Neoliberismo concorsuale e le svalutazioni competitive: il mercato delle regole
di Pasquale Liccardo
Sommario: 1. Premessa - 2. La semplificazione infinita - 3. Autopoietismo societario e misure protettive - 4. Conclusioni.
1. Premessa
Si propone qui un primo esame del Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118 negli snodi fondativi della “composizione negoziata della crisi d’impresa” (artt. 2 e ss.) che si assume costituiscano un nuovo incipit del nostro ordinamento concorsuale, per poi evidenziarne i possibili richiami teorici e le linee ispiratrici di fondo: in tale quadro, si procede a una lettura ab externo degli istituti di nuovo conio, rimandando ad altra sede ogni analisi di dettaglio.
La Relazione al D.L. n. 118 assume a motivo dell’intervento l’emergenza Covid che imporrebbe il superamento dei meccanismi previsti dal codice della crisi, come l’allerta (sia interna che esterna) e gli strumenti di soluzione negoziata della crisi, assumendosi espressamente che la loro complessità non consentirebbe quella necessaria “gradualità nella gestione della crisi che è richiesta dalla situazione determinata dalla pandemia”, sottolineando altresì come “il rinvio dell’allerta esterna disposto con l’articolo 5, comma 14, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, ha inciso in maniera rilevante sul complessivo impianto delineato del Codice della crisi d’impresa privandolo di una fase sulla quale sono stati pensati e costruiti altri istituti disciplinati dallo stesso Codice, tra i quali il concordato preventivo”.
Dalla stessa Relazione emerge un intento di complessiva ricodificazione degli strumenti di governo della crisi d’ impresa in ragione dell’emergenza Covid, ulteriormente motivato dall’ impossibilità di mantenere nel medio periodo la disciplina della legge fallimentare del 1942 per l’esposizione dello Stato italiano alla procedura di infrazione per il mancato recepimento della direttiva UE 2019/1023[1] con la conseguente necessità della sua ricezione entro il 17 luglio 2022, termine questo peraltro già prorogato su richiesta inoltrata alla Commissione Europea.
Vedremo subito che la semplificazione introdotta costituisce un fragile miraggio del legislatore dell’urgenza e che ogni richiamo legittimante alle previsioni comunitarie della Direttiva UE 2019/1023 risulta sostanzialmente tradito da una riscrittura valoriale degli spazi istituzionali fino a oggi riservati anche dal CCII alle articolazioni del diritto concorsuale tanto nella fase negoziata quanto nella fase più strettamente procedurale: non senza considerare come la Commissione Rordorf avesse avuto modo di prendere visione della Proposta 0359 del 2016 che ne anticipava in massima parte le linee ispiratrici, giungendo pertanto alla codificazione di un sistema concorsuale coerente che le indicazioni operate in sede comunitaria sia dalla Direttiva n. 1132/2017 sia dalla successiva Direttiva UE Insolvency n. 1023/2019.
2. La semplificazione infinita
La composizione negoziata della crisi di impresa richiama nel suo incipit l’esperienza normativa ormai regressiva del Codice della Crisi (art. 19), con l’istanza formulata dall’imprenditore che assuma di versare in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, richiedendo la nomina di un esperto che agevoli le trattative con il ceto creditorio “ed eventuali altri soggetti interessati”, al fine di individuare una soluzione per il superamento della crisi, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa: rispetto alla previsione del codice della crisi. Si tratta, all’evidenza, di un’innovazione di sicuro significato concorsuale, sia perché apre alle trattative anche con eventuali altri soggetti interessati sia perché si individua come possibile oggetto delle trattative il trasferimento coattivo dell’azienda o di suoi rami (“senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del codice civile”, art. 10, comma1, lett. d) ovverosia un esito del tutto estraneo alla previsione codicistica che aveva come unico esito positivo possibile la sola stipulazione di un accordo di diritto comune quand’anche avesse ad oggetto il trasferimento dell’azienda: si tratta, all’evidenza, di una trasmigrazione di significato istituzionale proprio delle sole procedure concorsuali nella fase negoziata, non previsto dalla Direttiva, riconducibile quindi ad una scelta lucidamente operata dalla Commissione anche con riferimento agli snodi successivi del concordato semplificato (art. 18).
Del pari, l’esito negativo della composizione negoziata è caratterizzato dall’assoluta irrilevanza concorsuale della archiviazione del procedimento, in quanto la relazione negativa dell’esperto o la chiusura della procedura per scadenza del lungo termine pure previsto (180 gg.) può al massimo comportare la cessazione degli effetti delle misure protettive e cautelari concesse da parte del giudice (artt. 6 e 7 dello stesso intervento riformatore), senza peraltro alcuna segnalazione al Pubblico Ministero pure prevista dall’art. 22 del CCII: sempre l’imprenditore potrà presentare nei sessanta giorni successivi un concordato per la liquidazione dei beni a norma dell’art. 18 dello stesso decreto.
Un’ultima considerazione: già nella relazione illustrativa al decreto legislativo di attuazione della legge delega 19 ottobre 2017 n. 153, l’intento di “semplificare l’attuale testo normativo, per molti aspetti troppo complicato e farraginoso” era ben presente e opportunamente considerato dalla Commissione, proponendosi una riarticolazione valoriale degli istituti della composizione negoziale della crisi e delle procedure minori tutta protesa alla tempestiva emersione e al consapevole governo della crisi imprenditoriale.
Ben altri dovevano essere gli interventi rivolti alla semplificazione reale del conflitto da insolvenza, quali ad esempio individuati dalla stessa legge delega del 2017 nel farraginoso sistema dei privilegi generali e speciali e nella ricostruzione del capitale semantico della giuridicità concorsuale per il tramite di un sistema informativo concorsuale votato alla contestualizzazione dell’azione esercitata da ogni attore sociale nel conflitto.
La sola idea della semplificazione non può pertanto sorreggere le ragioni dell’intervento riformatore proposto in via d’urgenza con la normativa in esame, che va pertanto correttamente ricondotto alle teorie di deregulation neoliberista del diritto fallimentare d’oltre oceano[2] ormai superate dopo la crisi finanziaria del 2008 e i danni collaterali prodotti sul sistema economico mondiale.
3. Autopoietismo societario e misure protettive
Gli elementi di maggiore novità che è dato cogliere ad una prima lettura, sia sotto il profilo del diritto commerciale che del diritto concorsuale, sono delineati negli artt. 6 - 9 dell’intervento riformatore.
E invero, all’art. 8 si prevede espressamente che l’imprenditore possa dichiarare che “dalla pubblicazione dell’istanza sino alla conclusione delle trattative o alla sua archiviazione, non si applicano gli artt. 2446, secondo e terzo comma, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma e 2482-ter del codice civile, e la non operatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, n. 4), e 2545-duodecies del codice civile. Su istanza del debitore, il provvedimento può essere pubblicato nel registro delle imprese”.
Pur nel presente quadro emergenziale[3], appaiono evidenti i motivi di perplessità insiti nella previsione in esame, laddove si considerino anche i limiti posti alla sterilizzazione delle perdite dalla normativa Covid (esercizio 2020) e al presidio codicistico costituito dalla normativa in tema di redazione ed approvazione del bilancio.
La novità proposta è nell’autopoietismo della sospensione degli istituti di diritto societario sopra richiamati, con l’iscrizione del loro regime all’interno delle misure protettive, laddove nel codice della crisi la sospensione costituiva una delle misure protettive della composizione assistita che andava concessa dal giudice (art. 20, comma 4°).
La previsione non è imposta dall’attuazione della Direttiva che lascia agli Stati membri ampio margine di manovra[4] .
Non si tratta solo della scelta autonomamente proposta dal legislatore del DL 118, della disattivazione delle regola “ricapitalizza o liquida” del diritto societario quanto piuttosto della sostituzione alla normativa presidiale sia societaria che concorsuale, di un potere di gestione quanto mai ampio dell’imprenditore in crisi che conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa (art. 9) senza alcun tendenziale obbligo conservativo ordinariamente previsto dall’art 2486 c.c.: nella sola ipotesi in cui l’imprenditore ritenga probabile l’insolvenza, la sua gestione deve evitare la realizzazione di un pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria dell’attività, concetto anche questo di nuovo conio e di assoluta elasticità descrizionale. La sostenibilità economica non è oggetto di definizione né nel CCII, né nei documenti dei DDCC, né nella letteratura economico aziendale: cosicché esso può essere inteso come redditività, efficienza, economicità, riequilibrio, condizione economica di equilibrio prospettica, e quindi richiamare parametri valutativi diversificati, come tali privi di ogni ancoraggio concettuale ed operativo ai fini della loro successiva valutazione di coerenza.
Né può dirsi che la previsione in esame sia frutto della ricezione della normativa comunitaria in quanto l’art 5 della Direttiva prevede espressamente che “ Gli stati membri provvedono affinché il debitore che accede alla procedure di ristrutturazione preventiva mantenga il controllo totale o parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell’impresa”, consentendo pertanto agli stati membri : i) di prevedere comunque forme di controllo sugli attivi ; ii) di ribadire e di rafforzare la vigenza dei criteri di generale presidio societario previsti dal codice civile all’art 2486 c.c., in coerenza con quanto la letteratura aziendale ha evidenziato sulla necessità di arginare i rischi di moral hazard nelle crisi economiche[5].
Il mutamento di paradigma rispetto alla previsione codicistica dell’art 2486 c.c. è evidente, laddove al valore presidiale insito nella “conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale”, si sostituisce il ben più indeterminato paradigma della sostenibilità economico finanziaria dell’impresa su cui successivamente innescare le valutazioni invero minori di cui all’art. 12, comma 4, dell’intervento in esame. A motivo quasi di beffa concorsuale, si afferma che “nelle ipotesi disciplinate dai commi 1, 2 e 3 resta ferma la responsabilità dell’imprenditore per gli atti compiuti”, ben sapendo che: i) il perimetro valutativo delle scelte sarà assicurato dalla semplice sostenibilità economico finanziaria, parametro questo ben diverso rispetto alla più estesa business judgement rule conservativa operante ex art. 2486 c.c. su cui ormai esiste un diritto vivente fortemente articolato per indicazioni teoriche e massime giurisdizionali[6]; ii) l’aggressione concorsuale per il tramite delle azioni espletate dalle curatele fallimentari non vale ad operare se non una minima reintegrazione del danno arrecato alla massa dei creditori, come è di notoria evidenza a tutti gli operatori del settore nei procedimenti in essere che raramente riescono a soddisfare i primi privilegiati.
Il cambio di passo appare invero notevole e altrettanto irragionevole in quanto contrariamente ad ogni principio di diritto societario, in una fase di (solamente) probabile crisi o insolvenza (art. 2), si demanda la vigenza presidiale degli istituti in esame alla semplice scelta del soggetto onerato, senza alcun vaglio selettivo degli interessi lesi dalla loro sospensione, vaglio che pure fino a pochi mesi addietro, all’atto della stesura del codice della crisi andava operata dal giudice nel corso del procedimento di composizione assistita della crisi ( art. 20 ): non senza ricordare come l’automatismo della loro introduzione veniva opportunamente riservato alle sole procedure concorsuali minori ( id est. domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione ex art. 64 CCII e domanda di concordato preventivo ex art. 89) nelle quali il presidio ordinario degli interessi tutelati dalla disciplina di diritto comune era comunque assicurato dal perimetro di operatività delle stesse procedure, con gli strumenti di intervento propri delle tecniche autorizzative e di controllo andamentale. La trasmigrazione di significato istituzionale è evidente.
Del pari, lo stesso imprenditore può richiedere l’adozione di ulteriori misure protettive e di provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative ( art. 7 ), demandandosi al giudice la conferma, modifica e revoca delle misure protettive e la concessione della misure cautelari.
Il CCII operava una netta distinzione tra misure protettive e misure cautelari, in quanto alle prime demandava la sola funzione di evitare il pregiudizio alle trattative potenzialmente insito nell’azione promossa dei creditori, laddove le misure cautelari erano solo “ i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio e dell'impresa del debitore che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza” ( art 2 CCII) .[7]
A norma dell’art 7, 4° comma, le misure protettive e le misure cautelari richieste dall’imprenditore possono incidere sui diritti di terzi, richiedendo pertanto la instaurazione del contraddittorio.
Nulla si dice sulle misure cautelari richieste e se del caso ottenute dal ceto creditorio a norma dell’art 15, 8° comma che la sospensione del procedimento di fallimento, dovrebbe comunque vanificare ex nunc; e nulla si dice sulle misure cautelari che possono essere richieste dai creditori nel tempo della negoziazione in quanto la previsione normativa non li legittima ad alcuna misura cautelare in danno nella fase, qualunque sia la condotta dell’imprenditore anche in frode : il contenuto unico della fase negoziale sotto il profilo cautelare è unilateralmente determinato dallo stesso imprenditore che potrà richiedere in danno dei terzi creditori, i provvedimenti necessari alle trattative unilateralmente introdotte, pur in presenza di un conclamato stato di dissesto e del danno già irrimediabilmente patito dalle controparti. Del resto è indicativo che solo nel concordato semplificato ( art 18, 8° comma ) e non nella fase di composizione negoziata della crisi, si opera un rimando in quanto compatibile ad una serie di disposizioni del concordato ordinario tra cui l’art 173 l fall, richiamo del tutto tardivo ed improduttivo in quanto l’indeterminatezza dei criteri di riferimento gestionale della fase negoziata riduce ogni spazio di operatività alla nozione di frode.
La velocità olimpionica (10 giorni per la fissazione dell’udienza) e telematica ( per videoconferenza) prevista dalla riforma per la conferma, modifica e revoca delle misure protettive si scontrerà con il numero delle procedure esecutive e delle istruttorie prefallimentari in essere presso ogni ufficio giudiziario, innescando una moltiplicazione numerica delle istanze di accesso al procedimento di composizione negoziata anche a procedure esecutive e prefallimentari in essere ( non potendosi emettere sentenze di fallimento fino alla conclusione delle trattative, art. 6, comma 4 ) per la sola circostanza che consente una complessiva restaurazione dei poteri gestionali ordinari e straordinari in capo all’imprenditore per un tempo estremamente ampio ( che può giungere fino a 240 gg., art. 7, 5 comma ) normalmente negata nelle procedure esecutive e concorsuali.
Il tempo del mercato assume così una dimensione rilevante, ordinariamente superiore per un bimestre alla previsione del CCII ( art 19, 1° comma), tempo che sarà raramente interrotto dal possibile parere negativo di un esperto in quanto parere insignificante perché apre alla semplice archiviazione della composizione negoziata: la storica fragilità del tessuto produttivo delle PMI come censita dalla diffusa analisi economica proposta fin dagli anni 90[8] e le necessità insite nel governo concorsuale del consolidamento di dinamiche imprenditoriali all’altezza delle sfide dei mercati globalizzati risultano pertanto oscurate in favore di un ritorno al passato grave ed immotivato.
Ma occorre dire altro: le “misure protettive” previste dall’art 6, al 5° comma espressamente prevedono una diversa ed ulteriore misura protettiva, in quanto i creditori interessati dalle misure protettive (ovverosia potenzialmente tutti) “non possono unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione , né anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti” (art 6, 5 comma) .
La disposizione in esame riproduce quanto previsto dalla Direttiva (art. 7, Conseguenze della sospensione delle azioni esecutive individuali) che peraltro demandava agli Stati membri la scelta tra contratti pendenti essenziali (di cui peraltro offriva una definizione abbastanza precisa) o contratti non essenziali, scelta non operata dal legislatore della riforma che conferisce alla gestione imprenditoriale una ampiezza invasiva della posizione dei terzi contraenti mai prima riscontrata.
Ad un primo esame, appare corretto assumere che si tratti di una misura protettiva di diritto sostanziale di nuovo conio, come tale – al pari delle altre misure protettive – autopoietica, capace di anestetizzare gli strumenti di tutela ed autotutela contrattuale di diritto comune (artt. 1186 e 1460 c.c.) quand’anche contrattualmente previste (cc.dd. clausole ipso facto): in quanto misura di diritto sostanziale, non è devolvibile in conferma, modifica o revoca da parte del Tribunale assistendo l’imprenditore per tutto il tempo necessario alle trattative dallo stesso unilateralmente introdotte (dai 120 ai 240 gg) ; in altri termini, dalla lettura della norma, l’imprenditore in probabile crisi per la sola formulazione dell’istanza di negoziazione, ha diritto di richiedere anche in via cautelare, ove necessario, l’adempimento dei contratti in essere senza che le controparti possano opporre il precedente inadempimento e senza avere alcuna garanzia di adempimento futuro se non nella certificazione rilasciata a norma del comma 2, lett.e) sulla risanabilità della impresa, quand’anche onerosa e altamente rischiosa per le controparti[9].
Del pari, colpisce la collocazione operata dal legislatore della riforma, all’interno delle misure protettive laddove la Direttiva opportunamente ne prevedeva l’introduzione all’art 7, comma 4° , come “Conseguenza della sospensione delle azioni esecutive individuali”.
La ricezione della previsione europea doveva pertanto essere più cauta, usufruendo: i) della distinzione tra contratti essenziali e non essenziali all’esercizio dell’impresa, importante per definire un perimetro quantomai delimitato alla misura, altrimenti rimessa al semplice arbitrio del ricorrente esercitabile su un numero ampio ed indeterminato di contratti; ii) della previsione per la quale è consentito agli stati membri di “conferire a tali creditori adeguate garanzie per evitare che subiscano un ingiusto pregiudizio in conseguenza di tale comma”, garanzie non riconducibili alla salvifica ed inutile prededuzione.
La norma andrà necessariamente costituzionalizzata in sede applicativa in relazione : i) alle condotte concretamente realizzate dalle parti in corso di rapporto (ad es., acquisto di beni di rilevante valore economico poco prima del deposito dell’ istanza di composizione negoziata) ; ii) alla posizione contrattuale delle singole controparti, essendo evidente la distanza, anche di posizione costituzionale, esistente tra la grande Utility e il piccolo artigiano, chiamati entrambi allo stesso sostegno alla attività di composizione negoziata della crisi con ben diversi riflessi sulla sostenibilità della propria impresa. Altrimenti intesa, nella forma generalizzata recepita, si tratta di una sorta di esecuzione forzosa dei contratti propria delle economie di guerra, mai prima conosciuta dal nostro ordinamento civile e concorsuale, non ricercata dalla stessa direttiva che evidentemente mirava ad assicurare un sostegno alle sole ipotesi ragionevoli di composizione della crisi , non semplicemente autocertificate. Né la possibilità di anticipata revoca da parte del giudice delle misure protettive e cautelari art. 7, comma 6°), varrà a reintegrare le parti nella lesione da loro inutilmente patita, per quanto forzosamente assicurato al risanamento.
È del pari previsto che “l’esperto possa invitare le parti rideterminare seconda buonafede, il contenuto dei contrati ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia SARS-Cov. (art. 10, comma 2°), salva rideterminazione iussu iudicis, dovendo ritenersi che l’eccessiva onerosità oggetto di considerazione da parte dell’esperto, sia solo quella dell’imprenditore in negoziazione e non quella della controparte.
Ma occorre dire altro: è facile ritenere che un’impresa abbia un numero piuttosto elevato di contratti in essere per le quali possa operare la misura protettiva in esame. In caso di inadempimento generalizzato delle controparti, dovrà intervenire il giudice a garantire in via cautelare, il rispetto della regola posta, sentendo i terzi incisi dalla misura protettiva in esame: il miraggio della semplificazione introduce il suo opposto, ovverosia la moltiplicazione dei procedimenti, innestando fenomeni di opportunismo processuale mai troppo deprecati .
Nel merito ulteriore, non è dato comprendere il valore assegnato alla dichiarazione avente valore di autocertificazione, della sanabilità della impresa sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’ art 7, lett d): si introduce così una nuova autocertificazione (non attestazione, si noti) estranea al tessuto linguistico vigente[10], non richiamata dall’art. 236 bis l. fall., come tale penalmente irrilevante, mirandosi per tale via alla consapevole reintroduzione di aree di impunità di cui si era evidenziata l’ assoluta gravità all’atto della emanazione dell’art 236 bis l. fall. operata in via d’urgenza nel 2012[11] allorquando il fenomeno epidemico delle facili attestazioni aveva assunto rilevanza gravemente lesiva dell’ordinamento concorsuale.
L’evanescenza dei criteri direttivi della gestione imprenditoriale nella fase è del pari evidente laddove si pone a carico dell’imprenditore la sola comunicazione all’esperto degli atti di straordinaria amministrazione e dei pagamenti eseguiti che (sempre a suo insindacabile giudizio) “non siano coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento”: a fronte di tali atti incoerenti, l’esperto potrà solo manifestare il proprio dissenso all’imprenditore medesimo e all’organo di controllo, senza alcun effetto sull’atto laddove concluso, se non quello connesso all’ iscrizione del proprio dissenso nel registro delle imprese. L’incoerenza degli atti oscura la frode, mai censita dal legislatore del DL 118, ben presente invece nel codice della crisi (art. 20, 5° comma): due visioni del mondo si susseguono a breve distanza di tempo, in una traslazione valoriale raramente conosciuta dal nostro ordinamento nei termini indicati.
Come si vede, la crisi non costituisce motivo di arginamento dei poteri dell’imprenditore, nella funzionalizzazione doverosa prevista dal codice civile ex art. 2486 c.c., aprendo così la strada all’opportunismo concorsuale da sempre criticato dalla migliore scienza aziendale[12].
La semplice apertura di un procedura di composizione assistita restaura per intero, i poteri gestionali dell’imprenditore cui è rimessa in via esclusiva la scelta della segnalazione delle operazioni e dei pagamenti ritenuti incoerenti, innescando l’ inedito meccanismo di sterilizzazione della loro rilevanza concorsuale e della loro valenza penale predisposto dall’art 12 del decreto in esame: non sono soggetti a revocatoria di cui all’art 67 gli atti di gestione ordinaria compiuti dopo l’accettazione dell’esperto “ purché coerenti con l’andamento delle trattative e nella prospettiva del risanamento dell’impresa valutata dall’esperto ai sensi dell’art 5, comma 5”, essendo assoggettabili solo gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti operati successivamente alla accettazione dell’incarico per i quali l’esperto abbia manifestato il proprio dissenso ovvero il tribunale abbia rigettato la propria autorizzazione nei limitati casi in cui la stessa è necessaria ai sensi dell’art 10, 1° comma .
Regime analogo è previsto dall’art 12, 5° comma per l’esenzione penale quanto alle disposizioni di cui all’art 216 terzo comma e 217 l. fall., esenzione assicurata per ogni operazione compiuta dall’imprenditore successivamente alla nomina dell’esperto, quand’anche oggetto di riserva da parte dell’esperto.
Rispetto alla esenzione prevista dalla legge fallimentare (artt. 67 e 217 bis l. fall.) il mutamento di regime è evidente in quanto in luogo della relazione di necessaria derivazione esecutiva tra atto e piano attestato, concordato o accordo di ristrutturazione, si sostituisce la ben più ampia ed indeterminata nozione di coerenza momentanea dell’attività realizzata rispetto alle trattive in corso e alle prospettive di risanamento, paradigma questo ben diverso rispetto alla razionalità programmatica del piano presente in tutte le procedure minori. Si amplia così, indiscriminatamente l’area dell’irrilevanza concorsuale e della esenzione penale delle condotte realizzate dall’imprenditore in crisi: non a giudizio degli organi della procedura instaurata nel paradigma costitutivo delle procedure concorsuali come pure articolato nello statuto revocatorio previsto dall’art. 67, comma 3° lett.d) ed e) l. fall. e 166, comma 3° lett. d ed e) CCII; non a giudizio del giudice penale nella valutazione di derivazione esecutiva tra atto e attestazione, accordo di ristrutturazione e concordato; ma a giudizio dell’esperto, interprete momentaneo della crisi d’impresa cui viene demandata un’elastica ed indeterminata valutazione di coerenza temporale (cfr. art. 12 5° comma. 9).
La trasmigrazione di significato istituzionale è anche qui evidente, soprattutto laddove si consideri il contesto di riferimento pan-contrattualistico nel quale l’esperto è chiamato ad operare, la debolezza di parametri valutativi sopra richiamati, l’assenza di presidio istituzionale all’atto della chiusura della fase, l’irrilevanza di ogni riserva sulla validità ed efficacia degli atti compiuti.
In altri termini, gli esiti e le valutazioni degli organi della procedura quanto a reintegrazione dell’attivo e ad esercizio dell’azione penale dipenderanno per la loro stessa formulazione, dal giudizio eventualmente formulato dall’esperto, rimettendosi allo stesso, al di fuori di ogni presidio della giuridicità concorsuale, il valore e la consistenza della tutela assicurata anche in sede penale, dalla procedura concorsuale successivamente instaurata: il valore sociale della procedura instaurata dipenderà quindi da chi sia stato chiamato ad assolvere al ruolo di esperto che privo di ogni potere di interlocuzione e segnalazione all’autorità giudiziaria (cfr. art 9, commi 4 e 5), dovrà decidere nella sua solitudine onnipotente, il futuro concorsuale delle procedure instaurate quanto a reintegrazione degli attivi e a rilevanza penale delle condotte. E quanto questa solitudine onnipotente sia in contrasto con i principi costituzionali non risulta in alcun modo vagliato, anzi silenziosamente e consapevolmente eluso.
Del resto, che si voglia in ogni modo depotenziare il sistema concorsuale delle tutele predisposte oggi dalla legge fallimentare e dal codice della crisi appare del tutto evidente laddove si limitano gli atti di intervento autorizzativo del Tribunale (art. 10) ai soli finanziamenti di terzi e di soci in prededuzione (art. 10, comma 1°, lett. a) ,b) e c) ) e alla vendita coattiva dell’azienda o di suoi rami (senza gli effetti dell’art 2560 c.c., secondo comma), senza alcuna possibilità di interruzione per “atti di frode” realizzati per la fase di composizione, interruzione invece pure prevista dall’art 20 comma 4° CCII.
Anche qui il depotenziamento concorsuale della relazione con il mercato nella vendita dell’azienda o di suoi rami appare evidente: la lunga stagione delle autorizzazioni alle vendite competitive in corso di concordato che si era istaurata in forza dell’intervento normativo pure operato nel 2015[13] con il consenso unanime dello stesso ceto imprenditoriale in ragione degli evidenti effetti distorsivi insiti nelle gestione liquidatoria dei concordati cc.dd .chiusi volge al tramonto in ragione della restaurazione operata in favore della piena titolarità della relazione con il mercato riconosciuta in capo all’imprenditore e alle modalità dallo stesso prescelte per la valorizzazione dei beni e per l’instaurazione della relazione con il mercato, ampliando così immotivatamente l’area degli opportunismi liquidatori che si era opportunamente arginata.
Del resto, gli esiti semplificati della fase negoziale (art. 11) sono indicativi dell’intento di semplificazione neoliberista perseguito: la relazione dell’esperto a fondamento dell’accordo per la continuità biennale (art 11, 1° comma lett. a), ovvero la moratoria (art. 11 lett. b) , gli accordi attestanti (art.11, lett. c) avranno poco spazio di azione, come dimostra ad una mera indagine numerica, la storia recente dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione, laddove si vuole assicurare nuova centralità ad un nuova forma di concordato. La reintroduzione del concordato semplificato costituisce l’ultima evidenza dell’operazione di complessiva restaurazione neoliberista delle procedure concorsuali proposta con il decreto in quanto: i) depotenzia nuovamente ogni meccanismo partecipativo dell’adunanza - che pure si era visto reintegrato nel proprio valore decisionale dalla modifica dell’art 178 l. fall. operata solo nel 2015 - in favore della logica binaria della opposizione, tanto deprecata per l’allocazione sul ceto creditorio di costi ulteriori rispetto alle perdite già maturate: il silenzio è quantomeno non costa nulla; ii) il sistema processuale che presidiava la ricostruzione della cause e circostanze del dissesto risulta per intero eluso, cosicché non sono consentite valutazioni aventi ad oggetto la storia dell’impresa insolvente, le ragioni del suo dissesto, il valore delle condotte osservate dall’imprenditore al manifestarsi della crisi; iii) ogni limite valoriale alla soddisfazione del ceto creditorio risulta significativamente omesso, superato nel semplicismo valutativo dell’assenza di pregiudizio (art 18, 5° comma) rispetto alla liquidazione fallimentare che, si noti, potrà essere unilateralmente svuotata dallo stesso esperto con il suo silenzio quanto a condotte poste in essere dall’imprenditore nella fase di negoziazione.
Il ruolo preponderante dell’esperto rispetto all’ausiliario nominato dal Tribunale testimonia anche qui, una trasmigrazione di significato istituzionale quale declassamento valoriale dell’azione giudiziaria: si potranno formulare proposte concordatarie al massimo ribasso con buona pace di ogni valore sociale sotteso alle istituzioni della giuridicità concorsuale; e si potrà dare corso alle vendite preconfezionate a norma dell’art 19 D.L. 118, “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”, interrompendo ogni processo di veridizione del mercato insito negli esperimenti di vendita previsti dagli artt. 163 bis e 182 L fall.
Il mercato delle soluzioni “migliori” si sostituisce agli esperimenti di vendita e alla selezione quantitativa delle offerte: la soluzione negoziata della crisi, a differenza del codice della crisi, invade il sistema concorsuale pubblico appropriandosi di suoi istituti esclusivi e anestetizzando ogni sua propensione alla giuridificazione concreta dell’economico.
Si tratta, nell’intento del legislatore del D.L. 118, di una procedura onnivora in quanto sostituirà tendenzialmente ogni altro strumento concorsuale, perché: i) rispetto al sistema responsabilizzante dei piani e delle attestazioni proprio delle procedure concorsuali minori, consentirà un margine tendenzialmente illimitato di azione e di indirizzo nella fase, selezionando unilateralmente gli interlocutori e riabilitando logiche opportunistiche d’azione, impossibili nella gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa ad es. in concordato; ii) assicura un vantaggio competitivo alla negoziazione rispetto alla introduzione diretta delle procedure minori che saranno chiamate a recepirne acriticamente il risultato in quanto mai incardinate per intero per qualità delle informazioni censite per stime operate, per storia del dissesto analizzata, per ricomposizione analitica del ceto creditorio interessato, per rilevanza delle funzioni assolte dagli organi della procedura, degradati alle funzioni di mero ausilio del giudice.
Un’ultima annotazione: si provvede opportunamente ad una determinazione per fasce del compenso dovuto all’esperto, stabilendo altresì un tetto massimo e facendo peraltro gravare sullo stesso ogni onere professionale ulteriore per ausiliari dallo stesso nominati, senza peraltro che si operi una altrettanta opportuna e doverosa parametrazione dei compensi dovuti ai professionisti che assistono l’imprenditore, cui viceversa viene lasciato una libertà illimitata di incarico e di spesa, rilevante per la massa dei creditori quand’anche privilegiato nel successivo concorso, Eppure ai tavoli internazionali, l’Italia era additata come uno dei paesi più dispendiosi per i costi professionali esterni delle procedure concorsuali : un semplice report delle procedure concorsuali maggiori e medie operato dal Ministero con richiesta agli uffici giudiziari consentirebbe di censire il costo e di intervenire opportunamente anche su tale fronte.
Non senza evidenziare come l’intervento riformatore consente al tribunale la nomina di un semplice ausiliario ex art 68 c.p.c. tanto nella fase di composizione negoziale della crisi che nel successivo concordato semplificato, spostando pertanto tutto il valore delle professioni concorsuali fuori degli uffici giudiziari. Anche questo depotenziamento professionale costituisce un dato di assoluta rilevanza sistemica che andava considerato, in un quadro teorico che sempre più ha riscoperto ed attualizzato la tutela regolatoria delle istituzioni della giuridicità facendo propri i richiami dell’economia istituzionale.[14]
4. Conclusioni
In esito a queste prime note, appare invero evidente il tentativo di superare una stagione concorsuale precedente che aveva dato ingresso ad un riposizionamento strategico delle istituzioni della giuridicità concorsuale quantomai ampio e condiviso, i cui risultati erano rifluiti nel codice della crisi. Si tratta in tutta evidenza, di un’operazione di complessivo riposizionamento di istituti propri della concorsualità minore fuori dalle istituzioni della giuridicità concorsuale senza alcun limite intrinseco e controllo ab externo, cosicché a differenza che nel codice della crisi, dopo la composizione dispositiva della crisi qualunque ne sia l’esito, alle istituzioni della concorsualità non resterà che una formale presa d’atto di quanto aliunde realizzato: la forma dell’acqua[15], ovverosia la forma che l’acqua assume a seconda del contenitore in cui è versata. Non senza considerare che la negoziazione può essere propulsiva solo se coerentemente decifrata e delimitata, in quanto “la dinamica del contratto non può colmare l’asimmetria informativa connaturata a ogni rapporto economico, al contrario tende a formalizzarla”[16].
Si tratta di una nuova ed estremistica formulazione del neoliberismo concorsuale che non assume a paradigma costitutivo l’impresa come delineata dall’art 3 del codice della crisi, coerente con uno scenario internazionale nel quale l’impresa stessa è chiamata costantemente alla riformulazione delle proprie condizioni di esistenza valoriale in una competizione sempre più incentrata prioritariamente sulla qualità dei prodotti e delle strategie : è in altri termini estraneo al tessuto normativo in esame, ogni valutazione del contesto storico economico in cui si colloca l’impresa italiana come vissuta nell’economia dei distretti negli anni 90 ed oggi riarticolata nella sua formulazione più significativa nella sua relazione con i mercati globali propria del c.d. quarto capitalismo.
L’analisi economica ha da tempo evidenziato la necessità di superare il nanismo imprenditoriale per il tramite di spinte alla crescita consapevole del fare impresa, da attuarsi anche per il tramite di una riformulazione del proprio statuto dimensionale da perseguirsi anche per il tramite del sistema concorsuale capace di sorreggere ab externo anche tale crescita allocativa [17]. L’emersione precoce della crisi che pure costituiva il tratto distintivo forte del sistema concorsuale del CCII, non si propone nel D.L. 118 come paradigma organizzativo necessitato dell’impresa del terzo millennio ma come opzione meramente discrezionale dell’imprenditore che va liberato nella crisi da ogni vincolo concorsuale in essere o potenziale.
Si tratta di una svalutazione competitiva del sistema concorsuale paragonabile alle svalutazioni competitive degli anni 90: così come attuato dalle autorità monetarie nel passato per assicurare competitività internazionale alle imprese italiane inefficienti, si provoca il deprezzamento dell’intero sistema concorsuale per favorire la conservazione acritica di un tessuto imprenditoriale in crisi senza considerare i costi diretti ed indiretti accollati al sistema complessivo del paese, aprendo così la strada ad una concorrenza concorsuale quantomai deleteria per il tessuto imprenditoriale sano. Rispetto all’ alternativa codicistica posta dalla regola legale del «ricapitalizza o liquida» prevista dall’art 2446 ultimo comma, la composizione negoziata della crisi si propone come alternativa concretamente praticabile all’atto della semplice “probabilità di una crisi” in quanto lascia di fatto inalterati i codici distintivi della gestione imprenditoriale, ricollocandola opportunisticamente nella relazione con il ceto creditorio per consentire di coglierne con le asimmetrie informative, le possibili debolezze e i vantaggi locupletativi connessi[18] .
Del resto, non risulta mai troppo evidenziato come gli esiti di una procedura di rinegoziazione del debito costituiscano pur sempre “sopravvenienze attive” che, al pari del conferimento operato a copertura delle perdite, opereranno come voce del patrimonio dell’impresa. La nuova regola sarà dunque ricapitalizza o liquida o rinegozia, cosicché l’impresa in crisi si rinsalda e consolida nei propri assets non per nuovo capitale di rischio ma per il capitale indirettamente versato dal ceto creditorio nella negoziazione: i rischi di una selezione avversa concorsuale [19]risultano di palmare evidenza, come la letteratura economica ormai insegna innescando fenomeni di concorrenza concorsuale delle imprese in crisi sul tessuto produttivo sano da sempre analizzati e contrastati dalla letteratura economica di settore.
La crisi Covid e la necessità di attuazione della direttiva europea sono solo motivazioni apparenti di un tale intervento controriformatore che mira alla riformulazione complessiva del “paradigma” del diritto dell’impresa elettivamente riformulato dal CCII, innescando processi di precarizzazione delle aspettative contrattuali a tutto vantaggio di un trasformismo imprenditoriale votato alla sua preservazione qualsiasi sia il danno arrecato al sistema economico del paese: del resto, il valore-fine tutelato dalla stessa direttiva è sempre quello della tutela dei creditori per il tramite della conservazione dei compendi nei soli limiti in cui ne costituisca strumento, essendo quantomeno improprio assegnare alla conservazione dell’impresa un improprio assunto valoriale autopropulsivo per il mercato unico. E d’altro canto, se la logica di contrasto al Covid imponesse tale “capovolgimento valoriale” quale quello prospettato dall’intervento in esame, non si capisce come mai l’Unione non ha subito messo in cantiere una revisione della Direttiva orientata in tale direzione.
Con il D.L. in esame, si depotenziano i sistemi e i luoghi di veridizione[20] concorsuale in favore di non luoghi per loro natura non sistematici, onnivori in quanto capaci di incidere negativamente sul valore della giurisdizione successiva per il solo fatto di essere abilitati ad una relazione precedente con l’impresa in crisi quand’anche improduttiva ai fini del risanamento della impresa in crisi: il valore del tempo e delle dinamiche temporali dei luoghi di veridizione giuridica dell’insolvenza risulta invero del tutto rovesciato, senza che la somma complessiva dei costi e dei tempi giustifichi razionalmente una politica concorsuale a così gravosa incidenza sul tessuto produttivo sano del paese. Il costo della deregolation concorsuale proposta appare chiaro laddove si abbia riguardo anche alla recente storia delle crisi economiche e alla indispensabilità per il corretto funzionamento del mercato, dell’azione di presidio esercitata dalle istituzioni della giuridicità concorsuale[21].
Ancora una volta dopo l’esperienza negativa delle attestazioni e dei concordati preconfezionati, si riformula un paradigma che vede all’opera il mercato negoziatore come tribunale economico, che abilita più soggetti privati alla loro interlocuzione per quanto ricoperti da appena un velo di terzietà (vedi esperto), in una moltiplicazione apparente di senso concorsuale non sorretta da alcun estremo di ufficialità accertativa, con un aumento di costi e senza alcuna obbligazione di risultato : si tratta di una ipotesi fortemente eversiva del sistema anche costituzionale delle tutele e del fondamento sociale della moderna impresa, epilogo provinciale di un neoliberismo economico ormai da tempo non più imperante nel quadro teorico interno ed internazionale. La concezione liberale dello Stato non presuppone il totale ritiro del diritto dallo spazio ove si svolgono le negoziazioni[22] bensì il suo contrario in quanto è necessario che l’ordinamento tuteli le strutture del mercato con norme imperative e non derogabili dai negoziatori, soprattutto preservando l’autenticità del conflitto dalle asimmetrie informative e dagli opportunismi concorrenziali, anche per il tramite del presidio assicurato dalle istituzioni della giuridicità concorsuale.
Guido Rossi, con severa lucidità, ha scritto[23]: “ se si considera che in questa zona – nella zona cioè sottoposta alle libere e in qualche misura sempre arbitrarie , scelte degli amministratori – si possono commettere in totale impunità abusi molto più gravi di quelli derivanti dal mancato adempimento di obblighi e doveri prescritti per legge, si comincia ad avere una idea più precisa di ciò che il diritto può ( soprattutto di ciò che non può ) fare per garantire ai nostri mercati un coefficiente minimo di correttezza e trasparenza”.
Non resta che resistere, resistere, resistere.
[1]Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza) (Testo rilevante ai fini del SEE).
[2]Baird D. e Rasmussen R. The End of BankRuptcy, Stanford Law Review, 55 2002; per una critica feroce, si veda Stiglitz J, Bancarotta. L’economia globale in caduta libera, 2010, pagg. 283 e ss.
[3] Non si ignora il quadro normativo di riferimento come recentemente innervato dall’intervento operato dal legislatore COVID attraverso la Legge di Bilancio 2021 (L. 30.12.2020, n. 178, in G.U. n. 322 del 30.12.2020) con la quale, in linea con le misure a sostegno delle imprese e gli incentivi premiali ad esse concessi, sono state temporaneamente sterilizzate le perdite emerse nell'esercizio 2020, permettendo così il loro riassorbimento in un arco temporale di cinque anni (in sede di approvazione del bilancio al 31.12.2025), purché espressamente indicate nella nota integrativa con specifica indicazione della loro origine. Sul punto Bini, Dibattito sulle novità introdotte dal legislatore in tema di bilanci e di valutazioni per contrastare l'emergenza Covid, in Soc., 2021, 200; Busani, Quinquennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, in Soc., 2021, 201 ss.
[4] Considerando 96: Gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a derogare al diritto societario, interamente o parzialmente, per un periodo di tempo indeterminato o limitato, se garantiscono che le prescrizioni di diritto societario non possano compromettere l'efficacia del processo di ristrutturazione o purché dispongano di altri strumenti ugualmente efficaci per garantire che gli azionisti non ostacolino indebitamente l'adozione o l'attuazione di un piano di ristrutturazione che potrebbe ripristinare la sostenibilità economica dell'impresa. In questo contesto, gli Stati membri dovrebbero attribuire particolare importanza all'efficacia delle disposizioni sulla sospensione delle azioni esecutive individuali e sull'omologazione del piano di ristrutturazione, che non dovrebbero essere indebitamente pregiudicate dalle convocazioni o dai risultati dell'assemblea degli azionisti.
[5] Stiglitz, Bancarotta. L’Economia globale in caduta libera, cit., pagg. 218 e ss.
[6] Per le sentenze più recenti, si veda ex multis Cass. Ord. 12 marzo 2012 n. 3902; Cass. 12 agosto 2009 n. 1823; Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano 2005.
[7] Scarselli G., Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi dell'impresa, in Judicium.it. che opportunamente rileva che mentre le misure cautelari di cui al CCII sono corrispondenti a quelle presenti nel diritto civile, le misure protettive rappresentano una assoluta novità poiché con esse non si chiede al giudice un provvedimento in funzione di un diritto, ma un provvedimento “contra ius in funzione della regolazione della crisi” Pagni, La tutela cautelare del patrimonio e dell'impresa nell'art. 15 l. fall. alla luce della novità della l. 7 agosto 2012, n°134, in Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, a cura di Fimmanò, Milano, 2012, 438; Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, in Riv. dir. proc., 2019, 851.
[8] Onida, Se il piccolo non cresce: piccole e medie imprese italiane in affanno, Il Mulino, 2004.
[9] Sula valore presidiale di tali norme, si veda per tutti Galletti D, La ripartizione del rischio di insolvenza, 2006.
[10] Treccani : Nel linguaggio burocr., dichiarazione o attestazione eseguita dal cittadino sotto la propria responsabilità. Può riferirsi a dati anagrafici o al possesso di requisiti e sostituisce il certificato rilasciato dall’ufficio competente. Per estens., il modulo (o il foglio) che la contiene.
[11] L’art 236 bis è stato infatti introdotto dall'art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
[12] Sulle criticità comportamentali dell’imprenditore e del management nelle aziende in crisi e sui limiti soggettivi di proposizione di efficaci percorsi di risanamento, si veda Luigi Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Giuffré, Milano, 1986; Paolo Bastia, Crisi aziendali e piani di risanamento, Giappichelli, Torno, 2019.Sergio Sciarelli, La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, Cedam, Padova, 1996. Si veda altresì il recente documento del CNDCEC, Principi di attestazione dei piani di risanamento, dicembre 2020, in particolare a pag. 47 (in collaborazione con l’AIDEA, Accademia Italiana di Economia Aziendale).
[13] Articolo aggiunto dall'art. 2, comma 1, del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132. Si ricordano i casi La Perla e San Raffaele come vendite preconfezionate inefficienti.
[14] North Douglass, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Bologna 1994 , in particolare, pagg. 87 e ss.
[15] The Shape of water di Gulliermo Del Toro.
[16] G. Rossi, I, Gioco delle regole, 2006, pag.42.
[17] Si veda sul punto, Amatori, F., La grande impresa, in Storia d'Italia. Annali, vol. XV, L'industria (a cura di F. Amatori, D. Bigazzi, R. Giannetti, L. Segreto), Torino: Einaudi, 1999, pp. 691-753. Il Quarto Capitalismo. Un profilo Italiano; Andrea Colli, Pierluigi Ciocca, Ricchi per sempre, 2020; A. Giunta, Rossi S., Cosa sa fare l’Italia, Bari 2017.
[18] G. Rossi, Il conflitto epidemico, pag. 41 “ Quando gli interessi in gioco da individuali passano a essere collettivi, e riguardano intere categorie di loro diritti, l’autotutela contrattuale non è più sufficiente ad evitare che l’opportunismo dei “forti” schiacci gli interessi dei deboli”.” E più avanti , “ Nelle situazioni giuridiche complesse che riguardano interessi diffusi, l’uso dello strumento contrattuale può dunque produrre effetti opposti a quelli desiderati”.
[19] Sulle tematiche della selezione avversa e dell’azzardo morale , Stglitz J., Informazione, Economia pubblica e macroeconomia, 2002.
[20] Foucault, Nascita della biopolitica, Milano, Feltrinelli 2005, p.32.
[21] Rossi S., Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale, 2009, soprattutto 48 e ss.
[22] Irti N. L’ordine giuridico del mercato, Bari, Ferri G.B. La cultura del contratto e le strutture del mercato, in Riv. Dir. Comm. 1997, I, pp 843; Lipari n.” Spirito liberista” e “spirito di solidarietà” in Riv. Trim. dir. Proc. Civ. 1997, 23.
[23] Rossi G., Il conflitto epidemico, 2003, pag.37.