons. Gabriella Cappello); i rapporti fra le Sezioni Unite e le Sezioni semplici (Cons. Gaetano De Amicis).
Il principio di legalità, l’efficienza dell’amministrazione ed il diritto di difesa: l’avvocato e la gestione della giustizia
di Cataldo Intrieri
Sommario: 1. Premessa: dal conflitto tra le Corti al (possibile) monopolio dell’interpretazione giuridica - 2. La gestione della produzione giurisprudenziale: gli organigrammi della cassazione - 3. Il “capitale umano” e la Cassazione - 4. Il linguaggio del diritto ed il principio di legalità nella nomofilachia - 5. Le “isole nella corrente” e le Sezioni Unite: principio di legalità e “prospective overruling” - 6. Due esempi di prospective ovveruling nella giurisprudenza delle “sezioni semplici”: le sentenze 1825 /19 della VI sezione e1757 /21 della V sezione - 7. Conclusioni.
1. Premessa: dal conflitto tra le Corti al (possibile) monopolio dell’interpretazione giuridica
Per un avvocato avventurarsi nella lettura di un programma di gestione così delicato e complesso come quello di una delle supreme giurisdizioni dello Stato fino a poco tempo fa sarebbe stato una stravaganza, per il semplice motivo che egli abitualmente e per troppo tempo si è posto, in una ideale catena di produzione del diritto, nel ruolo di semplice fruitore degli esiti di una macchina a lui estranea se non distante per non dire vagamente ostile.
La Corte di Cassazione è l’estrema Thule dove si infrangono abitualmente le speranze e le incertezze di fronte alla definitività di un verdetto che come ci ricordano le cifre impietose di rigetti ed inammissibilità in percentuale assai elevata è negativo (oltre il 60%).
È un rapporto controverso quello con la giurisdizione di legittimità, frutto di molti fraintendimenti, di cui gli avvocati colgono soprattutto i limiti nella funzione di riesame delle risultanze processuali e non le opportunità della funzione nomofilattica.
È storia vecchia la radicata diffidenza con cui avvocatura ed accademia guardano al ruolo sempre più diffuso del diritto vivente come (supposta) fonte regolatrice di rango primario.
Ancora oggi una delle voci più autorevoli lamenta il tramonto di civiltà del “primato democratico della legislazione perché, a costituire la vera fonte del diritto, sono ormai le Corti superiori. La porta della legge resta aperta a tutti, ma la conoscenza di ciò che è o non è reato dipende dalla giurisprudenza. Il diritto ‘vivente’, elaborato dai giudici, si impone a scapito di quello ‘vigente’; al punto che il legislatore si trova spesso costretto ad uniformare i suoi decreti agli indirizzi della giurisprudenza”[1].
Con il solito stile secco ed incisivo Paolo Ferrua esprime il rigetto totale dell’idea del diritto vivente come fonte normativa ravvisando in esso una pericolosa restrizione del principio di legalità e della nascita della “teratologica figura del giudice-legislatore, le cui interpretazioni si impongono esse stesse come leggi, capaci di neutralizzare quelle votate dal Parlamento. Ancora una volta il principio di soggezione del giudice alla sola legge viene doppiamente vanificato: sia per i giudici superiori che possono insindacabilmente attribuire qualsiasi significato al testo del quale dovrebbero essere i custodi, anche il più lontano dalla lettera della legge; sia per i giudici inferiori, vincolati a quelle interpretazioni.[2]
Il bersaglio di tanta devastante critica è l’art. 618 c.p.p., nella formulazione introdotta dalla L. 23 Giugno 2017 n.103, quasi segnasse un ruolo ancillare delle sezioni “semplici” rispetto alle Sezioni Unite. Esso secondo Ferrua avrebbe determinato altresì “la propensione delle Sezioni unite ad esprimere orientamenti interpretativi anche su questioni non ancora oggetto di contrasto”.
Ed in effetti è difficile tacciare di infondatezza tali rilievi; eppure, a costo di dover contraddire uno dei massimi maestri del processualismo italiano, questa visione così fortemente filo-positivista non sembra del tutto giustificata alla luce dell’attuale momento storico in cui la crisi delle democrazie e dello Stato di diritto , “come noi lo abbiamo conosciuto”, appare evidente.
Ciò che inizialmente sembrava un rischio confinato ai paesi dell’Europa dell’Est si è manifestato anche nelle nazioni in cui la struttura dello Stato di diritto sembrava più salda.
Abbiamo assistito sbigottiti all’assalto delle istituzioni democratiche, tra gli incitamenti di chi rappresentava il vertice della rappresentanza di una delle culle della libertà, il presidente degli Stati Uniti, che denunciando inesistenti frodi elettorali, cercava di forzare l’autorità giudiziaria ad invalidare le elezioni.
Per restare in Italia come se non bastasse la improvvida legislazione populista dalla legittima difesa domiciliare, al blocco della prescrizione, alla “spazzacorrotti”, è toccato vedere un ministro dell’interno e legislatore invocare in maniche di camicia “i pieni poteri” mentre il fior fiore dei giuristi è insorto contro l’abuso della legislazione d’emergenza che pure il potere politico poteva adottare. In un tale clima, il tanto biasimato inchino del legislatore all’interprete delle leggi ha sortito un qualche esito non disprezzabile in tema di garanzie individuali grazie ad una serie di interventi delle Sezioni Unite.
Le sentenze Dasgupta, Patalano e Troise[3] hanno comportato il recepimento dapprima come precedente e poi nella novella dell’art.603 c.p.p. dei principi contenuti nella note sentenza Dan c. Moldavia e Lorefice c. Italia[4]. In particolare dobbiamo a queste pronunce l’affermazione e successivamente la “ stabilizzazione “ di una verità da sempre rivendicata dai garantisti, semplice quanto rivoluzionaria: l’“asimmetria” delle diverse posizioni di accusa e difesa nel processo penale, in favore di quest’ultima, si da legittimare l’obbligatorietà della rinnovazione del dibattimento nel caso del solo rovesciamento della sentenza di assoluzione e non di quella di condanna .
L’altro non meno pregnante intervento delle Sezioni Unite riguarda un tema altrettanto cruciale nell’equilibrio del processo penale, le intercettazioni, rispetto alle quali viene posta una rigorosa delimitazione quanto alla possibilità di poterle estendere anche a reati diversi da quelli autorizzati dal Gip.[5]
Per una sorta di riflesso condizionato, del c.d. “diritto vivente” gli avvocati tendono a ricordare benissimo le interpretazioni “in malam partem” ( che sono, queste sì, pericolose ed in certi termini che vedrò di illustrare inammissibili) pretermettendo le occasioni cui l’evoluzione della giurisprudenza ha posto rimedio a gravi prassi degenerative avallate da indirizzi precedenti di segno opposto o addirittura corretto gli effetti dell’applicazione di norme inique.
Non solo, anche i critici più intransigenti non potranno negare che all’espansione del diritto vivente abbia contribuito la giurisprudenza della Corte Costituzionale degli anni ’90 che ha legittimato la “dottrina dell’interpretazione conforme”[6] secondo cui “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne) ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali”[7].
Peraltro sul ruolo dell’interprete delle leggi si era già scatenata nella prima decade del nuovo millennio “la seconda guerra tra le due corti”[8] conclusasi con il riconoscimento da parte del Giudice delle leggi di non avere rispetto ad un determinato canone ermeneutico “la possibilità di proporre differenti soluzioni interpretative ma limitarsi a stabilire se lo stesso sia o meno conforme ai principi costituzionali”[9].
Dunque, più che rimpiangere una mitizzata (e forse inesistente) “età aurea” del positivismo sarebbe più utile semmai considerare semmai se “il diritto delle sentenze” abbia o meno tenuto fede alla missione di diffondere un’ermeneutica costituzionale.
Peraltro come si affannano a ricordare autorevoli esponenti della giurisdizione di legittimità nessuno si sogna di sovvertire l’art.101 della Costituzione, e di introdurre eversivamente lo “stare decisis” ma assai più modestamente la “persistenza” (e non la semplice esistenza che ben può esservi e va accettata) di contrasti giurisprudenziali,[10] una sorta di “moral suasion” che eviti contrapposizioni stridenti senza annullare la ricchezza del pluralismo e del dibattito, di cui in effetti l’osservatore interessato ha potuto cogliere in tempi recenti la grande vivacità, sia pure a scapito talvolta della chiarezza degli indirizzi (se si pensa al ricco quanto contraddittorio dibattito sulla colpa professionale non ci si macchia di un accostamento ardito). Non mancano peraltro autorevoli opinioni di segno contrario secondo cui invece “Lo stare decisis è stato limitato alle sole sentenze delle sezioni unite”[11].
La riforma del 2017 e la nuova formulazione dell’art. 618 c.p.p. sono stati un definitivo sugello ad un cambiamento per certi versi necessitato, vista la pluralità di fonti giurisprudenziali che nell’ultimo decennio si sono confrontate (e sicuramente continueranno) sicché appare di poca utilità fermarsi ad una critica preconcetta.
Vero è che la dottrina più avvertita ha individuato nell’ “uso distorto della interpretazione conforme” un rischio profondo per il principio di legalità anche nella sua declinazione della “prevedibilità giurisprudenziale”[12]: esso è da ritenersi come l’effetto non voluto del tentativo di frenare il ricorso pretestuoso e non necessario all’incidente di legittimità, ma è indubbio che in questo contesto , e non come espressione di mera “volontà di potenza”, nasce l’esigenza tramite la nuova formulazione dell’art.618 c.p.p. di creare un esercizio accentrato della funzione di produzione del diritto.
Il “programma di gestione” della Corte di Cassazione redatto dal primo presidente si confronta con questo delicatissimo tema: esso è sì il masterplan del più complesso dei centri di produzione del diritto ma è anche un “manifesto” culturale sul diritto vivente e sul ruolo della giurisdizione di legittimità, una acuta riflessione sui mezzi di informazione dell’evoluzione giurisprudenziale e sulla scelta del modello di linguaggio da utilizzare per garantire tramite la comunicazione il rispetto del principio di legalità. In tal senso stimola riflessioni sullo stato della giurisdizione oggi, quando il tema dell’indipendenza del giudice è divenuto per i noti fatti di cronaca così scottante.
2. La gestione della produzione giurisprudenziale: gli organigrammi della Cassazione
La struttura del documento consta di due parti: una incentrata sull’aspetto strettamente organizzativo e di gestione dell’imponente flusso di ricorsi, l’altra è invece un sorta di “manifesto culturale” che abbraccia il tema del diritto vivente sotto gli aspetti del ruolo delle S.U. che della comunicazione e di un linguaggio comprensibile come strumenti di conoscenza dell’evoluzione del senso delle norme.
Ancorché avvocati e studiosi prestino abitualmente poca attenzione agli aspetti organizzativi, il “capitale umano” è un elemento fondamentale anche in Cassazione e la gestione della produzione giurisprudenziale merita estrema attenzione anche da parte del profano.
Contano, sotto questo profilo, attitudini, capacità lavorative, distribuzione dei carichi di lavoro e il metodo con cui viene regolato il flusso del lavoro ha immediati riflessi anche sulla qualità della produzione giurisprudenziale
L’analisi dei flussi lavorativi ad opera di un’apposita apposita commissione, ad esempio, offre spunti di riflessione utili anche a smentire qualche luogo comune.
La media delle sopravvenienze annue, circa 50.000 procedimenti penali e 34.000 procedimenti civili, è ancora sostenibile nel settore penale mentre nel settore civile si registra l’arretrato più significativo (oltre 45.000 nella materia tributaria; oltre 17.000 nel lavoro e previdenza, circa 12.000 nell’immigrazione e protezione internazionale) e la non ragionevole durata delle procedure (oltre 80.000 pendenze ultra-annuali, di cui circa 44.000 nel settore tributario e circa 11.000 nel lavoro; durata media complessiva di circa 1.150 giorni nel 2020. Quanto al settore penale, la Commissione flussi ha registrato note positive “nel complesso un sostanziale equilibrio tra sopravvenienze e definizioni, con un indice di ricambio stabilmente superiore a 100 e una consistente diminuzione del numero totale dei procedimenti pendenti, sostanzialmente ascrivibile a tutte le sezioni…un dato che non risulta seriamente modificato dalle recenti vicende pandemiche”, anzi nel secondo semestre 2020 “si è registrata una decisiva e rilevante inversione di tendenza con un prodigioso recupero della capacità di smaltimento”.
Il dato che però colpisce riguarda innanzitutto le ben diverse percentuali di esito dei ricorsi nei settori civile e penale.
Nel primo, nel 2020 a fronte di complessivi 29.100 ricorsi oltre 8000 sono state le pronunce di annullamento mentre nel settore penale su poco più 37000 ricorsi (dato assai inferiore alla media abituale, ascrivibile al rallentamento dell’attività giudiziaria) solo 6400 (ripeto: seimilaquattrocento) hanno portato a sentenze di annullamento, con e senza rinvio.
Il dato significativo è che le percentuali sono comunque identiche a quelle degli anni precedenti in cui la media dei ricorsi esaminati era più alta: circa 37 000 nel civile e 50.000 nel penale.
Nell’ultimo anno di attività “normale”, il 2019, a fronte di 33000 ricorsi civili (calati a 29000 nel 2020) le pronunce di accoglimento hanno sfiorato un terzo dei ricorsi totali mentre nel penale, a fronte di 51000 impugnazioni sono state accolte poco più di diecimila con ben 35000 di rigetto (a sorpresa molto contenute le dichiarazioni di inammissibilità, meno di 5000). Qui le tabelle:
SETTORE PENALE
Sono dati impressionanti ancorché incompleti: sarebbe interessante sapere ad esempio quale sia la percentuale di c.d. “doppie conformi” oppure di sentenze di condanna frutto di overruling in grado di appello. Il dato disaggregato spiega fino ad un certo punto se l’elevata percentuale di rigetti sia o meno una sorta di “giurisdizione difensiva”, in funzione deflattiva, al fine recondito di riservare il maggior spazio possibile alla giurisprudenza qualitativamente superiore: quella nomofilattica.
3. Il “capitale umano” e la Cassazione
Un altro profilo di rilievo riguarda la distribuzione dei carichi di lavoro ai magistrati: si tratta, come logico, di criteri uniformi per cui ogni singola sezione è richiesta di una produttività media per singolo magistrato prestabilita essenzialmente sulla media di produttività degli ultimi tre anni.
Si richiede per il 2021 un indice medio di produttività inferiore che presumibilmente sconta una serie di fattori eccezionali dell’ultimo periodo (come la diminuita frequenza dei magistrati causa pandemia), il risultato è un “carico esigibile” medio di 360/370 provvedimenti con l’unica eccezione della VI sezione (che si occupa essenzialmente di reati contro la p.a., delle procedure instaurate con gli Stati stranieri e dei reati della normativa sugli stupefacenti) da cui si esige una media di 470 procedimenti trattati.
Rilevando che i flussi “in entrata” dei vari procedimenti variano in funzione delle materie di competenza si osservano differenze non trascurabili nella produttività delle varie sezioni.
Per il profano, mero “fruitore” del ciclo produttivo del diritto tuttavia il quesito che sorge spontaneo è quali siano, oltre la regolamentazione meramente statistica dei flussi, i criteri di distribuzione delle singole competenze nelle varie sezioni.
Per chi consulti e segua costantemente il Massimario della Cassazione è agevole rendersi conto che esistono statistiche differenziate anche per la provenienza delle sentenze segnalate come per i loro autori.
Ci sono nomi di relatori (e di presidenti di collegio) con una frequenza di “massimazione” anche notevolmente superiore rispetto ad altri, quali ricorrenti autori di provvedimenti significativi e di pregio: in un modello ideale di giurisdizione superiore sarebbe necessaria un criterio di qualità diffusa della giurisdizione, non solo meramente quantitativo in ottica sindacalista, ed allo scopo servirebbe venissero rese pubbliche le statistiche delle sentenze segnalate dall’ufficio del Massimario.
E se nell’ambito del merito ha il suo peso la qualità umana e caratteriale, nell’ambito del giudizio di legittimità, sono le doti tecniche ad essere indispensabili, soprattutto se si tratta di curare l’interpretazione della norma e tramite essa una fonte di applicazione del diritto. Viene da chiedersi se nel processo di trasparenza che la pubblicazione del programma gestionale vuole sollecitare non sia utile anche pubblicare i dati attinenti la redazione e la provenienza delle massime.
Certo non sarebbe un valore esauriente ed assoluto, (è illusorio peraltro solo fidare sui numeri), ma sicuramente costituirebbe uno strumento utile a correggere eventuali distorsioni ed insufficienze, e garantire un livello di uniforme e tranquillizzante qualità.
Un compito delicato ma l’importanza e la cura che il programma di gestione affida al Massimario in funzione della conoscibilità degli indirizzi giurisprudenziali ed il suo potenziamento rendono auspicabile anche questo ulteriore passaggio.[13]
Nel complesso sarebbe utile conoscere i criteri di scelta e distribuzione della forza lavoro nelle varie sezioni e soprattutto nel “massimo organo nomofilattico”, le Sezioni Unite per il quale la capacità di cogliere ed accompagnare l’evoluzione del diritto ed i segnali di mutamento sociale dovrebbe essere un elemento determinante.
4. Il linguaggio del diritto ed il principio di legalità nella nomofilachia
Si legge nel documento di gestione (§ 11.2) che “Il giusto processo è… anche un giudizio ben comprensibile, posto che il controllo sull’esercizio della giurisdizione non si attua soltanto in via endo-processuale, attraverso i rimedi apprestati dai codici di rito civile e penale rispetto alle decisioni del giudice, ma si realizza anche attraverso la comprensione della giurisdizione da parte del cittadino, nel cui nome la giustizia viene amministrata.”
È la parte “ideologico- programmatica” del documento che consente di affrontare il suggestivo quanto impervio tema della declinazione del principio di legalità nei cambiamenti della giurisprudenza.
La tesi è che solo un’adeguata comunicazione con l’opinione pubblica può costituire il veicolo di effettiva conoscenza dell’evoluzione del diritto ed ancor più del significato delle sentenze. È invalso l’uso da qualche tempo di far seguire la pubblicazione dei dispositivi più significativi, specie se complessi, da una nota esplicativa firmata dal presidente del collegio.
Il primo esempio è costituito da una sentenza di fine 2019 e la decisione era particolarmente delicata ed attesa in quanto verteva su una possibile interpretazione estensiva dell’art.416 bis con riferimento ad una organizzazione criminale locale e con tratti originali ed autoctoni rispetto alle tradizionali associazioni mafiose.[14]
Un comunicato di esemplare chiarezza, destinato alla pubblica opinione non specializzata e che ha messo in condizione la stampa di spiegare una decisione sicuramente complessa, evitando fraintendimenti e strumentalizzazioni.[15]
In un altro frangente, la opportuna spiegazione della Corte sul significato e gli effetti pratici della sentenza (avente ad oggetto un grave disastro ferroviario) ha evitato dannose incomprensioni causate dalle reazioni emotive delle famiglie delle vittime di fronte ad una decisione di parziale annullamento di alcuni capi della precedente sentenza il cui senso non era stato ben compreso dagli stessi difensori presenti alla lettura del dispositivo.[16] La Corte ha ritenuto di dover dare conto anche dei vari termini di durata delle varie fasi, per giustificare la prescrizione di alcuni reati di omicidio colposo, “tranquillizzando” la pubblica opinione sulla definitività dei capi sui reati più gravi.
L’immagine del giudice chiuso in una torre d’avorio, o come nel caso di un indimenticabile novella di Sciascia[17] dietro la porta serrata di casa sua è irrealistica: la società oggi è basata su di una comunicazione esasperata e pervasiva che non risparmia neanche i magistrati nella loro vita quotidiana.
Si sono scaricate sulla magistratura le tensioni sociali di una collettività che chiede risposte riparatorie e consolatorie ai torti subiti, con il rischio sempre più concreto di gravi condizionamenti che possono nuocere alla serenità di un giudizio.[18]
I processi per i fatti più eclatanti e dolorosi spingono le vittime ed i loro familiari a forme di presidio delle aule giudiziarie: in un tale quadro è indispensabile che vi sia un canale di comunicazione che chiarisca cosa è un processo e quali sono i principi che debbono regolare uno Stato di diritto.
Come ha ricordato su questa rivista il presidente emerito Giovanni Canzio “l’ENCJ (European Network of Councils for the Judiciary), nel rapporto “Public Confidence and the Image of Justice - Report 2017-2018”, discusso a Lisbona il 1° giugno 2018, nella prospettiva della comunicazione in ambito giudiziario suggerisce l’adozione di piani d’azione nazionali, verifiche periodiche del livello di fiducia del pubblico, la formazione professionale specifica (per capi degli uffici, giudici, procuratori, personale amministrativo), l’elaborazione di linee-guida sui rapporti tra il giudiziario e i media. In particolare, raccomanda la nomina come “spokeperson” di giudici o procuratori e l’istituzione di uno “specialised department” che impieghi professionisti nella comunicazione sotto la direzione del “press judge/prosecutor”.[19]
Dunque il giurista dovrà conoscere l’arte della scrittura, coltivare la capacità di esprimere concetti in modo chiaro, asciutto e diretto; nell’attesa sarebbe utile che anche i codici deontologici si adeguassero alla modernità.
Ad esempio: è così scandaloso immaginare che un giudice possa discutere delle sue sentenze in pubblico una volta che le abbia depositate? Spiegare l’iter, il contesto, la sua visione personale di una vicenda?
Soprattutto in un settore così tecnico e raffinato quale quello della giurisdizione di legittimità, il dialogo ed il chiarimento sui processi decisionali sarebbero un’auspicabile iniezione di trasparenza ed una grande dimostrazione di maturità del sistema.
5. Le “isole nella corrente” e le Sezioni Unite: principio di legalità e “prospective overruling”
La parte più attuale del programma organizzativo è sicuramente quella che si proietta sul ruolo crescente della giurisprudenza tra le fonti del diritto.
Sostiene il Primo Presidente nel documento programmatico che “la funzione del precedente è quella di far assurgere il principio di diritto, pur se espresso rispetto a uno specifico caso individuale, a tipo o paradigma di fattispecie idoneo a consentire la soluzione dei casi successivi in ragione dell’identità o, meglio, dell’analogia dei fatti”.
Suona come un auspicio certamente condivisibile, ma raggiungere il “ delicato equilibrio tra astrattezza e concretezza”, è compito ancora arduo su cui si affannano le migliori menti giuridiche tra diverse incertezze.
Un avvocato non può essere che portatore di una visione parziale e certamente influenzata dalla sua esperienza, giacché alla fine è la funzione che determina la propria cognizione delle cose, e certamente la categoria non può usufruire del presunzione di disinteresse che sembra appannaggio solo di studiosi puri e magistrati, ma ha il pregio di poter dare delle valutazioni che nascono dalla conoscenza degli effetti diretti e sul campo di ciò che si elabora nei laboratori della dottrina e della giurisprudenza.
È innanzitutto centrale in un sistema che voglia utilizzare le grandi potenzialità del progresso culturale e dei mutamenti sociali il tema del “prospective overruling”.
Un principio elaborato e mutuato dal diritto civile ed amministrativo che efficacemente è stato definito come “il diritto della parte a non vedersi applicato il nuovo principio di diritto imprevedibile ogni qualvolta questa potesse vantare un diritto fondamentale alla sicurezza giuridica.[20]
È altresì quello della stabilità dell’interpretazione anche un problema di democrazia giacché “Uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge significa anche uguaglianza dinanzi alle interpretazioni della legge, uguaglianza di trattamento in sede giurisdizionale”[21]. Come è stato autorevolmente sottolineato[22] la L.103/2017 ha introdotto nell’ordinamento positivo un principio assimilabile allo “Stare decisis” nel senso di costituire una forza vincolante al precedente sancito dalle Sezioni Unite nel solco dell’art. 374 c.p.c.
Il dibattito sui limiti di tale disposizione è ancora aperto quanto alla intensità del vincolo ed al dialogo tra i giudici e l’organo supremo della nomofilachia ma certamente è ormai principio acquisito che l’interprete giurisprudenziale che voglia discostarsi da un indirizzo consolidato ha un obbligo stringente di motivazione senza il quale la mancata applicazione del precedente integra un vizio equiparabile alla violazione di legge sia sotto il profilo dell’osservanza dell’art.192 cpp che del principio dell’”Oltre ogni ragionevole dubbio”.
Il tema delicato resta quello della stabilità di un indirizzo giurisprudenziale che tenga conto allo stesso tempo dell’esigenza dell’interna coerenza del sistema quanto, e maggiormente per il punto di vista dell’avvocato, della sua prevedibilità, il vero presidio del principio di legalità declinato in chiave convenzionale e costituzionale.
Il prospective ovverruling in chiave penalistica è ancora una pagina con ampi spazi da riempire eppure l’urgenza di pervenire ad un approdo è pressante per chi abbia a cuore il ruolo democratico e garantista della giurisdizione.
È noto come sul punto vi sia stata un primo salto in avanti delle Sezioni Unite nel 2010[23] poi frenato dalla Corte Costituzionale nel 2012[24].
La Consulta non ha ritenuto applicabile all’ordinamento italiano il principio condizionante del precedente e ha considerato lo Stare decisis come qualcosa di estraneo al sistema.[25]
Ciò non ha posto termine al dibattito: in materia processuale penale l’orientamento sembra allineato all’indirizzo avviato in sede civile in particolare, dalla sentenza n. 15144 dell’11 luglio 2011, secondo cui il mutamento dell’interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia, ha normalmente efficacia retroattiva, con conseguente nullità degli atti ed adempimenti compiuti secondo il vecchio indirizzo
È una posizione che si rifà al principio della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, co. 2, Cost.), che impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto
Unica eccezione all’efficacia retroattiva dell’overruling è costituita dai casi in cui la precedente interpretazione, poi riconosciuta errata e contra legem, abbia creato un diffuso e persistente affidamento che renda del tutto imprevedibile un rovesciamento dell’interpretazione.
In sede penale le S.U. con la sentenza 13 gennaio 2020 (ud. 24 ottobre 2019), n. 698, Sinito, hanno seguito tale principio e dovendo intervenire sui termini di decorrenza della sentenza pronunciata in giudizio abbreviato nei confronti di imputato assente a seguito della riforma della disciplina sulla contumacia risolvevano il contrasto stabilendo che il provvedimento non debba essere notificata per estratto e che, di conseguenza, i termini per l’impugnazione decorrono dalla scadenza del termine di legge o di quello eventualmente stabilito ex art. 544, co. 3, c.p.p, con effetto retroattivo.
Più di recente tale principio è stato ribadito da una sezione semplice con riferimento ad un atto di impugnazione depositato prima della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite Sinito.
La Cassazione[26] ha ribadito che l’efficacia retroattiva del c.d. overruling è sempre consentita quando la interpretazione della norma ad opera del giudice non si possa considerare imprevista come nel caso di contrasti ed oscillazioni della giurisprudenza.[27] Il punto è che tale indirizzo ha trovato conferma anche sotto il profilo sostanzialistico secondo la soluzione prospettata dalla nota sentenza delle S.U. Mordino. [28]
Posto di fronte al quesito “Se, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600 ter, primo comma, n. 1, cod. pen., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, sia necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale" il massimo consesso nomofilattico ha operato un capovolgimento del precedente indirizzo più garantista [29] alla luce delle modifiche normative sul presupposto che la diffusione del materiale pornografico realizzato utilizzando minorenni sia oggi esaltato e reso potenzialmente offensivo dallo sviluppo tecnologico maturato proprio in questi ultimi anni, circostanza questa ormai condivisa e nota alla pubblica comprensione, sicché non ha più alcun rilievo la circostanza della mancanza di prova sul concreto pericolo di circolazione del materiale.[30]
La conclusione autorevolissima delle Sezioni Unite lascia purtroppo irrisolto il dilemma tra primato della legge e giusto processo che non può risolversi con il criterio della sola “percezione di offensività” del reato ma deve includere anche l’affidabilità che il cittadino ponga nella stabilità e permanenza di un determinato indirizzo interpretativo. Non a caso taluno ha rilevato un accenno all’irretroattività dell’overruling in malam partem nella sentenza 232/12 della Corte Costituzionale e che il tema sia presente ed avvertito nel dibattito.[31]
Sia consentito peraltro rilevare che il “canone Mordino” si pone in netto contrasto con l’indirizzo seguito dalla Corte Europea nella nota sentenza Contrada[32], in cui il parametro di tutela del principio di prevedibilità/legalità convenzionale è la stabilizzazione dell’indirizzo giurisprudenziale scandito dalle sentenze delle S.U. Ed è logico che sia così perché l’intervento del massimo collegio della nomofilachia è esso stesso indice dell’incertezza giurisprudenziale di cui non può farsi carico al cittadino. È espressione del “patto sociale” il diritto di chi è sottoposto alla legge a sapere prima le conseguenze penali delle sue condotte.
6. Due esempi di prospective ovveruling nella giurisprudenza delle “sezioni semplici”: le sentenze 1825 /19 della VI sezione e1757 /21 della V sezione
Il tema del rapporto tra Sezioni Unite e sezioni ordinarie della Suprema Corte costituisce un argomento di forte riflessione all’interno del documento del primo presidente e riflette una questione fortemente sentita di “democrazia diffusa” in una organizzazione in cui il ruolo del “collegio supremo” non implica la fine dell’autonomia culturale delle sezioni.
Sembra più facile a dirsi che a realizzarsi ma sul punto non ci può essere migliore esempio di quello di due importanti pronunce di due sezioni semplici in delicate materie, che indicano come l’esigenza di stabilizzazione della giurisprudenza e con essa delle garanzie del cittadino sia avvertito ed efficacemente coltivato anche dalle “isole”.
Con la sentenza 1825/19[33]la Sezione VI si è pronunciata sulla qualificazione mafiosa di due associazioni criminali operanti a Roma e tra loro collegate per commettere reati contro la pubblica amministrazione della capitale influendo sulle procedure di appalti.
Il caso si presenta come del tutto particolare: un esempio pressoché unico di “overruling interno” giacché sulla questione la stessa sezione si è pronunciata due volte a distanza di quattro anni, la prima in sede di giudizio cautelare, con valutazioni del tutto opposte.
In una prima fase con due sentenze “gemelle”[34] la Cassazione aveva riconosciuto la legittimità della configurazione mafiosa prospettata dalla Procura della Repubblica e dal Gip di Roma, avallando una concezione “estensiva” del reato ex art. 416 bis c.p.,[35] non più necessariamente legata alla esteriorizzazione della violenza che poteva essere utilizzata come mera arma “di riserva”.
L’iter processuale contraddistinto da due opposte decisioni dei giudici di primo e secondo grado si era poi concluso con una nuova sentenza della stessa sezione della Cassazione , questa volta quale giudice finale di legittimità, che annullando (senza rinvio) la sentenza della Corte di Appello di Roma aveva negato la sussistenza nel caso di specie del reato di associazione di stampo mafioso.
Sul punto il giudice di Appello aveva a sua volta rovesciato la sentenza di assoluzione del Tribunale proprio facendo leva sulla prima pronuncia cautelare della cassazione assumendo che essa avesse forza di giudicato quanto alla questione attinente la qualificazione dell’associazione e valutando in modo diverso il contenuto di più testimonianze dibattimentali rispetto al tribunale.
La Cassazione critica tale impostazione, in quanto seguendo il principio Drassich della CEDU e Dasgupta delle S.U., sarebbe stata necessaria una “motivazione rafforzata” rispetto peraltro alla sentenza di primo grado di segno contrario e non un semplice richiamo ad una decisione pre-dibattimentale.[36]
A tale proposito la Cassazione affronta anche il dibattuto tema del c.d. “giudicato cautelare”, frutto a sua volta di una elaborazione giurisprudenziale che già la Corte Costituzionale qualche anno prima aveva criticato con riferimento alla materia del sequestro preventivo,[37] nella nota vicenda ILVA. La sentenza oltre che per l’importanza del caso e della questione principale sottoposta al suo giudizio è importante perché ribadisce con forza la centralità del dibattimento e del contraddittorio come parametro esclusivo di riferimento per un giusto giudizio.
Sul versante della qualificazione giuridica della fattispecie associativa, sulla quale alcune difese avevano sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite secondo la nuova formulazione dell’art.618, in ragione della oscillante giurisprudenza degli ultimi anni sul tema delle “mafie locali” la Corte ha deciso anche qui perseguendo una finalità di consolidamento e di difesa del principio di stretta legalità.
In tal senso ribadendo la necessità dell’esercizio e della esteriorizzazione della violenza, ha osservato acutamente che il principio di tassatività della norma non può consentire la convivenza sotto la stessa lettera di due concezioni diverse e tra loro contraddittorie: la prima, quella delle mafie tradizionali, incentrata sull’esercizio effettivo della forza di intimidazione, la seconda, nella versione locale e derivata, per la quale sarebbe sufficiente una astratta “riserva di violenza”.[38]
Certamente non sono mancati momenti di frizione tra le sezioni semplici e le Sezioni Unite, si pensi alla saga innestata dalla pronuncia Dasgupta che a tratti ha lasciato intravedere quasi una sotterranea e puntigliosa competizione, ma nel complesso il rapporto dopo la riforma non ha presentato apparenti criticità ma anzi lascia intravedere anche una sua virtuosità come in una recente pronuncia della sezione V che ha dovuto fronteggiare una vibrante e convinta offensiva dell’Ufficio del Procuratore Generale contro la decisione delle S.U. sul delicato tema delle intercettazioni “a strascico”[39] in cui forniva una definizione di “procedimento diverso” come limite all’utilizzo delle captazioni rigorosamente circoscritta a i soli reati per i quali l’autorizzazione del gip è stata concessa fatti salvi per quelli che sono connessi ai primi ai sensi dell’art.12 c.p.p.
La nota sentenza Cavallo costituisce una delle “riforme” più incisive mai prodotte dalla giurisprudenza con il non indifferente merito di aver ristabilito un equilibrio costituzionale in nome del principio di proporzionalità tra le necessità legate al corretto esercizio dell’azione penale obbligatoria e la tutela dei diritti costituzionali. Forse per tale motivo ha incontrato ed incontra tuttora una forte opposizione che ha spinto il “buon legislatore” ad emanare una novella ad hoc dell’art.270 c.p.p. per neutralizzarne gli effetti, senza sollevare grande scandalo, mi sembra, nei giuspositivisti.
Il grido di dolore degli inquirenti, improvvisamente orbati di uno strumento di indiscriminata caccia al reato oltre che dal parlamento (all’epoca dominato dalle forze populiste, prima che una parte scoprisse all’improvviso le garanzie costituzionali) è stato raccolto dal Procuratore Generale presso la Cassazione che, fatto assai raro, ha addirittura sollevato, insieme alla richiesta di nuova rimessione ai sensi dell’art.618 c.p.p. comma 1, una questione di legittimità costituzionale contro l’interpretazione proposta dalle Sezioni Unite in Cavallo.
I profili trattati dal Procuratore generale sono diversi ed attengono essenzialmente ad una supposta “disarmonia costituzionale” che il canone Cavallo verrebbe a creare alla luce della riforma dell’art. 270 c.p.p. introdotta peraltro come reazione al “novum” delle Sezioni Unite, a causa della quale verrebbe nella sostanza annullata ogni differenza tra i concetti di diverso e stesso procedimento, causando un diverso trattamento alle medesime situazioni.
Ciò che tuttavia interessa in questa sede è la critica che il Procuratore Generale muove ad un supposto straripamento concettuale delle Sezioni Unite dallo stretto quesito di diritto loro sottoposto.[40]
Una critica estremamente suggestiva perché colpisce proprio il ruolo di “legislatore di complemento” dell’organo della nomofilachia utilizzando gli stessi argomenti che sul versante garantista erano stati adoprati per un’altra sentenza in tema di immutabilità del giudice del dibattimento.[41]
La V sezione si è schierata a difesa[42] del principio di diritto promosso dalle Sezioni Unite ma è interessante il percorso culturale seguito tramite il quale la critica della Procura Generale (e dei neo-positivisti) è l’occasione per una riflessione sul ruolo della nomofilachia nell’ambito di uno Stato di diritto in cui il valore della prevedibilità della giurisprudenza è “condizione essenziale della fiducia dei consociati nel sistema giudiziario”[43]. Parole particolarmente significative in questo particolare momento storico in cui la magistratura ha bisogno di riconnettersi alla società.
In questa ottica è legittimo che le Sezioni Unite di fronte ad incertezze giurisprudenziali possano effettuare una vera e propria. analisi estesa agli istituti in esame “in una imprescindibile ottica di sistema pronta a cogliere le interconnessioni e sensibile alle esigenze di fornire una ricostruzione organica dell'istituto scrutinato”.
7. Conclusioni
È certo che il tema del ruolo della giurisprudenza terrà la ribalta a lungo: molte saranno le obiezioni e le diffidenze e dipenderà da come i giudici eserciteranno il loro potere la qualità degli effetti.
Non trovo migliore sintesi per concludere del commento di uno dei più autorevoli magistrati di Cassazione allorché criticando incertezze ed oscillazioni della Cassazione su di un tema scottante come la legge scientifica relativa all’effetto acceleratore dell’esposizione protratta all’amianto, parla di condizione “allarmante” della giurisprudenza condizionata spesso da fattori metagiuridici come la “compassione per le vittime…principale fattore che ostacola la presa di contatto con la realtà” ed aggiunge che “nell’orribile presente di certe scene della nostra giustizia, sarebbe bello se il giudice si educasse e, magari, venisse anche educato a nutrire il sentimento della appassionata tensione verso la conoscenza piuttosto che quello del potere”[44].
Ancora una volta il tema centrale della nostra democrazia al dunque è l’indipendenza del giudice senza cui non vi può essere una buona giurisdizione.
[1] P. Ferrua Davanti alla legge nel processo ,Discrimen 11 Giugno 2021 Testo della video-relazione a commento di Vor dem Gesetz di Franz Kafka
[2]Troppo facilmente si dimentica che per i giudici reclutati attraverso un concorso pubblico, quindi privi di ogni rappresentatività, la fonte di legittimazione del potere punitivo esercitato sta precisamente nella soggezione alla legge votata dal Parlamento. Non per nulla la Costituzione, dopo avere affermato che «i giudici sono soggetti soltanto alla legge» (art. 101 comma 2), ribadisce e rafforza il principio, prescrivendo che il processo sia «giusto» e «regolato dalla legge» (art. 111 comma 1). All’imputato condannato si dirà: Tu dovevi conoscere le leggi in nome delle quali ti abbiamo giudicato e condannato. Ma a che serve conoscere la legge, il testo scritto, se i vari fattori di cui abbiamo parlato si oppongono alla conoscenza di ciò che è permesso e di ciò che è vietato? Tramonta così il primato democratico della legislazione perché, a costituire la vera fonte del diritto, sono ormai le Corti superiori. La porta della legge resta aperta a tutti, ma la conoscenza di ciò che è o non è reato dipende dalla giurisprudenza. Il diritto ‘vivente’, elaborato dai giudici, si impone a scapito di quello ‘vigente’; al punto che il legislatore si trova spesso costretto ad uniformare i suoi decreti agli indirizzi della giurisprudenza. (P. Ferrua, cit.).
[3] Sezioni Unite, sent. 6 luglio 2016 (ud. 28 aprile 2016), n. 27620, sent. 14 aprile 2017 (ud. 19 gennaio 2017), n. 18260, sent. 3 Aprile 2018 (ud.21 dicembre 2017) n. 14800.
[4] Corte EDU sent. 5 Luglio 2011 Dan c. Moldavia e sentenza 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia.
[5] Sezioni Unite, 2 gennaio 2020 (ud. 28 novembre 2019), n. 51, ric. Cavallo.
[6] V. Napoleoni “L’onere di interpretazione conforme” in V. Manes - V.Napoleoni “La legge penale illegittima” pgg.49 e segg. Torino 2019.
[7] Corte Cost. sent. 356/96.
[8] V.Napoleoni cit.
[9] Corte Cost. sent.266/06.
[10] “Occorre inoltre considerare che nell’ordinamento italiano l’art. 101 comma 2 Cost. proclama la soggezione soltanto alla legge dei giudici: in maniera esplicita, dunque, è vietato che il diritto possa essere generato dalla giurisprudenza. Nella materia penale, inoltre, un eventuale vincolo del precedente violerebbe anche il principio costituzionale della riserva di legge (art. 25, comma 2, Cost.): il precedente giurisprudenziale dovrebbe essere equiparato, in sostanza, ad una fattispecie incriminatrice creata dai giudici penali e non dal legislatore. Al riguardo, il Giudice delle leggi ha con nettezza affermato che l’orientamento espresso dalla decisione delle Sezioni unite ha «una efficacia non cogente, ma di tipo essenzialmente “persuasivo”. Con la conseguenza che, a differenza della legge abrogativa e della declaratoria di illegittimità costituzionale, la nuova decisione dell’organo di nomofilachia resta potenzialmente suscettibile di essere disattesa in qualunque tempo e da qualunque giudice delle Repubblica, sia pure con l’onere di adeguata motivazione; mentre le stesse Sezioni unite possono trovarsi a dover rivedere le loro posizioni, anche su impulso delle Sezioni singole, come in più occasioni è accaduto». G.De Amicis , La formulazione del principio di diritto ed i rapporti tra sezioni semplici e sezioni unite penali della corte di Cassazione, Diritto Penale Contemporaneo, 4 Febbraio 2019.
[11] G. Fidelbo, Il precedente nel rapporto tra sezioni unite e sezioni semplici: l’esperienza della Cassazione Penale, Questione Giustizia, 4/2018 cit.
[12] V. Napoleoni, cit.
[13] In questo contesto la consapevolezza della centralità e della delicatezza delle attività svolte dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo si è tradotta in articolate previsioni tabellari tese, a dare conto dei plurimi compiti ad esso affidati, a disciplinare lo “statuto professionale” dei magistrati che devono svolgerli, a delineare l’esigenza di una forte osmosi tra l’attività delle singole Sezioni e quella del Massimario nell’ambito di un progetto organizzativo che si propone di rafforzare nel suo complesso la funzione nomofilattica mediante l’enucleazione dei principi e delle linee generali espresse dalla elaborazione giurisprudenziale, il componimento di contrasti anche inconsapevoli, la specializzazione per aree tematiche, la più ampia circolarità delle informazioni, la pluralità delle occasioni di studio e di confronto in vista di meditate opzioni interpretative, la tempestività nella risposta a nuove domande o a questioni di particolare rilievo non disgiunta dalle doverose forme di studio e di approfondimento quale pre-condizione di decisioni attente e meditate. Solo così possono gettarsi le basi per strategie condivise che contribuiscono a dare alla Corte un volto unitario e a restituire il significato più autentico alla sua azione sulla base di una visione di ampio respiro che, superando la cesura tra i diversi settori, sappia delineare, nel solco disegnato dalla Costituzione, un solido quadro di riferimento di principi che devono connotare la giurisdizione in quanto tale e dare coerenza complessiva alla funzione nomofilattica. A questa dimensione progettuale sul piano più squisitamente culturale deve accompagnarsi la condivisione, da parte dell’Ufficio del Massimario, dell’impegno organizzativo indirizzato a razionalizzare i tempi e la gestione delle varie fasi procedimentali, a rendere più incisiva e rapida l’attività di “spoglio” dei ricorsi da selezionare e raggruppare per macro-voci in modo da favorire l’analisi qualitativa del contenzioso pendente, da supportare i presidenti di sezione nella loro attività di programmazione del lavoro, di formazione dei ruoli, di predisposizione di udienze monotematiche, utili a rafforzare il messaggio nomofilattico e a consentire la definizione di un maggior numero di procedimenti cui possa attagliarsi la medesima soluzione giuridica. (Cassazione-programma di gestione 2021)
[14] Cass. VI 2 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 2019), n. 18125, Buzzi.
[15] “la decisione si caratterizza anche per aver inaugurato un nuovo genere di provvedimento giudiziario: la sentenza di legittimità preceduta da un comunicato stampa. In un’epoca storica di dilagante populismo penale mediatico, per evitare ogni possibile deformazione di una decisione che, negando l’esistenza di un sodalizio mafioso a Roma, si poteva prestare ad una narrazione meta-giuridica parziale sia da parte di quanti ne condividessero la valutazione, sia da quanti la avversassero, la Corte ha ritenuto opportuno anticipare il deposito delle circa 400 pagine di motivazioni con una nota informativa con cui segnalava la natura non mafiosa della vicenda mafia capitale, ma, al contempo, si rimarcava la sua rilevanza penale ad altro titolo.” G.Amarelli- C. Visconti Da Mafia Capitale a Capitale corrotta, Sistema Penale, 18 Giugno 2020, https://www.sistemapenale.it/it/scheda/amarelli-visconti-cassazione-18125-2020-mafia-capitale.
[16] «La Corte di cassazione ha deciso oggi i ricorsi nel procedimento penale Rg. 13518/2020 relativo all’incidente ferroviario avvenuto a Viareggio nella notte del 29 giugno 2009. Dopo indagini inevitabilmente lunghe e complesse, gli organi giudicanti hanno celebrato i dibattimenti in tempi inferiori agli standard previsti dalla disciplina nazionale ed europea. La durata del processo in Corte di cassazione è stata di poco più di otto mesi e le udienze, pur in tempo di pandemia, sono state celebrate con la partecipazione diretta dei difensori e in assoluta sicurezza per tutte le parti.La decisione assunta dalla Corte ha confermato, in primo luogo, l’esistenza del reato di omicidio colposo plurimo. Tale reato, con l’eccezione dell’imputato che aveva rinunciato alla prescrizione, è stato dichiarato prescritto in quanto esclusa la circostanza aggravante della violazione delle norme di prevenzione sui luoghi di lavoro. A questa decisione ha fatto seguito la conferma dei risarcimenti in favore di molte parti civili e la revoca degli stessi in favore di alcune altre.La decisione ha confermato per numerosi imputati la responsabilità per il reato di disastro ferroviario colposo, così confermando la condanna inflitta dalla Corte di appello di Firenze, che è stata dichiarata definitiva. Per altri imputati ha annullato la sentenza in relazione ad alcuni profili di colpa ed ha rinviato per un nuovo giudizio alla Corte d’appello di Firenze. Per il reato di disastro ferroviario, le condanne al risarcimento dei danni sono state confermate in favore di tutte le parti civili legittimate. La pronuncia di prescrizione, infine, comporta la necessità di una nuova valutazione della pena da irrogare ai ricorrenti, che sarà decisa dal giudice di appello». (Cass.IV , sent. 8 Gennaio 2021, non ancora depositata, Rg. 13518/2020)
[17] L. Sciascia, Porte Aperte, Milano 1987
[18] E. Amodio, Estetica della giustizia penale. Prassi, media, fiction, Milano,2016
[19] G. Canzio, Il linguaggio giudiziario e la comunicazione istituzionale, Giustizia Insieme, 19 maggio 2021
[20] M.Condorelli e L. Pressacco, Overruling e prevedibilità della decisione, Questione Giustizia, 4/2018, Una giustizia (im)prevedibile? Il dovere della comunicazione.
[21] P. Curzio, Il giudice e il precedente, Questione Giustizia, 4/2018, cit.
[22] G.Fidelbo VERSO IL SISTEMA DEL PRECEDENTE? SEZIONI UNITE E PRINCIPIO DI DIRITTO in Diritto Penale Contemporaneo 29 Gennaio 2018.
[23] Sez. unite, 21 ottobre 2010, n. 18288, Beschi, in Ced, n. 246651, secondo cui il mutamento di giurisprudenza a opera delle sezioni unite della Corte di cassazione, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell'indulto in precedenza rigettata.
[24] “…lo slancio in avanti delle sezioni unite penali ha subito, nel 2010, una battuta di arresto a seguito dell’intervento della Corte costituzionale che, con la decisione n. 230 del 2012, ha perentoriamente escluso ogni possibilità di accostamento tra legge e giurisprudenza e, richiamandosi agli articoli 25 e 101 Cost., ha negato che il diritto vivente abbia una funzione equiparabile a quella della legge. Nel caso di specie, la Corte costituzionale ha ritenuto la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 673 c.p.p. nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del giudicato per effetto del mutamento di giurisprudenza, operato con una pronuncia delle sezioni unite, che aveva escluso la rilevanza penale di condotte in precedenza ritenute costituenti reato.” G. Fidelbo, Il precedente nel rapporto tra Sezioni Unite e sezioni semplici: l’esperienza della Cassazione penale”, Questione Giustizia, 4/2018.
[25] “Secondo la Corte costituzionale, in altri termini, nel nostro ordinamento, nonostante l'orientamento della Corte di Strasburgo, il cosiddetto diritto vivente non può avere la stessa funzione della legge, sicché non è idoneo a mettere in discussione il giudicato, soggiungendosi, peraltro, che la citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18288 del 2010 e la sentenza Sez. 2, n. 19716 del 06/05/2010, Merlo, Rv. 247113, non avevano mancato di porre adeguatamente in risalto il netto iato che separava gli istituti esaminati, riconducibili più correttamente all'ambito delle preclusioni, rispetto al giudicato vero e proprio.” Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2018, Mordino, in Ced n. 51815.
[26] Cass., Sez. III, sent. 27 novembre 2020 (dep. 15 gennaio 2021) n. 1731, con nota di B. Fragasso, Sulla retroattività dell’overruling in materia processuale, tra soggezione del giudice alla legge ed il giusto processo, Sistema Penale, 17 Marzo 2021.
[27] “Perché si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si veda in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso. E si è affermato che l'imprevedibilità non è ravvisabile in presenza di preesistenti contrasti interpretativi (Sez.1, n.27086 del 15/12/2011, Rv.620751 - 01) o di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di cassazione in assenza di un orientamento consolidato della stessa Corte (Sez.6-2, n.3782 del 15/02/2018, Rv.647980 - 01) o nel caso in cui la parte abbia confidato nell'orientamento che non è prevalso (Sez.L, n.14214 del 05/06/2013, Rv.626802 - 01).
[28] “Risulta significativo, a tal fine, che già la sentenza delle Sezioni Unite del 2000 individuasse una serie di elementi sintomatici liberamente apprezzabili dal giudice, anche disgiuntamente, ai fini della verifica della sussistenza del pericolo di diffusione tra i quali «la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari». E una tale disponibilità, che all'epoca di quella pronuncia era tutt'altro che scontata e doveva essere oggetto di specifico accertamento, è oggi assolutamente generalizzata, essendo la riproducibilità e trasmissibilità di immagini e video immediata conseguenza della loro produzione. A ciò deve aggiungersi che, pur con il superamento del presupposto del pericolo di diffusione ritenuto necessario dalla giurisprudenza tradizionale, la disposizione dell'art. 600 ter cod. pen. risulta comunque circoscritta nel suo ambito di applicazione dall'interpretazione restrittiva del concetto di "utilizzazione", tale da escludere la cd. "pornografia domestica". Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2018, Mordino, in Ced n. 51815.
[29] Sez. unite, 31 maggio 2000, Bove, in Ced, n. 216337.
[30] «L'interpretazione proposta dall'orientamento largamente dominante, nel senso della necessità del requisito del pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, deve ritenersi superata dall'evoluzione normativa e, comunque, anacronistica, in quanto riferita a un contesto sociale e a un grado di sviluppo tecnologico - quelli della seconda metà degli anni '90 del secolo scorso - che sono radicalmente mutati negli ultimi anni. L’esclusione di tale pericolo quale presupposto per la sussistenza del reato non determina in concreto un ampliamento dell’ambito di applicazione della fattispecie penale, essendo completamente mutato il quadro sociale e tecnologico di riferimento ed essendo parallelamente mutato anche il quadro normativo sovranazionale e nazionale». Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2018, Mordino, in Ced n. 51815.
[31] “Per ora, le soluzioni che sono state individuate nel dibattito culturale, originato soprattutto dalle spinte della giurisprudenza europea sono due:
a. l’accoglimento del prospective overruling con la previsione che la sentenza con cui le sezioni unite mutano la precedente giurisprudenza debba contenere una sorta di clausola che limiti solo al futuro gli effetti dei mutamenti giurisprudenziali in malam partem, in questo modo estendendo, di fatto, l’operatività dell’art. 2 c.p.,
b. il ricorso all’articolo 5 c.p., così come interpretato dalla sentenza costituzionale n. 364 del 1988, sulla scusante dell’ignorantia legis inevitabile. Si tratta di due soluzioni alternative, ma concorrenti nell’obiettivo di evitare condanne retroattive di cittadini che hanno fatto affidamento su un assetto del diritto in un certo momento storico. G. Fidelbo, cit.
[32] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Strasburgo, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, Ricorso n. 66655/13.
[33] Cassazione Penale, Sez. VI, 12 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 2019), n. 18125, Buzzi.
[34] Cassazione Penale, sez. VI, 9 giugno 2015 (ud. 10 aprile 2015), n. 24535; Corte di Cassazione, sez. VI, 9 giugno 2015 (ud. 10 aprile 2015) n. 24536.
[35] La tesi dell’accusa denunciava l’attività di un’unica associazione criminale romana “originale ed originaria” che senza utilizzare allo scopo metodi classici della intimidazione mafiosa, ma godendo altresì della elevata reputazione criminale di uno degli organizzatori, aveva pervasivamente condizionato la libertà delle procedure di appalto di pubblici servizi di Roma ricorrendo in via prevalente alla sistematica corruzione dei funzionari. La Cassazione aveva formulato il noto principio di diritto secondo cui “ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la forza di intimidazione espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento ed omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l’incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politiche ed elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell’assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio”.
[36] “La decisione ...presenta un aspetto del tutto peculiare: la Corte di appello non ha articolato il proprio ragionamento probatorio prendendo spunto dal contenuto della sentenza di segno contrario di primo grado rispetto alla quale avrebbe dovuto motivare in termini rafforzati ma da quello della sentenza della corte di cassazione emessa nella fase cautelare ….si anticipa che delle varie questioni che una simile interpretazione pone la più rilevante e’ che , persino se fosse corretto un tale metodo è di massima evidenza che decisione di questa Corte in fase cautelare era intervenuta sulla scorta di fatti ben diversi quanto alla consistenza della presunta banda mafiosa essendo state prospettate circostanze di fatto che nel processo non sono state dimostrate. La stessa sentenza impugnata del resto offre una ricostruzione diversa dalla cassazione in sede cautelare”. (Cassazione penale, sez.VI sent. 12 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 2019), n. 18125, Buzzi, pg.300).
[37] “Si deve precisare preliminarmente che il cosiddetto «giudicato cautelare» non consiste in una decisione giurisdizionale definitiva, che conclude un processo, ma è un’espressione di creazione giurisprudenziale – oggetto tuttora di discussioni ed ancora non precisato in alcuni suoi aspetti – con cui viene indicata una preclusione endoprocessuale. Si deve altresì osservare che tale preclusione opera rebus sic stantibus, con la conseguenza che ogni mutamento significativo del quadro materiale o normativo di riferimento vale a rimuoverla, reintroducendo il dovere del giudice di valutare compiutamente l’intera situazione”. Corte Costituzionale sentenza n.85/13.
[38] “È di palmare evidenza che non solo non risulta la disponibilità di armi ma neanche sono state dimostrate in giudizio le strette relazioni con altri gruppi mafiosi ( che la stessa corte di appello esclude ) mentre lo sfruttamento della forza di intimidazione è circostanza che questa corte di cassazione nelle sentenze citate basava su di un determinato materiale indiziario ma che il Tribunale sulla scorta dell’istruttoria dibattimentale, che certo non è stata di mero completamento di prove formate in fase d’indagine ha smentito. Quanto detto è già sufficiente per affermare che le decisioni di Questa Corte di Cassazione sono certamente determinanti per individuare le regole di diritto applicabili là dove determinati fatti siano accertati conformemente del resto al ruolo del giudice di legittimità. Non possono invece valere per ritenere di per sè accertati tali stessi fatti addirittura smentendo la successiva istruttoria dibattimentale….Al di là della erroneità della operazione semplicistica di attribuire a quanto accertato in indagine una valenza presuntiva di stabilità e quindi di parametro condizionante della valutazione dell’esito dell’istruttoria è bene considerare in dettaglio che sulla scorta della lettura dei provvedimenti è indiscutibile che questa Corte in sede cautelare abbia deciso su fatto diversi da quelli che la stessa Corte di appello ha ricostruito” Cassazione Penale n.1815/20, cit.
[39] Sezioni Unite, Sentenza 2 gennaio 2020 (ud. 28 novembre 2019), n. 51, Cavallo.
[40] «Le Sezioni unite si sono espresse su una "questione" che non era stata loro devoluta, su un punto che non era rilevante ai fini della "decisione del ricorso", sulla base di un contradditorio delle parti - e in primis della Procura generale - da ritenersi istituzionalmente accentrato sulla questione devoluta e sulla decisione del ricorso e non sul diverso principio di diritto affermato, ponendosi infine in contraddizione con un ampio orientamento di legittimità di segno contrario e finendo così per creare esse stesse un contrasto, che non pareva sussistere sul punto nella giurisprudenza precedente (a parte i due isolati precedenti citati nella medesima sentenza)».
[41] Sezioni Unite, 10 ottobre 2019 (ud. 30 maggio 2019), n. 41736, Bajrami.
[42] Ai sensi dell'art. 65 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, la Corte di cassazione rappresenta l'organo supremo della giurisdizione italiana preposto ad assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale». L'uniformità della giurisprudenza deve garantire la certezza del diritto anche attraverso la prevedibilità delle decisioni future, posto che, secondo i parametri della Corte Edu, la certezza del diritto rappresenta un corollario fondamentale dello Stato di diritto, nella misura in cui garantisce la stabilità delle decisioni giudiziarie, che è a sua volta condizione essenziale della fiducia dei consociati nel sistema giudiziario (cfr., tra le altre, Corte EDU, sent. 22 dicembre 2015, Stankovie e Trajkovie c. Serbia). Tale compito risulta tanto più pregnante laddove venga intestato alle Sezioni Unite, quale composizione più autorevole della Corte di cassazione. A norma dell'art. 173, comma 3, disp. att. cod proc. pen. «quando il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite, la sentenza enuncia sempre il principio di diritto sul quale si basa la decisione». Ciò implica che le Sezioni Unite, in consonanza con i valori-guida sopra richiamati, sono chiamate ad enunciare il «principio di diritto» in modo da definirne gli esatti i confini, cosicché la regola enucleata possa essere di per sé esauriente e fungere da guida per orientare in maniera certa e, quindi, prevedibile, le future decisioni. Spetta, senza dubbio, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione un ampio potere di ricostruire l'istituto oggetto di esame e di formulare "il principio di diritto" secondo un'ottica di razionalizzazione sistematica in funzione nomofilattica, sensibile alle varie connessioni e implicazioni. Si tratta di un potere cui le Sezioni Unite hanno fatto ripetutamente ricorso.” Cass. Sez. V, 15 gennaio 2021, (ud. 17 dicembre 2020 ) n. 1757, Lombardo.
[43] “Ai sensi dell'art. 65 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, la Corte di cassazione rappresenta l'organo supremo della giurisdizione italiana preposto ad assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale». L'uniformità della giurisprudenza deve garantire la certezza del diritto anche attraverso la prevedibilità delle decisioni future, posto che, secondo i parametri della Corte Edu, la certezza del diritto rappresenta un corollario fondamentale dello Stato di diritto, nella misura in cui garantisce la stabilità delle decisioni giudiziarie, che è a sua volta condizione essenziale della fiducia dei consociati nel sistema giudiziario (cfr., tra le altre, Corte EDU, sent. 22 dicembre 2015, Stankovie e Trajkovie c. Serbia). Tale compito risulta tanto più pregnante laddove venga intestato alle Sezioni Unite, quale composizione più autorevole della Corte di cassazione. A norma dell'art. 173, comma 3, disp. att. cod proc. pen. «quando il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite, la sentenza enuncia sempre il principio di diritto sul quale si basa la decisione». Ciò implica che le Sezioni Unite, in consonanza con i valori-guida sopra richiamati, sono chiamate ad enunciare il «principio di diritto» in modo da definirne gli esatti i confini, cosicché la regola enucleata possa essere di per sé esauriente e fungere da guida per orientare in maniera certa e, quindi, prevedibile, le future decisioni. Spetta, senza dubbio, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione un ampio potere di ricostruire l'istituto oggetto di esame e di formulare "il principio di diritto" secondo un'ottica di razionalizzazione sistematica in funzione nomofilattica, sensibile alle varie connessioni e implicazioni. Si tratta di un potere cui le Sezioni Unite hanno fatto ripetutamente ricorso”.
[44] R.Blaiotta, L’educazione sentimentale del giudice:a proposito di giustizia, amianto, vittime diffuse, Sistema Penale 15 Giugno 2021.
Semplificare per resistere. Il d.l. “Semplificazioni-Governance” n. 77/2021 e i contratti pubblici
di Alessandra Coiante e Sabrina Tranquilli[1]
Sommario: 1. Premessa: le rime obbligate tra “resilienza” e “competenza” - 2. La governance rafforzata del PNRR - 3. Le competenze si acquisiscono “in house” - 4. Il rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti - 5. La linea prioritaria per estendere l’alta velocità ferroviaria - 6. Il rafforzamento del dibattito pubblico - 7. Misure premiali per sostenere la pari opportunità, generazionali e di genere, tramite i contratti pubblici - 8. Le deroghe per le opere del PNRR e PNC - 9. La “transizione” verso l’eliminazione della quota massima subappaltabile - 10. Le modifiche alle procedure sottosoglia - 11. La copertura normativa alle linee guida sul Collegio consultivo tecnico (CCT) - 12. Il tentativo di (ri)partenza “in deroga” delle ZES - 13. L’accelerazione nella fase di esecuzione e i “premi” per la celere esecuzione dei contratti - 14. Conclusioni. Is the elephant (still) in the room?
An investment in knowledge pays the best interest
Benjamin Franklin
***
1. Premessa: le rime obbligate tra “resilienza” e “competenza”.
Lo scorso 22 giugno la Commissione europea ha approvato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR[2]), denominato “Italia domani[3]”, per la ripartenza del Paese che porterà i primi 24,9 miliardi di euro del Recovery fund (pari al 13% dello stanziamento totale) entro luglio 2021.
Sebbene il PNRR si prospetti come la più grande opportunità - che si presenta da decenni - in termini di sviluppo e di ammodernamento del nostro Paese, sono ancora innumerevoli i dubbi sulle scelte in merito all’investimento e alla spesa delle risorse economiche, alla realizzazione dei progetti presentati e ai relativi strumenti di attuazione.
La prima “mossa” del Governo verso l’attuazione del PNRR è costituita dalla semplificazione normativa e amministrativa. Di recente è stato quindi adottato l’ormai quasi seriale[4] decreto semplificazioni “estivo” (d.l. 31 maggio 2021, n. 77, pubblicato in pari data sulla G.U. n. 129).
Gli obiettivi del d.l. 77/2021 sono, come spesso avviene quando ci si dirige velocemente (o almeno così parrebbe in base all’andamento calante dei contagi e alla positiva progressione della campagna vaccinale[5]) verso la porta di uscita da una dura crisi, ambiziosi e nobili. Tra le maglie del decreto la semplificazione si inserisce come un volano non solo per la vitale ripresa economica del Paese, ma anche come strumento utile a dare nuova linfa a valori e diritti fondamentali di rango costituzionale quali l’uguaglianza, la solidarietà, l’inclusione, la cultura, la competenza delle risorse umane utilizzate dall’Amministrazione, oltre che come strumento per sostenere politiche climatiche e ambientali.
Il perseguimento di questi obiettivi e - soprattutto il più efficiente impiego degli ingentissimi fondi europei del Next Generation EU[6] e del Recovery fund - è accompagnato dall’ancora più ambizioso intento di rafforzare (finalmente) la capacità amministrativa interna dell’Amministrazione che dovrebbe consentire di utilizzarli in modo più efficace e senza inutili dispersioni[7]. Si potrebbe dire, usando una nota espressione inglese, che finalmente ci si accorge di quanto è ingombrante “the elephant in the room” finora a spese di tutti ignorato. L’obiettivo primario è quello di valorizzare le migliori competenze già esistenti, quello secondario acquisirne, in modo sembra pressoché massivo, di nuove, valorizzando specifiche professionalità e merito.
Significativamente, infatti, a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione del d.l. n. 77/2021, il 9 giugno 2021, il Governo ne ha adottato un altro (d.l. n. 80/2021 c.d. “decreto reclutamento”) - evidentemente complementare al primo - recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, in cui sono inserite “misure speciali” (declinate nelle forme di incarichi di collaborazione e contratti a tempo determinato) per il conferimento di incarichi professionali funzionali all’attuazione del PNRR. Le risorse umane, una volta acquisite e utilizzate dall’Amministrazione per almeno 36 mesi, potranno poi beneficiare di una “riserva di posti” (non superiore al 40 per cento) nei futuri bandi di concorso per il reclutamento di personale a tempo indeterminato[8]. Lo stesso d.l. n. 80 prende poi (finalmente) atto dell’altro “elephant in the room” e affronta, seppur molto timidamente, la spinosa, ma centrale, questione della formazione del personale delle Amministrazioni potenziando il ruolo dell’Associazione Formez e della Scuola nazionale dell’Amministrazione quali soggetti incaricati di supportarle nell’attuazione del PNRR[9].
La prima sensazione che suscita la lettura “a caldo” dei nuovi dd.ll. (congiuntamente al PNRR) è che, stavolta, seppure con l’auspicata - opportunamente ponderata, ma davvero abbondante - somministrazione “extra” di coraggio in sede di conversione, qualcosa potrebbe effettivamente cambiare, persino in meglio, agevolando la quanto più possibile rapida ripresa del Paese.
I suddetti due recenti dd.ll., pur incidendo su settori e aspetti nevralgici dell’Amministrazione sono, come spesso avviene, dichiaratamente adottati per fronteggiare un’esigenza contingente, ossia permettere la più efficace attuazione del PNRR, del PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementari) e del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima 2030 (PNIEC). Allo stesso tempo, questi decreti tuttavia guardano anche al futuro e hanno l’ambizione di imprimere un “impulso decisivo[10]” e rendere più solido il funzionamento di molti settori dell’ordinamento amministrativo (edilizia, ambiente, energia, concorrenza, contratti pubblici, etc.) su cui direttamente e strategicamente incidono i Piani.
Le misure introdotte tuttavia sono perlopiù di sistema e, come tali, in grado di radicarsi nell’ordinamento amministrativo nel lungo periodo.
Con l’obiettivo di trasmettere maggiore certezza ai cittadini, ma soprattutto agli investitori fortemente scoraggiati da un apparato normativo e amministrativo complesso e talvolta persino ingannevole[11], alcune modifiche generali riguardano direttamente il procedimento amministrativo[12]. Oltre alla modifica del regime dei poteri sostitutivi di cui all’art. 2 della l. n. 241/1990[13], si diminuisce il termine di 18 mesi previsto dall’art. 21-nonies della stessa legge a 12 mesi. Nei casi di formazione del silenzio assenso viene inoltre introdotta la possibilità di chiedere all’Amministrazione una ricevuta attestante il decorso del termine per provvedere, precisando che, in mancanza di tale rilascio, il privato potrà procedere ad una autodichiarazione ex art. 47 del d.P.R. n. 445/2000[14].
Con riferimento al settore dei contratti pubblici, il PNRR aveva annunciato un intervento in due fasi diversificando le misure “urgenti” da quelle “a regime”[15]. Le misure “urgenti” sono state ora inserite nel d.l. semplificazioni-governance[16].
Le misure “a regime”, che mirano a rivedere complessivamente il Codice dei contratti per sostituirlo con una “nuova disciplina più snella rispetto a quella vigente, che riduca al massimo le regole che vanno oltre quelle richieste dalla normativa europea[17]”, saranno invece adottate con legge delega da presentare in Parlamento entro il 31 dicembre 2021. Entro i successivi nove mesi dovranno poi essere adottati i relativi decreti legislativi attuativi.
Occorre tuttavia sgombrare il campo d’indagine da un possibile equivoco. Nel settore dei contratti pubblici l’esigenza di semplificazione (normativa e amministrativa) non scaturisce di certo dalla crisi sanitaria (e da quella economica-sociale provocata da quest’ultima), ma deriva da problemi molto più radicati e di sistema solo peggiorati dalla pandemia. Già a marzo 2019 il Governo aveva del resto presentato un disegno di legge recante una “delega al Governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa in materia di contratti pubblici[18]”. Tale generale riforma si annunciava come fortemente “necessaria” non solo al fine di adeguare il settore dei contratti pubblici all'evoluzione della torrenziale giurisprudenza in materia (e per sciogliere non pochi contrasti interpretativi provocati dal Codice dei contratti) ma anche per rimediare ai numerosi problemi applicativi scaturenti dalla normativa di settore (sia codicistica che regolatoria adottata dal 2016)[19].
Qui di seguito si analizzeranno, con alcune notazioni a primissima lettura, le disposizioni del d.l. semplificazioni e governance che toccano più incisivamente il settore dei contratti pubblici. L’analisi si focalizzerà sia sulle disposizioni che, pur non toccando direttamente la disciplina dei contratti pubblici, incidono comunque sulle procedure di affidamento al fine di incentivare la sollecita realizzazione delle opere pubbliche, sia su quelle che modificano direttamente la relativa disciplina codicistica ed extracodicistica.
2. La governance rafforzata del PNRR
Per evitare che i procedimenti amministrativi nei settori incisi dai diversi Piani possano arenarsi per mancanza di un efficace sistema di raccordo tra le autorità competenti all’esecuzione degli interventi programmati, il d.l. n. 77 affida tale compito a una peculiare struttura di governance articolata su più livelli.
Ciascun Ministero dovrà individuare al proprio interno fino alla fine del 2026 una unità organizzativa interna a livello di direzione generale incaricata del coordinamento, il monitoraggio e la rendicontazione e controllo dell’attività di competenza relative piano.
Il PNRR affida il coordinamento centrale per il monitoraggio ed il controllo sull’attuazione del Piano al Ministero dell’economia e delle finanze che, tramite un’apposita struttura organizzativa, costituisce anche il punto di contatto con la Commissione europea[20]. Il d.l. prevede quindi l’istituzione del Servizio centrale per il PNRR presso la Ragioneria generale dello Stato (art. 6). Il loro ruolo è di monitorare attivamente l'andamento degli investimenti e, seguendo le procedure fissate dallo stesso d.l., proporre interventi di tipo normativo o amministrativo in grado di rimuovere eventuali ostacoli alla loro attuazione.
Lo stesso Piano affida invece i compiti di monitoraggio, di rafforzamento della cooperazione sociale e territoriale, proposta sull’attivazione dei poteri sostitutivi in caso di inadempimento da parte degli enti locali e proporre modifiche normative per l’implementazione delle misure, ad una nuova Cabina di Regia istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il d.l. rafforza dunque ulteriormente la struttura degli uffici della Presidenza cui sono demandati (sempre maggiori) compiti di coordinamento politico-amministrativo[21].
Sia per la sua composizione, che per la funzione che va a svolgere, la nuova Cabina di Regia si differenzia nettamente da quella attualmente istituita, in attuazione dell’art. 212 del Codice dei contratti, presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL). L’art. 2 del d.l. attribuisce infatti alla nuova Cabina il compito di orchestrare le misure attuative dei Piani con il supporto di una Segreteria tecnica (art. 4) costituita presso la stessa Presidenza[22]. La Cabina è stata pensata come una struttura “variabile” a cui partecipano i Ministri (e i Sottosegretari di Stato alla Presidenza) di volta in volta competenti in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna riunione. Possono in alcuni casi partecipare alle sedute altri soggetti interessati come i Presidenti delle Regioni.
La Cabina esercita specifiche funzioni di coordinamento (deve infatti fornire “l’indirizzo, impulso e coordinamento generale” sull'attuazione degli interventi del Piano[23]) e si occupa del raccordo, tramite il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con gli enti locali. Qualora sia necessario il coordinamento e l’armonizzazione tra le funzioni statali di programmazione e l’attuazione degli investimenti previsti dal Piano e l'esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni e al sistema delle autonomie locali, il Ministro partecipa alle sedute della Cabina e dei due Comitati interministeriali e, su impulso di questi, promuove le iniziative opportune (anche in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, nonché di Conferenza unificata).
Nei casi in cui il coordinamento si renda necessario e si tratti di materie su cui Regioni e Province autonome “vantino uno specifico interesse”, si prevede la partecipazione ai due Comitati interministeriali (per la transizione digitale; per la transizione ecologica) del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
La Cabina assume inoltre rilevanti poteri di impulso rispetto alle misure di attuazione dei Piani, potendo proporre l’attivazione degli specifici “poteri sostitutivi” previsti dall’art. 12 dello stesso d.l., esercitabili da parte dello Stato in caso di inadempienza agli obblighi dei Piani da parte degli enti locali[24]. Tale modello sostitutivo si differenzia nettamente - in quanto meno formalizzato e più snello - da quello che era stato introdotto con scarsa fortuna dall’art. 4 della l. 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. “Legge Madia”)[25] rispetto a procedimenti di rilevante impatto economico e sociale.
In materia di governance la scelta italiana si differenzia, in parte, da quella effettuata dagli altri Paesi europei che, pur prevedendo come punto di contatto unico con la Commissione UE il Ministero dell’Economia, hanno poi individuato un solo organo di coordinamento tra le strutture amministrative già esistenti oppure costituito un ente o ufficio ad hoc[26]. Sebbene gli ambiziosi progetti previsti dal Piano italiano necessitino inevitabilmente di un forte coordinamento interno bisogna tuttavia evitare di dover “coordinare i coordinatori”.
3. Le competenze si acquisiscono “in house”
Gli artt. 9, 10 e 11 del d.l. in commento, che possono essere letti congiuntamente, incidono trasversalmente sul rafforzamento delle capacità interne dell’Amministrazione nella misura in cui siano funzionali all’attuazione del PNRR. Il modello prescelto è quello dell’avvalimento delle competenze (sia esterne che interne) per rafforzare progressivamente la capacità amministrativa delle singole Amministrazioni. Il d.l. dimostra un ampio favor verso le società pubbliche e punta sull’utilizzo dell’expertise tecnico-operativo in esse disponibile.
Con una disposizione di stampo generale e non particolarmente innovativa l’art. 9 si limita a precisare che la “realizzazione operativa” degli interventi previsti dal suddetto Piano è compito delle Amministrazioni centrali, delle Regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, sulla base delle specifiche competenze istituzionali e della diversa titolarità degli interventi definiti nel PNRR. Tali compiti - si precisa - devono essere eseguiti, come è ovvio che sia, “attraverso le proprie strutture, ovvero avvalendosi di soggetti attuatori esterni individuati nel PNRR, ovvero con le modalità previste dalla normativa nazionale ed europea vigente”.
L’art. 9, comma 2 del d.l. precisa che, al fine di assicurare l’efficace e tempestiva attuazione degli interventi del PNRR, tali Amministrazioni tuttavia possono “avvalersi del supporto tecnico-operativo assicurato per il PNRR da società a prevalente partecipazione pubblica, rispettivamente, statale, regionale e locale e da enti vigilati”. Si tratta quindi di una disposizione che, per la realizzazione operativa degli interventi previsti dal Piano, mira a sfruttare le società e tante agenzie anche locali sorte nel tempo con lo scopo di promuovere lo sviluppo sociale, economico ed occupazionale del territorio. Il conseguimento degli obiettivi del PNRR dovrebbe tuttavia essere affidato non tanto all’implementazione prevalentemente quantitativa delle risorse umane a disposizione attraverso la combinazione di (tanti) “avvalimenti” interni con le nuove massive assunzioni, quanto ad una costante, parallela e rinnovata formazione dei (pochi ma qualificati) soggetti chiamati a intervenire nella fase di attuazione del Piano[27]. In sede di conversione inoltre dovrebbe essere previsto un efficace sistema di coordinamento anche locale tra tali soggetti e chiarito quali sono gli strumenti amministrativi con cui tale “avvalimento” interno potrà essere concretizzato, unitamente ai doverosi controlli (non solo di legalità, ma anche gestionali) sul loro esercizio.
Con il dichiarato e più specifico intento di “sostenere la definizione e l’avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l’attuazione degli investimenti pubblici in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e comunitaria 2014-2020 e 2021-2027”, l’art. 10, prevede la possibilità per le Amministrazioni di “avvalersi”, tramite apposite convenzioni, del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate ai sensi dell’art. 38 del Codice dei contratti.
Tale attività di supporto, viene precisato, riguarda “anche le fasi di definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione degli interventi e comprende azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, anche attraverso la messa a disposizione di esperti particolarmente qualificati”. Il comma successivo reca specifiche indicazioni sui criteri per la valutazione della congruità economica dell’offerta delle società in house coinvolte, assumendo quale modello di riferimento gli standard operativi di Consip e sull’onere motivazionale giustificativo della scelta compiuta dall’Amministrazione. Il d.l. sul punto precisa che “Ai fini dell’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo n.50 del 2016, la valutazione della congruità economica dell’offerta ha riguardo all’oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento di Consip S.p.A e delle centrali di committenza regionali”.
Il comma 4 legittima le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, per il tramite delle Amministrazioni centrali dello Stato, ad avvalersi del supporto tecnico-operativo delle società in house per la promozione e la realizzazione di progetti disviluppo territoriale finanziati da fondi europei e nazionali.
Ai fini dell'espletamento delle predette attività di supporto, l’ultimo comma dell’art. 10 consente alle società di utilizzare le proprie risorse o di ricorrere ad esperti esterni o acquisire “competenze - di persone fisiche o giuridiche - disponibili sul mercato”, nel rispetto di quanto stabilito dal Codice dei contratti.
Tali schemi di “avvalimento” di competenze sono tuttavia già largamente da tempo in uso da parte dell’Amministrazione[28]. Sarebbe forse invece opportuna in sede di conversione una definizione maggiore del perimetro di tali convenzioni e della tipologia e del contenuto dei controlli rispetto all’esercizio di questi “avvalimenti di competenze”.
4. Il rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti
Anche l’art. 11 del d.l. in esame si inserisce nell’ottica di supportare le competenze delle Amministrazioni e, in particolare, delle stazioni appaltanti, per il tramite di una specifica società per azioni in mano pubblica ossia Consip. S.p.A. Quest’ultima, sulla base di un disciplinare stipulato con il Ministero dell’economia e delle finanze, dovrà mettere a disposizione delle Amministrazioni specifici contratti, accordi-quadro e servizi di supporto tecnico, realizzando altresì un programma di informazione, formazione e tutoraggio nelle procedure di acquisto e progettualità nel limite di spesa di 8 milioni di euro annui dal 2022 al 2026.
In particolare, il comma 1 prevede che per aumentare l’efficacia e l’efficienza dell’attività di approvvigionamento e garantire una rapida attuazione delle progettualità del PNRR e degli altri programmi cofinanziati dall’Unione europea nel periodo 2021-2027, la Consip (i) metta a disposizione delle Amministrazioni specifici contratti, accordi-quadro e servizi di supporto tecnico; (ii) realizzi un programma di informazione, formazione e tutoraggio nelle procedure di acquisto e progettualità per l’evoluzione del sistema di e-Procurement e il rafforzamento della capacità amministrativa e tecnica delle Amministrazioni. Per le Amministrazioni territoriali Consip si coordina con le centrali di committenza regionali.
5. La linea prioritaria per estendere l’alta velocità ferroviaria
Il PNRR dedica, come noto, ampio spazio al potenziamento generale della linea ferroviaria per il tramite di interventi rilevanti sul piano delle infrastrutture e della logistica[29]. L’art. 44 del d.l. introduce una concertazione semplificata e accelerata per la realizzazione di dieci opere di rilevante impatto e interesse strategico per il Paese elencate nel successivo Allegato IV[30] tra cui alcune già in procinto di essere avviate[31].
Al comma 1 del suddetto articolo, si prevede la trasmissione da parte della stazione appaltante del progetto di fattibilità tecnica ed economica al Consiglio superiore dei lavori pubblici per la valutazione da parte del relativo Comitato speciale[32]. Come è stato segnalato dai primi autorevoli commentatori, tuttavia, la disposizione non impone alla stessa stazione appaltante un termine entro cui inviare il progetto consentendo così inutili dilazioni procedimentali[33]. In caso di incompletezze, il progetto è restituito alla stazione appaltante con l’indicazione degli errori riscontrati e delle eventuali modifiche necessarie. A tale fase di approvazione si applica il meccanismo del silenzio-assenso.
Il comma 2 si occupa della verifica preventiva dell’interesse archeologico prescrivendo la trasmissione del progetto di fattibilità tecnica ed economica relativi dalla stazione appaltante alla competente soprintendenza decorsi quindici giorni dalla trasmissione al Consiglio superiore dei lavori pubblici dello stesso progetto (ovvero alla ritrasmissione al citato Consiglio nel caso in cui fossero necessarie modifiche o integrazioni). Il termine di cui al comma 3, secondo periodo, dell'articolo 25 del Codice dei contratti è ridotto da sessanta a quarantacinque giorni.
Nell’ipotesi in cui sia richiesta la VIA il progetto di fattibilità tecnica ed economica è trasmesso dalla stazione appaltante all’autorità competente sempre entro quindici giorni dalla trasmissione al Consiglio superiore dei lavori pubblici (ovvero alla ritrasmissione al citato Consiglio nel caso in cui fossero necessarie modifiche o integrazioni), unitamente alla documentazione acquisita all’esito dello svolgimento del dibattito pubblico (su cui v. infra). Il comma 4 assegna un termine di quindici giorni alla stazione appaltante per convocare la conferenza di servizi in forma semplificata per l’approvazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica, con decorrenza del termine a partire dalla data di trasmissione al Consiglio superiore dei lavori pubblici del medesimo progetto. Nel corso della conferenza di servizi sono acquisite e valutate le eventuali prescrizioni e direttive adottate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché gli esiti del dibattito pubblico e le eventuali preliminari osservazioni concernenti la verifica preventiva dell’interesse archeologico e la valutazione di impatto ambientale. Viene previsto che la determinazione conclusiva della conferenza sostituisca qualsiasi altro provvedimento, con effetti anche urbanistici, edilizi ed ambientali.
In caso di dissenso (non qualificato), la questione è posta all’esame del Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici e definita secondo una nuova modalità in cui è adottata una determinazione motivata improntata a una soluzione condivisa, che sostituisce il provvedimento della conferenza dei servizi. In presenza di dissensi qualificati ai sensi dell’articolo 14-quinquies, commi 1 e 2, della l. n. 241 del 1990, invece, il Comitato speciale demanda la risoluzione della questione al Consiglio dei ministri.
Il comma 7 prevede che la verifica del progetto definitivo e del progetto esecutivo, condotta ai sensi dell’art. 26, comma 6, del Codice dei contratti, debba estendersi anche all’ottemperanza alle prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi e di VIA. Il comma 8 infine pone in capo alla stazione appaltante l’obbligo di indire la procedura di aggiudicazione non oltre novanta giorni dalla data di adozioen della determinazione motivata. In caso di inosservanza del termine di cui al primo periodo, potranno essere esercitati i poteri sostitutivi previsti dallo stesso d.l. all’art.12.
6. Il rafforzamento del dibattito pubblico
L'art. 46 del d.l. in commento introduce una serie di modifiche all'attuale disciplina attuativa del dibattito pubblico, contenuta nel dPCM n. 76 del 2018 per estenderne l’ambito di applicazione e velocizzarne il procedimento[34]. Il suddetto dPCM, come noto, dando attuazione all’art. 22 del Codice dei contratti, ha circoscritto, mutuando il modello francese[35], l’avvio del dibattito agli interventi maggiori (ad esempio elettrodotti oltre 40 km; strade e autostrade che prevedano un costo stimato superiore a 500 milioni di euro, etc.) con l'obiettivo di rendere trasparente il confronto sulle opere pubbliche di maggiore impatto, attraverso una procedura che consenta di informare e far partecipare le comunità interessate. Il d.l. n. 77 prevede che il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, dovrà adottare, su proposta della Commissione nazionale per il dibattito pubblico, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto, delle nuove soglie dimensionali delle opere da sottoporre obbligatoriamente a dibattito pubblico, inferiori a quelle previste dall'Allegato 1 del suddetto dPCM, in modo da estenderne l’ambito di applicazione.
Si stabilisce chem in relazione agli interventi relativi alle grandi infrastrutture previste dallo stesso decreto, il dibattito pubblico abbia durata massima di trenta giorni e che tutti i termini previsti dal dPCM vengano ridotti della metà.
Nei casi in cui debba farsi ricorso al dibattito pubblico, la stazione appaltante provvede ad avviare il relativo procedimento contestualmente alla trasmissione del progetto di fattibilità tecnica ed economica al Consiglio superiore dei lavori pubblici per l’acquisizione del parere, di cui all’art. 45, comma 1 dello stesso d.l..
In caso di restituzione del progetto, il dibattito pubblico è sospeso con avviso pubblicato sul sito istituzionale della stazione appaltante. In tali ipotesi, il termine riprenderà a decorrere dalla data di pubblicazione sul medesimo sito istituzionale dell’avviso di trasmissione del progetto di fattibilità tecnica ed economica integrato o modificato secondo le indicazioni fornite dal Consiglio superiore di lavori pubblici. Gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono poi valutate nell’ambito della conferenza di servizi di cui al richiamato art. 45, comma 4 i.
Al fine di assicurare il rispetto dei termini, la Commissione nazionale per il dibattito pubblico provvede a istituire, entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, un elenco di soggetti, in possesso di comprovata esperienza e competenza nella gestione dei processi partecipativi ovvero nella gestione ed esecuzione delle attività di programmazione e pianificazione in materia urbanistica o di opere pubbliche, cui conferire l'incarico di coordinatore del dibattito pubblico. La stessa Commissione, inoltre, potrà esercitare poteri sostitutivi nell’eventualità di inosservanza dei termini fissati per la conclusione del dibattito. Ai componenti della Commissione è riconosciuto, per l’esercizio dei poteri sostitutivi, un rimborso delle spese sostenute.
7. Misure premiali per sostenere la pari opportunità, generazionali e di genere, tramite i contratti pubblici
L’art. 47 del d.l. dispone che le stazioni appaltanti inseriscano nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, specifiche clausole, dirette alla previsione, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell'offerta, di criteri orientati a promuovere l'imprenditoria giovanile, la parità di genere e l'assunzione di giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne. Le nuove disposizioni si applicheranno solo alle procedure che utilizzeranno gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal Recovery Fund e dal Regolamento sul sostegno tecnico (SST)[36].
Il perseguimento di obiettivi sociali attraverso i contratti pubblici è un tema finora scarsamente attenzionato tanto dal legislatore europeo che da quello nazionale e poco trattato dalla dottrina. Gli aspetti sociali legati agli affidamenti dei contratti pubblici trovano infatti solo un accenno nel considerando n. 98 della direttiva 2014/24/UE, dove si afferma in via programmatica che “le condizioni di esecuzione dell’appalto potrebbero anche essere intese a favorire l’attuazione di misure volte a promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro, una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra lavoro e vita privata, la protezione dell’ambiente o il benessere degli animali, a rispettare in sostanza le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e ad assumere un numero di persone svantaggiate superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale”.
La ritrosia del legislatore deriva dalla resistenza delle imprese, contrarie all'idea di utilizzare la contrattazione pubblica per il raggiungimento di finalità politiche non strettamente legate all’oggetto della gara. L'uso strategico della contrattualistica pubblica per il raggiungimento di obiettivi sociali è dunque stato fino ad oggi poco incentivato dal legislatore e l’adozione di criteri premiali per le imprese che adottino politiche incentivanti la parità di genere e l’inclusione di giovani lavoratori sono state rimesse alla sensibilità delle singole stazioni appaltanti.
La modifica apportata dal d.l. in commento, pur potenzialmente conforme alle direttive, tuttavia, va ad aggiungere - peraltro incomprensibilmente in via d’urgenza - requisiti e criteri di valutazione non specificatamente previsti dalle stesse direttive ponendosi così in antitesi con gli obiettivi di semplificazione del (futuro) quadro regolatorio “a regime” diretto – in base a quanto si afferma nel PNRR - a ridurre “al massimo le regole che vanno oltre quelle richieste dalla normativa europea”.
Tale introduzione tuttavia appare d’altra parte opportuna. Finora infatti l’introduzione di previsione di criteri premiali all’interno dei bandi di gara, per sostenere politiche sociali, rimessa caso per caso alle singole stazioni appaltanti sulla base dell’art. 95 del Codice dei contratti, ha talvolta condotto all’annullamento delle relative aggiudicazioni in quanto produttive di “discriminazioni a contrario”[37]. Tanto induce a regolare con maggiore specificità i limiti entro cui dovranno muoversi le stazioni appaltanti nella redazione dei bandi e il giudice amministrativo nell’eventuale relativo sindacato.
8. Le deroghe per le opere del PNRR e del PNC e il ritorno dell’appalto integrato
Il d.l. introduce disposizioni derogatorie per la realizzazione delle opere, finanziate in tutto o in parte con le risorse del PNRR o del PNC. Viene anzitutto prevista la nomina di un responsabile unico del procedimento e che le stazioni appaltanti, in caso di urgenza, possano utilizzare la procedura negoziata senza pubblicazione del bando.
Per gli interventi del PNRR è previsto un unico affidamento per la progettazione e l’esecuzione dell’opera sulla base del progetto di fattibilità (c.d. appalto integrato). L’art. 59, comma 1, del Codice dei contratti aveva, come noto, introdotto il divieto di affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori fatte salve alcune eccezioni. Il d.l. n. 32/2019 convertito in l. 55/2019 all’art. 1, comma 1, lettera b) stabiliva che era possibile reintrodurre l’appalto integrato fino al 31 dicembre 2020. L’art. 8, comma 7, lettera a) del d.l. n. 76/2020 convertito in l. n. 120/2020, ha poi prorogato la precedente scadenza al 31 dicembre 2021.
L’aggiudicazione avverrà sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che tiene conto anche degli aspetti qualitativi oltre che economici.. L’affidamento può avvenire mediante l’acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta o mediante offerte aventi per oggetto la realizzazione del progetto definitivo, del progetto esecutivo e il prezzo. In tutti i casi, il prezzo deve indicare distintamente il corrispettivo per la progettazione definitiva, quello per la progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori. Sono previsti punteggi premiali per l’utilizzo di metodi e strumenti elettronici e di piattaforme interoperabili, ma anche un premio di accelerazione per ogni giorno di anticipo determinato sulla base degli stessi criteri stabiliti per il calcolo della penale, mediante utilizzo delle somme per imprevisti indicate nel quadro economico dell’intervento (sui cui v. infra). Il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici è previsto solo per i progetti di fattibilità relativi a lavori di competenza statale o finanziati dallo Stato almeno per il 50% e di importo superiore a 100 milioni di euro.
9. La “transizione” verso l’eliminazione della quota massima subappaltabile
L’art. 49 del d.l. introduce diverse modifiche in materia di subappalto.
In particolare, in deroga alle norme in vigore che prevedono un limite del 30 %[38], è stato stabilito che - fino al 31 ottobre 2021- il subappalto non possa superare la quota del 50 % dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
È stato poi aggiunto che dal 1° novembre 2021, verrà rimosso ogni limite quantitativo al subappalto, ma le stazioni appaltanti dovranno indicare nei documenti di gara le prestazioni o lavorazioni che saranno essere eseguite obbligatoriamente a cura dell’aggiudicatario.
La modifica appena delineata costituisce solamente l’ultimo tassello di un excursus di modifiche che l’istituto del subappalto ha subito, sin dall’approvazione del Codice del 2016, principalmente per adeguare la disciplina nazione a quella europea[39].
La CGUE, infatti, con la nota sentenza “Vitali” [40], ha ritenuto la previsione del suddetto limite del 30 %, prevista dall’art. 105 del Codice dei contratti, contraria al diritto europeo.
Ciò in quanto, a detta della Corte, la previsione interna vieterebbe “in modo generale ed astratto” il ricorso al subappalto oltre una percentuale fissa, applicando così il divieto “indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori”, anche laddove “l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”. Inoltre, un siffatto divieto generale, non lascerebbe alcuno spazio di “valutazione caso per caso” alle Amministrazioni aggiudicatrici.
Tale pronuncia può dirsi frutto dell’approccio europeo all’intera materia dei contratti pubblici, fondato su due corollari: garantire la massima partecipazione alle procedure di gara e fornire alle stazioni appaltanti maggiori spazi valutativi-discrezionali, nell’ottica di garantire – attraverso la tutela della concorrenza – l’efficienza del mercato in questione.
Questa visione – che permea le direttive del 2014 nel loro intero – tuttavia, si scontra spesso con quella propria dell’ordinamento italiano, che, sin dalla legge di contabilità dello Stato[41], vede la discrezionalità dell’Amministrazione come uno strumento capace di aprire più facilmente la strada a fenomeni collusivi e corruttivi tra imprese e funzionari infedeli.
Lo Stato italiano, pertanto, davanti alla CGUE aveva giustificato la necessità di un siffatto limite al subappalto (non presente in alcun modo nelle direttive UE) – limitativo sia della concorrenza che della discrezionalità delle stazioni appaltanti – proprio alla luce “delle particolari circostanze presenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi”.
La CGUE, tuttavia, non ha considerato meritevoli di apprezzamento le difese dello Stato italiano dal momento che “il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese. Pertanto, una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24”.
Prima di tale pronuncia, il legislatore interno, con il d.l. “Sblocca-cantieri”, aveva già modificato la soglia del subappalto innalzandola al 40%. A due anni dalla sentenza della CGUE, tuttavia, il legislatore ripropone nuovamente un limite quantitativo e generalizzato al subappalto, senza fornire alcun spazio discrezionale alle stazioni appaltanti.
Seppure può consolare il fatto che sia stato stabilito solo per un periodo di tempo definito (ossia fino al 31 ottobre 2021) non si comprende la ragionevolezza di siffatta scelta. Vieppiù che è stato comunque stabilito (e ciò in linea con la disciplina europea) che dal 1° novembre 2021 non vi saranno più limiti in tal senso. Dunque, perché inserire ancora una volta un limite quantitativo di questo tipo?
Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, non sarebbe rilevante, ai fini della compatibilità con il diritto eurounitario, l’esistenza di una percentuale subappaltabile (sia essa del 30% oppure del 40% o del 50%), ma la predeterminazione in via generale e astratta di una soglia quantitativa che impedisca una “valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore”[42].
Sul punto è anche intervenuta più volte l’AGCM. Pare utile ricordare, in particolare, la segnalazione che l’Autorità ha inviato al Governo in vista della legge annuale sulla concorrenza[43], ove, in merito al subappalto, veniva ribadita[44] la necessità di “rimuovere le disposizioni in materia di subappalto che contrastano con la disciplina eurounitaria e ostacolano ingiustificatamente la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica”. In particolare, veniva suggerito di: (i) eliminare la previsione generale e astratta di una soglia massima di affidamento subappaltabile; (ii) prevedere l’obbligo in capo agli offerenti che intendano ricorrere al subappalto di indicare in sede di gara la tipologia e la quota parte di lavori in subappalto, oltre all’identità dei subappaltatori; (iii) consentire alle stazioni appaltanti di introdurre, tenuto conto dello specifico contesto di gara, eventuali limiti all’utilizzo del subappalto che siano proporzionati rispetto agli obiettivi di interesse generale da perseguire e adeguatamente motivati in considerazione della struttura del mercato interessato, della natura delle prestazioni o dell’identità dei subappaltatori.
Dunque, perché inserire, ancora una volta, un limite quantitativo e non provvedere direttamente ad eliminarlo? Inoltre, tale occasione di riforma poteva essere colta per ampliare – in linea con lo spirito delle direttive UE – i poteri discrezionali delle stazioni appaltanti, concedendo alle stesse la possibilità di determinare i limiti all’utilizzo del subappalto “proporzionati agli obiettivi di interesse generale e adeguatamente motivati in considerazione della struttura del mercato” (come suggeriva l’AGCM) e dunque il potere di “valutazione caso per caso” indicato dalla CGUE.
10. Le modifiche alle procedure sottosoglia
L’art 51 del d.l. interviene (ancora una volta)[45] a modificare la disciplina delle procedure per velocizzare l’aggiudicazione dei contratti pubblici sottosoglia[46].
Anzitutto, viene ulteriormente prorogato il termine di durata delle deroghe per l’affidamento dei contratti sottosoglia durante il periodo emergenziale (stabilite dall’art. 1 del d.l. n. 76/2020) al 30 giugno 2023[47].
La novella interviene sul comma 2 del medesimo art. 1 del d.l. n. 76 confermando a 150.000 euro la già vigente soglia per l’affidamento diretto dei lavori ed elevando a 139.000 euro il limite per l’affidamento diretto delle forniture e servizi (ivi inclusi servizi di ingegneria e architettura), anche senza consultazione di più operatori economici, nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all’art. 30 del Codice dei contratti.
Si modificano dunque ulteriormente le soglie più volte rimaneggiate con il precedente intervento normativo. In origine il d.l. n. 76 aveva, infatti, previsto l’affidamento diretto sia per i lavori che per i servizi e le forniture sino a 150.000 euro. In sede di conversione era stata invece introdotta una distinzione diminuendo la soglia per i servizi e le forniture (inclusi i servizi di ingegneria e architettura) a 75.000 euro e lasciando invariata solo per i lavori quella dei 150.000 euro.
Con questo nuovo intervento, dunque, pur restando ferma la distinzione disposta in sede di conversione tra affidamenti di lavori servizi e forniture, viene nuovamente aumentata la soglia per i servizi e le forniture sino a 139.000 euro.
Oltre all’affidamento diretto sono state modificate (anche qui per la terza volta) le previsioni in materia di procedura negoziata.
Per i lavori oltre 150.000 euro e fino a un milione di euro viene prevista la procedura negoziata senza pubblicazione del bando, previa “consultazione” di cinque operatori, questi ultimi richiesti anche per le forniture e i servizi (ivi inclusi servizi di ingegneria ed architettura) da 139.000 euro fino alle soglie comunitarie. Invece, per i lavori di importo pari o superiore ad un milione di euro e fino alla soglia comunitaria, l’invito deve coinvolgere almeno dieci operatori.
Parimenti a quanto avvenuto per la disciplina dell’affidamento diretto, anche con riferimento a tali procedure il legislatore ha più volte cambiato “le carte in tavola”.
Il d.l. n. 76 aveva in origine stabilito una “tripartizione” che vedeva, per i lavori di importo fino ai 350.000 euro, la consultazione di almeno 5 operatori, per i lavori fino al milione di euro, la consultazione di 10 operatori e per i lavori di importo superiore al milione e, sino alle soglie, la consultazione di 15 operatori.
In sede di conversione è stata operata unicamente una “bipartizione”: da un lato, per gli importi pari o superiore a 350.000 euro sino al milione di euro, è stata prevista la necessità di interpellare almeno 10 operatori mentre per la soglia successiva (da un milione sino alle soglie) 15 operatori.
Il nuovo d.l. ripropone lo schema della “bipartizione”, ma innalza le fasce degli importi e riduce gli operatori da interpellare, che divengono unicamente 5 per gli importi sino a un milione di euro e 10 sino alla soglia comunitaria, che, si ricorda, a titolo esemplificativo, per gli appalti di lavori nei settori ordinari, corrisponde a 5.350.000 euro.
11. La copertura normativa alle linee guida sul Collegio consultivo tecnico (CCT)
Uno dei principali elementi su cui si potrà effettivamente “pesare” la capacità di semplificazione (e, conseguentemente migliorare l’attrazione degli investitori nel Paese) degli ultimi d.d.l.l. è costituito dal Collegio consultivo tecnico (CCT) in quanto organo “di punta” nelle procedure di gara incaricato di prevenire l’eventuale spesso oneroso contenzioso relativo alla fase di esecuzione dei contratti pubblici. Tale istituto dovrebbe permettere di limitare il ricorso alle altre spesso complesse procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, riducendo anche gli oneri per le consulenze di natura tecnica e legale. Le stazioni appaltanti hanno peraltro la facoltà di nominare tale organo consultivo già nella fase antecedente l’esecuzione, per acquisire pareri di natura tecnica, sulla scelta dell’iter approvativo, sulla procedura di gara da adottare, sul bando e sullo schema di contratto.
L’art. 51, comma 5, del d.l. in commento attribuisce, in particolare, una copertura normativa alle linee guida già predisposte dal gruppo di lavoro istituito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici al fine di consentire una rapida e omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale delle funzioni del CCT[48]. Il d.l. semplificazioni-governance aggiunge un comma 8-bis all’art. 6 del d.l. n. 76/2020 precisando il contenuto generale delle suddette linee guida[49]. Viene inoltre specificato che presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, istituto un “Osservatorio permanente per assicurare il monitoraggio dell’attività dei collegi consultivi tecnici”. A tale fine, i Presidenti dei collegi consultivi dovranno trasmettere all'Osservatorio gli atti di costituzione del collegio e le relative determinazioni entro cinque giorni dalla loro adozione.
12. Il tentativo di (ri)partenza in deroga delle “ZES”
Il d.l. in commento dedica alcune disposizioni alle “Zone economiche speciali” (ZES)[50]. A distanza di cinque anni dalla loro introduzione (avvenuta ad opera del d.l. “Mezzogiorno” n. 91/2017) gli interventi di semplificazione normativa e amministrativa introdotti su base nazionale e regionale non sono stati finora in grado di incentivare realmente la partenza delle ZES.
Se il principale freno è senz’altro costituito dall’insufficienza della rete dei trasporti e della logistica di collegamento con le zone (prevalentemente portuali) interessate, qualche segnale positivo potrebbe in futuro registrarsi a seguito degli ampi interventi infrastrutturali previsti dal PNRR. La realizzazione dei collegamenti tra le ZES nella c.d. rete “TEN-T” potrebbe infatti realmente consentire una reale partenza di queste zone[51].
Il sistema di “commissariamento” delle ZES, che, significativamente, ha preceduto la loro “messa in pratica”, viene ora disciplinato con maggiore dettaglio e rafforzato[52]. L’art. 57, comma 2, del d.l. in commento introduce indicazioni sulla governance delle ZES chiarendo come debba avvenire la nomina dei commissari straordinari. Si stabilisce, infatti, che ogni commissario venga “nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro per il Sud e la coesione territoriale, d’intesa con il Presidente della Regione interessata”. Sarà poi l’Agenzia per la Coesione Territoriale a supportare l’attività dei diversi commissari garantendo sulla base della cabina di regia delle Zone Economiche Speciali “il coordinamento della loro azione nonché della pianificazione nazionale degli interventi nelle ZES, tramite proprio personale amministrativo e tecnico a ciò appositamente destinato, con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente”. La stessa Agenzia fornirà “supporto ai singoli Commissari, con personale tecnico e amministrativo in numero adeguato alle esigenze operative e dotato di idonee competenze, attraverso specifiche iniziative di rafforzamento amministrativo, al fine di garantire efficacia e operatività dell’azione commissariale”. Il comma 3 stabilisce, inoltre, il Commissario straordinario si avvarrà “delle strutture delle amministrazioni centrali o territoriali e di società controllate dallo Stato o dalle regioni.”
Con riferimento alle procedure di affidamento funzionali alle ZES, fino al 31 dicembre 2026, a richiesta degli enti competenti, i commissari potranno assumere le funzioni di stazione appaltante e operare “in deroga” alle disposizioni in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto dei principi di cui degli artt. 30, 34 e 42 del Codice dei contratti, nonché delle disposizioni del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al d.lgs. n. 159/2011, e dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.
Si prevede inoltre che le Regioni dovranno adeguare la propria programmazione o la riprogrammazione dei fondi strutturali alle esigenze di funzionamento allo sviluppo delle relative ZES concordando le relative linee strategiche con il Commissario, garantendo la massima sinergia delle risorse materiali e strumentali approntate per la piena realizzazione del piano strategico di sviluppo.
In base al nuovo d.l. i commissari delle ZES assumono dei veri poteri autorizzatori, che esercitano sostituendo tutte le autorizzazioni con una “autorizzazione unica” in modo da divenire “l'interlocutore principale per gli attori economici interessati a investire sul territorio di riferimento”. Viene inoltro introdotto nel d.l. n. 91/2017 un art. 5-bis ai sensi del quale le opere per la realizzazione di progetti infrastrutturali nelle zone economiche speciali (ZES) da parte di soggetti pubblici e privati devono essere considerate di “pubblica utilità, indifferibili ed urgenti” salvo quanto previsto dalle norme in materia di autorizzazione di impianti e infrastrutture energetiche ed in materia di opere ed altre attività ricadenti nella competenza territoriale delle Autorità di sistema portuale e degli aeroporti. Viene inoltre previsto che “i progetti inerenti alle attività economiche ovvero l'insediamento di attività industriali, produttive e logistiche all'interno delle ZES, non soggetti a segnalazione certificata di inizio attività, sono soggetti ad autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale”. L’autorizzazione unica “costituisce variante agli strumenti urbanistici e di pianificazione territoriale, ad eccezione del piano paesaggistico regionale” e viene rilasciata dal Commissario straordinario della ZES a conclusione di una specifica conferenza di servizi. Viene poi innalzato il tetto del credito d’imposta per gli investimenti che, come prevede l’art. 57, viene aumentato da 50 a 100 milioni di euro ed è esteso all'acquisto di immobili strumentali agli investimenti, anche mediante contratti di locazione finanziaria. L'aumento previsto è finanziato con 283 milioni a valere sul Fondo sviluppo e coesione.
L’annuncio che le ZES opereranno in deroga alla normativa (già in parte derogatoria) in materia di contratti pubblici (peraltro ancora in fase di costruzione e revisione per tutto il prossimo anno) si presenta tuttavia come un “biglietto da visita” poco attraente per gli investitori. Con una opportuna dose di onestà bisognerebbe forse ammettere che queste Zone potranno “partire” solamente quando i necessari investimenti infrastrutturali saranno portati a termine e il quadro normativo sarà più definito o almeno meno complesso.
13. L’accelerazione nella fase di esecuzione e i “premi” per la celere esecuzione dei contratti
Allo specifico fine di garantire il rispetto dei tempi di attuazione del PNRR, del PNC e dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell'Unione Europea, l’art. 50 del d.l. n. 77 prevede una serie di poteri sostitutivi che possono essere attivati, tanto nella fase di stipula del contratto che, in relazione a singoli adempimenti, in quella di esecuzione. Viene in particolare stabilito che decorsi inutilmente i termini per la stipulazione del contratto, la consegna dei lavori, la costituzione del collegio consultivo tecnico, gli atti e le attività di cui all'art. 5 del d.l. 16 luglio 2020 n. 76, nonché gli altri termini, anche endoprocedimentali, previsti dalla legge o dall'ordinamento della stazione appaltante o dal contratto, per l'adozione delle determinazioni relative all'esecuzione dei contratti pubblici, il responsabile o l’unità organizzativa di cui all'art. 2, comma 9-bis, della l. n. 241/90, titolare del potere sostitutivo, lo eserciti entro un termine dimezzato rispetto a quello originariamente previsto.
Il d.l. interviene inoltre sulla tempistica di approvazione di alcuni contratti in relazione alle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dai predetti piani. Tale adempimento interviene in un momento successivo alla sottoscrizione del contratto e ha come presupposto un’attività di verifica e controllo in merito alla legittimità dell’operato della stazione appaltante e al riscontro della corrispondenza tra l’oggetto dell’appalto ed il contratto stipulato tra le parti. In assenza di illegittimità e irregolarità, l’organo di controllo interno provvede a predisporre il decreto di approvazione del contratto a firma del dirigente che ha determinato l’avvio della procedura di gara. Il contratto deve essere approvato entro il termine fissato dalle singole amministrazioni e, in mancanza, entro trenta giorni dal suo ricevimento da parte dell’organo competente. In particolare, si prevede che il contratto diviene efficace immediatamente con la stipula e, perciò, non trova applicazione la condizione sospensiva di cui all’art. 32, comma 12, Codice dei contratti, in base alla quale “Il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti”.
Viene inoltre stabilito che stazione appaltante debba riconoscere – per mezzo di apposita previsione nel bando o nell’avviso di indizione della gara – un premio di accelerazione per ogni giorno di anticipo rispetto al termine di ultimazione dei lavori.
Da ultimo, viene poi previsto che – in deroga all’art. 113-bis del Codice dei contratti – le penali possono essere calcolate in misura compresa tra lo 0,6 per mille e l’1 per mille e non possono superare complessivamente il 20% dell’importo contrattuale.
14. Conclusioni. Is the elephant (still) in the room?
Le disposizioni ora esaminate costituiscono solo una parte delle novità introdotte dal d.l. semplificazioni-governance che interessano molti settori del diritto amministrativo.
Quello che il legislatore dovrebbe domandarsi in sede di conversione è se il pacchetto normativo in procinto di essere adottato stia affrontando davvero le questioni cruciali per la ripartenza del Paese.
Questo intervento normativo, limitato alle “misure urgenti”, costituisce infatti solo un primo step verso il complessivo percorso di riforma del settore della contrattualistica pubblica e, in generale, dei settori maggiormente funzionali alla ripresa del Paese.
Se la spinta verso l’accelerazione alla realizzazione delle grandi infrastrutture e del potenziamento dell’alta velocità costituisce un fattore di sicuro positivo apprezzamento per fronteggiare dei ritardi ormai insostenibili nella logistica e nel potenziamento delle infrastrutture strategiche, molti altri nodi rimangono ancora irrisolti.
Per quanto riguarda specificatamente la tempistica delle riforme sui contratti pubblici, all’interno del PNRR, come visto, alle modifiche di breve periodo consistenti per l’appunto nell’emanazione di “misure urgenti” seguiranno le “misure a regime”, da varare con legge delega entro il 31 dicembre 2021, prevedendo poi l’emanazione di decreti legislativi da adottare entro nove mesi.
Da quanto preannunciato, sembra che stavolta il legislatore non cambierà solo le “carte in tavola”, ma modificherà completamente “il tavolo da gioco”, dal momento che viene prospettato addirittura di “ripartire dal via” (2016) attraverso una integrale revisione delle norme di recepimento delle direttive del 2014.
Vieppiù che sul punto viene indicata come preferibile la tecnica del copy out, salvo per le parti delle direttive non direttamente applicabili, richiamando come esempi virtuosi da tenere in considerazione le esperienze di Germania e Regno Unito. Senza qui entrare nel merito dell’assoluta diversità dei suddetti sistemi di contrattazione pubblica rispetto al nostro, circostanza di cui anche si dovrà tenere in debito conto per evitare errori ancor più gravi rispetto a quelli già commessi, un nuovo tentativo di condurre il sistema ad unitarietà del sistema non può che ritenersi apprezzabile, data la frammentarietà e l’insostenibile instabilità dell’attuale disciplina.
Si pensi, anche solamente alle ripetute modifiche alla disciplina del sottosoglia (apportate dal d.l. n. 76/2020, dalla successiva l. di conversione oltre che dal d.l. in commento) e del subappalto (modificata dal d.l. “Sblocca cantieri” e dal d.l. in commento) “extracodicistiche”, paradigmatiche del “male” che affligge il sistema dei contratti pubblici: ci troviamo di fronte ad un legislatore che, pur proclamando tentativi di “semplificazione”, non fa altro che modificare la disciplina, rendendola sempre più frammentata e ingannevole, esasperando operatori, interpreti e le stesse Amministrazioni.
Sebbene la fase emergenziale abbia richiesto interventi continui e rapidi, non tutte le modifiche apportate tra il 2020-2021 costituiscono una risposta alle esigenze connesse a tale fase, ma sono il frutto di errori seriali o (peggio) di ripensamenti provocati dalla superficiale scrittura iniziale del Codice (e dei successivi correttivi).
Se quindi è auspicabile ricondurre la [53]disciplina dei contratti pubblici ad un unico luogo (recte Codice) di riferimento[54] sono tuttavia molto preoccupanti le tempistiche per le riforme c.d. “a regime”. Viene infatti stabilito come termine di presentazione del disegno di legge il 31 dicembre 2021, cui devono evidentemente essere aggiunte le tempistiche di approvazione del d.d.l. e quelle per l’emanazione dei richiamati decreti legislativi (in progetto, nove mesi). Entro il 2022 dovremmo dunque avere una nuova disciplina unitaria dei contratti pubblici, che però, verosimilmente, prevedrà il meccanismo dei “decreti correttivi[55]”. L’effettiva applicazione del nuovo sistema (considerato anche il relativo necessario tempo di rodaggio da parte di Amministrazioni, stazioni appaltanti e operatori) si preannuncia dunque alquanto ravvicinato al (e subito superato dal) nuovo pacchetto di direttive UE, che, tenuto conto della loro cadenza decennale, dovrebbe essere approvato nel 2024). Sarebbe quindi forse più fruttuoso sfruttare questo periodo per correggere le altre gravi carenze del nostro sistema, in termini di competenze, capacità e efficienza, in vista del nuovo pacchetto normativo europeo.
La sfida, infatti, non si gioca solo sulle norme, ma anche su coloro che sono tenuti ad applicarle in prima battuta, ossia le Amministrazioni. Il tema centrale, solo parzialmente centrato dai recenti dd.ll. è quello del rafforzamento della capacità amministrativa interna dell’Amministrazione, essenziale per sfruttare al meglio le risorse economiche provenienti dall’Unione Europea. Per far questo serve un’Amministrazione preparata e più coraggiosa (grazie alla preparazione dei propri funzionari e dirigenti) in grado di non trincerarsi dietro la complessità del quadro normativo e che possa operare senza la paura della firma.
Tra i più importanti principi e criteri direttivi della delega legislativa nel merito, ricalcando sostanzialmente gli stessi obiettivi della l. n. 11/2016 (salvo il ritorno dell’appalto integrato), il PNRR indica: “i) Riduzione e razionalizzazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni; ii) Recepimento delle direttive europee, integrate in particolare là dove non immediatamente esecutive; iii) Previsione della disciplina applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, nel rispetto dei principi di concorrenzialità e trasparenza; iv) Piena apertura e contendibilità dei mercati; v) Previsione di specifiche tecniche relative alle gare da espletare, soprattutto in relazione a beni e strumenti informatici e componenti tecnologici, che garantiscano parità di accesso agli operatori e non costituiscano ostacolo alla piena attuazione del principio di concorrenza; vi) Riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti alle procedure di evidenza pubblica; vii) Individuazione espressa dei casi nei quali è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando di gara; viii) Regolazione espressa dei casi in cui le stazioni appaltanti possono ricorrere, ai fini dell’aggiudicazione, al solo criterio del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta; ix) Revisione della disciplina dell’appalto integrato, con riduzione dei divieti; x) Revisione della disciplina del subappalto; xi) Rafforzamento delle strutture pubbliche per il controllo sulle opere stradali e ferroviarie, fermi restando gli obblighi di controllo tramite strutture indipendenti e quello di manutenzione a carico del concessionario, con le relative conseguenti sanzioni in caso di inadempimento”.
Per un’effettiva ripresa, le disposizioni di attuazione dei suddetti Piani dovrebbero, tuttavia, con più coraggio guardare al passato e non commettere gli stessi errori (correggendo ad esempio alcune delle più macroscopiche storture da anni segnalate da studiosi[56] e operatori) oltre che al futuro.
Le modifiche intervenute con il nuovo d.l. non preoccupano solo sotto il profilo della tempistica e a livello quantitativo, ma anche sotto il profilo della tutela della concorrenza e della lotto alla corruzione.
Si prenda, ad esempio, l’affidamento diretto. L’art. 36 del Codice dei contratti, per il sottosoglia, ne prevede(va) la possibilità per gli importi inferiori a 40.000 euro e per gli importi oltre i 40.000 euro sino ai 150.000 euro indicava la necessità di consultare almeno tre operatori per i lavori, e cinque operatori per i servizi e le forniture.
Il d.l. n. 76/2020 ha modificato quanto stabilito dall’art. 36 del Codice, prevedendo l’affidamento diretto per lavori e forniture sino a 150.000 euro (quindi non solo alzando le soglie, ma anche non prevedendo la necessità di consultare alcun operatore economico).
In sede di conversione, come visto, tali soglie sono state distinte a seconda che si tratti di servizi e forniture (75.000 euro) o lavori (sino a 150.000 euro): è stato quindi lasciato invariato il limite dei 150.000 euro per i lavori, ma abbassata la soglia per le forniture a 75.000 e, in ogni caso, non è comunque stata prevista la consultazione di alcun operatore.
Con il decreto in commento il legislatore è tornato nuovamente sui suoi passi, stavolta aumentando nuovamente la soglia delle forniture (abbassata a 75.000 euro neanche nove mesi prima) sino a 139.000 euro, lasciando però invariata quella dei 150.000 euro per i lavori.
Il filo conduttore che lega tali interventi (oltre a quello decantato dal legislatore della semplificazione) è chiaramente quello di ritenere la procedura selettiva come un fattore che rallenta gli affidamenti. Da qui il favor per l’affidamento diretto fino a soglie sempre più elevate e per la riduzione del numero degli operatori economici da interpellare per le procedure negoziate.
Esemplificative in tal senso sono anche le modifiche intervenute per gli affidamenti di importo pari al milione di euro e sino agli importi di rilievo comunitario.
L’art 36 del Codice in questo caso prevedeva, originariamente, la necessità di esperire la procedura aperta ex art. 60 del Codice
Il d.l. n. 76/2020 aveva sostituito tale possibilità con la procedura negoziata ex art. 63 del Codice., previa consultazione di quindici operatori economici. Tale scelta è stata confermata in sede di conversione, ma modificata con il d.l. in commento, ove viene sì confermata la procedura negoziata, ma modificato il numero degli operatori da consultare che passa da 15 a 10.
Appare quindi chiaro che il legislatore della semplificazione, ancora una volta, ha ritenuto la concorrenza, la massimizzazione della partecipazione degli operatori economici, la preferenza per le procedure aperte e trasparenti come fattori che rallentano gli appalti pubblici.
Ma è davvero l’apertura al confronto competitivo tra le imprese che non permette la celere realizzazione delle opere e che rende tale mercato inefficiente?
L’aver agito diminuendo la partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara, porterà davvero a una velocizzazione del procedimento di realizzazione delle opere pubbliche? Oppure aumenterà il rischio di diminuire il dialogo con il mercato andando incontro a possibili inefficienze qualitative? L’aver diminuito le possibilità di accesso al mercato delle imprese operanti nello stesso, consentirà davvero all’amministrazione di affidare le prestazioni di cui necessita alle imprese “migliori”?
Sarà quindi questa “semplificazione” ad assicurare ai contratti pubblici il loro ruolo di “volano del rilancio”?[57]
I dati mostrano l’aumento del 242% dell’affidamento diretto di lavori fino a 150.000 euro registrato nel secondo semestre del 2020 e un aumento dell’1,7 % rispetto al 2019 dei contratti con importo pari o superiore a 40.000 euro (il cui valore complessivo è di 178,8 miliardi di euro). L'interesse (nazionale) alla sollecita e puntuale realizzazione degli interventi inclusi nei Piani[58] si scontra sia con l’allentamento del confronto concorrenziale fra imprese, circostanza che inevitabilmente inciderà sul mercato (riguardando il 58% degli affidamenti di lavori e il 53% di quelli per servizi e forniture nei quali opera il maggiore numero di piccole e medie imprese), sia con i rischi legati alla diminuzione della trasparenza e della legalità dovuti alle ampie deroghe al Codice e ai rallentamenti (anche sui controlli) causati dalla pandemia[59], Del tutto coerentemente con le recenti modifiche sembrano ancora più impellenti gli interventi normativi recentemente richiesti dall’ANAC per rafforzare la lotta alla corruzione.
[1] Sebbene l’articolo sia frutto di una riflessione condivisa tra le autrici i paragrafi nn. 9 e 10 sono da imputare ad A. Coiante e i paragrafi nn. 1, 2, 3, 4, 5. 6, 7, 8 e 11, 12, 13 a S. Tranquilli.
[2] Il cui testo è disponibile sul sito del Governo all’indirizzo https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf.
[3] Si v. il comunicato stampa pubblicato del 22 giugno 2021 pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri www.governo.it.
[4] Per differenziarlo dai precedenti, il d.l. in commento viene anche indicato come “d.l. semplificazioni-bis” o “decreto governance”, Sulle principali novità e problematicità in materia di contratti pubblici apportate dal precedente “decreto semplificazioni” (d.l. 16 luglio 2020, n. 76) si v. M.A. Sandulli, Nel dl semplificazioni troppi limiti alla tutela contro gli appalti irregolari», intervista per il Dubbio, 31 luglio 2020; G. Tropea, A. Giannelli, L'emergenza pandemica e i contratti pubblici: una semplificazione in chiaro scuro tra misure temporanee e prospettive di riforma strutturale, in Munus 2020, 2; F. Costantino, Impresa e pubblica amministrazione: da Industria 4.0 al decreto semplificazioni, in Dir. amm., 2020, 4, 877; A. Coiante, Le principali novità del decreto semplificazioni in materia di Contratti pubblici, in www.l’amministrativista.it., 20 luglio 2020; Id., in Decreto semplificazioni: contratti pubblici, concorrenza e tutela, in www.giustizia-insieme.it; 30 luglio 2020; V. Sordi Le principali modifiche e integrazioni recate, in sede di conversione, al d.l. “Semplificazione” in www.l’amministrativista.it., 15 settembre 2020; C. Contessa, Le novità del “Decreto semplificazioni”, ovvero; nel settore dei contratti pubblici esiste ancora un Codice?, Urb. App., 2020, 6, 757 ss.
[5] Si v. i relativi dati costantemente aggiornati sul sito https://www.salute.gov.it/ (ultimo accesso il 15 giugno 2021).
[6] Su cui si v. il Documento del Consiglio Direttivo AIPDA sull’attuazione del Next Generation EU e il Forum lanciato dall’AIPDA, Next Generation EU con gli interventi scritti di L. Torchia, Il vero valore del Recovery Plan (spoiler: non sono le risorse); A Police, Il “coraggio” di decidere, 3 marzo 2021; R. Ferrara, Intervento sul Documento AIPDA Next Generation EU, 4 marzo 2021; F. Fracchia, F. Goisis, M. Occhiena, M. Allena, P. Pantalone e S. Vernile, La transizione amministrativa, 12 marzo 2021; S. Civitarese Matteucci, La riforma della pubblica amministrazione nel quadro del “Recovery Fund”, 31 marzo 2021; L. Torchia, L’amministrazione presa sul serio e l’attuazione del PNRR, 1 aprile 2021; F. Cintioli, Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 17 aprile 2021, oltre che la registrazione del Webinar AIPDA su “Next Generation EU. Proposte per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, tutti disponibili sul sito dell’Associazione.
[7] Si pensi all’esperimento effettuato con i Piani di Rafforzamento Amministrativo (PRA) come strumento di potenziamento che l'Italia ha adottato nel quadro della programmazione dei fondi strutturali europei 2014-2020. Le passate programmazioni hanno infatti dimostrato che, per utilizzare in maniera efficiente ed efficace le risorse destinate alla Politica di coesione, sia necessario rafforzare la capacità istituzionale e amministrativa dei soggetti a vario titolo impegnati nella gestione dei Programmi Operativi (PO) cofinanziati con risorse europee, su cui si v. L. De Lucia, La modernizzazione dell' amministrazione come fattore di sviluppo. Il ruolo della concorrenza internazionale, in Europäisierung und Internationalisierung der nationalen Verwaltungen im Vergleich, Berlino Duncker & Humblot GmbH, 2017, 105.
[8] Si v. l’art. 1, comma 3 del d.l. n. 80/2021. Sulle ricorrenti deroghe e disapplicazioni del principio costituzionale del concorso pubblico si v. di recente M. Allena, M. Trimarchi, La Costituzione “dimenticata” il principio del concorso pubblico, in Riv. Trim. dir. pubb., 2021, 1, 379, dove si sottolinea che “la parabola dei concorsi pubblici presenta analogie con quella dei contratti pubblici, ove l'interesse dell'amministrazione a individuare un contraente adeguato e capace sembra talora posto in secondo piano nel contesto di procedure sempre più complesse e formalistiche, volte a perseguire l'obiettivo della concorrenza (inteso — in modo alquanto riduttivo — come interesse delle imprese a partecipare in condizioni di concorrenza) o quello dell'anticorruzione (o entrambi). Le politiche di semplificazione e centralizzazione delle procedure, che si prospettano (e che in parte sono state attuate, sia pure in via temporanea, dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, come convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120) per il settore dei contratti pubblici, potrebbero segnare la direzione anche per la riforma dell'accesso alla pubblica amministrazione”. In generale sul sistema del pubblico impiego e sui suoi malfunzionamenti, tra i contributi più recenti si v. S. Cassese, Amministrazione pubblica e progresso civile, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, 146 ss; A. Marra, I pubblici impiegati, tra vecchi e nuovi concorsi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, 235; A. Averardi, L.F. San Mauro, Ragionare per reclutare: la logica nei (e dei) pubblici concorsi, paper presentato al Convegno Aipda 2019, disponibile al sito www.aipda.it/materiali/convegno-aipda-2019/papers-convegno-aipda-2019, 3 ss; S. Battini, La disciplina del lavoro pubblico tra crisi del modello privatistico e prospettive di riforma, in Aa. Vv., Annuario AIPDA 2016. Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme, Roma, 2017; B.G. Mattarella, Il principio del concorso pubblico e la sua parodia, in Giorn. dir. amm., 2017, 418.
[9] Si v. gli artt. 4 e 5 del d.l. n. 80/2021.
[10] Così il primo “considerato” del d.l. n. 77/2021.
[11] Si v. con riferimento all’art. 264 del c.d. “Decreto Rilancio” (d.l. n. 34/2020) recante disposizioni per la “liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all’emergenza Covid-19”, si v. M.A. Sandulli, Soldi per ripartire? Sì, ma con un comma invisibile lo Stato può farseli ridare, in Il Dubbio, 15 maggio 2020, Id., Basta norme-trappola sui rapporti tra privati e Pa o il Recovery è inutile, 7 maggio 2021, ivi,
[12] Sulla crisi del principio di legalità e sul valore della certezza del diritto si v., M.A. Sandulli, Introduzione. La complessità delle fonti, le tendenze del sistema e il ruolo dei principi nel diritto amministrativo, in Principi e regole dell’azione amministrativa, a cura di Id., Milano 2020; Id. Ancora sui rischi dell'incertezza delle regole (sostanziali e processuali) e dei ruoli dei poteri pubblici, in federalismi.it, 2018, 11; Id., Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione, in Il Processo, 2018, 45 e ss. e in www.giustizia-amministrativa.it.; Id., I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica, in federalismi.it, 2018, 22; F. Francario, M.A. Sandulli, Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, Napoli, 2018; B. Spampinato, Sulla «crisi» di legalità e di certezza del diritto in campo amministrativo, in federalismi.it, 2017, 11; sul tema si v. l’Annuario 2014 dell’AIPDA, L’incertezza delle regole. Atti del convegno annuale, Napoli, 2015.
[13] Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 61 del del d.l. n. 77/2021 al comma 9-bis dell’articolo 2, l’organo di governo potrà individuare sia un soggetto, facente parte delle figure apicali dell’Amministrazione, sia un’unità organizzativa, a cui conferire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Decorso inutilmente il termine previsto per la conclusione del procedimento, tali soggetti dovranno esercitare il proprio potere sostitutivo sia a seguito di richiesta dell’interessato sia d’ufficio.
[14] L’art. 62 del del d.l. n. 77/2021 ha introdotto, in materia di silenzio assenso, il seguente comma 2-bis “Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445", sui problemi delle autodichiarazioni si v. M. A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio, in giustiziainsieme.it.
[15] Si v. in particolare pagina 67 del PNRR.
[16] Il PNRR specifica che le “misure urgenti” devono rafforzare “le semplificazioni già varate con il decreto-legge n. 76/2020” e devono prorogarne “l’efficacia fino al 2023, con particolare riguardo alle seguenti misure: • Verifiche antimafia e protocolli di legalità • Conferenza di Servizi veloce • Limitazione della responsabilità per danno erariale ai casi in cui la produzione del danno è dolosamente voluta dal soggetto che ha agito, ad esclusione dei danni cagionati da omissione o inerzia • Istituzione del collegio consultivo tecnico, che ha funzioni di assistenza e di risoluzione delle controversie con finalità di definire celermente le controversie in via stragiudiziale e ridurre il contenzioso davanti al giudice • Individuazione di un termine massimo per l’aggiudicazione dei contratti, con riduzione dei tempi tra pubblicazione del bando e aggiudicazione • Individuazione di misure per il contenimento dei tempi di esecuzione del contratto, in relazione alle tipologie dei contratti (…) • Avvio dei lavori della Cabina di regia per il coordinamento della contrattualistica pubblica già istituita presso la Presidenza del Consiglio in attuazione dell’art. 212 del codice dei contratti pubblici • Riduzione del numero e qualificazione delle stazioni appaltanti • Potenziamento del database di tutti i contratti tenuto dall’Autorità nazionale anticorruzione (atti organizzativi dell’Autorità) • Semplificazione e digitalizzazione delle procedure dei centri di committenza ed interoperabilità dei relativi dati”.
[17] Si specifica che si seguirà il modello utilizzato in altri Stati membri dell’Unione europea come Regno Unito e Germania sui v. infra par. 12.
[18] Si tratta del ddl. n. 1162 presentato durante la XVIII legislatura, comunicato alla Presidenza del Senato il 22 marzo 2019.
[19] Come si legge nella relazione di accompagnamento più specificamente, la delega mirava a restituire alle disposizioni codicistiche semplicità e chiarezza di linguaggio, nonché ragionevoli proporzioni dimensionali, limitando il più possibile nel testo i rinvii alla normazione secondaria. Dal punto di vista contenutistico la delega mirava a promuovere la discrezionalità e la responsabilità delle stazioni appaltanti e ad assicurare l'efficienza e la tempestività delle procedure di programmazione, di affidamento, di gestione, e di esecuzione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, al fine di ridurre e rendere certi i tempi di realizzazione delle opere pubbliche, razionalizzando inoltre i metodi di risoluzione delle controversie, anche alternativi ai rimedi giurisdizionali, riducendo gli oneri di impugnazione degli atti delle procedure di affidamento. Con riferimento ai princìpi e criteri direttivi di carattere generale da rispettare nell'esercizio della delega ai fini della semplificazione normativa, si prevedevano: il coordinamento e la consolidazione, sotto il profilo formale e sostanziale, delle disposizioni legislative vigenti negli ambiti interessati dall'intervento, comprese quelle di recepimento e attuazione della normativa europea, per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa, con la contestuale ed esplicita abrogazione delle norme ritenute obsolete o comunque superate. Ai fini della semplificazione amministrativa si prevedevano una sede di ulteriori criteri e princìpi direttivi, tra i quali: il riordino della disciplina concernente le centrali di committenza e i soggetti aggregatori; la semplificazione e l'accelerazione delle procedure di spesa e contabili.
[20] Si v. p. 236 del PNRR.
[21] Sullo sviluppo di tali funzioni si v. B.G. Mattarella, La Presidenza del Consiglio dei Ministri e la funzione di coordinamento, in La Presidenza del Consiglio dei Ministri a trent’anni dalla legge n. 400 del 1988, op. cit., 166; G. P. Cirillo, Il potere di coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Foro amm., 1994, 294; sul coordinamento amministrativo si v. V. Bachelet, Coordinamento [X, 1962], in Enc. dir.; Id., L’attività di coordinamento nell'amministrazione pubblica dell'economia, Milano, 1957.
[22] Quest’ultima opera in raccordo con altre strutture della Presidenza del Consiglio: il Dipartimento per il coordinamento amministrativo; il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica; l'Ufficio per il programma di governo.
[23] Tale spettro di attività annovera: (i) l'elaborazione di indirizzi e linee guida per l'attuazione (anche con riferimento ai rapporti con i diversi livelli territoriali); (ii) la ricognizione periodica e puntuale sullo stato di attuazione degli interventi (anche con formulazione di indirizzi relativi all'attività di monitoraggio e controllo); (iii) il vaglio di temi o profili di criticità segnalati dai Ministri competenti per materia (e dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dalla Conferenza delle regioni e province. Sono presenti (al momento di pubblicazione del presente fascicolo) quatto Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio: con le funzioni di segretario del Consiglio dei ministri; affari europei; informazione ed editoria; coordinamento della politica economica. autonome, con riferimento alle questioni di competenza regionale o locale); (iv) il monitoraggio degli interventi che richiedano adempimenti normativi; (v) la promozione del coordinamento tra i diversi livelli di governo, con proposta di attivazione dei poteri sostitutivi (oggetto dell'articolo 12, qualora ne ricorrano le condizioni). Ancora, essa assicura la cooperazione con il partenariato economico e sociale; promuove l'attività di comunicazione della “sponsorizzazione” da parte del Next Generation Eu degli interventi del Piano (come prescritto dall'articolo 34 del Regolamento (UE) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza).
[24] La disposizione specifica che l’inadempienza può concretizzarsi nel mancato rispetto di un obbligo o di un impegno assunto; nella mancata adozione di atti e provvedimenti necessari all’avvio dei progetti nel ritardo, inerzia o difformità nell’esecuzione di progetti. L’accelerazione assume infatti, come spesso accade, un ruolo centrale nella semplificazione, si v. si v. M.A. Sandulli, Le novità sul regime delle autorizzazioni nel PNRR, relazione al webinar di Aidambiente il piano nazione di ripresa e resilienza, 15 giugno 2021 video disponibile su www.aidambiente.it.
[25] Su cui si v. A.G. Pietrosanti, Sui poteri sostitutivi previsti dal D.P.R. 12 settembre 2016, n. 194, in AA. VV., Le nuove regole della semplificazione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2016, 29 ss.
[26] Il piano tedesco affida il processo di governace al Ministero delle Finanze che lavorerà insieme all’ufficio del Cancelliere, agli altri ministri responsabili e al Parlamento (Koordinierungsstelle). Si v. sul punto l’analisi della Commissione UE, 22 giugno 2021, Analysis of the recovery and resilience plan of Germany, in ec. europa.eu; Similmente la governance del Piano France Relance, è affidata al Ministro dell’Economia e del Rilancio (denominazione riformata per l’occasione) enell’attuazione saranno coinvolti tutti i Ministeri del governo francese. La Francia ha tuttavia scelto di riattivare l’Haut-Commissaire au Plan (Ufficio per la pianificazione), significativamente creato nel 1946, prevedendo che il suo responsabile venga nominato dal Presidente della Repubblica. Tale responsabile dovrà dirigere e coordinare l’attività di pianificazione e di previsione dello Stato. Saranno inoltre creati due comitati di sorveglianza per garantire l’attuazione delle misure a livello nazionale e locale. Si v. sul punto Commissione UE 23 giugno 2021, Analysis of the recovery and resilience plan of France, in ec. europa.eu; anche in Spagna, si è preferito creare una nuova struttura invece di lasciare la governance a istituzioni già esistenti, si v. Commissione UE, 16 giugno 2021, Analysis of the recovery and resilience plan of Spain, in ec. europa.eu.
[27] Si v. in tal senso la memoria della Corte dei conti sul d.l. n. 77/2021 recante “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, AC3146, giugno 2021, in www.cortedeiconti.it.
[28] Basti verificare che nel 2020 le politiche di coesione dirette a superare il divario tra le regioni sono state portate avanti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri principalmente tramite convenzioni con società in house quali Invitalia e Studiare sviluppo s.r.l. che appunto hanno operato in sinergia con gli uffici della Presidenza, si v. sul punto il Giudizio di parificazione del Rendiconto generale dello Stato della Corte dei conti, pubblicata il 23 giugno 2021, in www.cortedeiconti.it.
[29] Si v. in particolare pag. 157 ss. del PNRR.
[30] 1) Realizzazione dell’asse ferroviario Palermo-Catania-Messina; 2) Potenziamento della linea ferroviaria Verona-Brennero (opere di adduzione); 3) Realizzazione della linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria; 4) Realizzazione della linea ferroviaria Battipaglia-Potenza-Taranto; 5) Realizzazione della linea ferroviaria Roma-Pescara; 6) Potenziamento della linea ferroviaria Orte-Falconara; 7) Realizzazione delle opere di derivazione della Diga di Campolattaro (Campania); 8) Messa in sicurezza e ammodernamento del sistema idrico del Peschiera (Lazio); 9) Interventi di potenziamento delle infrastrutture del Porto di Trieste (progetto Adriagateway); 10) Realizzazione della Diga foranea di Genova.
[31] Si v. l’audizione informale in ottava Commissione dell’Ufficio di Presidenza della Commissione Lavori pubblici sulla “Linea alta velocità Salerno-Reggio Calabria e linea Potenza Battipaglia” 8 Giugno 2021 dei rappresentanti di RFI - Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. sulla nuova linea ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria e sulla linea Potenza-Battipaglia, pubblicata sul sito del Senato (www.senato.it).
[32] La disposizione prevede che “il Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici di cui all'articolo 45 verifica, entro quindici giorni dalla ricezione del progetto di fattibilità tecnico -economica, l'esistenza di evidenti carenze, di natura formale o sostanziale, ivi comprese quelle afferenti gli aspetti ambientali, paesaggistici e culturali, tali da non consentire l'espressione del parere e, in tal caso, provvede a restituirlo immediatamente alla stazione appaltante richiedente, con l'indicazione delle integrazioni ovvero delle eventuali modifiche necessarie ai fini dell'espressione del parere in senso favorevole. La stazione appaltante procede alle modifiche e alle integrazioni richieste dal Comitato speciale, entro e non oltre il termine di quindici giorni dalla data di restituzione del progetto. Il Comitato speciale esprime il parere entro il termine massimo di trenta giorni dalla ricezione del progetto di fattibilita' tecnica ed economica ovvero entro il termine massimo di venti giorni dalla ricezione del progetto modificato o integrato secondo quanto previsto dal presente comma. Decorsi tali termini, il parere si intende reso in senso favorevole”.
[33] Si v. ancora M.A. Sandulli, Le novità sul regime delle autorizzazioni nel PNRR, relazione al webinar di Aidambiente il piano nazione di ripresa e resilienza, 15 giugno 2021 video disponibile su www.aidambiente.it.
[34] Il dPCM n. 76 del 10 maggio 2018 ha disciplinato le modalità di svolgimento, le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico, in attuazione di quanto previsto dall'art. 22, comma 2, del Codice dei contratti. In particolare, il comma 2 dell'articolo 22 del Codice aveva previsto l'adozione, entro un anno dalla sua entrata in vigore, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la disciplina dei criteri per l'individuazione delle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull'ambiente, sulle città e sull'assetto del territorio, distinte per tipologia e soglie dimensionali, per cui è obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico, nonché le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della medesima procedura. Il decreto citato si compone di 10 articoli e di un allegato: l'articolo 1 individua l'oggetto del dibattito pubblico; l'articolo 2 contiene le definizioni; l'articolo 3 individua l'ambito di applicazione; l'articolo 4 disciplina il ruolo, la composizione e le funzioni della Commissione nazionale per il dibattito pubblico; gli articoli 5, 6, 7, 8, 9 disciplinano le modalità di indizione, svolgimento e conclusione del dibattito pubblico; l'articolo 10 contiene l disposizioni transitorie e finali. L'Allegato 1 contiene le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte obbligatoriamente a dibattito pubblico.
[35] Sul tema si v. N. Posteraro, Grandi opere e partecipazione democratica: alcune riflessioni sul dibattito pubblico italiano “à la française”, in Ist. fed., 2020, 3. 607.
[36] Regolamenti (UE) nn. 2021/240 e 2021/241.
[37] Si v. il caso di recente esaminato da TAR Puglia, Lecce, sez. III, 17 giugno 2021, n. 935 relativamente ad un bando di cui si lamentava la legittimità della previsione con cui, per favorire l’imprenditoria femminile, si assegnavai un punto per le domande presentate da soggetti di sesso femminile. La pronuncia ha annullato l’aggiudicazione affermando che “la disposizione dell’Avviso pubblico che ha previsto l’assegnazione “tout court” di un ulteriore punto per l’impresa femminile è illegittima, insieme agli impugnati atti comunali consequenziali, poiché viola il divieto, normativamente imposto (in primo luogo a livello costituzionale), di ogni discriminazione sulla base del sesso, oltreché la regola iuris della parità di trattamento tra i partecipanti di un confronto concorrenziale”.
[38] La disciplina era già stata modificata dal c.d. decreto “Sblocca cantieri” (d.l. n. 32 del 2019 conv. in l. n. 55 del 2019) che all’art. 1, comma 18, aveva previsto, “nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici” e fino al 31 dicembre 2020, che il subappalto “non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”.
[39] La direttiva 2014/24/UE, come risulta dal suo considerando n. 1, ha l’obiettivo di garantire il rispetto, nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, in particolare, della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, e dei principi che ne derivano, in particolare la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la trasparenza, nonché di garantire che l’aggiudicazione degli appalti pubblici sia aperta alla concorrenza. In particolare, a tal fine, la predetta direttiva prevede espressamente, al suo articolo 63, paragrafo 1, la possibilità per gli offerenti di fare affidamento, a determinate condizioni, sulle capacità di altri soggetti, per soddisfare determinati criteri di selezione degli operatori economici. Inoltre, l’art. 71 della medesima direttiva, che riguarda specificamente il subappalto, al suo paragrafo 2 dispone che l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti. Ne deriva che, al pari della direttiva 2004/18 abrogata dalla direttiva 2014/24, quest’ultima sancisce la possibilità, per gli offerenti, di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto, purché le condizioni da essa previste siano soddisfatte. Si v., in tal senso, per quanto riguarda la direttiva 2004/18, la pronuncia della CGUE, C-406/14,ove la Corte ha stabilito che “una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, è incompatibile con tale direttiva”. Sul tema si v. tra i contributi più recenti: G.A. Giuffrè, Il subappalto dei contratti pubblici tra autonomia imprenditoriale e limiti di interesse pubblico, in Riv. it. Dir. pubbl. com., 2018, 1, 85 ss.; A. Giusti, Il subappalto nei contratti pubblici fra certezze europee e incertezze nazionali, in Giur. it, 2020, 1, 157.
[40] Si fa riferimento alla pronuncia della CGUE, 26 settembre 2019, C-63/18.
[41] R.D. 8 novembre 1923, n. 2240 e R.D. 23 maggio 1924, n. 827.
[42] In tal senso TAR Valle d’Aosta, 3 agosto 2020, n. 34; similmente anche Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2020, n. 389, secondo cui “Il limite del 30% per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture, posto all'affidamento in subappalto dall'art. 105, co. 2, del codice dei contratti pubblici deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea del 26 settembre 2019 (C -63/18) e 27 novembre 2019 (C -402/18)”; in senso contrario si v. TAR Lazio, Roma, sez. III, 3 novembre 2020, n.11304, secondo cui: “la Corte di Giustizia dell'UE 26 settembre 2019 C-63/18, pur avendo censurato il limite del subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell'Unione di limiti superiori. Di conseguenza la Corte ha considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo. Pertanto non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l'attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall'art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019”.
[43] Segnalazione del 23 marzo 2021 consultabile sul sito dell’Autorità al seguente link: https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/S4143%20-%20LEGGE%20ANNUALE%20CONCORRENZA.pdf
[44] Si ricorda anche la nota del 27 ottobre 2020 “Normativa sui limiti del subappalto” ove veniva affermato che “In termini generali, l'Autorità ritiene che eventuali limiti ali 'utilizzo del subappalto dovrebbero essere proporzionati all'obiettivo di interesse generale che si intende perseguire e giustificarsi in relazione al caso concreto, sulla base di criteri ben definiti e motivati dalla stazione appaltante in sede di gara. Ad esempio, le caratteristiche strutturali del mercato dì riferimento potrebbero giustificare un limite al ricorso al subappalto laddove, in presenza di un limitato numero di possibili imprese partecipanti alla gara, il suo utilizzo potrebbe favorire l'attuazione di intese spartitorie. Ulteriori restrizioni potrebbero derivare dalla particolare natura delle prestazioni dedotte in contratto o da esigenze di sicurezza nella fase di esecuzione. In casi eccezionali la stazione appaltante potrebbe motivatamente imporre il divieto di subappalto del! 'intera commessa, in considerazione delle particolari specificità dell'appalto. Inoltre, l'obbligo di indicare, già in sede di offerta, la quota parte dell'appalto e i lavori che si intendono subappaltare, oltre all'identità degli eventuali subappaltatori, potrebbe consentire alle stazioni appaltanti di individuare preventivamente i soggetti incaricati e di effettuare le opportune verifiche circa la loro capacità e affidabilità, al fine di prevenire rischi di corruzione e collusione nelle fasi di affidamento ed esecuzione dell’ appalto”.
[45] Sul punto era già intervenuto il d.l. n. 76/2020 e la l. di conversione n.120/2020.
[46] Dal 1 gennaio 2020 sono in vigore le “nuove” soglie di rilevanza comunitaria per il biennio 2020-2021. Per i settori ordinari (introdotte dal Regolamento 2019/1828, si ricorda sono: € 5.350.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni; € 214.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; € 750.000 per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all’allegato IX del d.lgs. 50/2016.
[47] Il termine del d.l. n.76/2020 era stato indicato al 31 luglio 2021, poi modificato in sede di conversione al 31 dicembre 2021 e ora slittato al giugno 2023.
[48] Si v. Le linee guida per l’omogena applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del Collegio consultivo tecnico di cui agli articoli 5 e 6 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 convertito in legge 11 settembre 2020n, n. 120, adottate il 21 dicembre 2020, disponibili in www.l’amministrativista.it. Tali linee guida predisposte dal gruppo di lavoro chiariscono aspetti significativi per il funzionamento dell'istituto con particolare riferimento all'ambito di applicazione, alle modalità di costituzione del Collegio, alla natura delle determinazioni e ai costi di funzionamento. Per un commento si v. F. Francario M. Sessa A. Zambrano, Presentazione delle “Linee Guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del Collegio Consultivo Tecnico di cui agli articoli 5 e 6 del DL 16 luglio 2020 n. 76, convertito nella legge 11 settembre 2020 n. 120 (cd decreto semplificazioni)”, DEI, Roma, 2021; F. Francario, La natura giuridica delle determinazioni del collegio consultivo tecnico, focus, in www.l’amministrativista.it. Si v. anche il webinar di aggiornamento professionale "Linee guida per l'omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico predisposte del gruppo di lavoro costituito dal Cons. Sup. LL. PP." organizzato dal Consiglio Superiore Lavori Pubblici, dal Consiglio Nazionale Ingegneri, dall'Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) e dalla Fondazione CNI, disponibile su Youtube e il webinar organizzato dalla Convegno CCLM-CAM, disponibile su Youtube e disponibili in www.l’amministrativista.it.
[49] In particolare si tratta dei requisiti professionali e i casi di incompatibilità dei membri e del Presidente del collegio consultivo tecnico, dei criteri preferenziali per la loro scelta, dei parametri per la determinazione dei compensi rapportati al valore e alla complessità dell'opera, nonché' all’entità e alla durata dell'impegno richiesto ed al numero e alla qualità delle determinazioni assunte, le modalità di costituzione e funzionamento del collegio e il coordinamento con gli altri istituti consultivi, deflattivi e contenziosi esistenti.
[50] Su cui si v. S. Tranquilli, Le «zone economiche speciali» e la coesione territoriale: indagine comparata nell’Unione Europea e analisi del tentativo italiano, in il dir. economia, 2020, 2, 24.
[51] Nell’ambito dei Piani strategici di sviluppo delle ZES coinvolte (Campania, Calabria, Ionica Interregionale Puglia e Basilicata, Adriatica Interregionale in Puglia e Molise, Sicilia occidentale e orientale, Abruzzo e Sardegna) sono infatti previste diverse progettualità infrastrutturali. In particolare collegamenti di “ultimo miglio” tra le aree industriali e la rete SNIT e TEN-T; urbanizzazioni primarie; reti di trasporto resilienti ed efficienti con interventi locali mirati a rafforzare il livello di sicurezza delle opere d’arte serventi.
[52] Si v. l’art. 1, comma 316, della “Legge di bilancio” 2020.
[53] Come del resto dimostra il ddl. n. 1162/19 presentato durante la XVIII legislatura, comunicato alla Presidenza del Senato il 22 marzo 2019, sub nota 20.
[54] Si v.in tal senso C. Contessa, Le novità del “Decreto semplificazioni”, op cit., 757 ss. . In senso contrario all’applicazione di una normativa “per deroghe” si era espressa anche l’Anac sia nel Documento illustrativo e nel Vademecum pubblicati in data 9.4.2020, che nelle Osservazioni presentate nel mese di agosto 2020 alla Commissione Lavori pubblici del Senato. In tale ultimo intervento, l’Autorità, preso atto delle diverse soluzioni adottate nel c.d. decreto semplificazioni, ha analizzato le disposizioni in materia di contratti pubblici, evidenziandone le criticità. Sul punto sia consentito il rinvio a A. Coiante, Il decreto semplificazioni e le osservazioni dell'ANAC, in lamministrativista.it, 10 agosto 2020.
[55] Sul criticato meccanismo della previsione di più decreti “correttivi” già al momento dell’emanazione della legge delega di riforma sui contratti pubblici del 2016 anche per intervenire sui numerosi errori presenti nel Codice redatto “ in tempi assolutamente inaccettabili per compensare gli ingiustificabili ritardi nella stesura della legge delega” si v. M. A. Sandulli, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in www.federalismi.it, 2, 2016.
[56] Si pensi all’estrema confusione che ancora regna sulla decorrenza dei termini per impugnare gli atti di gara a causa della mancanza di coordinamento normativo tra il Codice del processo amministrativo (che contiene ancora riferimenti al d.lgs. n. 163/2006!), e il Codice dei contratti pubblici. Nonostante le ripetute sollecitazioni della dottrina (su cui si v. M.A. Sandulli, L'Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela, in www.l’Amministrativista.it.) e dell’Adunanza Plenaria n. 12/2020 (che aveva disposto la trasmissione della copia della pronuncia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri affinché fosse disposta “una modifica legislativa ispirata alla necessità che vi sia un sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile, disciplinato dalla legge con disposizioni di immediata lettura da parte degli operatori cui si rivolgono le direttive dell’Unione Europea” ) Confusione accentuata dalla circostanza che la suddetta pronuncia dell’Adunanza Plenaria non considera la questione di legittimità costituzionale che era stata in precedenza sollevata da TAR Puglia, Lecce, sez. III, 2 marzo 2020, n., 297 sull’art. 120, co. 5 c.p.a nella parte in cui detta disposizione fa decorrere il termine per la proposizione di motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione di aggiudicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006.
[57] Definiti come “volano del rilancio” nel Rapporto che, a giugno 2020, il Comitato di esperti in materia economica e sociale ha presentato al Presidente del Consiglio dei ministri, dal titolo “Iniziative per il rilancio Italia 2020 2022” contenente una serie di obiettivi e di iniziative per il rilancio “post crisi Covid-19”. Per approfondimenti su tale rapporto sia consentito il rinvio a A. Coiante, Il futuro del Codice dei contratti pubblici al vaglio del Comitato di esperti per il rilancio dell’economia italiana nel periodo post emergenza, in lamministrativita.it, 20 giugno 2020.
[58] È stato evidenziato, infatti, che in media nel nostro Paese la realizzazione di un’opera pubblica dura circa 4,4 anni. La fase di progettazione dell’opera è (in media) la fase più lunga e da sola rappresenta più della metà della durata complessiva media (2,5 anni). In media, invece, si impiegano 0,6 anni per la fase di affidamento dei lavori e 1,3 per la loro esecuzione. Sui tempi di realizzazione incidono, tuttavia, i c.d. “tempi di attraversamento” ossia i tempi intercorrenti tra la fine di una fase procedurale e l’inizio di quella successiva oppure addirittura tra le sottofasi (es. tra la progettazione preliminare e quella definitiva), che equivarrebbero in media circa al 54% della durata complessiva della realizzazione di un’opera (valore che sale al 60% se si prende in considerazione la sola fase della progettazione). L’allungamento di questi tempi sarebbe dovuto in gran parte a “inefficienze amministrative” quali, ad esempio, lungaggini burocratiche e incertezze negli iter autorizzativi. Dati ricavati dal paper della Banca D’Italia “Questioni di Economia e finanza. Capitale e investimenti pubblici in Italia: effetti macroeconomici, misurazione e debolezze regolamentari”, 19 ottobre 2019 n. 520, su cui si v. A. Pajno, nel webinar ripresa economica e riforma dei contratti pubblici: quali problemi per quali soluzioni?, 4 maggio 2020, Per una più approfondita analisi su tali considerazioni si v. il rinvio A. Coiante, Decreto semplificazioni: contratti pubblici, concorrenza e tutela, op. cit.
[59] Si v. la relazione annuale 2020 alla Camera da parte del Presidente dell’ANAC, 18 giugno 2020, in https://www.anticorruzione.it/
Nuovo Patto sulla Migrazione e l’asilo: un cambio di passo per la mobilità delle persone in Europa?
Forum a cura di Vincenzo Militello, Mario Savino, Elisa Cavasino e Alessandro Spena
I contributi di seguito pubblicati rielaborano gli interventi al seminario “La mobilità delle persone al bivio tra “fortezza” Europa e Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo”, organizzato il 12 marzo 2021 dal Centro di eccellenza J. Monnet "Europe between Mobility and Security: the challenges of illicit trades in the Mediterranean Area" (EUMoSIT).
Il Centro, cofinanziato per il triennio 2019-2022 dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo e dal programma Erasmus+ UE, coordina i contributi di un team di esperti italiani e stranieri che si collegano ad Università, istituzioni pubbliche e della società civile, fra cui la Città di Palermo, la Fondazione Giovanni Falcone, le Università di Oxford (con il connesso network Border criminologies), di Londra (Queen Mary), di Barcellona, di Madrid, di Coimbra.
Oggetto precipuo di EUMoSIT è l'interazione tra le complesse dinamiche delle migrazioni moderne e degli scambi commerciali nel bacino del Mediterraneo, con le connesse ricadute sui traffici illeciti nelle loro molteplici declinazioni, specie quelli di esseri umani, di beni culturali e di stupefacenti.
Il centro opera una stretta interrelazione fra temi di ricerca e percorsi di diffusione e verifica dei principali risultati elaborati, e in questa prospettiva prevede fra l’altro un insegnamento a struttura seminariale, con contenuti didattici innovativi e specialmente attenti all’interazione con gli studenti iscritti. Ad apertura del corso del 2021 non poteva mancare un approfondimento sul “Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo”, adottato dalla Commissione il 23 settembre 2020.
Non occorre sottolineare le aspettative e le speranze suscitate da questo nuovo impegno dell’Unione Europea su un tema cruciale nella sua agenda politica quantomeno nell’ultimo decennio. Terreno invero rivelatosi ripieno di sabbie mobili, dove presto o tardi si arenava ogni sforzo per costruire iniziative di condivisione fra gli Stati membri della massa di problemi connessi alla mobilità delle persone che arrivano in Europa senza passare dalla cruna dell’ago degli ingressi regolari. A fronte di un sacrificio umano dei migranti sempre più intollerabile, la sfida per una maggiore solidarietà è tanto imposta dalla fedeltà ai valori fondanti dell’Unione, quanto fitta di veti reciproci e di gelose chiusure nazionali. In un movimento di stop and go che da anni condanna l’azione ad una concreta inconcludenza, sono rimasti coinvolti temi come la ricollocazione dei migranti secondo quote che ne spalmino l’impatto a Paesi diversi da quelli della frontiera di ingresso, o anche la rivisitazione del meccanismo dei regolamenti di Dublino, e non ultima la stessa rivisitazione del Facilitation Package adottato dall’Unione ormai da quasi 20 anni per armonizzare le risposte degli Stati membri di contrasto all’immigrazione clandestina.
La questione centrale è dunque se il fascio di documenti riuniti dalla Commissione sotto l’impegnativo nome di Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo riesca davvero nel suo intento fondativo di un atteggiamento eurounitario non più rivolto a innalzare muri per contenere gli ingressi esterni, ma attento a favorire forme condivise di apertura di canali di gestione del problema anche all’interno dei confini nazionali
Ad affrontare questa domanda rispetto ad alcuni dei principali terreni di ricaduta sono stati Mario Savino, ordinario di diritto amministrativo nell’Università della Tuscia, Elisa Cavasino, associata di diritto costituzionale nell’Università di Palermo, e Alessandro Spena, ordinario di diritto penale nella stessa Università e coordinatore della ricerca del Centro di Eccellenza EUMoSIT. Quale responsabile scientifico dello stesso Centro ho ritenuto che l’interesse che il Seminario ha suscitato meritasse una più ampia circolazione, e per questo ringrazio sia i relativi autori, che hanno provveduto a definirli in tempi rapidi, sia l’ospitalità di Giustizia Insieme, con la sua sempre vigile attenzione ai temi dell’attualità.
Vincenzo Militello
L’ingenuità amministrativa del Patto UE sulla migrazione e l’asilo: una solidarietà costruita sull’acqua
di Mario Savino [1]
Sommario: 1. Un Patto pragmatico? – 2. I meccanismi di solidarietà: una promessa ambiziosa… - 3. …ma difficile da mantenere: i problemi di “tenuta” – 3.1. Il rischio di “paralisi” decisionale – 3.2. Il rischio di “fuga” dalla solidarietà – 3.3. Il rischio di non compliance – 3.4. I costi della “coercizione” – 4. Conclusioni.
1. Un Patto pragmatico?
Lo scorso 23 settembre la Commissione europea ha varato, dopo una lunga attesa, un ampio progetto di riforma del sistema di gestione dei flussi migratori in arrivo in Europa. Il documento di presentazione del progetto – ambiziosamente intitolato Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo (COM(2020) 609 final) – muove dal riconoscimento che lo status quo è ampiamente insoddisfacente («the current system no longer works») e che occorre bilanciare in modo più equo i principi di responsabilità e solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione[2]. A nove mesi dalla presentazione del Patto, però, un primo dato pare ormai acquisito: non ci sarà nessun parto a breve termine.
Nei primi mesi di gestazione del Patto, infatti, è emersa una dura opposizione non solo dei Paesi di Visegrád, ostili a qualsiasi forma di redistribuzione dei migranti, ma anche e soprattutto dei “MED-5” (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta), molto diffidenti rispetto ai meccanismi di solidarietà proposti e poco convinti della complessiva equità distributiva del Patto. Così, nonostante l’impegno profuso prima dalla Presidenza tedesca (nell’ultimo scorcio del 2020) e poi dalla Presidenza portoghese (nel primo semestre 2021), non si sono fin qui registrati progressi sui dossier più importanti: il lavoro tecnico svolto in seno ai gruppi di lavoro del Consiglio si è arenato su tutti i punti di maggiore rilevanza, nell’attesa di una soluzione a livello politico[3]. L’attesa è però destinata a protrarsi, dato che la Presidenza entrante spetta a un governo, quello sloveno, d’ispirazione nazional-populista, che potrebbe non includere il Patto tra le sue priorità. Nella migliore delle ipotesi, dunque, la negoziazione del Patto e dei suoi dossiers più delicati occuperà gran parte della legislatura in corso.
Questo primo dato getta qualche ombra sull’effettivo pragmatismo dell’approccio seguito dalla Commissione: un pragmatismo che, ad avviso di attenti osservatori, giustificherebbe la scarsa innovatività di molte proposte, dettate più dai bisogni e dagli interessi degli attori rilevanti (gli Stati membri) che da una visione etica o politica di ampio respiro[4]. Proprio i primi mesi di negoziazione suggeriscono, invece, una lettura diversa: almeno per ciò che riguarda la sua parte più innovativa, cioè i meccanismi di solidarietà qui esaminati, il Patto non sembra ispirarsi a un approccio pragmatico, bensì a una visione razionalizzante molto astratta e, a tratti, ingenua.
Per un verso, infatti, il Patto ignora i vistosi “fallimenti” emersi nell’attuazione della politica europea di asilo, fallimenti che, nel quadro delineato dal Patto stesso, sarebbero fatalmente destinati ad accentuarsi proprio per effetto delle misure di solidarietà prospettate. Per altro verso, il Patto rischia di accentuare lo squilibrio distributivo tra gli Stati mediterranei e gli altri Stati membri e, in prospettiva, di approfondire la divaricazione tra Nord e Sud dell’Europa rispetto ai dossiers principali della politica migratoria, che sono anche dossiers centrali per il futuro dell’Unione.
Per dar conto di queste affermazioni, si procederà, prima, a ricostruire il disegno solidaristico avanzato dalla Commissione (§ 2); poi, ad analizzare i problemi di attuazione di quel disegno (§ 3); quindi, a trarne alcune conclusioni in merito al Patto e alle difficili negoziazioni che lo accompagnano (§ 4).
2. I meccanismi di solidarietà: una promessa ambiziosa…
L’unica misura di solidarietà finora adottata dall’Unione in materia di asilo è il meccanismo di ricollocazioni (relocation), approvato a settembre 2015, nel pieno della crisi dei rifugiati (Decisioni 2015/1523 e 1601 del Consiglio, del 14 e 22 settembre 2015). Una misura temporanea, che, nei due anni di attuazione, ha incontrato molteplici ostacoli, di natura politica e amministrativa[5]. Il limitato successo del programma – con appena 35 mila ricollocazioni dalla Grecia e dall’Italia a fronte delle 160 mila inizialmente previste – conferma due dati. Il primo è che la condivisione degli oneri legati all’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati è un tema politicamente molto divisivo: è nota, in particolare, l’avversione dei Paesi di Visegrád per qualsiasi forma di ricollocazione obbligatoria, fondata su quote nazionali. Il secondo – meno considerato ma non meno decisivo – è che misure di questo tipo richiedono uno sforzo considerevole agli Stati membri coinvolti, sia in termini di risorse umane e finanziarie, sia in termini di capacità di cooperazione amministrativa.
Nel contesto del Nuovo Patto, il sistema di solidarietà delineato dalla Commissione nella proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione (RGAM) e nella proposta di regolamento sulle situazioni di crisi e forza maggiore (RSCFM), prevede tre forme di burden sharing – la ricollocazione, la sponsorizzazione dei rimpatri e il sostegno operativo – con combinazioni che variano in base a tre scenari: quello di base, caratterizzato da “sbarchi ricorrenti”: quello più critico, corrispondente a una situazione di “pressione migratoria”; e quello estremo, emergenziale, delle “situazioni di crisi”.
Lo scenario di base riguarda l’attivazione di misure di solidarietà per gli sbarchi di migranti a seguito di operazioni di ricerca e soccorso (artt. 47-49 RGAM). Sulla base di previsioni annuali, elaborate nella relazione annuale sulla gestione della migrazione, la Commissione determina il complessivo fabbisogno di solidarietà e calcola le corrispondenti quote di solidarietà statali sulla base di una chiave di distribuzione proporzionale alla popolazione e al PIL di ciascuno Stato membro (art. 54 RGAM). Nei rispettivi Piani per la risposta di solidarietà, gli Stati membri indicano in quale forma intendono contribuire. Nel caso in cui i contributi offerti in forma di ricollocazioni non siano «proporzionali» o comunque sufficienti a coprire il 50 per cento di ciascuna quota statale, la Commissione attiva un meccanismo di correzione (c.d. critical mass correction): tramite un atto di esecuzione adottato ai sensi dell’art. 291 TFUE, stabilisce l’importo e la tipologia dei contributi degli Stati non solidali, assicurando così che tutti gli Stati adempiano almeno al 50 per cento dei rispettivi obblighi con misure di redistribuzione dei migranti (art. 48 RGAM).
Ai fini del computo di questi adempimenti, la Commissione propone di cumulare la disponibilità alle ricollocazioni con una opzione alternativa: la sponsorizzazione dei rimpatri. In base a questa nuova idea, lo Stato membro “sponsor” si impegna, nei primi 8 mesi (dall’adozione della decisione di rimpatrio o dal rigetto della domanda di protezione), a fornire allo Stato frontaliero supporto operativo o diplomatico per facilitare il rimpatrio dei migranti irregolari sbarcati e, nel caso di mancato allontanamento entro gli 8 mesi, a ricollocare il migrante irregolare nel proprio territorio, per proseguire da lì i tentativi di rimpatrio (art. 55 RGAM).
Questo meccanismo di solidarietà “semi-obbligatoria”, previsto nello scenario di base, viene ampliato negli altri due scenari ipotizzati dalla Commissione.
In situazioni di “pressione migratoria”, rilevata dalla Commissione sulla base di un’ampia serie di parametri, sono eleggibili, ai fini della ricollocazione, oltre ai richiedenti asilo non sottoposti a procedura di frontiera (come nello scenario di base), anche coloro ai quali sia stata riconosciuta la protezione internazionale nei tre anni precedenti (artt. 50 e 51 RGAM).
Nello scenario estremo di “crisi” – «situazione eccezionale di afflusso massiccio» di migranti, che «rende inefficace il sistema di asilo, accoglienza o rimpatrio dello Stato membro in questione e può avere gravi conseguenze sul funzionamento del sistema europeo comune di asilo» (art. 1 RSCFM) – la ricollocazione è estesa ai richiedenti asilo sottoposti alla procedura di frontiera e ai migranti irregolari ed è prevista in termini più brevi. Soprattutto, la ricollocazione e la sponsorizzazione dei rimpatri diventano gli unici contributi di solidarietà ammissibili, senza possibilità per gli altri Stati membri di optare per forme alternative di sostegno (art. 2, par. 1, RSCFM).
Sembrano, così, effettivamente delinearsi i contorni di una solidarietà flessibile, data la possibilità di alternare diverse forme di contribuzione, e, al contempo, obbligatoria, oscillando le quote statali tra la parziale vincolatività dello scenario di base e la obbligatorietà totale nello scenario emergenziale.
3. …ma difficile da mantenere: i problemi di “tenuta”
Per valutare la adeguatezza e la solidità dell’impianto solidaristico appena descritto, è utile analizzare le norme che ne disciplinano l’attuazione e il prevedibile impatto dei meccanismi di burden sharing proposti dalla Commissione. L’osservazione di questa dimensione consente di evidenziare quattro problemi di “tenuta” del disegno, che spiegano anche la forte resistenza degli Stati mediterranei a un cambiamento di cui, in teoria, sarebbero i beneficiari.
3.1. Il rischio di “paralisi” decisionale
Uno degli aspetti della riforma segnalati come problematici riguarda il rischio di un eccessivo ampliamento dei poteri della Commissione[6], cui farebbe da contraltare la mancata previsione di un aggiornamento dei poteri e delle risorse delle agenzie europee[7]. Le norme proposte assegnano alla Commissione un ruolo indubbiamente centrale sia nello stabilire quale dei tre scenari descritti (sbarchi ricorrenti, pressione migratoria o situazioni di crisi) debba applicarsi, sia nel definire le modalità di contribuzione degli Stati membri. Ci si può chiedere se ne derivi l’attribuzione alla Commissione di una discrezionalità molto ampia, tale da minacciare la prevedibilità dei meccanismi di solidarietà.
A mio avviso, non è così e, anzi, il vero problema è, per certi versi, opposto ed è rappresentato dal condizionamento che gli Stati membri possono esercitare sulle decisioni più importanti della Commissione. Le possibilità di influenzare le scelte della Commissione sembrano minori per ciò che attiene alla individuazione dei tre scenari alternativi di volta in volta applicabili. Le norme affidano alla Commissione, nella sua veste di esecutivo dell’Unione, il compito di valutare le situazioni mediante atti di soft law – la relazione annuale sulla gestione della migrazione (Artt. 6 e 47 RGAM), la relazione sulla pressione migratoria (Art. 51 RGAM) e la valutazione della richiesta avanzata dallo Stato membro interessato (Art. 3, par. 2 e 8, RSCFM) – adottati al termine di procedure partecipate. Secondo i casi, la Commissione valuta gli indicatori individuati dalle norme, consulta gli Stati interessati e acquisisce informazioni dalle agenzie europee competenti. Quindi, in base alla caratura più tecnico-amministrativa o, viceversa, politica della valutazione, ne sottopone gli esiti al vaglio degli Stati membri (in seno al Forum per la solidarietà) oppure direttamente del Consiglio e del Parlamento europeo. Ma tale vaglio non implica poteri di veto, né pareri vincolanti e, quindi, non attenta alla prevedibilità del processo.
Diverso è, invece, il discorso relativo alla determinazione dei contributi di solidarietà che vincolano gli Stati membri. È vero che le norme, nel definire le soglie di copertura obbligatoria delle quote nazionali, lasciano agli Stati un margine di scelta circa la tipologia di contributi da offrire, ma rimettono alla Commissione il potere di decisione finale. Tuttavia, tale potere è esercitato mediante formali atti di esecuzione[8], che sono sottoposti al giudizio degli esecutivi nazionali attraverso la comitologia, in base all’art. 291 TFUE. In particolare, la Commissione potrà approvare gli atti di determinazione dei contributi statali soltanto ottenendo il parere favorevole della maggioranza qualificata degli Stati membri, rappresentati a livello amministrativo nel comitato (procedura d’esame)[9]. Anche nello scenario di crisi, la possibilità di ricorrere ad atti di esecuzione immediatamente applicabili non esclude il parere del comitato, che, acquisito ex post (entro 14 giorni), se sfavorevole, caduca l’atto[10]. Più che di decisioni autonome della Commissione, dunque, si tratta di decisioni condivise con le amministrazioni statali di settore[11].
Il rischio che si intravede in questi casi non è tanto di “bureaucratic drift” della Commissione, anche perché le previsioni richiamate riproducono il modello generale di attuazione del diritto dell’Unione[12], quanto piuttosto lo “stallo” che potrebbe derivare dalla negoziazione permanente, fuori e dentro i comitati, circa l’ammontare e la tipologia dei contributi di solidarietà degli Stati membri. Ai governi nazionali basterà costruire, di volta in volta, minoranze di blocco, esattamente come in Consiglio, per ostacolare le decisioni esecutive della Commissione e inceppare i meccanismi di solidarietà.
3.2. Il rischio di “fuga” dalla solidarietà
Non meno serio, ma risolvibile attraverso una modifica della proposta in discussione a Bruxelles, è il problema che deriva dalla espressa previsione di una via di fuga dalla solidarietà nelle «situazioni di forza maggiore».
Secondo la proposta della Commissione, sono tali le «circostanze anormali e imprevedibili che sfuggono al loro controllo, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante il ricorso a tutta la dovuta diligenza» (considerando 7 RSCFM). Nel tentativo di circoscrivere l’ambito della nozione, la relazione di accompagnamento della proposta esemplifica i casi di forza maggiore richiamando in più punti la pandemia da Covid-19. Quando tali circostanze si verificano, le conseguenze, per la tenuta dei meccanismi di solidarietà sopra descritti, sono serie. Gli Stati membri, infatti, possono non solo prorogare il termine di adozione delle misure di solidarietà fino a un massimo di 6 mesi (Art. 9 RSCFM), ma addirittura liberarsi dell’obbligo di accettare il trasferimento dei migranti di cui sarebbero responsabili (art. 8, par. 3, RSCFM).
Il punto decisivo riguarda non tanto la genericità della definizione di “forza maggiore”, quanto le modalità di attivazione del meccanismo di sospensione o esenzione. La possibilità di utilizzo di questo “jolly” sembra, infatti, essere rimessa a una valutazione di opportunità dei singoli governi, ai quali basta una semplice comunicazione alla Commissione, senza alcun vaglio da parte di quest’ultima. La mancata previsione di un atto autorizzatorio o di verifica dei presupposti da parte della Commissione è una scelta rispettosa della sovranità statale, che inevitabilmente è esaltata dalle condizioni di crisi. Tuttavia, si tratta di una scelta contraddittoria, sia rispetto al ruolo della Commissione, che, come “guardiana dei Trattati”, dovrebbe vigilare sul rispetto delle norme in materia di solidarietà; sia rispetto al complessivo impianto della riforma, giacché uno Stato membro potrebbe invocare «circostanze anormali e imprevedibili» ogni qual volta voglia disattendere obblighi di solidarietà non graditi, che la Commissione sia riuscita a imporre nella negoziazione sopra descritta (§ 3.1).
3.3. Il rischio di non compliance
La posizione degli Stati membri frontalieri – in particolare di quelli mediterranei, esposti agli sbarchi – è, nel Patto, poco garantita, a dispetto di quanto la (semi) obbligatorietà delle misure di redistribuzione e condivisione delle responsabilità lascerebbe supporre.
Una volta conclusa la negoziazione degli obblighi di solidarietà statali, oltre ad azionare il freno di emergenza della “forza maggiore”, ai governi riluttanti resta sempre l’opzione, di più basso profilo, della non compliance. Come l’esperienza del programma di relocation del 2015 dimostra, è sufficiente non indicare la disponibilità di posti nel proprio sistema di accoglienza o procrastinare l’autorizzazione al trasferimento o semplicemente non rispondere alle richieste di contatto delle amministrazioni dello Stato membro beneficiario per ostacolare i trasferimenti o rallentarne il ritmo. La Commissione può avviare procedure di infrazione, ma, in una materia ad altro tasso di fallimento amministrativo come questa, tende a farlo solo nei casi più macroscopici e con esiti modesti[13]. Nella sostanza, perciò, sono gli Stati beneficiari a sopportare tutti i rischi che derivano dalle molteplici forme di inosservanza ed elusione degli obblighi di solidarietà, fondate su comportamenti non cooperativi e di routinaria resistenza amministrativa.
Peraltro, anche laddove siano puntualmente osservati, i meccanismi di solidarietà esaminati implicano, per gli Stati frontalieri, costi nascosti. Tali costi si collegano al loro ruolo di “guardiani” delle frontiere esterne, che il Patto rende più oneroso. Non solo, infatti, la Commissione propone di rafforzare e rendere più celeri i controlli di identificazione e sicurezza alle frontiere esterne (v. proposta di regolamento sugli accertamenti alle frontiere esterne), ma ripropone altresì l’idea – già avanzata nel 2016 – di una procedura di esame alla frontiera per la trattazione accelerata delle domande di protezione internazionale con minori probabilità di essere accolte (art. 41 della proposta integrativa di regolamento sulle procedure del 2020 (RPA 2020) in combinazione con l’art. 40 della proposta di regolamento sulle procedure di asilo del 2016 (RPA 2016)). I richiedenti asilo che vengono instradati in questa procedura – in quanto provenienti da un Paese di origine sicuro, o ritenuti pericolosi, o responsabili di condotte ostative, o ancora autori di dichiarazioni non pertinenti, contraddittorie o false – non sono formalmente ammessi nel territorio dell’Unione, bensì «tenuti» alla frontiera esterna o in zona di transito (art. 41, par. 13, RPA 2020); e sono altresì esclusi dalla ricollocazione nei due scenari non emergenziali, sempre al fine di evitare trasferimenti che possano ritardare il rimpatrio.
Sugli Stati membri frontalieri vengono, così, a gravare oneri amministrativi imponenti, derivanti: i) dallo svolgimento delle attività di identificazione e dei controlli di sicurezza alla frontiera esterna; ii) dalla conduzione, con tempistiche serrate, di procedure di esame alla frontiera delle richieste di protezione più “deboli”; iii) dalla organizzazione e gestione di zone di frontiera o di transito destinate al trattenimento di migranti su larga scala (con potenziale riproduzione di situazioni di degrado, tristemente esemplificate dal campo di Moria a Lesbo); e, in aggiunta, iv) dalla necessità – per poter dichiarare un richiedente eleggibile alla ricollocazione – di svolgere comunque (fatte salve le situazioni di crisi) uno screening preliminare, volto a escludere l’applicabilità della procedura di frontiera (oltre che dei criteri Dublino che portano all’immediato trasferimento nello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di protezione). Anche nel caso di migranti destinati alla ricollocazione, dunque, graverebbero sugli Stati membri beneficiari rilevanti oneri procedurali e di accoglienza connessi alla macchinosa verifica delle condizioni di eleggibilità, oneri che la Commissione propone di compensare con il simbolico contributo di 500 euro per migrante (art. 72 RGAM)[14].
3.4. I costi della “coercizione”
Il problema di fondo riguarda l’impostazione che accomuna le misure di burden sharing del Patto. Inserita nel quadro di una politica europea ormai da anni orientata al contenimento dei flussi, la proposta relativa ai meccanismi di solidarietà è intrisa di una logica fortemente coercitiva, probabilmente condizionata dall’intenzione – a Bruxelles, compulsivamente ripetuta e, perciò, fatalmente sopravvalutata – di evitare qualsiasi “fattore di attrazione”.
I margini di flessibilità previsti dalle norme in esame sono tutti a beneficio degli Stati membri, ma non dei destinatari ultimi di quei meccanismi. La solidarietà prefigurata nel Patto è imperniata su varie forme di ricollocazione (inclusa quella “differita”, legata alla sponsorizzazione dei rimpatri), che si fondano tutte su un tratto comune: la preclusione ai migranti della possibilità di scegliere lo Stato membro di destinazione. A parte il consenso eccezionalmente richiesto ai titolari di protezione (art. 57, par. 3, proposta RGAM), in tutte le altre ipotesi, riguardanti i richiedenti asilo e gli irregolari, il trasferimento dovrebbe effettuarsi a prescindere dall’adesione degli interessati.
L’astrattezza di questa impostazione sorprende. Sul piano giuridico, non prevedere la consultazione del migrante per acquisirne il consenso (“no choice/no voice”) appare di dubbia compatibilità con i principi di proporzionalità e di giusto procedimento dell’azione amministrativa. Ma, soprattutto, il sacrificio di queste garanzie non sembra essere compensato da benefici in termini di efficienza. Sul piano operativo, infatti, quell’approccio coercitivo implica un aumento esponenziale dei costi amministrativi e del tasso di insuccesso delle operazioni di trasferimento. Il fatto che questo aspetto così decisivo venga ignorato e che manchi, nella ricca documentazione allegata al Patto, una valutazione di impatto, che tenti di misurare i costi e i benefici di questa e delle possibili alternative è, appunto, sorprendente. Tanto più che – come dimostra l’esperienza recente del programma di relocation – il consenso della persona interessata è di fatto indispensabile per attuare la misura, a meno che non si voglia portare l’impostazione coercitiva alle sue estreme conseguenze, prefigurando una sistematica detenzione di tutti i migranti eleggibili per evitare che si sottraggano al trasferimento.
A ciò deve aggiungersi la kafkiana complessità procedurale che deriva dalla sovrapposizione tra le norme sulla solidarietà e le norme di Dublino. Per effetto di questa combinazione, un richiedente asilo potrebbe essere trasferito una prima volta nello Stato membro di ricollocazione e, poi, sulla base della più completa valutazione dei criteri di Dublino ivi effettuata, essere trasferito una seconda volta nello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di protezione. La realizzazione di ben due trasferimenti preliminari, oltre ad essere di per sé disfunzionale, avrebbe l’ulteriore effetto di ritardare di molti mesi l’avvio della procedura di asilo, lasciando i richiedenti a lungo “in orbita”, in palese contrasto con un degli obiettivi prioritari del regolamento Dublino e del sistema comune di asilo dell’Unione nel suo complesso.
Un discorso non dissimile vale, infine, anche per il meccanismo di sponsorizzazione dei rimpatri proposto della Commissione come contributo statale alternativo alla ricollocazione. Sulla base di questo innovativo schema, un migrante irregolare dovrebbe essere trasferito nello Stato membro “sponsor” qualora l’allontanamento non riesca nei primi 8 mesi (4 mesi nello scenario di crisi) – eventualità non remota, se si considera l’elevato tasso di insuccesso dei rimpatri dall’Unione, soprattutto quando riguardino migranti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Avvenuto il trasferimento, lo Stato “sponsor” dovrebbe continuare a esperire i tentativi di rimpatrio. Tuttavia, è difficile immaginare che tali tentativi possano avere molto successo, sia perché lo Stato “sponsor” potrebbe avere investito già nei primi mesi le proprie risorse diplomatiche per favorire il rimpatrio dallo Stato beneficiario; sia perché più del 70 per cento degli accordi di riammissione con Paesi africani fa capo a Italia, Spagna e Francia, mentre gli Stati dell’Europa del Nord destinati ad agire come “sponsor” hanno una rete di accordi e relazioni diplomatiche con i Paesi di origine molto meno sviluppata degli Stati mediterranei[15]. Perciò, l’idea della sponsorizzazione – avanzata per finalità strategiche, cioè per promuovere, agli occhi dei Paesi di Visegrád e degli altri governi riluttanti, l’immagine di una solidarietà “flessibile” – rischia di rivelarsi, alla prova dei fatti, una novità deludente, in termini di rilancio della politica europea dei rimpatri, e, al contempo, molto costosa, considerate le risorse amministrative e finanziarie richieste da questa nuova tipologia di trasferimenti non volontari all’interno dell’Unione.
4. Conclusioni
Per la prima volta nella sua storia, l’Unione potrebbe avere un sistema di gestione delle migrazioni “corretto” da meccanismi di solidarietà, cioè da norme che prevedono una condivisione degli oneri di accoglienza dei richiedenti asilo e di rimpatrio dei migranti irregolari. L’esangue Sistema comune europeo di asilo acquisirebbe una maggiore stabilità, grazie a un pilastro della solidarietà che si affiancherebbe a quello della responsabilità, eretto sull’insoddisfacente ma insuperabile criterio del primo Paese di ingresso. La Commissione ha compiuto uno sforzo di creatività ed equilibrio apprezzabile: come nelle promesse, la solidarietà del Patto è davvero obbligatoria, almeno per metà delle quote di contribuzione statali parametrate su popolazione e PIL, e al contempo flessibile, quanto alle modalità di contribuzione.
I primi mesi di negoziazione, però, hanno rivelato i limiti di quella promessa e rafforzato l’opposizione proprio di quegli Stati membri che dovrebbe esserne i principali beneficiari. Al di là dei rischi, sopra evidenziati, di “paralisi” della solidarietà sul piano decisionale o di “fuga” dalla solidarietà tramite la vaga formula della “forza maggiore” (§§ 3.1 e 3.2), il problema principale deriva dalla impostazione “coercitiva” del disegno solidaristico: una impostazione che inevitabilmente porta con sé un tasso di inefficienza amministrativa elevato e che, in modo altrettanto inevitabile, si ripercuote a danno degli Stati membri beneficiari (§§ 3.3 e 3.4). Muovendo dall’assunto che non vada concessa nessuna libertà di scelta né ai richiedenti asilo, né tantomeno ai migranti irregolari, la Commissione sembra ignorare che la coercizione complica le procedure di trasferimento, laddove il consenso degli interessati le renderebbe molto più semplici ed efficaci.
Il paradosso della opposizione alla solidarietà da parte degli Stati mediterranei che dovrebbero esserne i principali beneficiari si spiega allora così: con la inaffidabilità dei meccanismi di solidarietà loro promessi. La diffidenza di quei governi appare giustificata, perché, in assenza di strumenti efficaci di redistribuzione, gli oneri derivanti dalla protezione delle frontiere esterne e dalle responsabilità di Paesi di primo ingresso rischiano, per quegli Stati membri, di diventare insostenibili.
Emerge, così, dall’analisi del Patto e delle sue reticenze, l’immagine di una solidarietà costruita sull’acqua. Nel riproporre ed espandere il modello coercitivo, con il suo carico di costi e di inefficienze amministrative, la Commissione intenzionalmente ignora i macroscopici fallimenti sperimentati sul versante dei c.d. trasferimenti Dublino e nell’attuazione del programma di relocation del 2015. Fare i conti con quei fallimenti costringerebbe a mettere in discussione il taboo delle “non scelta” dei migranti e a valutare quali benefici, per la semplificazione e l’efficacia delle procedure, deriverebbero da un modello alternativo, fondato, almeno in parte, sul consenso delle persone “oggetto” delle misure di solidarietà[16]. Quella noncuranza, perciò, appare sospetta: nella migliore delle ipotesi, è miope e, nella peggiore, ideologica. In ogni caso, non pragmatica.
La solidarietà fra Stati e UE e la carenza di una visione costituzionale del governo dei flussi e delle crisi migratorie nel nuovo patto sulla migrazione e l’asilo
di Elisa Cavasino [17]
Sommario: 1. I tratti caratteristici del Nuovo patto per le migrazioni e l’asilo - 2. Un patto “per la solidarietà fra Stati”, condizionato dal contesto - 3. La carenza di una visione costituzionale del problema delle crisi e dei flussi migratori: alcuni nodi problematici.
1. I tratti caratteristici del Nuovo patto per le migrazioni e l’asilo
Il New EU Migration Pact è un articolata serie di proposte di riforma in materia di frontiere, asilo, immigrazione provenienti dalla Commissione europea il cui obiettivo di fondo è di migliorare il livello di cooperazione fra Stati, organi ed agenzie dell’Unione europea in materia di immigrazione ed asilo[18].
La Commissione si propone di assicurare migliore funzionalità al sistema europeo comune d’asilo. Tuttavia, quest’ambizioso obiettivo andrebbe realizzato senza intervenire direttamente su uno dei tratti più controversi e mal-funzionanti del Sistema europeo comune d’asilo (CEAS) – il regolamento Dublino III[19]; sottostimando peraltro il costo amministrativo e finanziario derivante dall’attuazione del pact, dato che esso determinerebbe imponenti interventi di tipo organizzativo e finanziario per assicurare che le previsioni relative alla “gestione” organizzativa dei controlli e delle procedure di rimpatrio alla frontiera oltreché dei meccanismi di redistribuzione e rimpatrio dei migranti[20] siano effettuate nel pieno rispetto dei principi costituzionali e delle norme internazionali sul diritto di difesa, sul diritto d’asilo, sulla garanzia della libertà personale e dei diritti inviolabili della persona migrante e sul giusto procedimento amministrativo.
Rispetto a quanto accaduto negli anni successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le strategie dell’UE proposte dalla Commissione il 23 settembre 2020 – sia quanto agli oggetti da disciplinare, sia quanto alla scelta degli atti di diritto derivato prescelti – sono decisamente orientate su aspetti di governo dei flussi e su meccanismi di raccordo fra gli interventi di “gestione” degli stessi da parte degli Stati e dell’Unione, piuttosto che sullo status del richiedente asilo o del migrante che entra e si muove all’interno dello spazio giuridico europeo.
Non a caso, gli interventi di riforma dell’impianto del CEAS già esistente si concentrano su eurodac, ricollocamento e regole di procedura applicabili in materia di richieste di asilo alle frontiere esterne dell’Unione. Gli interventi più innovativi riguardano invece l’istituzione di meccanismi di governo dei flussi migratori e di prevenzione e gestione delle crisi migratorie.
L’assenza di efficacia dell’intervento dell’Unione e l’azione dell’UE in materia d’immigrazione e d’asilo, nel pact sembra essere imputata ad una carenza di “uniformità” nelle regole applicabili e nelle prassi amministrative: è per questo che l’intervento prospettato dalla Commissione insiste sulla necessità di una maggiore armonizzazione delle regole applicabili. Per tale ragione, la fonte “privilegiata” diviene così il regolamento, rispetto alla direttiva.
2. Un patto “per la solidarietà fra Stati”, condizionato dal contesto
Il nuovo patto per l’immigrazione e l’asilo viene costruito in un contesto in cui la chiave di volta per il futuro del sistema europeo comune d’asilo – secondo quanto emerge dall’impostazione complessiva della sua proposta politica della Commissione – è individuata nel principio di solidarietà fra Stati membri dell’Unione e fra Unione e Stati membri, che diventa di fatto l’unica direttrice lungo la quale si svolgono le politiche europee su asilo e immigrazione. Da qui gli interventi “innovativi” sul supporto finanziario e organizzativo dell’UE attraverso le sue agenzie agli Stati per il management delle frontiere, secondo le nuove regole proposte e la riforma dei meccanismi di solidarietà fra Stati nella ri-collocazione dei migranti.
Certamente, interventi come quelli proposti dal Pact potrebbero incrementare la fiducia reciproca fra Stati membri perché esso introduce meccanismi volti – potenzialmente – a consentire una più effettiva garanzia del principio di solidarietà fra Stati e di condivisione delle “responsabilità” derivanti dalla gestione dei flussi migratori e delle crisi migratorie[21].
Da questo punto di vista il Pact potrebbe contribuire ad arginare le derive sovraniste in questa materia[22], derive capaci di scardinare il progetto d’integrazione europea in materia di gestione comune delle frontiere esterne[23], di costruzione di uno spazio europeo senza frontiere interne e di governo comune dei flussi migratori da Paesi terzi verso gli Stai membri dell’Unione[24].
Va considerato a tal proposito che il nuovo patto europeo sull’immigrazione è stato pensato in relazione ad un contesto ben preciso: ricorrenti crisi migratorie; crescenti flussi misti di migranti; vulnerabilità estrema delle frontiere esterne dell’Unione, in particolare di quelle marittime e che dato l’attuale clima politico – che ha impedito sinora di riformare Dublino – comprensibilmente, il progetto politico-normativo della Commissione mira a non destrutturare l’impianto del Sistema europeo comune d’asilo (CEAS).
È probabilmente questa la ragione per cui questo progetto non è affatto ambizioso nella parte in cui conserva i principi del CEAS, ma lo è, invece, sul versante della solidarietà fra Stati e sul versante dell’idea di frontiera che ci prospetta. In particolare, gli elementi di novità in esso contenuti sono i nuovi istituti ed i nuovi strumenti d’azione comune fra UE e Stati volti a prevedere e a gestire “casi di forza maggiore”[25]; le procedure di riconoscimento dei migranti e di screening sanitario alla frontiera[26]; maggiore forza all’azione UE in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare mediante l’irrobustimento delle regole sul controllo delle frontiere[27] e la riforma della direttiva “procedure”[28] che attenuano la distinzione di trattamento fra migranti e richiedenti asilo[29].
3. La carenza di una visione costituzionale del problema delle crisi e dei flussi migratori: alcuni nodi problematici
Purtroppo però quest’impostazione oblitera ciò che – in generale – è mancato nelle politiche UE sull’asilo e l’immigrazione: la mancanza di una visione politica che rispetti il costituzionalismo dei diritti in materia di asilo ed immigrazione, che implicherebbe la individuazione di un punto di equilibrio fra esigenze di governo dei flussi misti (sicurezza e solidarietà fra stati) e tutela dei diritti della persona migrante (diritti e responsabilità)[30].
L’immagine della frontiera esterna dell’Unione che il Patto ci restituisce è quella di una realtà “solida”, il luogo fisico in cui si deve esprimere la massima capacità organizzativa dello Stato nel controllo efficace ed effettivo dell’immigrazione irregolare e nella gestione amministrativa delle richieste di protezione internazionale.
Ritorna l’immagine della frontiera-fortezza anche perché è tale capacità organizzativa che può condurre alla fiducia reciproca ed alla solidarietà fra Stati nella gestione di un fenomeno, quello dei flussi migratori, che ha effetti sistemici sullo spazio giuridico europeo, nel senso che carenze sistemiche sul versante del rispetto delle regole UE su contrasto dell’immigrazione irregolare e procedure d’asilo mettono in crisi il CEAS, dunque hanno conseguenze imprevedibili sulla tenuta del processo d’integrazione europea[31].
Per assicurare che un efficace governo europeo dell’immigrazione e dell’asilo, gli oggetti principali su cui si concentra l’intervento dell’Unione sono, pertanto, le frontiere esterne e le procedure amministrative che in quell’area dello spazio giuridico europeo devono essere svolte mediante regole comuni, anzi, direi meglio, armonizzate, volte ad accelerare le decisioni sullo status giuridico del migrante.
Esemplificativo di quest’approccio è l’impianto della proposta di riforma della direttiva “procedure” (dir. 2013/32/UE) con cui la Commissione si propone di abrogare la direttiva e di sostituire la disciplina sulle procedure con norme di fonte regolamentare[32]. Alla base della proposta vi è l’esigenza di porre rimedio alle inefficienze amministrative ed ai movimenti (cosiddetti secondari) dei migranti richiedenti asilo che dalle frontiere esterne si spostano negli altri Stati membri alla ricerca delle condizioni e prospettive migliori per il loro soggiorno[33]. La soluzione a tali problemi vede la frontiera esterna come il luogo in cui lo si effettuano l’accertamento dell’identità e lo screening (a tutela della sanità e sicurezza) dei migranti; si raccolgono i dati biometrici e li si inseriscono nei database informativi UE (Eurodac in primis, per l’asilo) e si procede dunque ad acquisire elementi utili ad una pre-valutazione relativi tipo di procedura da utilizzare per gestire la richiesta di protezione del migrante.
La proposta di riforma immagina diversi esiti a valle di questa prima fase di cui uno in particolare pone seri problemi di compatibilità con un aspetto del nucleo costituzionale del diritto d’asilo, ossia il diritto all’ingresso sul territorio dello Stato per chiedere il riconoscimento della protezione dello Stato[34]: si tratta della procedura valutazione delle domande di asilo senza autorizzare l’ingresso nel territorio dello Stato con rimpatrio (procedure di asilo alla frontiera e rimpatrio alla frontiera) e, per certi aspetti, della procedura combinata di asilo e rimpatrio alla frontiera (per migranti provenienti da paesi con basso tasso di riconoscimento delle domande). Si tratta in entrambi i casi di procedure accelerate e di frontiera che sicuramente aumentano, come dice la Commissione, le probabilità che il rimpatrio vada a buon fine[35], ma che, a prescindere da quanto ritenuto dalla Commissione, altrettanto sicuramente possono entrare in diretto contrasto con l’art. 10 c. 3° Cost. per il profilo descritto.
È indicativo, ancora, di una carenza di attenzione verso i profili di diritto costituzionale, e di una maggiore cautela, invece, rispetto ai profili di diritto internazionale dei diritti umani, che diversi altri aspetti problematici del patto, in particolare quelli relativi alla compatibilità dell’azione UE e degli Stati con riferimento agli obblighi internazionali di soccorso in mare e con la CEDU che le proposte della Commissione in relazione a tali “oggetti”, non mirano all’adozione di regolamenti, ma sono strumenti di soft law (raccomandazioni)[36].
L’UE in lotta contro il traffico di migranti: dal facilitators package al nuovo patto sulla migrazione e l’asilo
di Alessandro Spena [37]
Sommario: 1. Un altro nuovo inizio? – 2. Il Facilitators package: ancora tu? – 3. Un modello più armonioso: il Protocollo Onu contro lo smuggling of migrants – 4. L’illusione di un nuovo inizio: il Piano d’azione (2015-2020) – 5. Così è (se vi pare): la REFIT evaluation del 2017 – 6. Si può criminalizzare la solidarietà? No, ma anche.
1. Un altro nuovo inizio?
Il Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, adottato dalla Commissione europea il 23 settembre 2020, si pone dichiaratamente come “un nuovo inizio” di fronte alle sfide di grande impegno poste dai fenomeni migratori all’Europa. Questo nuovo inizio si articola su una serie di linee-guida fondamentali, che il patto si limita per lo più ad enunciare in termini generali e programmatici. Tra queste linee-guida, ritroviamo anche l’esigenza di rafforzare la lotta contro il traffico di migranti (migrant smuggling), il quale, comportando «lo sfruttamento organizzato dei migranti» e ruotando su «una ricerca del profitto che ha scarso rispetto per la vita umana», pregiudica sia gli obiettivi umanitari, della protezione delle vite e dei diritti delle persone trafficate, sia lo scopo dell’Ue di provvedere ad una gestione ordinata e controllata delle migrazioni in territorio europeo.
L’obiettivo di combattere il traffico di migranti, per la verità, non è affatto una novità tra le strategie Ue in materia di immigrazione; il problema è, semmai, che il quadro normativo europeo in quest’ambito – essenzialmente cristallizzato nel cosiddetto Facilitators package del 2002[38] – presenta, sin dal suo sorgere, non pochi problemi e risulta oggi affetto da numerosi profili di anacronismo.
2. Il Facilitators package: ancora tu?
Per rendersene conto, basta darvi una scorsa veloce. Delle due esigenze oggi indicate dalla Commissione come stelle polari della lotta al migrant smuggling – ossia, nell’ordine, protezione del migrante smuggled e controllo dei flussi migratori – la prima non vi riceve alcuna significativa considerazione: la lotta al traffico dei migranti vi è condotta in un’ottica squisitamente stato-centrica, che considera il fenomeno dalla sola prospettiva degli stati, come violazione del loro interesse a regolare i flussi di stranieri in entrata e in uscita sui loro territori, in un quadro, peraltro, nel quale – in forza degli accordi di Schengen e della libera circolazione dei cittadini comunitari tra i paesi che ne fanno parte – l’interesse al controllo delle frontiere di ciascuno stato viene concepito come oggetto di un corrispondente interesse anche degli altri stati[39].
Nella logica del package, insomma, il traffico di migranti è solo un tassello di un problema più generale, quello dell’immigrazione irregolare. Ed infatti, nel primo e nel secondo Considerando della Direttiva, si legge rispettivamente che “(1) Uno degli obiettivi che l'Unione europea si prefigge è l'istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia che implica, in particolare, la lotta all'immigrazione clandestina” e che “(2) Occorre pertanto adottare misure volte a combattere l'attività di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, tanto se correlata all'attraversamento illegale della frontiera in senso stretto quanto se perpetrata allo scopo di alimentare le reti di sfruttamento di esseri umani”. Nessun riferimento è fatto – né qui né nella Decisione quadro – alla necessità di tutelare i diritti dei soggetti trafficati e di considerare dunque il fenomeno del traffico di migranti anche dal punto di vista delle sue implicazioni umanitarie[40]. Il fuoco dello strumento è tutto puntato sull’esigenza di combattere l’immigrazione irregolare.
Il traffico, di conseguenza, vi è essenzialmente dipinto e preso in considerazione come attività ancillare rispetto all’ingresso o al soggiorno irregolare dello straniero sul territorio degli stati Ue; la condotta del trafficante, di per sé, non vi è vista come portatrice di un autonomo contenuto di illecito: essa vi riceve il proprio contenuto di illecito di riflesso, in via accessoria, dal fatto di costituire aiuto, favoreggiamento, di una condotta di immigrazione irregolare. Come tale, del resto, la condotta è descritta all’art. 1: il fatto di chi intenzionalmente assista, aiuti, uno straniero ad entrare irregolarmente nel, o ad attraversare irregolarmente il, o a soggiornare nel, territorio di uno stato membro, dove è chiaro che il vero nucleo di disvalore è fatto risiedere nella condotta di chi irregolarmente entra nel territorio o lo attraversa[41].
Ma la considerazione del tutto secondaria che nel Facilitators package ricevono gli obiettivi umanitari emerge soprattutto da due altre circostanze. In primo luogo, la Direttiva costruisce, nell’art. 1.1.a, l’incriminazione del favoreggiamento all’ingresso irregolare (a differenza di quanto l’art. 1.1.b fa per il favoreggiamento della permanenza irregolare) senza richiedere che il favoreggiatore agisca per finalità di profitto[42]; ciò comporta che la fattispecie risulti integrata non soltanto da condotte votate allo sfruttamento economico del migrante, ma anche da condotte realizzate per puro spirito di solidarietà, incluse, in linea di principio, quelle orientate a scopi di carattere umanitario. In secondo luogo, una siffatta espansione dell’ambito applicativo dell’incriminazione non risulta efficacemente contrastata da quanto previsto nell’art. 1.2: il fine di assistenza umanitaria vi è bensì previsto, ma quale mera opzione, lasciata alla libera discrezionalità degli stati; la Direttiva non impone affatto agli stati di non punire le condotte di aiuto all’ingresso commesse per quella finalità; si limita a riconoscere che essi ne hanno facoltà[43].
3. Un modello più armonioso: il Protocollo Onu contro lo smuggling of migrants
Questa impostazione, così ferreamente stato-centrica, risulta tanto più evidente se la si pone a confronto con l’impostazione dell’altro grande strumento internazionale in materia, ossia il Protocollo contro il traffico dei migranti (smuggling of migrants) aggiunto alla Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale, siglata a Palermo nel dicembre del 2000. Anche questo strumento, per vero, individua la ragione fondamentale della criminalizzazione della condotta nell’interesse degli stati al controllo dei flussi migratori. Tuttavia, sin dalle prime battute, vi si stabilisce esplicitamente che “The purpose of this Protocol is to prevent and combat the smuggling of migrants, as well as to promote cooperation among states Parties to that end, while protecting the rights of smuggled migrants” (art. 2), e in tal modo l’approccio stato-centrico risulta decisamente temperato dalla centrale considerazione in cui vengono esplicitamente tenuti i diritti dello straniero smuggled[44].
Non è un caso, allora, che la fattispecie dell’illecito sia impostata in termini di smuggling (traffico) e non di mera agevolazione/facilitazione dell’immigrazione irregolare; il che contribuisce a dotare il reato di un autonomo disvalore, che non si risolve in un mero riflesso dell’ingresso o del soggiorno irregolare dello straniero: se non si può dire, insomma, che lo straniero vi sia strutturalmente dipinto alla stregua di una vittima degli smuggler, di certo non vi è neanche dipinto come l’autore di un illecito principale (di immigrazione irregolare), rispetto al quale la condotta del trafficante si ponga quale mero supporto. Nell’impostazione del Protocollo ONU, il migrante smuggled figura piuttosto come un mero “oggetto” dell’altrui condotta, con la conseguenza che è in radice esclusa ogni possibilità di considerarlo responsabile del fatto di smuggling, come viene espressamente sancito dall’art. 5 (“Migrants shall not become liable to criminal prosecution under this Protocol for the fact of having been the object of” smuggling).
Ad avvalorare questa lettura vi è la circostanza che la condotta di smuggling viene qui criminalizzata solo a condizione che sia posta in essere “in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit” (artt. 3 e 6): che lo smuggler agisca per fine di profitto è un elemento attorno al quale è costruita la fattispecie incriminatrice e dal quale, dunque, dipende il disvalore del fatto, che in tal modo si connota di una dimensione lucrativa che sembra colorare la condotta di un significato di sfruttamento: lo smuggler sfrutta, al fine di ricavarne un profitto, la situazione che viene a crearsi per il convergere, da un lato, dei limiti posti dalla legge alla possibilità per lo straniero di entrare regolarmente nel territorio dello stato e, dall’altro lato, del bisogno, o comunque del desiderio, dello straniero di aggirarli[45].
Proprio perché il fatto deve essere commesso per fine di lucro, nel Protocollo non è prevista alcuna scriminante umanitaria: non perché il fine umanitario non rilevi in rapporto alla condotta illecita, ma semplicemente perché fine di profitto e fine umanitario sono mutuamente esclusivi, così che il ricorrere del secondo esclude automaticamente il primo, e dunque anche la configurabilità della condotta illecita. Come è precisato nelle Interpretative notes for the official records (travaux préparatoires) of the negotiation of the United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the Protocols thereto,[46]
[T]he reference to “a financial or other material benefit” as an element of the definition in subparagraph (a) [of art. 3] was included in order to emphasize that the intention was to include the activities of organized criminal groups acting for profit, but to exclude the activities of those who provided support to migrants for humanitarian reasons or on the basis of close family ties. It was not the intention of the protocol to criminalize the activities of family members or support groups such as religious or non-governmental organizations.
4. L’illusione di un nuovo inizio: il Piano d’azione (2015-2020)
Il Protocollo è dunque uno strumento capace di rappresentare una visione comprensiva del fenomeno del traffico di migranti, che si faccia carico non solo dell’interesse dello stato, ma anche dei diritti dello straniero. Il Facilitators package no. Di ciò, si rende conto la stessa Commissione europea, allorché, lanciando il Piano d’azione Ue contro il traffico di migranti (2015 – 2020)[47], si ripromette esplicitamente di formulare “proposte per migliorare l'attuale quadro giuridico dell'Ue di lotta contro il traffico di migranti, che definisce il reato di favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali”.
Da diversi punti di vista, in effetti, il Piano prelude a un cambio di passo rispetto al Facilitators package; i toni sono assai diversi; vi si abbandona, infatti, il paradigma del trafficante come favoreggiatore dell’immigrato irregolare: la svolta è linguistica (smuggler e non più facilitator), ma anche concettuale: si dà esplicito risalto alla circostanza che la relazione fra trafficante e trafficato è improntata ad uno sfruttamento del secondo da parte del primo: “I trafficanti trattano i migranti come merci, al pari della droga e delle armi da fuoco che contrabbandano lungo le stesse rotte”; più che come complici dell’immigrato irregolare, i trafficanti vengono adesso dipinti come soggetti senza scrupoli, che “ricavano profitti considerevoli” mettendo a rischio la vita dei migranti: “Per aumentare al massimo questi profitti, i trafficanti ammassano spesso centinaia di migranti su camion o su imbarcazioni insicure (come piccoli gommoni o navi da carico da rottamare). Innumerevoli migranti annegano in mare, soffocano nei container o periscono nei deserti. [...]. I diritti umani dei migranti sono spesso gravemente violati con azioni di abuso e sfruttamento”.
5. Così è (se vi pare): la REFIT evaluation del 2017
Sennonché, le annunciate proposte per migliorare il quadro giuridico sono sin qui rimaste confinate nel quaderno dei buoni propositi. È infatti accaduto che, nel frattempo, su iniziativa della stessa Commissione, si sia dato avvio ad una valutazione del Facilitators package[48], sotto i profili della effectiveness[49], dell’efficiency[50], della relevance[51], della coherence[52] e dell’Eu added-value[53], ad esito della quale si è giunti alla conclusione che il package “achieves its objectives and is still fit-for-purpose” e che pertanto “at this point in time [it] should be maintained in its present form”[54].
Un esito, per vero, piuttosto sorprendente.
5.1. Già il modo in cui il documento di valutazione ricostruisce gli obiettivi del package suscita qualche perplessità, essendo affetto da (ciò che potremmo chiamare) un palese anacronismo interpretativo; vi si lascia intendere che esso sia animato dal bisogno di proteggere innanzitutto i diritti umani dei soggetti trafficati e secondariamente l’interesse degli stati alla gestione dei flussi migratori[55]: ma ciò, come si è visto, non è vero; si tratta, in realtà, una proiezione retroattiva di un modo di impostare il tema della lotta al traffico di migranti che, almeno in ambito Ue, è venuto maturando solo successivamente, e che non era affatto sotteso alla normativa 2002, connotata invece da una vocazione spiccatamente stato-centrica.
5.2. Quanto poi alle valutazioni sui singoli punti, meritano di essere segnalate quelle che attengono al piano della effectiveness e al piano della coherence.
Sotto il primo profilo, il Commission staff riconosce che “reliable, complete, updated and comparable statistics in terms of investigations, prosecutions and convictions related to migrant smuggling are lacking”; che, ciò nondimeno, “available annual figures show that irregular crossings at EU external borders reported in 2015 were six times as high as in 2014, while detections of suspected facilitators increased from 10 234 in 2014 to 12 023 in 2015. The latter rise reflects mostly increases reported in Spain, France and Italy”; e che pertanto “From such figures it could be deducted that the Facilitators Package has not significantly contributed to reducing irregular migration, particularly in the context of increasing migratory inflows”, sebbene, “in the absence of full data and an incomplete baseline, these conclusions remain partial”[56].
Il pacchetto si sarebbe invece rivelato effective sul piano dell’armonizzazione tra le normative europee in materia di traffico di migranti, essendo “considered sufficiently broad and clear to allow prosecution of different forms of migrant smuggling”[57]: ma è difficile capire quanto questo sia propriamente un effetto del package; nel caso italiano, ad es., si può dire che la disciplina penale in tema di favoreggiamento non abbia subito alcun significativo influsso da parte della normativa europea: lo schema generale delle incriminazioni attualmente previste nell’art. 12 Tuimm era già presente nella versione originaria del d.lgs. 286/1998. A ciò si aggiunga il problema – segnalato da alcuni stati membri e dalla assoluta maggioranza degli altri soggetti consultati – della mancanza di chiarezza e certezza giuridica nella distinzione tra favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e assistenza umanitaria, quale risulta dall’attuale formulazione dell’art. 1.2 della Direttiva, che, come visto, non impone agli stati di prevedere una humanitarian exemption, riconoscendo loro soltanto la facoltà di farlo[58].
Questo rende, forse, un po’ troppo caritatevole la pur cauta conclusione cui giunge il Commission staff, secondo cui, “limited availability of reliable and comparable data hinders the capacity to draw a clear-cut, conclusive picture”: in realtà, il quadro sembra abbastanza chiaro nel senso di suggerire che il package si sia rivelato tutto sommato scarsamente effective nel perseguimento dei suoi scopi.
5.3. Ma le maggiori perplessità sorgono sotto il profilo della coherence. La valutazione del Commission staff si muove, a questo proposito, su due piani diversi: un piano di coerenza interna, concernente tanto il rapporto fra i due strumenti del Facilitators package (Direttiva e Decisione quadro) quanto il rapporto fra questi e gli altri strumenti Ue in materia di traffico di migranti e immigrazione irregolare; e un piano di coerenza esterna, concernente invece il rapporto tra Facilitators package e Protocollo Onu contro lo smuggling of migrants.
5.3.1. Secondo il Commission staff, vi è coerenza su entrambi i piani; ma ciò appare discutibile già sul piano della coerenza interna. È vero che il Facilitators package è coerente sia nei due atti che lo compongono (Direttiva e Decisione quadro), sia nel rapporto con alcuni strumenti normativi emanati, successivamente al 2002, nell’ambito dell’acquis dell’Ue, in materia di immigrazione irregolare e fenomeni connessi (in particolare, la cosiddetta Employers Sanctions Directive del 2009 e la Direttiva 2011/36/UE on preventing and combating trafficking in human beings). Più complesso appare tuttavia il rapporto con il Piano d’azione contro il traffico di migranti (2015-2020): abbiamo visto come, in realtà, quest’ultimo fosse caratterizzato da un approccio significativamente diverso, almeno sotto certi punti di vista (primo fra i quali, la sottolineatura della dimensione umanitaria e dei diritti dei migranti trafficati implicati nel fenomeno del traffico), rispetto a quello del package, e come anzi, proprio a partire da una presa di coscienza di tali diversità, il Piano d’azione si proponesse di formulare “proposte per migliorare l'attuale quadro giuridico dell'Ue di lotta contro il traffico di migranti”, e dunque per superare, o comunque emendare, la disciplina del package.
Ciò nonostante, e nonostante si prenda atto del fatto che il Piano d’azione prevedesse una revisione del Facilitators package finalizzata “to ensure that appropriate sanctions are in place while avoiding risks of criminalisation of those who provide humanitarian assistance to migrants in distress”, il documento conclude nel senso che “There is therefore a strong coherence between the objectives of the Action Plan and Facilitators Package”; le divergenze tra i due strumenti sarebbero dovute esclusivamente al fatto che “The Action Plan responded to a crisis context requiring operational and prompt action to prevent loss of lives at sea, disrupt smuggling activities and better prevent this form of crime, whereas the Facilitators Package does not aim for any immediate operational effect and rather contributes to better preventing and countering the phenomenon in the long term”.
5.3.2. Ancor più sorprendere appare, poi, il giudizio riguardante la coerenza tra Facilitators package e Protocollo Onu contro lo smuggling: “Despite some differences […], the Protocol and the Facilitators Package remain coherent with each other”. Ora, è vero che il Protocollo ha una proiezione diversa dal package, poiché, a differenza di quest’ultimo, è specificamente orientato a considerare lo smuggling come oggetto dell’azione di gruppi criminali organizzati, e che ciò potrebbe giustificare qualche differenza nei contenuti specifici dei due strumenti. Il fatto è, però, che tra di essi corrono differenze tutt’altro che specifiche o di dettaglio, davvero difficili da spiegare esaustivamente con l’argomento addotto: si tratta di differenze radicali e sul piano dell’impostazione generale (esclusivamente stato-centrica quella Ue, stato-centrica moderata da umanitarismo quella Onu) e sul piano della definizione della condotta (imperniata sul fine di lucro quella Onu e costruita come smuggling e non quale mero favoreggiamento, a differenza di quanto avviene nel package) e sul piano della considerazione dei diritti dei migranti trafficati (centrale nel Protocollo, ma del tutto carente nel package).
6. Si può criminalizzare la solidarietà? No, ma anche
La conclusione cui giunge il Commission staff, ad ogni modo, suona perentoria: il Facilitators package va mantenuto nella sua forma attuale; la necessità di una sua revisione “could be re-evaluated, once the implementation of the Action Plan has reached greater maturity”.
Da qui muove il Nuovo patto del 23 settembre 2020, allorché proclama recisamente che “Le norme vigenti per contrastare il traffico di migranti si sono rivelate un quadro giuridico efficace per combattere coloro che facilitano l'ingresso, il transito e il soggiorno illegali”.
L’unico profilo sul quale la Commissione ritiene di dover intervenire, e con immediatezza, è “la questione della criminalizzazione di soggetti privati” che compiano atti di assistenza umanitaria. Lo fa presentando, l’1 ottobre 2020, una Comunicazione[59], che aspira a fornire una sorta di interpretazione autentica dell’art. 1.2 della Direttiva 90/2002, che ne guidi l’implementazione, sin qui per vero piuttosto deludente, da parte degli stati membri. La Commissione, in tal modo, dà corso ad una precisa richiesta del Parlamento europeo, che, nel luglio 2018, la aveva appunto esortata “ad adottare orientamenti destinati agli Stati membri al fine di chiarire quali forme di favoreggiamento non dovrebbero essere configurate come reato, in modo da assicurare chiarezza e uniformità nell'attuazione dell'acquis attuale, tra cui l'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), e l'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sul favoreggiamento”, sul presupposto “che la chiarezza dei parametri [avrebbe garantito] una maggiore coerenza nella normativa penale relativa al favoreggiamento in tutti gli Stati membri, riducendo la criminalizzazione indebita”[60].
In realtà, solo tre anni prima, nella già citata REFIT evaluation del 2017, il Commission working staff affermava che “as of today there appears to be rather limited evidence that social workers, family members or citizens acting out of compassion have been prosecuted and convicted for facilitation of unauthorised entry, transit or residence”; al punto che “the findings show that only one-fifth of the interviewees actually fear sanctions for their humanitarian assistance-related work with irregular migrants in situation of transit or staying on the national territory, and that only some, among those who actually reported fearing such sanctions, would associate the fear with a possible deterrent effect on providing assistance”.
Oggi, invece, agli occhi della stessa Commissione la situazione appare mutata: “Le ultime ricerche discusse dalla Commissione con le ONG suggeriscono che, dal 2015, gli atti compiuti per scopi umanitari sono sempre più oggetto di sanzioni. I dati raccolti hanno confermato che le azioni giudiziarie e le indagini nei confronti di singoli individui per motivi connessi al reato di favoreggiamento sono aumentate nell’UE dal 2015. La ricerca ha registrato 60 indagini e azioni giudiziarie in dieci Stati membri tra il 2015 e il 2019, per lo più relative al favoreggiamento dell’ingresso, con un picco di casi nel 2018”.
In Italia, senza considerare la risalente vicenda Cap Anamur, è dal 2017 (sequestro della Juventa, per iniziativa della procura di Trapani) che si segnala un certo attivismo giudiziario avente ad oggetto l’opera delle Ong impegnate nel salvataggio di vite nel Mediterraneo[61].
Ciò rende urgente chiarire la portata della normativa europea su questo punto, onde prevenire – per usare l’efficace espressione impiegata dal Parlamento Ue nella sua Risoluzione – la configurazione come reato dell'assistenza umanitaria. Sennonché, se lo scopo era questo (chiarire l’ambito di applicazione degli obblighi derivanti dal Facilitators package, in modo da evitare la configurazione dell’assistenza umanitaria come reato), la soluzione fornita non sembra del tutto soddisfacente. Scrive la Commissione: “La criminalizzazione delle organizzazioni non governative o di altri attori non statali che svolgono operazioni di ricerca e soccorso nel rispetto del quadro normativo applicabile costituisce [...] una violazione del diritto internazionale e di conseguenza non è permessa dal diritto dell’UE”; pertanto, “l’articolo 1 della direttiva sul favoreggiamento, quando qualifica come reato il favoreggiamento dell’ingresso e del transito illegali, lasciando agli Stati membri la facoltà di non adottare sanzioni nei casi in cui i comportamenti in questione abbiano lo scopo di prestare assistenza umanitaria, non si riferisce all’assistenza umanitaria obbligatoria per legge, in quanto essa non può essere qualificata come reato”.
Schematicamente:
“i) l’assistenza umanitaria obbligatoria per legge non può e non deve essere qualificata come reato;
ii) in particolare, la criminalizzazione delle organizzazioni non governative o di altri attori non statali che svolgono operazioni di ricerca e soccorso nel rispetto del quadro normativo applicabile costituisce una violazione del diritto internazionale e di conseguenza non è permessa dal diritto dell’Ue;
iii) l’eventuale valutazione della questione se un comportamento rientri nella nozione di «assistenza umanitaria» di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva – nozione che non può essere interpretata nel senso di consentire la criminalizzazione di un comportamento obbligatorio per legge – dev’essere condotta caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche”.
Bisognerebbe dunque distinguere due forme di assistenza umanitaria: una, consistente nell’adempimento dei doveri di ricerca e soccorso in mare imposti dal diritto internazionale, la quale rimarrebbe fuori dall’ambito applicativo dell’art. 1.2 della Direttiva, poiché ancor più in radice rimarrebbe fuori dall’ambito applicativo di tutto il Facilitators package: non rientrerebbe insomma tra i fatti descritti nell’art. 1; una sua criminalizzazione, essendo in contrasto col diritto internazionale, lo sarebbe anche col diritto Ue, e dunque gli stati membri non hanno facoltà di criminalizzarla come forma di smuggling. Vi è poi una seconda forma di assistenza umanitaria, che la Commissione non definisce se non, appunto, in negativo, come assistenza umanitaria diversa da quella imposta dal diritto internazionale: questa avrebbe un contenuto non determinabile in astratto, ma solo “caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche”. È la (non) criminalizzazione di queste attività come forme di smuggling che l’art. 1.2 rimette alla discrezionalità degli stati membri.
Ora, l’affermazione, ufficiale ed esplicita, che gli stati membri non hanno facoltà di criminalizzare condotte di search and rescue imposte dal diritto internazionale ha un valore simbolico importante, ma un’utilità pratica assai scarsa[62]; essa vale ad affermare qualcosa che, nella sua dimensione di principio, non viene mai messa in discussione nelle vicende giudiziarie che qui rilevano. Nessun giudice o pubblico ministero sostiene l’argomento che vadano punite come smuggling condotte imposte dal diritto internazionale. Il vero problema sta altrove: la materia del soccorso in mare è bensì oggetto di un complesso molto articolato di fonti internazionali, ma queste sono, tuttavia, carenti di indicazioni univoche nell’individuazione del porto sicuro dove fare sbarcare le persone salvate, e dunque dello stato che debba considerarsi obbligato a consentire tale sbarco sul proprio territorio[63]. È da qui – non certo dall’idea che si possa disapplicare il diritto internazionale – che emergono le situazioni di conflitto che vedono protagonisti, da un lato, quei soggetti privati che, avendo effettuato un soccorso in mare, chiedono l’indicazione di un porto sicuro e, dall’altro, quegli stati che invece rimangono riluttanti a fornirne uno sul proprio territorio. Rispetto a queste situazioni accade appunto che, al soccorritore che in ultimo decida unilateralmente di entrare nel mare territoriale di uno stato riluttante e di procedere allo sbarco, si contesti il reato di smuggling: e sotto questo riguardo, il diritto internazionale si è fin qui rivelato una guida piuttosto malsicura.
La Comunicazione della Commissione non dissipa queste incertezze, si limita a richiamarle: vi si legge ad es. che “Quando intervengono in operazioni di ricerca e soccorso, tutti gli attori coinvolti devono rispettare le istruzioni dell’autorità di coordinamento, conformemente ai principi generali e alle norme applicabili del diritto internazionale marittimo e dei diritti umani”; il che è verissimo, ma in che modo ciò contribuisce a rendere più agevole la soluzione di casi problematici, come ad es. quello del comandante di nave che, nello stallo fra autorità italiane e autorità maltesi, che si rimpallino la responsabilità di fornire un porto sicuro, scelga unilateralmente di entrare nelle acque di uno dei due stati per procedere allo sbarco?
Per casi difficili siffatti, la soluzione non giungerà certo da un mero rinvio al diritto internazionale, né tantomeno dall’attuale formulazione dell’art. 1.2 della Direttiva, che, come appunto chiarisce la Commissione, non impone affatto agli stati membri di non criminalizzare quanto, al di là degli obblighi imposti dal diritto internazionale, essi possono discrezionalmente (“caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche”) qualificare come assistenza umanitaria. La soluzione sta, semmai, in una profonda revisione del Facilitators package, che rifiuti, in maniera finalmente esplicita e senza infingimenti, di criminalizzare la solidarietà: o uniformandosi alla definizione di smuggling offerta dal Protocollo Onu, e dunque includendo il fine di profitto tra gli elementi essenziali della fattispecie, oppure riformulando il senso dell’art. 1.2 della Direttiva, cosicché gli stati siano obbligati ad escludere il reato di smuggling in caso di condotta realizzata a scopi di assistenza umanitaria.
Il Facilitators package, insomma, è uno strumento tutt’altro che “still fit-for-purpose” e meritevole di essere “maintained in its present form”: esso è, invece, uno strumento ormai anacronistico, bisognoso quanto prima di un profondo ripensamento e nei suoi presupposti di principio e nei suoi dettagli di disciplina.
[1] Professore ordinario di diritto amministrativo nell’Università della Tuscia (mario.savino@unitus.it)
[2] Commissione europea, A fresh start on migration: Building confidence and striking a new balance between responsibility and solidarity, comunicato stampa, 23 settembre 2020.
[3] Si veda il rapporto relativo alle negoziazioni sul Patto, predisposto dalla Presidenza portoghese e approvato dal Consiglio GAI dell’8 giugno (Pact on Migration and Asylum – Progress Report, 9178/21, 31 maggio 2021, su cui Agence Europe, EU Interior Ministers urged to adopt progress report on ‘Pact on Migration and Asylum’ due to lack of breakthrough, 2 giugno 2021).
[4] D. Thym, European Realpolitik: Legislative Uncertainties and Operational Pitfalls of the ‘New’ Pact on Migration and Asylum, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 29 settembre 2020.
[5] M. Savino, On Failed Relocation and Would-be Leviathans: Towards the New Pact on Migration and Asylum, ADiM Blog, 31 luglio 2020.
[6] F. Maiani, A “Fresh Start” or One More Clunker? Dublin and Solidarity in the New Pact, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 20 ottobre 2020.
[7] L. Tsourdi, The New Pact and EU Agencies: an ambivalent approach towards administrative integration, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 6 novembre 2020.
[8] In tutti e tre gli scenari, gli obblighi di contribuzione solidaristica sono fissati da un atto di esecuzione della Commissione (artt. 48 e 53 RGAM e art. 3, par. 2, RSCFM), sulla base delle indicazioni contenute nei piani per la risposta di solidarietà degli Stati membri, all’occorrenza integrate dalla Commissione, se insufficienti.
[9] Sia l’art. 67 RGMA, sia l’art. 12 RSCFM richiamano la procedura d’esame disciplinata dall’art. 5 del regolamento comitologia n. 182/2011.
[10] Come dispone in via generale l’art. 8, par. 4, del regolamento comitologia n. 182/2011.
[11] M. Savino, La comitologia dopo Lisbona: alla ricerca dell’equilibrio perduto, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, n. 10, p. 1041 ss.
[12] M. Savino, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, in L. De Lucia e B. Marchetti (a cura di), L’amministrazione europea e il suo diritto, Bologna, il Mulino, 2015, p. 39 ss.
[13] Come testimonia la pronuncia conclusiva della saga sulla relocation: Corte di giustizia, sentenza 2 aprile 2020, cause riunite C-715/17, C-718/17 e C-719/17, Commissione c. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.
[14] Sulle implicazioni finanziarie del Patto, I. Goldner Lang, Financial Implications of the New Pact on Migration and Asylum: Will the Next MFF Cover the Costs?, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 27 gennaio 2021.
[15] J.-P. Cassarino, Readmission, Visa Policy and the “Return Sponsorship” Puzzle in the New Pact on Migration and Asylum, in ADiM Blog, 30 novembre 2020.
[16] Sui modelli alternativi, F. Maiani, Responsibility Allocation and Solidarity, in P. De Bruycker, M. De Somer, J.-L. De Brouwer (eds.), From Tampere 20 to Tampere 2.0: Towards a new European consensus on migration, EPC, December 2019, p. 108 ss.
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[17] Professore associato di diritto costituzionale nell’Università di Palermo (elisa.Cavasino@unipa.it)
[18] La proposta della Commissione è disponibile al seguente indirizzo https://ec.europa.eu/info/publications/migration-and-asylum-package-new-pact-migration-and-asylum-documents-adopted-23-september-2020_en
[19] Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.
[20] Sul tema degli oneri finanziari I. Goldner Lang, The Future of Legal Europe: Will We Trust in It?, in corso di pubblicazione in un volume della Springer, 2021, reperibile attraverso il portale Social Science Research Network (SSRN) https://www.ssrn.com/index.cfm/en/
[21] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM(2020) 611 final.
[22] Su cui S. Penasa, G. Romeo, Sovereignty-based Arguments and the European Asylum System: Searching for a European Constitutional Moment?, in European Journal of Migration and Law 22(2020) 11-38.
[23] CGUE Grande Sezione sentenza 17 dicembre 2020 Commissione c. Ungheria C-808/18.
[24] Comunicazione della Commissione Un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo del 23.9.2020 COM (2020) 609 e relativo allegato contenente la Roadmap per la sua attuazione; proposta in materia di gestione (management) dell’asilo e della migrazione (Asylum and Migration Management Regulation – AMR), EU Commission Staff Working Document on Accompanying the document PROPOSAL FOR A REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on asylum and migration management and amending Council Directive (EC)2003/109 and the proposed Regulation (EU)XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] SWD/2020/207 final; Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione e che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio e la proposta di regolamento (UE) XXX/XXX [Fondo Asilo e migrazione] COM (2020) 610 final del 23.9.2020 e relativo allegato.
[25] Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell'asilo (Testo rilevante ai fini del SEE) COM(2020) 613 final; RACCOMANDAZIONE (UE) 2020/1366 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2020 su un meccanismo dell’UE di preparazione e di gestione delle crisi connesse alla migrazione (programma di preparazione e di risposta alle crisi nel settore della migrazione).
[26] Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne e modifica i regolamenti (CE) n. 767/2008, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/817 COM(2020) 612 final e relativo allegato;
Proposta modificata di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sulla gestione dell'asilo e della migrazione] e del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sul reinsediamento], per l'identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica i regolamenti (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/818 COM(2020) 614 final e relativo allegato. RACCOMANDAZIONE (UE) 2020/1364 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2020 relativa ai percorsi legali di protezione nell’UE: promuovere il reinsediamento, l’ammissione umanitaria e altri percorsi complementari.
[27] COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE Orientamenti della Commissione sull’attuazione delle norme dell’UE concernenti la definizione e la prevenzione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (2020/C 323/01);
[28] Proposta modificata di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM(2020) 611 final (Asylum Procedure Regulation – APR).
[29] Proposta di Regolamento che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne e modifica i regolamenti (CE) n. 767/2008, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240 e (UE)
2019/817 COM (2020) 612 final; Proposta modificata di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sulla gestione dell'asilo e della migrazione] e del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sul reinsediamento], per l'identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica i regolamenti (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/818 COM(2020) 614 final e relativo allegato.
[30] Sia consentito rinviare a E. Cavasino, Diritti, sicurezza, solidarietà e responsabilità nella protezione della persona migrante, in Federalismi, Focus Human Rights 3/2018 https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=37736.
[31] Sul concetto di carenze sistemiche e violazioni del diritto UE si veda A. von Bogdandy, Principles of a Systemic Deficiencies Doctrine: how to protect checks and balances in the Member States, in Common Market Law Review 57: 705-740.
[32] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM (2020)611 final
[33] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM (2020)611 final, a pagina 3.
[34] Cass. 10686/2012 e in dottrina da C. Esposito, Asilo (diritto di), in Enc. dir., Milano, 1959, III, 222 ss. a, da ultimo, P. Bonetti, Art. 10 cost., in Clementi, Rosa, Vigevani, La Costituzione italiana, Commento articolo per articolo, Bologna, 2021, I, 76 spec. 83
[35] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM (2020)611 final, a pagina 9
[36] RACCOMANDAZIONE (UE) 2020/1364 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2020 relativa ai percorsi legali di protezione nell’UE: promuovere il reinsediamento, l’ammissione umanitaria e altri percorsi complementari.
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[37] Professore ordinario di Diritto penale nell’Università di Palermo (alessandro.spena@unipa.it)
[38] Decisione-quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, e la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali.
[39] Su ciò rinvio chi lo volesse, anche per ulteriori riferimenti, a Spena, Human Smuggling and Irregular Immigration in the EU: From complicity to exploitation?, in Carrera, Guild (eds.), Irregular migration, trafficking and smuggling of human beings policy dilemmas in the EU, Brussels: CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES (CEPS), 2016, 33 ss.; Id., in Militello, Spena, Between Criminalization and Protection: The Italian Way of Dealing with Migrant Smuggling and Trafficking within the European and International Context, Leiden: Brill, 2019; Id., L’incriminazione dello smuggling of migrants in Europa: una ricognizione comparatistica, in Militello, Spena, Mangiaracina, Siracusa (cur.), Traffici illeciti nel Mediterraneo. Persone, stupefacenti, tabacco, Torino: Giappichelli, 2019, 144 ss.
[40] Il solo fugace riferimento ai diritti dei soggetti trafficati si ritrova nell’art. 6 della Decisione quadro, a tenore del quale “L'applicazione della presente decisione quadro non pregiudica la protezione concessa ai rifugiati e ai richiedenti asilo conformemente al diritto internazionale relativo ai rifugiati o ad altri strumenti internazionali sui diritti dell'uomo, e in particolare l'osservanza da parte degli Stati membri delle loro obbligazioni internazionali ai sensi degli articoli 31 e 33 della convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 1967”. Questa disposizione si limita, in realtà, a ribadire l’ovvia circostanza che le norme del Facilitators package non possono essere intese come deroghe in violazione di norme di diritto internazionale, che hanno valore vincolante per gli stati membri.
[41] Per approfondimenti, Spena, Human Smuggling and Irregular Immigration in the EU: From complicity to exploitation?, in Carrera, Guild (eds.), Irregular migration, trafficking and smuggling of human beings policy dilemmas in the EU, Brussels: CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES (CEPS), 2016, 33 ss.; Mitsilegas, The normative foundation of the criminalization of human smuggling: Exploring the fault lines between European and international law, in New Journal of European Criminal Law, 1/2019, 78.
[42] Cfr. ad es. Veas, Il fine di profitto nel reato di traffico di migranti: analisi critica della legislazione europea, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 1/2018, 116 ss.; Spena, L’incriminazione dello smuggling of migrants in Europa: una ricognizione comparatistica, in Militello, Spena, Mangiaracina, Siracusa (cur.), Traffici illeciti nel Mediterraneo. Persone, stupefacenti, tabacco, cit., p. 145.
[43] Cfr. ad es., oltre ai testi citati nelle due note precedenti, Allsopp, Manieri, The Eu anti-smuggling framework: Direct and indirect effects on the provision of humanitarian assistance to irregular migrants, in Carrera, Guild (eds.), Irregular migration, trafficking and smuggling of human beings policy dilemmas in the EU, Brussels: CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES (CEPS), 2016, 84.
[44] Spena, Smuggled migrants as victims? Reflecting on the Un Protocol against migrant smuggling and on its implementation, §§ 2 e 3.2 (in corso di pubblicazione).
[45] Per approfondimenti, sia consentito rinviare a Spena, Smuggled migrants as victims? Reflecting on the Un Protocol against migrant smuggling and on its implementation, § 3.4 (in corso di pubblicazione)
[46] Un General Assembly, Report of the Ad Hoc Committee on the Elaboration of a Convention against Transnational Organized Crime on the work of its first to eleventh sessions – Addendum: Interpretative notes for the official records (travaux préparatoires) of the negotiation of the United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the Protocols thereto, A/55/383/Add.1, 3 November 2000, § 88 (https://www.unodc.org/pdf/crime/final_instruments/383a1e.pdf).
[47] Il piano è del 27 maggio 2015 e costituisce parte dell’Agenda europea sulle migrazioni, adottata un paio di settimane prima (13 maggio 2015).
[48] Commission staff working document REFIT evaluation of the EU legal framework against facilitation of unauthorised entry, transit and residence: the Facilitators Package (Directive 2002/90/EC and Framework Decision 2002/946/JHA), pubblicato il 22 marzo 2017.
[49] “To what extent did the Facilitators Package achieve its objectives? To what extent did it achieve approximation as regards the definition of the offence and the associated penal framework, including type and level of sanctions, and jurisdiction rules? Was the Package effective in setting out an appropriate legal framework to tackle the offence of migrant smuggling? What effects did the Package have on prosecution and conviction at national level?”.
[50] “What are the main costs and benefits of the Facilitators Package? To what extent are the costs justified and proportionate to the benefits achieved? Did it create administrative burden?”.
[51] “To what extent have the objectives of the Facilitators Package been appropriate? To what extent is the Facilitators Package still relevant in the current context where migrant smuggling has significantly increased over the last years?”.
[52] “To what extent is the Facilitators Package internally coherent? To what extent is it coherent with wider EU laws in relevant areas such as migration, fundamental rights, fight against organised crime, trafficking in human beings, and with international law?”.
[53] “What is the added value of the Facilitators Package compared to what could be achieved by Member States at national level? To what extent is it still opportune to act at EU level?”.
[54] Sul punto, v. anche Minetti, The Facilitators Package, penal populism and the Rule of Law: Lessons from Italy, in New Journal of European Criminal Law, 2020 (disponibile all’indirizzo: https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/2032284420946837).
[55] “The priority afforded to reducing irregular migration stems from two essential needs. First, the need to tackle human rights abuse and violence, which those who migrate irregularly, in particular by sea, are often subject to. Migrants in an irregular situation are also more vulnerable to labour and other forms of exploitation. Secondly, there is a need to protect the Member States’ territorial integrity, social cohesion and welfare through well-managed migration flows”.
[56] Su questi presupposti, non sarebbe possibile “to assess with accuracy whether prosecution and conviction rates have increased across the EU and to what extent the Facilitators Package may have contributed to it. Moreover, even in the event where statistical data would be complete and comparable, several other factors beyond the legal framework would still be likely to influence any assessment of the effectiveness of the legislation in this regard. These can be for example the degree of political priority afforded to the crime and the consequent level of resources allocated for the investigations, the difficulty to trace the illicit payments and criminal proceeds, and the likelihood of a higher deterrent effect when the activities are not driven by criminal motives or financial gain”. Di conseguenza, “in view of such weaknesses, the assessment is mostly based on the opinion gathered for the evaluation”. Ebbene, “According to most stakeholders across different categories, such as Member States, experts or other respondents to the public consultation, the Facilitators Package has had little deterrent effect. The deterrent effect of the approximation of the definition of the crime and related sanctions was questioned by several Member States and stakeholders. In their view, neither the definitions and sanctions nor their approximation (or the variations in the severity of sanctions) have an impact on the magnitude of the flows of (facilitated) irregular migrants to the EU, nor on the smuggling routes and methods. This is also because the potential gains from migrant smuggling have been reportedly very high compared to the risk of detection, conviction and sanctions”.
[57] “As regards the definition of the offence, nearly all Member States which replied to the dedicated consultation agreed on the effectiveness of the Facilitators Package in approximating the definition of the offence, which is considered sufficiently broad and clear to allow prosecution of different forms of migrant smuggling. Some other experts and practitioners held less positive views about the actual effectiveness of the Package in promoting a harmonised definition and pointed to the variations in the transposition as a potential hindrance to cooperation”.
[58] “The lack of a mandatory humanitarian exemption has been the subject of ongoing criticism from scholars, European and international institutions and NGO coalitions such as the European Social Platform. The conclusions of the first meeting of the European Migration Forum held in January 2015, pointed inter alia to the need to revise the Facilitation Directive to exempt humanitarian assistance from criminalisation. They stressed the need to "explicitly exclude punishment for humanitarian assistance at entry (rescue at sea and assisting refugees to seek safety) as well as the provision of non-profit humanitarian assistance (e.g. food, shelter, medical care, legal advice) to migrants in an irregular situation" and considered that the review "should also make clear that renting accommodation to migrants in an irregular situation without the intention to prevent the migrant’s removal should not be considered facilitation of unauthorised residence, while ensuring that the legal system punishes those persons who rent accommodation under exploitative conditions".
[59] Comunicazione della Commissione – Orientamenti della Commissione sull’attuazione delle norme dell’UE concernenti la definizione e la prevenzione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali 2020/C 323/01. Per una sintesi, v. Licastro, Traffico (smuggling) di migranti: una mirata sintesi delle linee guida della commissione sulla direttiva sul favoreggiamento, in Osservatorio sulle fonti, 1/2021, 173 ss.
[60] Risoluzione del Parlamento europeo del 5 luglio 2018 su orientamenti destinati agli Stati membri per prevenire la configurazione come reato dell'assistenza umanitaria (2018/2769(RSP)).
[61] Per un riepilogo, Masera, L’incriminazione dei soccorsi in mare: dobbiamo rassegnarci al disumano?, in Questione giustizia, 2/2018, 225 ss.; Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 3/2020, 150 ss.
[62] Per una valutazione, invece, tutto sommato positiva, almeno sotto questo punto di vista, del rilievo pratico della Comunicazione, v. Starita, Search and rescue operations under the New pact on asylum and migration, in SIDIBlog, 8 novembre 2020.
[63] V., ad es., Coppens, Somers, Towards New Rules on Disembarkation of Persons Rescued at Sea?, in The International Journal of Marine and Coastal Law, 2010, 379, 387; Papanicolopulu, Le operazioni di search and rescue: problemi e lacune del diritto internazionale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2/2019, 518; nonché, volendo, Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, 1893 ss.
Quale riforma per il CSM?
Riflessioni sull’elezione del Vicepresidente e sul rinnovo parziale
di Alberto Maria Benedetti* e Filippo Donati**
1. Nessuno oggi dubita che il CSM debba essere urgentemente riformato. Troppi e troppo gravi sono stati gli scandali emersi negli ultimi anni, che hanno messo di fronte all’opinione pubblica le degenerazioni del correntismo e gli effetti nefasti che hanno prodotto sul funzionamento dell’organo di governo autonomo della magistratura. È vero che di riforme del CSM si parla già da tanto tempo. Soltanto oggi, però, il Governo e le forze politiche hanno davanti un preciso limite temporale. Entro settembre 2022 si dovrà procedere al rinnovo del CSM con nuove regole, soprattutto con riguardo al sistema elettorale dei componenti togati, oggi additato come la causa principale delle distorsioni.
Accanto alla riforma del sistema elettorale, la Ministra Cartabia, nelle Linee programmatiche presentate al Parlamento, ha prospettato la possibilità di introdurre anche un rinnovo parziale del CSM, come già avviene per altri organi costituzionali. Una riforma che, secondo la Ministra, potrebbe “rivelarsi utile sia ad assicurare una maggiore continuità dell’istituzione, sia a non disperdere le competenze acquisite dai consiglieri in carica, sia a scoraggiare logiche spartitorie che poco si addicono alla natura di organo di garanzia che la Costituzione attribuisce al CSM”. Il problema, ha evidenziato la Ministra, è stabilire se, da un punto di vista costituzionale, tale obiettivo possa essere perseguito attraverso una legge ordinaria, “interpretando i quattro anni di cui al penultimo comma dell’art. 104 Cost., come riferiti ai membri singolarmente considerati, e non all’organo nel suo complesso”.
La Commissione presieduta da Massimo Luciani ha ritenuto che l’introduzione, con legge ordinaria, di un rinnovo parziale del Consiglio trovi un ostacolo anche nella durata del Vicepresidente, che non potrebbe essere inferiore a quattro anni. In questa prospettiva la Commissione propone di avviare il meccanismo di rinnovo parziale attraverso l’aumento di un terzo del numero dei consiglieri, con rinnovo parziale (ora per due terzi, ora per un terzo) ogni due anni, e di affidare al Capo dello Stato la nomina del Vicepresidente. Questa soluzione permetterebbe, tra l’altro, di rafforzare l’indipendenza di quest’ultimo, ponendolo al riparo dalle contrattazioni correntizie e dai tentativi di ingerenza politica che ne hanno sempre accompagnato l’elezione.
L’idea che soltanto una legge di revisione costituzionale consenta di introdurre un meccanismo di rinnovo parziale merita però una riflessione. Così come la merita la proposta di attribuire al Capo dello Stato la nomina del Vicepresidente. Siamo infatti convinti che sia possibile introdurre un meccanismo di rinnovo parziale anche a Costituzione invariata, e che il Vicepresidente debba continuare ad essere eletto dal Consiglio, ma per una durata di due anni.
Proviamo brevemente a spiegare perché.
2. Partiamo dalla scelta del Vicepresidente, figura centrale per la gestione quotidiana del consiglio e per i suoi rapporti con il mondo esterno.
In Assemblea costituente, vennero respinte le proposte volte ad affidare la vicepresidenza al Ministro della Giustizia o al Primo Presidente della Cassazione: la prima per l’inopportunità di sottoporre la magistratura ad una eccessiva ingerenza da parte dell’esecutivo, la seconda, per evitare pericoli di autoreferenzialità dell’ordine giudiziario.
Neppure ebbe successo la proposta di individuare due vicepresidenti: il Primo Presidente della Cassazione e un consigliere laico eletto dal Parlamento. Sebbene l’intento fosse in qualche modo apprezzabile, nella misura in cui voleva portare ai vertici del Consiglio i rappresentanti delle due componenti del nuovo organo (quella laica e quella togata), l’idea della gestione dualistica di un organo unitario presentava limiti evidenti. Tra le varie proposte venne approvata quella dell’On. Lussu, che attribuisce la vicepresidenza a un componente di designazione parlamentare, da eleggersi con il voto del Consiglio stesso.
La soluzione adottata dai Padri costituenti si è rivelata lungimirante, perché ha valorizzato sia la componente laica – all’interno della quale deve essere individuato il Vicepresidente – sia la componente togata che, grazie alla sua preponderanza numerica, svolge un ruolo decisivo nell’elezione del vertice del proprio organo di autogoverno. Una soluzione equilibrata e funzionale alla necessità di garantire l’autonomia e l’indipendenza del CSM e della magistratura, se del caso anche nei confronti dello stesso Capo dello Stato. Ricordiamo tutti la drammatica contrapposizione tra il Presidente Cossiga e il CSM nei primi anni ‘90. Lo scontro fu così aspro che Cossiga minacciò ripetutamente di sciogliere il CSM, finendo col ritirare le deleghe al Vicepresidente che, tuttavia, riuscì a svolgere anche in quella crisi un importante ruolo a garanzia dell’indipendenza dell’organo di autogoverno.
Si è trattato, certamente, di un episodio eccezionale, difficilmente ripetibile in futuro. Ciò nonostante, vi sono seri motivi per dubitare sull’opportunità di rivedere il modello costituzionale e di affidare la nomina del Vicepresidente al Capo dello Stato.
Varie sono le controindicazioni di una scelta del genere. Innanzi tutto, questa soluzione spezzerebbe l’equilibrio costituzionale tra le componenti laica e togata, tagliando fuori la magistratura dalla scelta del vertice del suo organo di autogoverno. Inoltre, il Presidente della Repubblica, nominando il Vicepresidente, finirebbe inevitabilmente con l’assumersi di fatto la responsabilità del suo operato. La designazione da parte del Capo dello Stato, del resto, non necessariamente garantisce quell’iniziale e costante rapporto di fiducia tra i consiglieri ed il Vicepresidente, che occorre per il buon funzionamento del Consiglio. Non si può infine trascurare il rischio, non escluso neppure dall’attuale legge elettorale, che una coalizione possa conquistare la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, acquisendo così un potere determinante nella scelta del Capo dello Stato e, conseguentemente, del Vicepresidente dallo stesso designato. In tal modo si finirebbe paradossalmente per contraddire lo scopo che i costituenti hanno perseguito con l’istituzione del CSM, ovvero la garanzia della divisione dei poteri.
Quando alla durata del mandato del Vicepresidente, né la Costituzione né la legge istitutiva del CSM (l. n. 195/1958) stabiliscono che debba necessariamente essere di quattro anni. Una previsione del genere non si trova neppure nel Regolamento interno del CSM. Del resto, non sarebbe possibile impedire a un Vicepresidente, ad esempio per motivi di salute, di dimettersi dalla carica ma di rimanere come Consigliere.
La riduzione del mandato del Vicepresidente a due anni, osserva tuttavia la Commissione, sarebbe inopportuna “perché il vicepresidente, anche per la sua posizione in rapporto al Presidente della Repubblica, a sua volta Presidente del CSM, dovrebbe garantire continuità all’interno del Consiglio”. La continuità del Consiglio, però, è assicurata dal Comitato di Presidenza, che si rinnova fisiologicamente ogni volta che cambia il vertice della magistratura giudicante e di quella requirente. Quanto al rapporto con il Presidente della Repubblica, rileva non la persona, quanto l’istituzione. Per tale motivo, tra l’altro, il rinnovo della carica di Presidente della Repubblica non incide sul ruolo del Vicepresidente.
3. Un rinnovo parziale del Consiglio non potrebbe essere realizzato senza una disciplina transitoria, volta a permettere l’iniziale sfasamento delle elezioni dei suoi componenti.
La Commissione Luciani propone a tal riguardo un meccanismo di rinnovo modulare collegato all’aumento del numero dei consiglieri, che diventerebbero trentaquattro (ventiquattro “togati” e dodici “laici”). Alla scadenza del Consiglio in carica, si procederebbe al suo rinnovo nella misura attualmente prevista (sedici “togati” e otto “laici”); dopo due anni si procederebbe alla sua integrazione nella misura di trentasei consiglieri; a regime, si procederebbe al rinnovo parziale alla scadenza dei rispettivi quadrienni di mandato. In questo modo il Consiglio sarebbe rinnovato per due terzi e per un terzo ogni due anni. Poichè tuttavia la durata del mandato del Vicepresidente non potrebbe essere inferiore a quattro anni, laddove si adottasse questo meccanismo di rinnovo “modulare” la nomina del Vicepresidente verrebbe effettuata o nella componente oggetto del rinnovo maggiore (per due terzi) o in quella oggetto del rinnovo minore (per un terzo), con violazione del principio di eguaglianza dei consiglieri. Anche per tale ragione, la Commissione Luciani propone di rivedere la Costituzione e di affidare la scelta del Vicepresidente al Capo dello Stato.
Sulla insussistenza in Costituzione di una norma che imponga la durata quadriennale del mandato del Vicepresidente, però, si è già detto sopra. Superato il tabù della durata quadriennale del Vicepresidente, non sussistono più ostacoli alla previsione di un rinnovo parziale, come auspicato dalla Ministra della Giustizia e dalla Commissione Luciani, senza sottrarre il potere di nomina del Vicepresidente all’organo di governo autonomo.
4. Si potrebbe quindi prevedere che il CSM proceda alla nomina del Vicepresidente ogni due anni, in contestualità col rinnovo parziale, tra i consiglieri laici che abbiano già svolto due anni di mandato.
Questa soluzione presenta indubbi vantaggi. Eviterebbe innanzi tutto di dover affidare al Capo dello Stato la scelta del Vicepresidente, superando così tutti i problemi sopra evidenziati. Permetterebbe inoltre al Consiglio di eleggere il proprio Vicepresidente tra candidati che hanno svolto per due anni il ruolo di consigliere e, quindi, di esprimere una scelta più ponderata di quella “a scatola chiusa” effettuata fino ad oggi. Il nuovo Vicepresidente, infine, avrebbe fin da subito quella approfondita conoscenza della struttura, indispensabile per guidare la macchina consiliare.
Per permettere un rinnovo parziale del Consiglio occorrerebbe ovviamente una disciplina transitoria. La soluzione più semplice al riguardo sarebbe la proroga di una parte dei consiglieri. Oggi sono sette i membri togati subentrati in corso di mandato, a seguito delle dimissioni collegate alla nota vicenda Palamara. La Commissione Luciani esclude però l’ipotesi di un rinnovo che tenga conto della diversa scansione temporale dell’inizio del mandato degli attuali componenti del CSM, che comporterebbe “un’eccessiva moltiplicazione delle occasioni elettorali”, o quella della proroga parziale del Consiglio in carica, “che appare di dubbia costituzionalità, alla luce dell’art. 104, comma 6, Cost.”.
Non è però così scontato che una proroga di consiglieri in carica sia di per sé in contrasto con l’art. 104, comma 6, Cost. Una parte della dottrina ha sostenuto che una norma transitoria, destinata ad operare una tantum, potrebbe trovare una giustificazione alla luce del bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Un intervento volto a permettere la prima operatività del meccanismo di rinnovo parziale del consiglio, infatti, non potrebbe configurare un attacco all’autonomia e all’indipendenza dei consiglieri, che l’art. 104 Cost mira a proteggere. D’altra parte, tale intervento potrebbe trovare una propria giustificazione nell’esigenza di realizzare quei principi costituzionali alla cui tutela è preposto l’organo di governo autonomo della magistratura dal momento che, come riconosce la stessa Commissione, un meccanismo di rinnovo parziale risponde all’esigenza di migliorare il funzionamento del CSM e di “ostacolare il consolidarsi di aggregazioni di interesse che trascendano il corretto esercizio delle funzioni consiliari”.
In definitiva, quella del rinnovo parziale è una riforma possibile e realizzabile in tempi rapidi, in modo che, a partire dalla prossima consiliatura, possa aprirsi a una nuova fase della storia dell’organo di autogoverno. La conservazione del disegno costituzionale – ancora oggi pienamente convincente e assunto a modello in molte realtà europee - è compatibile con un intervento riformatore di ampio respiro, destinato, nel tempo, a restituire al CSM quella autorevolezza minata dai deprecabili fatti emersi nel corso di questi ultimi anni.
*Ordinario di diritto civile nell’Università di Genova - Consigliere CSM
**Ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Firenze - Consigliere CSM
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