ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Premessa: lo status internazionale della Palestina e la risoluzione del PE – 2. La constatazione dell’esistenza di una profonda crisi umanitaria determinata dalle scelte operative e militari dello Stato ebraico – 3. La richiesta di cessate il fuoco e il diritto di Israele all’autodifesa – 4. Il sostegno ai Tribunali internazionali e alla Commissione Europea nella conduzione di un’indagine sulla violazione del diritto internazionale – 5. Lo stop all’invio di armi, il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani a Gaza e la sospensione degli accordi con Israele – 6. Il sostegno alla soluzione a due stati e la condanna delle politiche israeliane – 7. Alcune considerazioni sulla Risoluzione in commento.
1. Premessa: lo status internazionale della Palestina e la risoluzione del PE
Lo status internazionale della Palestina vede, ad oggi, l’esistenza di due blocchi contrapposti; da un lato – quello maggioritario e le cui fila, dall’inizio della guerra di Israele nella Striscia di Gaza, crescono costantemente – che ne riconosce l’entità statale e dall’altro quello – decisamente minoritario – che no.
In particolare, dopo il recente riconoscimento dello Stato Palestinese da parte di Australia, Canada,\ Francia, Lussemburgo, Portogallo, Principato di Monaco e Regno Unito, sono 150 gli Stati membri delle Nazioni Unite che formalmente prendono atto dello natura statuale della comunità palestinese, nel territorio attribuitole dal diritto internazionale.
A tal proposito, giova ricordare come con la risoluzione 181 del 29.11.1947 l’Assemblea approvò il c.d. “piano di ripartizione della Palestina”, che previde – terminato il mandato britannico sull’area – l’istituzione di due Stati sovrani: la Palestina, a maggioranza araba, e Israele, a maggioranza ebraica. Qui vennero altresì, di modo ben chiaro, stabiliti i confini fra i due stati, mentre Gerusalemme sarebbe dovuta essere amministrata dall’ONU e dotata di uno statuto autonomo.
Lo Stato di Palestina, secondo il piano predetto delle Nazioni Unite, sarebbe dovuto essere uno stato sovrano e indipendente, con capitale Gerusalemme est. I confini dello Stato palestinese si rinvengono, sempre sulla scorta delle risoluzioni ONU nn. 242 e 338 in quelli precedenti alla guerra di sei giorni del 1967 – da qui il nome, “confini del ‘67’’ – riconoscendo invece le conquiste del 1948, che già scardinarono la mappa disegnata dall’originario piano di ripartizione.
La corte internazionale di Giustizia, pur rimanendo controverso lo status dello Stato Palestinese[1], si è del resto pronunciata circa l’illegalità, sotto il profilo giusinternazionalistico, dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi: da ultimo, lo ha fatto con il parere consultivo n. 57 reso il 19.7.2024[2], reso su richiesta dell’Assemblea delle Nazioni Unite[i], in cui è stato ribadito come:
In data 11.9.2025 il Parlamento Europeo (con 305 voti favorevoli, 151 contrari e 122 astensioni) ha adottato una risoluzione in 34 punti, che è concettualmente possibile ripartire come segue: 1) la constatazione dell’esistenza di una profonda crisi umanitaria determinata dalle scelte operative e militari dello Stato ebraico; 2) la richiesta di cessate il fuoco e il diritto di Israele all’autodifesa; 3) il sostegno ai Tribunali internazionali e alla Commissione Europea nella conduzione di un’indagine sulla violazione del diritto internazionale; 4) lo stop all’invio di armi, il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani a Gaza e la sospensione degli accordi con Israele; 5) il sostegno alla soluzione a due stati e la condanna delle politiche israeliane.
2. La constatazione dell’esistenza di una profonda crisi umanitaria determinata dalle scelte operative e militari dello Stato ebraico
Al punto 1 della risoluzione in commento il Parlamento Europeo esprime seria preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza; vengono, invero, evidenziate le gravi carenze alimentari e la malnutrizione ben diffuse nonché l’inclusione – negli obiettivi militari di Israele – di personale medico e strutture sanitarie.
Viene quindi chiesto, allo stato ebraico, di garantire un accesso pieno, sicuro e senza ostacoli a cibo, acqua, forniture mediche, riparo nonché il ripristino immediato delle infrastrutture vitali, con contestuale sollecitazione, rivolta a tutte le parti, di rispettare i propri obblighi umanitari ai sensi del diritto internazionale.
A ciò si accompagna, ai punti 2, 3 e 4, la condanna del blocco degli aiuti umanitari a Gaza da parte del governo israeliano, ivi evidenziandosi come ciò abbia determinato l’insorgenza di una carestia nella parte settentrionale della striscia di Gaza, chiedendo l’apertura di tutti i valichi di frontiera. Ne consegue un invito a ripristinare con urgenza il mandato e i finanziamenti dell’UNRWA, previo un controllo rigoroso delle attività dei soggetti operanti nell’Agenzia, ritenendo del tutto insufficiente ed inefficiente l’attuale sistema di distribuzione degli aiuti; a ciò si aggiunge anche una richiesta, rivolta a tutte le parti, di un maggiore impegno per garantire che gli aiuti raggiungano in maniera sicura tutti i civili.
3. La richiesta di cessate il fuoco e il diritto di Israele all’autodifesa
Nel punto 5 della risoluzione emerge una chiara richiesta di ‘‘cessate il fuoco immediato e permanente’’, con contestuale rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza, sia vivi che deceduti, con un invito rivolto all’Unione Europea e agli Stati membri di avvalersi della loro influenza diplomatica per far sì che Hamas accetti di liberare tutti gli ostaggi. Dopodiché, i tre punti che seguono sono incentrati sulla condanna dei “crimini barbari” di Hamas contro Israele; i deputati chiedono, infatti, che al gruppo terroristico vengano irrogate sanzioni concrete, ribadendo l’impegno per la sicurezza di Israele e il suo “inalienabile diritto all’autodifesa” nel rispetto del diritto internazionale, evidenziandosi come lo stato ebraico resti un partner strategico dell’UE nella lotta al terrorismo nell’area. Il riferimento è poi agli Houti, a Hezbollah e all’Iran, considerate minacce esistenziali per Israele, a cui viene riconosciuto il diritto di adottare tutte le contromisure necessarie per contrastare e attenuare le aggressioni della Repubblica Islamica.
Nel prosieguo (punto 9), però, il Parlamento afferma che tale diritto non possa giustificare azioni militari indiscriminate a Gaza e nella regione; le operazioni militari condotte nella Striscia di Gaza, invero, vengono considerate come causa di sofferenze insopportabili per la popolazione civile, posto che Hamas – dal canto suo – ha utilizzato gli abitanti come scudi umani. Viene poi rimarcato (punto 10) come a Gaza sia stato ripetutamente violato il diritto internazionale umanitario e, conseguentemente, siano stati parimenti offesi i diritti umani degli abitanti della Striscia, per via dei trasferimenti di massa della popolazione civile residente. Ne segue un invito, rivolto a Israele, a cessare le pratiche che provocano danni sproporzionati ai civili, la distruzione delle infrastrutture e gli sfollamenti forzati.
Viene poi ribadita la condanna di Hamas, definita esplicitamente quale organizzazione terroristica da sradicare che – in ragione dell’ideologia fondante il gruppo – non potrà essere considerato un interlocutore politico dall’Unione Europea; esso, così come altre organizzazione terroristiche, per i deputati europei non deve quindi mantenere il controllo politico e militare sulla striscia (punti 11 e 12).
4. Il sostegno ai Tribunali internazionali e alla Commissione Europea nella conduzione di un’indagine sulla violazione del diritto internazionale
Il Parlamento Europeo riconosce poi la Corte Penale Internazionale come soggetto titolato all’emissione di mandati di arresto internazionale, che devono essere eseguiti dagli Stati membri, e la Corte Internazionale di Giustizia come istituzione deputata a vigilare sul rispetto del diritto umanitario a Gaza.
Il sostegno a entrambi i Tribunali, dunque, appare strategico per una corretta attuazione del diritto internazionale, garantire una pace duratura ma anche far sì che si dia corso al principio di responsabilità per coloro che hanno determinato il verificarsi di sistematiche violazioni dei diritti umani nella Striscia. In tale ottica:
- viene espressa indignazione verso l’uccisione di 248 giornalisti e 508 operatori umanitari dall’inizio delle operazioni militari a Gaza, chiedendo che vengano condotte indagini indipendenti per accertare le responsabilità di queste morti;
- si esorta la Commissione a tutelare in tutti i modi possibili la CPI e i suoi operatori, allo scopo di promuovere l’universalità e l’integrità dello Statuto di Roma;
- si evidenzia l’essenzialità di un’indagine esauriente su tutti i crimini di guerra e le violazioni del diritto internazionale e chiamare tutti i responsabili a rispondere delle loro azioni (punti 13, 14, 15 e 16).
Va rilevato come, al punto 17, i deputati riconoscano ancora una volta la ricorrenza di una carestia a Gaza (si veda anche par. 1) e la commissione di crimini a essa relativi; ciò attraverso il sostengo alle azioni e a campagne della società civile.
Nella risoluzione, viene poi sostenuta la decisione della presidente della Commissione europea di:
- sospendere il sostegno bilaterale dell’UE a Israele nonché, almeno parzialmente, l’accordo UE-Israele in materia commerciale;
- sanzionare i coloni e attivisti israeliani violenti nella Cisgiordania illegalmente occupata e a Gerusalemme Est in genere, ma – specificatamente – anche i ministri israeliani Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir e qualunque altro esponente di governo sia coinvolto in attività estremiste legate alla creazione di centri israeliani in territorio palestinese, introducendo il tema della soluzione a due Stati (punto 20).
5. Lo stop all’invio di armi, il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani a Gaza e la sospensione degli accordi con Israele
Dopo aver esortato gli Stati membri a bloccare le forniture di armi a Israele, giacché vi è il concreto rischio che queste vengano utilizzate per commettere crimini di guerra e determinare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario (punto 21), il Parlamento evidenzia come il servizio europeo per l’azione ha rilevato la palese violazione – da parte dello stato ebraico – dei suoi obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele (punto 22).
I Deputati europei esprimono poi il proprio sostegno alla Presidente della Commissione in ordine alla sospensione del sostegno bilaterale dell’UE a Israele, senza pregiudicare il lavoro dell’UE con la società civile israeliana o Yad Vashem. Inoltre, il Parlamento appoggia altresì la proposta di una sospensione parziale, relativa agli aspetti commerciali, dell’accordo di associazione UE-Israele (punto 23).
6. Il sostegno alla soluzione a due stati e la condanna delle politiche israeliane
Il Parlamento europeo ribadisce poi il proprio impegno a favore di una soluzione a due stati sovrani e democratici, sulla base dei confini del 1967, che convivano pacificamente nel rispetto del diritto internazionale (punto 24).
Inoltre, esorta sia gli Stati membri che le Istituzioni europee ad adottare tutte le misure diplomatiche possibili per garantire l’impegno dell’Unione in tale senso, in vista dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si è tenuta nel settembre 2025 (punto 25). Viene dopodiché sottolineata la necessità di una completa smilitarizzazione di Hamas, che – come già evidenziato prima (vedi supra par. 2) deve altresì essere escluso dal governo della Striscia, chiedendo il ritorno di un’Autorità palestinese riformata come unico organo di governo (punto 26).
Secondo i deputati, la creazione di uno Stato di Palestina è fondamentale per promuovere una pace duratura e rafforzare la sicurezza di Israele, così da raggiungere una normalizzazione regionale (punto 27); gli Stati membri, inoltre, sono invitati a valutare la possibilità di riconoscere lo Stato di Palestina per sostenere la soluzione dei due Stati. Nel far ciò, ribadiscono ancora la necessità che gli ostaggi vengano rilasciati e che Hamas, definita un’organizzazione terroristica, non abbia alcun ruolo nel futuro di Gaza (punto 28).
Ai punti 29 e 31, poi, il Parlamento condanna – da un lato – le pratiche di ritorsione israeliana verso gli Stati membri che intendono riconoscere lo Stato Palestinese o lo hanno già fatto, mentre – dall’altro – le politiche volte all’ampliamento delle cosiddette “colonie”, siti ebraici illegali nel territorio della Cisgiordania; in merito, viene dato atto della circostanza che lo Stato ebraico conduce una campagna di espansione, come dimostra il piano insediamento nella zona E1 della Cisgiordania occupata, che di fatto separerebbe tale area da Gerusalemme Est e renderebbe impossibile una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati.
La soluzione a due Stati viene, dunque, indicata come l’obiettivo diplomatico dell’Unione Europea, che deve essere perseguito anche mediante la ferma condanna dei coloni e delle loro azioni violente, chiedendo che non vengano acquistati dai paesi membri i prodotti delle zone occupate e che venga sospesa o negata la partecipazione ai programmi di ricerca unionali (punto 32).
A chiosa della risoluzione, al di là della richiesta di trasmissione dell’atto a Istituzioni europee e Stati membri e ai soggetti interessati dal conflitto (punto 34), i deputati esprimono preoccupazione per le ricadute globali del conflitto, considerato l’aumento di attacchi contro i cittadini israeliani e, in generale, dell’antisemitismo (punto 33).
7. Alcune considerazioni sulla Risoluzione in commento
In un clima internazionale estremamente teso, anche sul fronte dell’Asia occidentale, il Parlamento Europeo ha evidentemente tentato una difficilissima operazione di equilibrio fra le istanze di Israele – storicamente il principale partner dell’area nonché quello che ha più strette e maggiori relazioni diplomatiche con l’Unione, con cui è persino legato da un peculiare accordo di associazione[ii] che ne agevola l’accesso allo spazio europeo – e il superamento dello stallo in cui si trova oramai il popolo palestinese, attanagliato, a Gaza, da un’invasione dalla elevatissima portata distruttiva mentre, in Cisgiordania, assiste a una lenta ma inesorabile erosione del proprio territorio.
Nel far ciò, il Parlamento Europeo si rivolge costantemente a entrambe le parti, evidenziandone le responsabilità di modo alternato, con ritmo testuale costante.
Invero, pur riconoscendo la natura illegale dell’azione di Israele dopo il 7 ottobre (molteplici, invero, i riferimenti ai crimini di guerra, alla carestia, al mancato rispetto del diritto umanitario) i deputati non mancano di definire Hamas quale gruppo terroristico che deve essere esautorato da ogni governo della Striscia, che ha persino utilizzato la propria popolazione quale scudo umano e che ha contribuito ad ostacolare la distribuzione degli aiuti internazionali, come si intende dall’invito a tutte le parti a consentire il corretto funzionamento della catena di distribuzione.
I deputati, poi, estendono lo sguardo verso la ricerca di una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese, attraverso la effettiva creazione di due stati autonomi, condannando le politiche di espansione di Israele in Cisgiordania, ma anche riconoscendone il diritto all’autodifesa, peraltro menzionando Iran e Houti come minacce esistenziali per lo stato ebraico.
Non manca, poi, una netta presa di posizione da parte del Parlamento Europeo rispetto alla violenta campagna militare condotta dallo stato ebraico, nei cui confronti si chiede tanto di sospendere le forniture militari, con un significativo riferimento alla possibilità che armi prodotte nello spazio dell’Unione possano essere utilizzati per commettere crimini di guerra.
In ultimo, risalta altresì la richiesta di sospensione – almeno parziale – del sopracitato accordo di associazione fra l’UE e Israele, con contestuale adozione di sanzioni nei confronti delle personalità politiche che hanno determinato l’insorgenza delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nel corso dell’operazione militare israeliana a Gaza.
Quanto esaminato e finora rappresentato, va letto alla luce della relazione della Commissione ONU sui territori occupati[4], pubblicata il 16.9.2025, che ha affermato come Israele vada ritenuto responsabile del delitto di genocidio, fornendo alcune raccomandazioni volte a interrompere le azioni illegali e ad evitare la commissione di nuovi crimini[5].
Del resto, il 24.1.2024 anche la CIG si era già pronunciata in senso positivo circa il rischio di genocidio nei confronti del popolo palestinese, seppure in via cautelare, indicando alcune condotte che Israele avrebbe dovuto mantenere allo scopo di scongiurare condotte violative della convenzione di Ginevra del 1948[6].
A ciò, in un momento di profonda crisi del diritto internazionale, le cui Istituzioni divengono oggetto di discredito da parte di attori di primo piano (anzitutto, ad esempio, gli Stati Uniti), si ricollega evidentemente l’appello del Parlamento – non di secondaria importanza – di riconoscimento della CIG e della CPI quali soggetti super partes deputati all’accertamento delle responsabilità dei soggetti che hanno determinato l’insorgenza di una situazione umanitaria gravissima e che, potenzialmente (dovendosi, sempre, attendere un giudizio prima di affermare assertivamente la ricorrenza di qualsivoglia responsabilità individuale), si sono macchiati di crimini contro l’umanità.
Più voci si sono peraltro interrogate circa il valore, oggi, del riconoscimento della Palestina come entità statale; avuto riguardo al pacifico credito della teoria dichiarativa a scapito di quella costitutiva (vedi supra par. 1), a detta domanda se ne accompagna un’altra con cui si pone in rapporto di inestricabilità: cosa resta, oggi, dei territori palestinesi.
La risposta, probabilmente più materia di geopolitica che diritto internazionale, è ovviamente complessa; nondimeno, si ritiene possa comunque partirsi dal dato dell’obiettiva esistenza di un’autorità autonoma su alcuni dei territori palestinesi. Un’autorità compressa, certamente in difficoltà, ma che comunque governa un popolo e un territorio ed è, come dimostra anche la presenza nei consessi internazionali, in grado intessere relazioni.
Ed è per questo che, al di là dell’indubbio valore politico del riconoscimento dello stato palestinese da parte di attori internazionali che hanno cambiato la propria postura proprio in relazione alle azioni di Israele a Gaza a séguito del 7 ottobre 2023, tale presa d’atto appare tutt’altro che superflua o meramente simbolica.
Peraltro, il 12.9.2025 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha, anche con il voto favorevole dell’Italia, approvato una Risoluzione che sostiene il ricorso alla soluzione a due stati, con i territori palestinesi sotto il controllo dell’Autorità Palestinese.
A questo punto non può che menzionarsi l’accordo – siglato il 9 ottobre scorso – che ha determinato, almeno per ora, la fine del conflitto su larga scala[7]; denominato “Passi di attuazione per la proposta del presidente Trump per una ‘fine completa della guerra di Gaza’”. Il documento in sei punti prevede, oltre alla cessazione delle ostilità, l’ingresso di aiuti, il ritorno a casa degli ostaggi israeliani del 7 ottobre, vivi e morti, nonché il rilascio di circa 2000 palestinesi detenuti nelle carceri dello stato ebraico.
Quanto avvenuto, oltre all’indubbio valore storico del ritiro dell’IDF dalla Striscia di Gaza, non solo rappresenta una concretizzazione di quanto auspicato dai parlamentari al punto 2) della risoluzione oggi commentata, ma corrobora quanto appena detto a proposito della tempestività del riconoscimento della Palestina quale stato autonomo, Gaza inclusa.
[1] Con la risoluzione 67/19 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Palestina è divenuta Stato Osservatore non membro, similmente a quanto avviene per la Santa Sede. In merito, va evidenziato come secondo la "teoria dichiarativa", uno Stato possa definirsi tale laddove controlli un territorio (primo elemento) abitato da una popolazione (secondo elemento) e sia dotato di istituzioni autonome che ivi esercitino effettivamente la propria sovranità (terzo elemento); si veda, sul punto, JELLINEK G., Teoria generale del diritto dello Stato, Giappichelli, 2024. La Convenzione di Montevideo del 1933, all’art. 1, ha fatto propria la appena richiamata teoria dichiarativa dello stato, aggiungendo un quarto elemento necessario ai fini della dichiarazione di esistenza di uno stato: la capacità di stringere relazioni internazionali.
Quanto appena rassegnato si contrappone alla c.d. "teoria costitutiva", per la quale il riconoscimento da parte degli altri Stati esistenti è condizione necessaria perché un soggetto possa diventare uno "Stato sovrano", a prescindere dall’apprezzamento della situazione di fatto. Cfr., circa la distinzione appena richiamata, CASSESE A., Diritto internazionale, Mursia, 2006.
[2] Si veda, per un analisi dell’ atto de quo, DETTORI L., Il crescente ruolo strategico della Corte internazionale di giustizia nel conflitto israelo-palestinese, 2024, https://www.diritticomparati.it/il-crescente-ruolo-strategico-della-corte-internazionale-di-giustizia-nel-conflitto-israelo-palestinese/.
[3] Sul punto si veda, COVELLA M.T., Il ritorno della Corte di Giustizia sulla scena del diritto internazionale: il parere sul conflitto israelo-palestinese https://www.giustiziainsieme.it/it/costituzione-e-carta-dei-diritti-fondamentali/3509-il-ritorno-della-corte-di-giustizia-sulla-scena-del-diritto-internazionale-il-parere-sul-conflitto-israelo-palestinese.
[4] La Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sui Territori Palestinesi Occupati, inclusa Gerusalemme Est, e su Israele è stata istituita dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel maggio 2021. Da quel momento, ha redatto tre rapporti nonché diversi documenti di lavoro presentati in conferenze, incluso l’attuale.
[5] Sul punto si veda PARSI L., Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la punizione del reato di genocidio, 2025, https://www.sistemapenale.it/it/documenti/analisi-giuridica-della-condotta-di-israele-a-gaza-ai-sensi-della-convenzione-per-la-prevenzione-e-la-punizione-del-reato-di-genocidio.
[6] OTTONI S., La posizione della Corte Internazionale di Giustizia sul rischio di genocidio nei confronti del popolo palestinese a Gaza, 2024, https://www.giustiziainsieme.it/it/costituzione-e-carta-dei-diritti-fondamentali/3032-la-posizione-della-corte-internazionale-di-giustizia-sul-rischio-di-genocidio-nei-confronti-del-popolo-palestinese-di-sibilla-ottoni.
[7] Di pochi giorni fa la notizia della morte di Saleh Aljafarawi, giornalista di 28 anni ucciso durante gli scontri nel quartiere Sabra, a Gaza City. La fonte è Al Jazeera Arabic, che ha riportato fonti locali che attribuiscono il colpo mortale a membri di una milizia armata che sarebbe collegata alle forze israelo-occupanti.
[i] A/RES/77/247
[ii]https://trade.ec.europa.eu/access-to-markets/it/content/accordo-di-associazione-ue-israele.
Sommario: 1. L’origine del problema - 2. La compatibilità costituzionale dell’udienza in trattazione scritta con il principio del contraddittorio - 3. Il principio di oralità: i correttivi alla cd. trattazione scritta - 4. Audiatur et altera pars: ovvero della compatibilità della trattazione scritta nella giurisprudenza delle Sezioni Unite - 5. segue: La riespansione del principio del contraddittorio e del principio di oralità: il contenuto delle note scritte in sostituzione dell’udienza - 6. L’udienza di discussione in trattazione scritta.
1. L’origine del problema
L’introduzione della riforma del processo civile, avviata con la l. 206/2021 e poi attuata con il d. lgs. 149/2022, è accompagnata dall’immediato scorgersi di due distinte “anime”.
L’idea di un ammodernamento di un sistema processuale, reso certamente necessario dalla velocità del progresso tecnologico, è stata parallelamente condizionata da una tensione efficientista, del resto già espressa nel d. lgs. 206/2021 dove il “riassetto formale e sostanziale del processo civile” ha il fine di “rendere i procedimenti civili più celeri ed efficienti”.
Cifra distintiva di tale esigenza di celerità ed efficienza è stata la volontà di sfruttare massimamente le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie (altra cosa, invece, è nella pratica quotidiana il corretto funzionamento degli applicativi) e, quindi, la generalizzazione delle “udienze telematiche” – termine, allo stato volutamente neutro, nel quale sono ricomprese sia le udienze svolte mediante collegamenti audiovisivi a distanza sia le udienze che sostituiscono qualsiasi forma di contatto tra le parti con il deposito delle note scritte in sostituzione – che da strumento eccezionale divengono strumento del tutto alternativo.
Piena alternatività che, del resto, è testimoniata dalla relativa disciplina: è, infatti, vero che alle parti è data possibilità di opporsi alla scelta autonoma del giudice di disporre la “conversione” della trattazione nelle diverse modalità di cui all’art. 127 bis e ter c.p.c.
Ma è anche vero che alle parti stesse è riconosciuto una corrispondente facoltà di richiedere lo svolgimento dell’udienza con tali modalità: facoltà non solo espressamente prevista nell’art. 127 ter c.p.c. ma che, secondo una certa lettura della disposizione – che, per il vero, non si condivide, competendo pur sempre al giudice il generale potere di direzione dell’udienza che nella specie deve concretizzarsi nel valutare se sussistano i presupposti per disporne la sostituzione – assumerebbe, anzi, i contenuti di un vero e proprio “diritto” che vincolerebbe il magistrato tenuto a disporre la sostituzione dell’udienza in caso di richiesta congiunta.
Benché non testualmente prevista, non v’è, invero, ragione per negare una corrispondente possibilità delle parti di sollecitare lo svolgimento dell’udienza anche in relazione al suo svolgimento ai sensi dell’art. 127 bis c.p.c.[1], vieppiù ove si consideri che l’art. 127 bis c.p.c. espressamente contempla la possibilità di una partecipazione “mista” delle parti.
Tale modalità di partecipazione all’udienza è, del resto, la parente più prossima dell’udienza tradizionale, idonea a garantire l’incontro delle parti con il giudice e la possibilità di una effettiva interlocuzione tra tutti gli attori del processo.
È, detto altrimenti, strumento che non entra in frizione con il principio dell’oralità e del contraddittorio, come accade, invece, con la celebrazione (recte: sostituzione) dell’udienza mediante il deposito di note scritte, in cui manca strutturalmente un incontro tra le parti ed il giudice, che viene, invece, affidato allo scambio di note di trattazione scritta che dovrebbero tener luogo di quel momento, ma che, astrattamente, hanno un contenuto normativamente delimitato e circoscritto alle “…sole istanze e conclusioni…”, a cui, pertanto, rimane inevitabilmente estranea l’idea stessa del confronto dialogico[2].
Il legislatore dell’emergenza aveva individuato tali strumenti quale risposta, emergenziale, ad un fenomeno straordinario, allo scopo di consentire la tutela dei diritti in un momento storico in cui rischiava di rimanere paralizzata, così riuscendo a bilanciare l’esigenza di prosecuzione dell’attività giudiziaria con le finalità sanitarie di contenimento della pandemia; è innegabile che, poi, la prassi abbia restituito un diffuso gradimento, da parte di tutti gli operatori, di tale assetto delle udienze, cui si riconosce il merito di evitare incombenti superflui, nel nome, al contempo, degli “obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile”, per come indicati dalla l. 206/2021.
La trasformazione in regola dell’eccezione[3] – peraltro con modalità sul piano strutturale non perfettamente coincidenti[4] – ha, quindi, posto l’interprete di fronte alla necessità di interrogarsi circa la sua compatibilità con i principi informatori della tutela giurisdizionale, ed agli eventuali adattamenti necessari per rendere il nuovo sistema, ispirato a criteri di snellezza, efficienza e rapidità, compatibile con il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa.
Nelle considerazioni che seguono, metteremo, invero, da parte l’udienza svolta mediante collegamenti audiovisivi a distanza e ciò per l’assorbente ragione che tale modalità di celebrazione dell’udienza, porrà magari problematiche operative – si pensi, molto semplicemente, alla creazione della stanza virtuale per ciascun procedimento o all’inoltro del link per il collegamento alle parti – ma difficilmente può porre problemi legati al rispetto del principio del contraddittorio, soffermandoci piuttosto sulle problematiche connesse all’art. 127 ter c.p.c., oggetto dell’intervento delle Sezioni Unite.
Tre, allora, gli aspetti problematici che vengono in rilievo: (i), anzitutto – con la precisazione, del resto posta in risalto dall’ordinanza di rimessione alla Prima Presidente[5], che tale questione oltre che al rito del lavoro, interessa le controversie in materia locatizia, con incidenza anche su altri procedimenti, come quelli in materia di opposizione a ordinanza-ingiunzione, e sulla disciplina dettata dall’art. 281 sexies c.p.c. – vi è, a monte, il profilo della compatibilità delle trattazione cartolare con il principio del contraddittorio ed il principio di oralità; (ii) quindi, sul piano pratico, occorre verificare se sussista un termine entro cui procedere al deposito delle note scritte e se tale termine possa eventualmente essere assegnato dal Giudice; (iii) infine, occorre chiedersi quali siano in concreto le modalità procedurali da osservare nel caso in cui l’udienza di discussione venga sostituita ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., con il deposito di note scritte.
A tutti tali quesiti ha provato a dare risposta la Suprema Corte con la sentenza che qui si annota, con approdi che, come si cercherà mettere in luce, non appaiono sempre pienamente condivisibili.
2. La compatibilità costituzionale dell’udienza in trattazione scritta con il principio del contraddittorio
Benché formatasi con riferimento a materie differenti[6], nell’escludere incompatibilità con il principio del contraddittorio della trattazione cartolare, le Sezioni Unite attingono alla giurisprudenza costituzionale secondo cui il principio della pubblicità dell’udienza non ha carattere assoluto, potendo il legislatore introdurre deroghe al principio di pubblicità in presenza di particolari ragioni giustificative, purché obiettive e razionali[7].
Se è vero, infatti, che il canone del giusto processo richiede la possibilità delle parti di poter interloquire in maniera effettiva ed in condizione di parità sul convincimento del giudice, l’attuazione del principio del contraddittorio non impone che “…il confronto dialettico tra i litiganti si svolga in modo esplicito e contestuale, potendo dispiegarsi anche in tempi successivi, purché anteriori all'assunzione del carattere della definitività della decisione, e come momento soltanto eventuale del processo…”[8], richiedendo il rispetto di detto principio che “…tanto l’attore, quanto il contraddittore, partecipino o siano messi in condizione di partecipare al procedimento…”, rimanendo salva, al di fuori di tali limiti, l’autonomia del legislatore nel differenziare le modalità di attuazione della tutela giurisdizionale.
Né valga obiettare che tali principi sono stati affermati in materia tributaria e, dunque, in un processo che il legislatore ha connotato come giudizio eminentemente documentale.
Sul punto è sufficiente ricordare che, proprio nel recente passato, la Corte Costituzionale, investita della legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c., ha effettivamente rimarcato l’importanza del principio del contradditorio “…che - attraverso la contrapposizione dialettica tra tesi diverse argomentate dalle parti, anche in relazione alle questioni rilevate d’ufficio dal giudice, mira ad assicurare una decisione assunta nel rispetto del diritto inviolabile di difesa…”[9]; al contempo, allorquando si è trattato di richiedere che le parti siano poste in condizione di esercitare in modo effettivo la possibilità di interlocuzione con il giudice, non ha individuato, quale sola modalità per il compiuto esercizio di una dialettica tra le parti ed il giudice, quella della udienza pubblica[10].
Non è certamente questa la sede per soffermarsi sulla bontà dell’intervento di “ortopedia giuridica”[11] suggerito che pure non poche perplessità solleva sol che si pensi alla possibilità per le parti di “sottrarsi” a preclusioni o decadenze in caso di mancata ottemperanza all’attività processuale prescritta con il decreto perché confidava nella possibilità di poter sottoporre eventuali ragioni di segno contrario a quanto disposto nel contraddittorio tra le parti, se del caso mercé la fissazione di una udienza ad hoc.
Ai fini che ci occupano, ciò che si vuol rimarcare è, unicamente, la possibilità per il giudice riconosciuta dalla Corte Costituzionale di fissare una apposita udienza, prevedendo che ciò possa avvenire “…anche nelle più agili forme rispetto all’udienza cosiddetta in presenza…”[12].
Sicché, quella della derogabilità dell’udienza pubblica costituisce una prospettiva affatto sconosciuta alla Corte Costituzionale che consente di ritenere che la sostituzione dell’udienza mediante il deposito di note di trattazione scritta, in tanto può essere ritenuta un “equipollente” dell’udienza “tradizionale” (arg. ex art. 127 c.p.c.) in quanto, seppur evidentemente con diversa modalità, conserva, intatta, la possibilità di intervento e di interlocuzione[13] fra le parti ed il giudice con identità di poteri.
Ciò costituisce – giova aggiungere – acquisizione indiscussa anche della stessa giurisprudenza di legittimità ove si consideri che, anche in tempi distanti da quelli che hanno visto il sorgere dell’udienza cartolare, quest’ultima aveva ritenuto che regola della pubblicità potesse subire eccezioni in relazione a determinati procedimenti e che “…la garanzia del contraddittorio, necessaria in quanto costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato dagli artt. 24 e 111 Cost. (cfr., in rapporto all'art. 24 Cost., già Corte cost., sent. n. 102 del 1981), è, comunque, assicurata dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (che, del resto, devono essere già compiutamente declinate con il ricorso per quanto riguarda, segnatamente, i motivi dell’impugnazione), non solo in funzione delle difese svolte dalla controparte…”[14].
In tale ottica, pare allora cadere anche l’argomento, a sostegno di una radicale inconciliabilità fra l’udienza sostituita dal deposito di note scritte e l’udienza di discussione, secondo cui l’udienza cartolare mal si concilierebbe con il principio del contraddittorio, inteso come partecipazione dialettica delle parti e tra costoro ed il giudice, giacché la dialettica è solo realizzata in maniera “asincrona”; differente, certo, ma non assente.
D’altro canto, la prospettiva della sostituzione dell’udienza non si pone in termini assoluti posto che è data alle parti la facoltà di opporsi con effetti diversificati a seconda che l’istanza sia avanzata da entrambe (nel qual caso il giudice “dispone in conformità”), sia avanzata da una sola parte (nel qual caso il giudice può rivalutare o confermare la propria determinazione “con decreto non impugnabile”), con l’ulteriore diversificazione salvi – per effetto delle modifiche del cd. “correttivo” – che non si versi nell’ipotesi dell’udienza pubblica di cui all’art. 128 c.p.c., giacché in tal caso l’istanza anche di una sola parte avrà efficacia impediente del provvedimento di sostituzione[15].
In conclusione, non solo l’udienza in trattazione scritta non è di per sé inconciliabile con il principio del contraddittorio, ma l’udienza pubblica è espressamente contemplata dall’art. 127 ter c.p.c., sia pure come forma di trattazione subordinata alla sollecitazione di una parte.
3. Il principio di oralità: i correttivi alla cd. trattazione scritta
Può certamente condividersi l’assunto fatto proprio dalla sentenza in commento, laddove osserva che le modifiche introdotte con il cd. decreto correttivo abbiano agito “in linea di continuità” e che le stesse restituiscano, anche in chiave interpretativa, “la cifra di tale ambito di compatibilità” fra l’assetto cartolare e l’udienza pubblica, superando le aporie interpretative sorte con riferimento alla compatibilità tra la trattazione scritta e le udienze di discussione della causa (sulle cui ricadute pratiche si tornerà in seguito).
La soluzione contraria aveva, però, obiezioni certamente meritevoli di considerazione.
Ad esempio, sul piano normativo, uno degli argomenti soventi invocati nel senso di una radicale incompatibilità della sostituzione dell’udienza con il deposito delle note di trattazione scritta era la differente formulazione dell’art. 127 ter c.p.c. rispetto all’art. 127 bis c.p.c.
Solo nell’art. 127 bis c.p.c. compariva (e compare) la previsione per cui potesse essere disposto lo svolgimento mediante collegamenti audiovisivi a distanza dell’udienza “anche pubblica”.
L’inciso della pubblicità dell’udienza, invece, era (ed è) mancante nell’art. 127 ter c.p.c. sicché, si è detto, nel silenzio del legislatore il dato testuale avrebbe dovuto deporre nel senso della incompatibilità della trattazione cd. cartolare con l’udienza pubblica di discussione[16].
Ed in effetti, sul piano semantico, la differente terminologia impiegata poteva avere una chiara spiegazione: anche alla luce della formulazione dell’art. 127 c.p.c., l’udienza svolta mediante collegamenti audiovisivi costituisce una modalità alternativa di svolgimento dell’udienza che, sostanzialmente, non ne “sacrifica” l’oralità pur attuandola diversamente; per contro, la sostituzione dell’udienza mediante il deposito delle note scritte rappresenta “una alternativa all’udienza, ossia un modo per compiere le attività che si potrebbero svolgere in udienza sostitutiva di questa…”[17].
Da tali disposizioni, quindi, ben avrebbe potuto argomentarsi nel senso di una radicale incompatibilità della cd. trattazione scritta rispetto all’udienza pubblica di discussione, desunta dal combinato disposto degli artt. 127, 127 bis, 127 ter e 128 c.p.c.
Tuttavia, già sopra si è detto, il principio di pubblicità dell’udienza costituisce paradigma non assoluto e, dunque, derogabile[18]: derogato, ieri, in ragione per la necessità di preservare la salute pubblica; ma degradabile, anche oggi, in nome di una pretesa maggiore efficienza[19].
Sul punto, la sentenza in commento si inserisce, dunque, pienamente nel solco della giurisprudenza.
La prassi della giurisprudenza di legittimità si era, infatti, pressoché unanimemente orientata – in maniera qui condivisa – nel senso della compatibilità di tale modulo procedurale anche in relazione all’udienza di discussione, valorizzando la circostanza che nella fictio impostata dalla norma, il deposito di note scritte sostitutive abbia valore di partecipazione delle parti all’udienza[20], ponendosi, semmai, problematiche diverse legate alle modalità procedurali da adottare[21] sull’assunto che proprio l’impostazione in termini di fictio imponga di procedere ad un’interpretazione rigorosa di quanto integra il realizzarsi della fattispecie sostitutiva dell’udienza[22]
Sicché, è effettivamente possibile ritenere che la nuova formulazione dell’art. 127 ter c.p.c. e dell’art. 128 c.p.c. costituisca effettivamente una conferma della compatibilità di tale modulo procedurale anche per l’udienza di discussione.
Operate tali premesse, la S.C. ha, come detto, ritenuto che il “versante costituzionale” non deponga nel senso di una inammissibilità radicale della sostituzione dell’udienza mediante il deposito di note di trattazione scritta.
La soluzione, come si è sopra ripercorso, appare decisamente condivisibile e non sembra necessitare di ulteriori considerazioni.
Qualche considerazione in più merita, invece, il principio di oralità, giacché forse è proprio a quest’ultimo che si legano alcuni dei correttivi immaginati dalla Corte.
Veniamo, quindi, alla soluzione offerta dalla S.C. a sezioni unite, non senza aver prima svolto alcune puntualizzazioni in punto di fatto.
Per il vero, la Corte chiarisce che, nonostante il riferimento, nella pronuncia impugnata, al fatto che si fosse data applicazione della disciplina della trattazione scritta “emergenziale”, quella che concretamente veniva in rilievo e della quale era stata, invece, fatta applicazione fosse la disciplina di cui all’art. 127 ter c.p.c.
Tenuto conto che la sostituzione dell’udienza è stata disposta in data 8 febbraio 2023, la precisazione è certamente condivisibile, giacché a quella data il diverso modello della trattazione cartolare introdotto in pandemia non risultava più applicabile.
In secondo luogo, la S.C. precisa che, pur confrontandosi a fini interpretativi con il testo dell’art. 127 ter c.p.c., risultante dalle modifiche introdotte con il d. lgs. 164/2024, la disciplina presa concretamente in considerazione quale paradigma normativo della correttezza, sul piano procedurale, della decisione era quella antecedente alle modifiche introdotte con il citato decreto legislativo, sull’assunto che le stesse si applicassero ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.
Effettivamente, ai sensi dell’art. 35, co. 2, del richiamato decreto legislativo, le disposizioni degli articoli 127, terzo comma, 127 bis, 127 ter e 193, secondo comma, del codice di procedura civile già si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione.
Per contro, l’art. 7 del d. lgs. 164/2024 prevede che, ove non diversamente previsto[23], le disposizioni ivi introdotte – tra cui le modifiche all’art. 127 ter c.p.c. – sono applicabili ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.
Sul rilievo di tale precisazione si tornerà in seguito.
Orbene, mentre i principi di immediatezza e concentrazione sono semplicemente destinati a cedere il passo di fronte alla realtà dei tempi, che vedono il processo, anche quello del lavoro, dipanarsi in una pluralità di udienze, il principio di oralità è sottoposto, per dirla con le parole della Corte, “ad una valutazione di indefettibilità”, tutte le volte in cui le parti così ritengano.
Ed è qui, per l’appunto, che si innestano i correttivi che la S.C. ha di fatto apportato al testo ratione temporis applicato.
In particolare, nel processo del lavoro – ma, a quel punto, non si vede perché gli stessi principi non dovrebbero trovare applicazione a tutte le udienze di discussione della causa finalizzate alla decisione ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c. o 281 sexies c.p.c. – la sostituzione dell’udienza è ammissibile (i) purché governi la sola fase decisoria e non l’integralità dell’udienza di discussione, (ii) purché nessuna delle parti si opponga alla sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte; (iii) purché sia possibile inserire nelle note di trattazione scritta non semplicemente istanze o conclusioni ma, se del caso, anche argomenti a difesa “…così da rispondere alla funzione tecnica sostitutiva dell’oralità…”; (iv) purché si tenga conto delle necessità collegate al contraddittorio. e sia possibile, in via di estrema sintesi, ripristinare il dialogo tra le parti ed il giudice.
I primi due principi meritano una riflessione autonoma che si proverà a svolgere nel paragrafo che segue.
4. Audiatur et altera pars: ovvero della compatibilità della trattazione scritta nella giurisprudenza delle Sezioni Unite
L’idea che la sostituzione dell’udienza sia destinata a trovare precipua attuazione in relazione alla fase decisoria appare soluzione in parte necessitata ed in parte ineluttabile corollario dei poteri di direzione dell’udienza che pur sempre competono al giudice che, infatti, è certamente chiamato a verificare la compatibilità di tale modello non semplicemente con il procedimento ma eventualmente anche con l’attività processuale che occorre svolgere.
Così, non solo passibile di sostituzione è unicamente l’udienza che non richieda la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice; ma, anche a prescindere dalle modifiche apportate all’art. 127 ter c.p.c. con il d. lgs. 164/2024, già nel vigore della precedente formulazione doveva escludersi che potesse essere sostituita la prima udienza di comparizione, dovendo quest’ultima raccogliere una serie di attività ontologicamente inconciliabili con la sostituzione dell’udienza.
Tanto nel processo ordinario (arg. art. 183 c.p.c.) quanto nel processo del lavoro (arg. 420 c.p.c.) alla prima udienza è prevista la comparizione personale delle parti (la cui mancanza è valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c.); sono previsti lo svolgimento dell’interrogatorio libero, la richiesta di chiarimenti e l’espletamento del tentativo di conciliazione.
Trattasi di attività che richiedono un confronto con il giudice che rende la modalità cartolare strutturalmente incompatibile con tale fase del processo, anche a prescindere dalla modifica introdotta nell’art. 127 ter c.p.c. che oggi, testualmente, esclude che l’udienza possa essere sostituita con il deposito delle note di trattazione scritta quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice.
Né, invero, sembra condurre a soluzioni differenti l’argomentazione, astrattamente ricavabile dal testo dell’art. 127 ter c.p.c., secondo cui la richiesta congiunta di trattazione cartolare, in ipotesi formulata già in vista della prima udienza, “imporrebbe” l’adozione del relativo modulo procedurale.
Come si dirà subito infra, tale interpretazione appare decisamente da escludere: quand’anche la richiesta fosse motivata in ragione di una indisponibilità di addivenire ad una composizione bonaria della controversia, rimarrebbero da svolgere le ulteriori attività che parimenti impongono la comparizione personale delle parti.
Si pensi, poi, anche alle ipotesi in cui, nel processo ordinario, successivamente alla prima udienza il giudice intenda esercitare il potere che l’art. 185 bis c.p.c. gli riconosce “fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione” di formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa[24].
Non è dubitabile che si sia certamente al di fuori delle ipotesi in cui (per legge) sia prevista la presenza personale delle parti di talché, salvo che non sia il giudice a disporla, anche tale udienza ben potrebbe essere sostituita con lo scambio di note di trattazione scritta.
Al contempo, non revocabile in dubbio appare la considerazione che anche tale attività possa richiedere un confronto dialogico tra le parti ed il giudice tale da far ritenere inidonea la sostituzione dell’udienza.
In quest’ottica, le modifiche apportate possono ritenersi integrazioni dei principi già desumibili dalle modifiche introdotte con il d. lgs. 149/2022, cui, pertanto, vanno a saldarsi a semplici fini di una migliore intellegibilità e chiarezza[25].
Pertanto, il principio di diritto elaborato dalla Corte nel momento in cui vuole riservare la possibilità di sostituzione dell’udienza alla sola fase decisoria pare, dunque, essere pienamente conforme al principio di oralità ed al principio del contraddittorio nonché in linea con le modifiche normative di cui al cd. “Correttivo”, dalla Corte stessa assunte a parametro di valutazione ed interpretazione della disciplina previgente.
Qualche perplessità in più, invece, solleva l’assunto che la nuova disciplina desumibile dall’art. 127 ter c.p.c. e dall’art. 128 c.p.c., per come riformulati, possa essere ritenuta quale mera integrazione, correzione o riformulazione della formulazione precedente, sì da divenire, di fatto, archetipo della disciplina applicabile anche in relazione al periodo previgente.
Ritiene, invero, la Corte che in tanto può disporsi la sostituzione dell’udienza di discussione a patto che nessuna delle parti si opponga e, si dice, non può esservi sostituzione “…neppure su base di convenienza, ove anche solo una delle parti dichiara di opporsi in vista del pieno dispiegarsi del suo diritto di difesa…”.
Tale affermazione solleva talune perplessità giacché impone di confrontarsi con le modifiche apportate all’art. 127 ter c.p.c. e all’art. 128 c.p.c., assunte dalla Corte quale elemento di valutazione ed interpretazione.
Dal combinato disposto del testo attualmente in vigore degli artt. 127 ter c.p.c. e 128 c.p.c. si ricava, infatti, che anche l’udienza di discussione può essere sostituita con il deposito delle note di trattazione scritta e che, qualora una delle parti si opponga, il giudice è tenuto a revocare il provvedimento di sostituzione dell’udienza e fissare l’udienza pubblica.
Per converso, deve opinarsi che, se le parti non hanno esercitato il loro diritto di opporsi con efficacia impediente (congiuntamente ex art. 127 ter c.p.c o anche individualmente per effetto delle modifiche apportate con il d. lgs. 164/2024, ex art. 128 c.p.c.) sono evidentemente le parti stesse ad aver ritenuto inesistente qualsiasi compromissione delle loro prerogative difensive, di cui l’oralità costituisce un connotato.
Nel vigore di tali disposizioni, dunque, la soluzione della S.C. sarebbe certamente ineccepibile; il decreto correttivo è intervenuto con la espressa finalità di “risolvere le questioni sorte in ordine alla possibilità di sostituire l’udienza di discussione della causa con il deposto di note scritte e, più in generale della sua compatibilità con il rito del lavoro…”
Nondimeno, la Corte dichiara espressamente di considerare le modifiche introdotte con il cd. “Correttivo” solo in chiave interpretativa, dovendo però fare applicazione, quanto alla disciplina ratione temporis applicabile, alla formulazione dell’art. 127 ter c.p.c. nel testo previgente.
E il testo dell’art. 127 ter c.p.c. antecedente alle modifiche apportate con il cd. “Correttivo” costruisce il “regime delle opposizioni” alla sostituzione dell’udienza in termini differenti.
Nulla quaestio, anzitutto, quanto all’opposizione congiuntamente proposta: questa ha, anche nel vigore del nuovo testo, certamente effetto impediente del provvedimento di sostituzione, imponendo al giudice di disporre “in conformità”.
Sia consentita, in proposito, una digressione.
Riprendendo quanto sopra accennato, ben più controversa è l’ipotesi di una richiesta, sì congiunta, ma volta ad ottenere la sostituzione dell’udienza.
Come si accennava, la formulazione del primo comma dell’art. 127 ter c.p.c. (“l’udienza è sostituita”) sembrerebbe deporre nel senso che una richiesta congiunta debba orientare – pur nel limite strutturale rappresentato dall’udienza che non richieda la presenza di soggetti diversi da difensori, parti, pubblico ministero ed ausiliari del giudice – nel senso di una “sostituzione obbligatoria” allorché ne facciano richiesta tutte le parti costituite.
Nondimeno, fermo rimanendo che tale previsione non sembra poter trovare applicazione laddove ci siano parti non costituite, detta soluzione appare poco in linea, da un lato, con le ulteriori attività proprie della prima udienza e, più in generale, con il potere di direzione del processo, dovendo pur sempre residuare in capo al giudice un potere di valutazione dell’opportunità o meno della sostituzione dell’udienza, quand’anche congiuntamente richiesta[26].
Detto altrimenti, le parti hanno certamente il potere di paralizzare la “deviazione” dal modello processuale eventualmente disposta dal giudice, riportando il processo sui binari tradizionali, ma non il potere di obbligare il giudice ad andare in una diversa direzione[27], per quanto ritenuta equipollente.
Tale soluzione, del resto, ben si spiega: nel bilanciamento dei valori costituzionali che vengono in rilievo, un conto è la deroga alla celebrazione dell’udienza imposta dalla necessità di prevenire la diffusione dell’emergenza epidemiologica, in un bilanciamento con il diritto alla salute, altro è la deroga – perché pur sempre di deroga si tratta – alla celebrazione dell’udienza in nome dei canoni di velocità, snellezza ed efficienza che, pertanto, pur in un processo dispositivo non può essere rimessa all’esclusiva, pur congiunta, determinazione delle parti.
Ad ogni buon conto, tornando alla soluzione offerta dalla S.C., la precedente formulazione dell’art. 127 ter c.p.c. affidava all’accordo delle parti la possibilità (o addirittura il potere) di orientare il giudice quanto alla decisione di convertire o meno l’udienza in trattazione; ma analogo potere non lo ha (recte: aveva) anche l’istanza proposta da una sola di esse.
In questi casi, al potere di opposizione, conseguirebbe comunque un potere di valutazione del giudice che nel vigore della precedente disciplina ha la possibilità, quale che sia il tipo di udienza sostituita, di ritornare sui propri passi ma anche di confermare la determinazione già assunta adottando, nei successivi cinque giorni, un “decreto non impugnabile”, però non a contenuto vincolato, ma chiaramente discrezionale.
Si può, semmai, discutere circa l’opportunità che un tale provvedimento, ove confermativo della sostituzione dell’udienza pur a fronte dell’opposizione, sia motivato, ma, nel vigore della disciplina antecedente alle modifiche introdotte con il decreto correttivo, l’opposizione di una sola parte non ha, neanche per l’udienza di discussione, l’effetto impediente che, invece, solo il combinato disposto degli artt. 127 ter c.p.c. e 128 c.p.c., nella nuova formulazione, gli attribuisce per il caso di sostituzione dell’udienza pubblica di discussione.
Ecco, perché dunque, è condivisibile quanto affermato dalla S.C. con riguardo alle indicazioni ermeneutiche ricavabili dal legislatore del correttivo, in punto di continuità con la precedente disciplina: le modifiche introdotte dal correttivo, sono chiaramente volte a dirimere dubbi interpretativi insorti proprio con riferimento all’udienza di discussione.
Viceversa, desta perplessità la disciplina dell’opposizione alla sostituzione dell’udienza di una sola parte giacché tale soluzione comporta l’estensione, di fatto, alle cause antecedenti al 28.2.2023 (cui è applicabile, secondo la disciplina transitoria dell’art. 35 d. lgs. 149/2022, l’art. 127 ter c.p.c. nella sua precedente formulazione) della disciplina introdotta dal d. lgs. 164/2024 (applicabile, secondo l’indicazione di cui all’art. 7 del decreto citato, ai procedimenti introdotti solo successivamente al 28.2.2023), che, in tale parte, più che specificazioni o adeguamenti, va ad aggiungere tasselli di una disciplina inizialmente non prevista.
Tale interpretazione, di cui pure si comprendono e condividono i presupposti, di fatto si risolve in una estensione generalizzata della disciplina di nuova introduzione a tutti i procedimenti ivi compresi quelli cui formalmente, proprio secondo la disciplina intertemporale tracciata dalla S.C., non trova applicazione il nuovo testo degli artt. 127 ter c.p.c. e 128 c.p.c.
5. segue: La riespansione del principio del contraddittorio e del principio di oralità: il contenuto delle note scritte in sostituzione dell’udienza
Vi è, infine, un ulteriore profilo che viene in rilievo con riferimento agli ultimi due principi affermati dalle Sezioni Unite.
Partiamo dall’ultimo.
Appare, in verità, da accogliere con particolare favore l’idea che, disposta la trattazione scritta, si debba tener conto delle necessità collegate al contraddittorio e del fatto che, se necessario, venga ripristinato il dialogo tra le parti ed il giudice “in funzione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa”.
Trattasi, in realtà, di una affermazione che, oltre come principio di diritto, vale come monito per il giudice e rassicurazione per le parti: se è vero che il deposito delle note scritte può essere ritenuto equivalente alla partecipazione in udienza, il richiamo alla possibilità di un ritorno al “confronto sincrono” alla presenza di tutte le parti ricorda la centralità dell’udienza quale momento di confronto attivo che affida al giudice un ruolo propulsivo nella dinamica del processo, dal suo inizio e fino alla fase decisionale, nel quale centrale deve rimanere l’ascolto delle parti, cui, tuttavia, è del pari richiesto di farsi carico di analogo, se non per certi versi più importante, potere sollecitatorio[28].
Il quarto principio di diritto affermato dalla Suprema Corte ha, in realtà, il suo antecedente logico in quello che investe il contenuto delle note di trattazione scritta.
Limitate, per espressa previsione legislativa alle “sole istanze e conclusioni”, la Suprema Corte ammette, invece, che le stesse possano contenere ulteriori argomenti a difesa.
Il rilievo pratico di tale principio di diritto è, inevitabilmente, condizionato dalle prassi[29] che, quanto ai contenuti ed all’estensione delle note di trattazione scritta, sono state assunte dagli uffici giudiziari e che potrebbero essere le più varie: ma, in generale, ove non si ritenga possibile che, pur in una accezione lata, tali attività siano già sussumibili nel novero delle “istanze” – che, del resto, al fine di poter essere rassegnate, dovrebbero prioritariamente essere motivate e, quindi, argomentate – la Corte rimarca la possibilità per le parti di proporre osservazioni, sviluppare repliche, svolgere deduzioni che sorgano dall’attività difensiva svolta e che impongano lo svolgimento di una attività argomentativa che il rassegnare le sole conclusioni invece precluderebbe.
Se è vero che il deposito delle note di trattazione scritta assolve ad una funzione analoga a quella della partecipazione di udienza, il contenuto di quelle note, invece, deve poter assolvere ad una funzione corrispondente alla discussione.
Non a caso, l’esigenza avuta di mira è la funzione sostitutiva, si badi, non dell’udienza in sé bensì dell’oralità.
Si tratta ben più di una semplice esigenza di gestione del procedimento[30] giacché, a ben vedere, è proprio tale eventualità che rende più concreta la necessità di chiarimenti “in funzione del principio del contraddittorio e del diritto di difensa” ma anche dello stesso principio di oralità che le deduzioni delle parti concorrerebbero, così, a ravvivare[31].
Ed ecco che torna il valore del messaggio che sembrano suggerire le Sezioni Unite con l’ultimo principio di diritto.
Non può in alcun modo essere negata l’utilità che tali strumenti hanno, soprattutto in relazione ad alcune fasi processuali.
Ma, quale che sia lo strumento processuale utilizzato, è la dialettica processuale nel suo complesso che ha bisogno di essere rianimata e di uscire dalle strette prassi in cui, confidando nel tranquillizzante approdo dell’atto scritto, da tutti gli attori del processo viene confinata; ha bisogno di “avvocati intellettualmente e moralmente degni dell’altissima funzione che ad essi lo Stato affida, ma altresì magistrati convinti dell’importanza sociale dell’avvocatura e rispettosi in ogni occasione della sua indipendenza”[32].
6. L’udienza di discussione in trattazione scritta
Una battuta finale, da ultimo, va fatta in relazione ad un profilo che pure emerge dalla pronuncia in disamina e su cui pare opportuno soffermarsi ed è quello relativo alla concreta gestione del segmento decisorio a seguito della sostituzione dell’udienza per il tramite del deposito di note di trattazione scritta.
Dalla lettura della sentenza, risulta che il dispositivo della sentenza sia stato depositato, in via telematica, il giorno stesso dell’udienza.
Tuttavia, la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte, da un lato pone il tema della essenzialità, o meno, del deposito del dispositivo o della sentenza contestuale il giorno dell’udienza; dall’altro quello relativo alla possibilità di individuare un termine per il deposito delle note di trattazione scritta e di ancorarlo all’orario di apertura delle cancellerie.
I due aspetti, che si cercherà di affrontare per quanto possibile separatamente, sono in realtà fortemente e connessi e, sul secondo di essi, lo si anticipa, non appare condivisibile l’approdo cui perviene la Corte.
Vediamone le ragioni.
Anzitutto, sembra doversi ritenere che la sostituzione dell’udienza con il deposito delle note di trattazione scritta non abbia fatto venir meno l’obbligo della contestualità della decisione.
Così era – con modalità in realtà più “agevoli” – per l’art. 83, comma 7, lett. h), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, che aveva consentito ai capi degli uffici giudiziari di autorizzare “lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
Tale disposizione prevedeva, infatti, l’adozione del provvedimento del giudice che, a quel punto, sarebbe avvenuta secondo le forme proprie del rito seguito e, dunque, ove così previsto, contestualmente mediante deposito in cancelleria ovvero tramite deposito telematico, non creando un nuovo modulo procedurale per la fase decisoria[33].
In caso di sostituzione dell’udienza con il deposito delle note di trattazione scritta, lo schema camerale è stato ritenuto dal legislatore sufficiente a garantire il contraddittorio con comunicazione successiva del dispositivo, unitamente o separatamente dal provvedimento decisorio; a sua volta, però, ferma la decorrenza dei termini per l’impugnazione dalla data della comunicazione telematica, il mancato deposito il giorno stesso dell’udienza del dispositivo doveva ritenersi equiparabile alla mancata lettura del dispositivo in udienza, causa nel rito del lavoro di nullità insanabile della sentenza.
In sostanza, la sostituzione d’udienza non aveva (e non ha) eliminato il requisito della concentrazione e della contestualità della decisione, non creando, come meglio si dirà a breve, un nuovo modulo procedurale[34].
Come detto, regole appositamente previste dalla normativa emergenziale sono state “codificate”, per i procedimenti civili in genere dall’art. 127ter c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 149/2022, secondo un modello che, pur utilizzando una terminologia più univoca con il riferimento alla sostituzione dell’udienza rispetto alla corrispondente “trattazione scritta pandemica”, ne ha ricalcato lo schema.
Anche in tal caso, quindi, come ritenuto in maniera condivisibile dalla Corte, permane valida l’idea che il modulo di cui all’art. 127 ter c.p.c. non introduca un nuovo modello decisorio del rito del lavoro, distinto dall’udienza ex art. 420 c.p.c. e dalla sentenza ex art. 429 c.p.c., pur a fronte del terzo comma dell’art. 127 ter c.p.c. a mente del quale “il giudice provvede entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note”, essendo necessario il deposito contestuale del provvedimento decisorio.
Sul piano strutturale, però, fra le due disposizioni delle differenze v’erano che evidenziano delle difficoltà strettamente operative per il rispetto delle richiamate regolare processuali.
L’art. 221, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020, prevedeva, infatti, che “il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno 30 giorni prima della data fissata per l'udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a 5 giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti può presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento. Il giudice provvede entro i successivi cinque giorni. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell'art. 181 del codice di procedura civile”.
Il termine per il deposito di note scritte era, cioè, antecedente la data dell’udienza tenutasi in (o sostituita dalla) modalità cartolare, sicché non vi erano difficoltà nel conciliare il deposito delle note scritte in sostituzione con la contestualità del deposito del provvedimento “in udienza”.
L’art. 127 ter c.p.c., introdotto con il D. Lgs. 10/10/2022, n. 149, art. 3, comma 10, lettera b), nel prevedere la possibilità di sostituzione dell’udienza con l’assegnazione di un termine per il deposito di note scritte, espressamente qualifica il termine assegnato dal giudice come “perentorio”.
A sua volta, si tratta di un termine unico per il deposito delle note di trattazione scritta, non più ancorato, come in passato, alla data dell’udienza (e calcolato a ritroso da essa), ma decorrente dalla data di emissione del provvedimento con cui il giudice dispone la trattazione scritta.
A differenza, però, di quanto previsto nella trattazione scritta introdotta all’indomani dell’emergenza pandemica, poi, nell’art. 127 ter c.p.c. è previsto che “…il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti…”.
Ora, se è vero che anche il modulo di cui all’art. 127 ter c.p.c. non introduce un nuovo modello decisorio del rito del lavoro, ne consegue che anche in tali casi il deposito telematico del dispositivo nel giorno dell’udienza di discussione è da intendersi come equipollente alla sua lettura in udienza.
Ma ciò crea inevitabilmente un “imbuto” giacché v’è contestualità, tra il termine di scadenza delle note ed il giorno considerato, pur nella fictio normativa, quale data d’udienza ed in cui, quindi, il provvedimento decisorio dovrebbe essere depositato.
Ecco l’esigenza tenuta presente dalla Suprema Corte nelle righe finali della propria motivazione laddove individua il momento “ultimo” di tale termine per relationem, andandolo ad ancorare all’orario di apertura degli uffici di cancelleria: quella, cioè, di “consentire ai giudici l’attività di decisione necessaria per definire il giudizio al termine della discussione…”.
Eppure, tale comprensibile esigenza sembra aver però condotto a risultati non condivisibili.
Nella finzione legislativa, la partecipazione all’udienza è data pur sempre dal deposito telematico di un atto processuale.
Il deposito telematico degli atti processuali si perfeziona quando viene emessa la seconda pec, ovvero la ricevuta di avvenuta consegna, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia; inoltre, ferma l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, il deposito è tempestivamente effettuato, quando la ricevuta di avvenuta consegna viene generata entro la fine del giorno di scadenza (formula oggi riproposta nell’art. 196 sexies disp. Att. C.p.c.).
Del resto, la Corte Costituzionale esaminando il confinante ambito delle notifiche telematiche (D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012), ha rilevato la coerenza con il diritto di difesa, di rilievo costituzionale, della disciplina dettata per il deposito telematico (art. 16-bis, comma 7, citato, oggi abrogato dal d. lgs. 149/2022; ma si veda art. 196 sexies disp. Att. C.p.c.), essendo prevista la scadenza (ossia fino alle ore 24:00, a differenza di ciò che era previsto per la notifica telematica) dell’ultimo giorno utile al fine di individuare il momento di perfezionamento dell’adempimento[35].
Ed allora, se il deposito delle note scritte è considerato data d’udienza a tutti gli effetti, il deposito delle note di trattazione scritta può avvenire anche entro la mezzanotte (recte: 23.59.59 sec.) del giorno dell’udienza sostituita, dovendosi escludere non solo la possibilità per il giudice di assegnare un termine orario differente (come correttamente indicato dalla S.C.) ma anche la possibilità di ancorarlo all’orario di apertura delle cancellerie.
L’aporia applicativa colta dal giudice di legittimità è certo evidente giacché in tal modo tale previsione è di fatto inconciliabile con l’onere, il solo equipollente alla lettura, del deposito del provvedimento il giorno stesso dell’udienza[36].
Insomma, il giudice non potrebbe materialmente che provvedere a decorrere dal giorno successivo, quando cioè avrebbe la materiale disponibilità delle note, e, comunque, lo dovrebbe fare entro questo giorno per consentire di ritenere il provvedimento letto in udienza[37].
Da qui, per l’appunto, l’innovazione legislativa introdotta con il d. lgs. 164/2024 che vuole essere un adeguamento delle previsioni dell’art. 127 ter c.p.c. che consente di risolvere non solo il dubbio “concettuale” sulla compatibilità ma anche tale aporia applicativa conciliandola con l’esigenza di concentrazione proprie del rito[38].
Ed infatti, lo ius superveniens, al fine di risolvere le difficoltà operative di cui si è detto, ha previsto che il provvedimento, anche se depositato entro il giorno successivo, è da considerarsi letto in udienza, così confermando che, anche nella trattazione scritta, risulta preminente l’esigenza propria del rito lavoro della contestualità tra l’udienza di discussione e la decisione, sia essa con il deposito del solo dispositivo, sia essa con il deposito delle contestuali motivazioni, purché in entrambi i casi all’esito dell’udienza di discussione.
Tale innovazione fonda il convincimento che la trattazione scritta non solo non costituisca un modulo procedimentale/decisorio alternativo, ma che sia in generale compatibile con il rito del lavoro; al contempo, pur non costituendo un modulo decisorio diverso, è richiesto un’attività di coordinamento della disciplina codicistica con la specificità della modalità di trattazione, in cui l’esigenza di concentrazione ed immediatezza, espresse dalla “lettura” in udienza, nella fictio normativa è “recuperata” nel deposito del provvedimento lo stesso giorno dell’udienza ovvero, nella disciplina risultante dalle modifiche introdotte con il d. lgs. 164/2024, nel giorno successivo.
In sostanza, esattamente come il provvedimento nell’udienza in presenza deve essere letto in udienza, così nel modulo cartolare il provvedimento deve essere depositato entro l’udienza in trattazione scritta (nella trattazione scritta pandemica o ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c. nel testo previgente alle modifiche di cui al d. lgs. 164/2024, pur con le difficoltà operative che si sono prima evidenziate) o entro il giorno successivo (considerando tale nuovo termine, con una ulteriore fictio, lettura in udienza), così allineando la previsione generale per cui “il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti” con la regola, parimenti generale e non derogata, della lettura in udienza del provvedimento.
Ciò che tuttavia non appare consentito è di ancorare il termine all’orario di apertura degli uffici di cancelleria.
[1] Di contrario avviso appare I. Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, in Riv. Trim. dir. E proc. Civ., 2024, fasc. 2, p. 403. L’A., anzi, lamenta la sottovalutazione delle potenzialità dell’udienza telematica rispetto all’esigenza di effettività della tutela.
[2] Sul punto si rinvia sempre a I Pagni, op. ult. Cit. nonché a Panzarola- Farina, Il diritto processuale civile e la emergenza covid-19 (le garanzie individuali nello stato di eccezione), in Judicium, 2020, 5
[3] A livello normativo, la sostituzione dell’udienza mediante il deposito di note di trattazione scritta è stata introdotta per la prima volta dall’art. 2, comma 2, lett. h), d.l. 8 marzo 2020 n. 11 e poi dall’art. 83, comma 7, lett. h), d.l. 17 marzo 2020 n. 18. Quindi, è stata ripresa dall’art. 221, comma 4, d.l. 19 maggio 2020 n. 34 (convertito nella L. 17 luglio 2020 n. 77). Tale disciplina è rimasta in vigore, senza soluzione di continuità, fino all’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 che ha introdotto l’art. 127 ter c.p.c., in vigore dal giorno 1 gennaio 2023, ma applicabile, in forza dell’art. 35, co. 2, d. lgs. 149/2022, anche ai procedimenti pendenti, consentendo quell’opera di “saldatura” (così Cass. Civ. sez. lav. 3 maggio 2024, n. 11898, cit.) con la disciplina emergenziale, che aveva cessato la propria efficacia il 31.12.2022.
[4] La disposizione di nuova introduzione, ulteriormente arricchita con le modifiche apportate per effetto del cd. “correttivo” alla riforma, ad es., ha una disciplina differente e più articolata quanto alla possibilità delle parti di opporsi e in relazione al corrispondente potere del giudice di determinarsi a fronte dell’opposizione. Si pensi, ancora, oltre che alla differente estensione soggettiva dell’ambito di applicazione, al fatto che ai sensi dell’art. 221, co. 4, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, il giudice poteva disporre la sostituzione dell’udienza con lo scambio di note scritte, assegnando, per il relativo deposito, un termine fino a cinque giorni prima della data astrattamente fissata per la celebrazione dell’udienza. Il nuovo art. 127 ter c.p.c., anche nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d. lgs. 164/2024 (su cui ci si soffermerà infra), prevede l’assegnazione di un termine “non inferiore a quindici giorni” per il deposito delle note scritte e che “il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note…è considerato data di udienza a tutti gli effetti…”.
Da ultimo, si vedano le peculiarità del d.l. 117/2025 con riferimento alle cd. applicazioni a distanza ed alla modalità di gestione dell’udienza.
[5] Si tratta di Cassazione civile sez. lav., 03/05/2024, n. 11898, in Foro It., p. 1773 e ss.
[6] Ad esempio, non sono state ritenute fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 309, comma 8, e 127, comma 6, c.p.p., censurati, per violazione degli artt. 3, 111, comma 1, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui non consentono che il procedimento per il riesame delle misure cautelari si svolga, su richiesta dell'indagato o del ricorrente, nelle forme della pubblica udienza. È stato parimenti escluso che l’intervento auspicato dal giudice a quo possa ritenersi imposto dalla norma costituzionale interna sul «giusto processo» di cui all'art. 111, comma 1, Cost., in quanto il riesame costituisce un procedimento incidentale, innestato sul tronco di un più ampio procedimento penale e non inerente al merito della pretesa punitiva (non diretto, cioè, a stabilire se l'imputato sia colpevole o innocente), ma finalizzato esclusivamente a verificare, in tempi ristrettissimi e perentori, la sussistenza dei presupposti della misura cautelare applicata. È stata, di poi, ritenuta infondata, per disomogeneità dei tertia comparationis, è la censura di violazione dell’art. 3 Cost., connessa all’asserita irragionevole disparità di trattamento dei soggetti coinvolti nel procedimento di riesame rispetto a quelli coinvolti nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione e di misure di sicurezza, nonché ai soggetti coinvolti nel giudizio abbreviato e nel giudizio ordinario.
[7] Il riferimento è a Corte Cost. 13 dicembre 2017, n. 263, in Giur. Cost., fasc. 6, 2017, pag. 2870, con nota di P. Spagnolo, L’esclusione della pubblicità nel procedimento di riesame: ribadite le peculiarità della procedura de libertate; nonché in Cass. Pen., 2018, n. 3, p. 840, con nota di E. Aprile, Osservazioni a C. Cost., data udienza (24 ottobre 2017), data deposito 13 dicembre 2017, n. 263;
[8] Così Corte Cost. 18 marzo 2022, n. 73, in Giur Cost., fasc. 2, 2022, p. 879, con nota di M. Basilavecchi, La pubblica udienza nel processo tributario.
[9] Così Corte Cost. 3 giugno 2024, n.96, in Giur. Cost., fasc. 3, 2024, p. 968, co nota di A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c. e l’intervento “ortopedico” della Corte costituzionale
[10] In Foro it. 2024, 6, I, 1628, con nota di D. Delfino, Le verifiche preliminari e l’udienza “filtro”: garanzia del contraddittorio sulle questioni liquide e poteri di direzione del processo; ibidem, con nota di G. Carmellino, La lettura costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c.
[11] Così A. Carratta, op. ult. Cit.
[12] Invero, la Corte Costituzionale fa espresso riferimento all’udienza ex art. 127 bis c.p.c.; nondimeno non sembrano sussistere ragioni ostative a che il Giudice, raccogliendo la sollecitazione proveniente da una delle parti, opti comunque per la sostituzione dell’udienza in modalità cartolare, di modo che spetterà poi alle parti se del caso sollecitare la fissazione dell’udienza in presenza o, almeno, mediante collegamento audiovisivo; in questa direzione pare andare G. Carmellino, La lettura costituzionale, cit.
[13] cfr. in tal senso, nonché in Cass. Pen., 2018, n. 3, p. 840, con nota di E. Aprile, op. ult. Cit.
[14] Così, Cass. Civ., sez. VI, 10 gennaio 2017, n. 395, in Foro It., 2017, fasc. 2, p. 538, con nota di G. Costantino, Cassazione civile, procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso; in Il lavoro nella giurisprudenza, 2017, fasc. 3, p. 243, con nota di F.M. Giorgi, Il nuovo “rito camerale” del giudizio di Cassazione
[15] A tal proposito, si segnala, che non è, in realtà, precluso al giudice, in caso di opposizione delle parti, disporre comunque la trattazione digitale della causa. Nella relazione che accompagna il cd. Decreto correttivo, infatti, si legge che “…Non si è viceversa ritenuto necessario apportare un’ulteriore correzione volta a prevedere che nel revocare il provvedimento che ordina la trattazione scritta il giudice possa disporre che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza, in quanto si è ritenuto che tale possibilità sia già contemplata dalla attuale previsione, ai sensi della quale in caso di opposizione il giudice «provvede»; espressione che non pone un’alternativa secca tra il rigetto dell’opposizione e la celebrazione dell’udienza in presenza, ma consente anche la soluzione intermedia rappresentata dall’udienza “da remoto”…”
[16] Si veda, in tal senso, L. Piccininni, Le nuove norma in tema di giustizia digitale, in Riv. Dir. Proc., 2023, n. 3, p. 1146.
[17] Cfr. M. Bove, Modifiche processuali per le liti di lavoro nella riforma Cartabia, in Riv. Dir. Proc. Civ. it. e comp, 2024; nella stessa direzione pare andare L. Piccininni, Le nuove norma in tema di giustizia digitale, cit.
[18] Però, sulla valenza costituzionale del principio di pubblicità dell’udienza si veda G. Scarselli, Mala tempora currunt. Scritti sull’ultima riforma del processo civile, 2023, p. 255 e ss.
[19] Trattasi di un tema neanche nuovo. Si veda in tal senso G. Chiovenda, L’oralità e la prova, di recente riapparso di recente in Riv. Dir. Proc., 2024, n. 1 nel quale è possibile ripercorrere la contrapposizione, circa il principio di oralità, con le posizioni espresse da Mortara, Per il nuovo codice della procedura civile, in Giur. it., 1923, IV, p. 136. Più di recente, si veda diffusamente I. Pagni, Tra oralità e scrittura, il rischio delle decisioni a sorpresa, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2024, fasc. 2, p. 403; Id. Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l'emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell'udienza, in Judicium, 15 dicembre 2020.
[20] Così, ad es., Cassazione civile sez. lav., 03/09/2024, n. 23565, in Giustizia Civile Massimario 2024; si veda, altresì, Cassazione civile sez. III, 19/12/2022, n. 37137 secondo cui “…È legittimo lo svolgimento dell'udienza di discussione orale della causa ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l'assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell'udienza per il deposito di note scritte previsto nel periodo di emergenza pandemica dall'art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2020, in quanto tale procedimento - in linea generale e salve le eccezioni normativamente previste - è idoneo a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui sia per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non sia invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in presenza) e anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito, senza che possa ammettersi in proposito una valutazione casistica fondata sull'oggetto, sulla rilevanza e sull'eventuale complessità della controversia, che determinerebbe una intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti decisori, non fondata sull'applicazione di precisi schemi procedurali fissi, ma sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, opinabili e controvertibili”, in Ius Processo civile, 28 febbraio 2023, con nota di R. Masoni, Cartolarizzazione dell’udienza di discussione e decisione tra legislazione emergenziale e nuovo rito.
[21] Si veda, ad es., Cassazione civile sez. lav., 26/06/2024, n. 17587 secondo cui “….Nel rito del lavoro, la mancata comunicazione del dispositivo (che, secondo la regola generale dell'art. 437 c.p.c., dev'essere letto nella stessa udienza di discussione) in esito all'udienza cartolare a trattazione scritta - prevista per l'emergenza pandemica dall'art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2020 - non determina alcuna nullità, sia perché il legislatore ha adottato in via generale, anche nel rito speciale, lo schema camerale per la trattazione dei processi civili, ritenuto sufficiente a garantire il contraddittorio anche con la successiva comunicazione, unitamente o separatamente dal provvedimento decisorio, del dispositivo senza che ciò comporti lesione del diritto di difesa (dato che i termini per l'impugnazione decorrono dalla data della comunicazione telematica), sia perché nessuna invalidità è espressamente prevista dal sottosistema processuale "emergenziale", né è vietata l'annotazione postuma, nel fascicolo elettronico, di atti precedenti”; cfr. ancora, Cassazione civile sez. III, 07/06/2024, n. 15993 secondo cui “…Nel rito del lavoro, nel caso in cui l'udienza pubblica di discussione sia sostituita dalla trattazione scritta ai sensi dell'art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con l. n. 27 del 2020, l'omesso deposito telematico del dispositivo il giorno dell'udienza equivale alla sua mancata lettura, che determina, pertanto, la nullità della sentenza…”
[22] Cfr. a riguardo, Cassazione civile sez. lav., 03/09/2024, n. 23565, circa la necessità di un inequivoco riscontro dei presupposti formali dell’art. 127 ter c.p.c. essendo si affermato che “…in mancanza, nelle note depositate in sostituzione dell’udienza, delle espresse "istanze e conclusioni" attraverso cui si realizza la fictio impostata dall’art. 127-ter c.p.c., il giudice può validamente assumere i provvedimenti per i quali l’udienza è stata fissata solo se sia certo, attraverso un’integrale interpretazione dell’atto nel contesto processuale, l’intento delle parti di dare impulso alla trattazione della causa, dovendo altrimenti formulare richiesta di chiarimenti, attraverso il rinvio a tal uopo ad altra udienza, in presenza o, se del caso, in forma sostitutiva scritta o, se sia al contrario già chiaro l'intento di non dare impulso alla causa, disporre ai sensi dell'art. 127-ter, quarto comma, c.p.c."
[23] Ad esempio, il terzo comma dell’art. 7 ha previsto che, in deroga all’articolo 35, comma 1, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, le disposizioni di cui agli articoli 183 ter e 183 quater e quelle di cui all’articolo 281 sexies del codice di procedura civile, come modificato dal decreto legislativo n. 149 del 2022 e dal presente decreto, si applicano anche ai procedimenti già pendenti alla data del 28 febbraio 2023.
Siffatta modifica, a ben vedere, è effettivamente opportuna, tenuto conto che le modifiche introdotte all’art. 281 sexies c.p.c., in specie all’ultimo comma, sarebbero state applicabili unicamente a far data dal 28 febbraio 2023, mentre, in questo modo, ne è stata estesa l’applicabilità ai procedimenti già pendenti, per l’appunto derogando all’art. 35 d. lgs. 149/2022.
[24] Si veda in tal senso la Relazione illustrativa al cd. decreto correttivo ove si legge che “…L’intervento correttivo si propone di risolvere le questioni sorte in ordine alla possibilità di sostituire l’udienza di discussione della causa con il deposito di note scritte e, più in generale, alla sua compatibilità con il rito del lavoro e con le udienze che, anche nel rito ordinario, richiedono la comparizione personale delle parti ai fini di un’interlocuzione col giudice. La scelta è caduta su una soluzione mediana che, per un verso, valorizza l’impiego virtuoso della disposizione di cui all’art. 127-ter c.p.c. tutte le volte in cui la trattazione della causa in udienza appesantisce senza una concreta utilità la singola vicenda processuale e, più in generale, la gestione delle udienze e del ruolo del giudice; per altro verso, è chiarito che la trattazione in udienza è obbligatoria e, dunque, insostituibile, nei casi in cui l’effettiva interlocuzione tra le parti e delle parti col giudice risulta necessaria – specialmente in presenza di un’espressa previsione di legge (artt. 117, 185 e 185-bis) – alla formazione del libero convincimento dell’organo giudicante, al pieno esercizio del diritto di difesa oppure alla definizione per via conciliativa della lite…”
[25] Cfr. ancora relazione illustrativa citata, pag. 55
[26] Così, M. Bove, Modifiche processuali per le liti di lavoro nella riforma Cartabia, cit.
[27] Appare cogliere nel segno, quindi, quanto osserva L. Piccininni, Le nuove norma in tema di giustizia digitale, cit. secondo cui “…poiché l’opzione cartolare incontra limiti intrinseci di natura positiva e sistematica, che non appaiono superabili attraverso poteri dispositivi delle parti, neppure se convergenti, il giudice dovrebbe assecondarne la volontà unicamente se l’esito cui esse tendono mediante l’istanza concorde sia compatibile con l’ambito applicativo dell’istituto, non già in via di acritica obbedienza e soggezione…”; si veda anche F.P. Luiso, Il nuovo processo ciivle. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2023.
[28] Sul punto si rimanda a quanto osservato da I. Pagni, Tra oralità e scrittura, il rischio delle decisioni a sorpresa, cit., par. 5; l’Autrice osserva come la valutazione della prassi quotidiana suggerisca la necessità di coordinare la trattazione scritta con il confronto orale, di modo che la prima si aggiunga al secondo, quale strumento per il “miglior svolgimento del processo” e, con esso, del recupero di ruolo del giudice quale “motore impegnato e cosciente”.
[29] Sul valore della prassi si veda P. Biavati, L’attuazione delle riforme processuali, fra norme e prassi, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., fasc. 3, 2024, pag. 737
[30] Ad esempio, con tale finalità, nella relazione illustrativa al decreto “Correttivo” si legge (pag. 11) che era stata sollecitata la fissazione di un doppio termine, uno per il deposito di note scritte e l’altro per repliche, proprio in funzione di garantire il contraddittorio.
[31] D’altro canto, nella medesima relazione illustrativa si legge che “…la concessione di due termini determinerebbe una dilatazione dei tempi del processo e che le note scritte fanno seguito a precedenti difese scritte nelle quali le parti hanno già svolto le proprie argomentazioni, cosicché la contestualità del deposito non determina violazioni del diritto di difesa. Il principio del contraddittorio è fatto salvo, posto che nei limitati casi in cui, a seguito del deposito delle note scritte, vi sia necessità di un ulteriore contraddittorio (principio garantito anche a livello costituzionale, che presidia tutto il processo) il giudice può utilizzare i propri poteri di direzione del procedimento fissando un’udienza o concedendo termini per replicare per iscritto…”
[32] Così, Calamandrei, Oralità nel processo (Diritto processuale civile), in Nuovo dig. it., IX, Torino, 1940. Si veda diffusamente A. Punzi, Verso l’udienza aumentata? Brevi note su oralità e scrittura nel processo, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2024, fasc. 2, p. 463.
[33] È quanto, del resto, affermato dalla S.C. ove viene escluso ogni profilo di nullità della pronuncia proprio in considerazione del fatto che vi sia stata una piena coincidenza tra la data, indicata in sentenza, dell’udienza di discussione e quella di deposito telematico del dispositivo, da intendersi come equipollente alla sua lettura in udienza. Cfr. ad es., Cass. civ. sez. III, 7 giugno 2024, n. 15993 secondo cui “…Nel rito del lavoro, nel caso in cui l'udienza pubblica di discussione sia sostituita dalla trattazione scritta ai sensi dell'art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con l. n. 27 del 2020, l'omesso deposito telematico del dispositivo il giorno dell'udienza equivale alla sua mancata lettura, che determina, pertanto, la nullità della sentenza…”. Più ambigua, invece, Cass. Civ., sez. lav. 26 giugno 2024, n. 17587 secondo cui “…in caso di udienza cd. cartolare pandemica a trattazione scritta, lo schema camerale è stato ritenuto dal legislatore sufficiente a garantire il contraddittorio con comunicazione successiva del dispositivo, unitamente o separatamente dal provvedimento decisorio, ferma la decorrenza dei termini per l’impugnazione dalla data della comunicazione telematica; e, nel caso in esame, dato atto che il dispositivo si intende depositato, quando manchi udienza in presenza, e che una registrazione successiva non determina violazione del contraddittorio, non sono riscontrabili ipotesi di nullità espressamente previste dal sottosistema processuale c.d. emergenziale…”, dal momento che la pronuncia pare appuntarsi più che altro sul differente momento legato alla annotazione dell’evento nello storico ed alla mancata comunicazione del dispositivo una volta comunicata la sentenza, più che sulla portata integralmente derogatoria della normativa emergenziale; cfr. Cass. Sez. Lav., ord. 32358 del 2023, cit. in part. Par. 9., secondo cui “…il deposito telematico del dispositivo a seguito della camera di consiglio è equivalente alla lettura in udienza…”).
[34] Di recente, ma antecedente alla pronuncia in commento, si veda Cassazione civile sez. lav., 06/05/2025, n. 11920 secondo cui “…la norma emergenziale di cui all'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, conv. dalla L. n. 77 del 2020, si applica a tutte le udienze civili, ivi comprese le controversie di lavoro, sostituendo l'udienza in presenza con l'udienza cartolare con la conseguenza che il deposito telematico del dispositivo a seguito della camera di consiglio è equivalente alla lettura in udienza…”; cfr. Cass. n. 13176 del 2024.
Più in generale, la S.C., ad esempio, ha ritenuto che sia legittimo lo svolgimento dell’udienza di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l’assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell’udienza per il deposito di note scritte previsto nel periodo di emergenza pandemica dall’art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. n. 18/2020, conv. con modif. dalla legge n. 37/2020, in quanto tale procedimento - in linea generale e salve le eccezioni normativamente previste - è idoneo a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui sia per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non sia invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in presenza) e anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito, senza che possa ammettersi in proposito una valutazione casistica fondata sull’oggetto, sulla rilevanza e sull’eventuale complessità della controversia, che determinerebbe una intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti decisori, non fondata sull’applicazione di precisi schemi procedurali fissi, ma sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, opinabili e controvertibili (Cass. n. 37137/2022).
[35] Si tratta di Corte Cost. 75/2019 in Giur. Cost., 2019, fasc. 2, pag. 913, con nota di C. Punzi, I limiti di orario nelle notificazioni eseguite con modalità telematica nonché in Foro it. 2019, 11, I, 3449
[36] Poteva, in ipotesi, ritenersi consentita l’adozione del provvedimento definitorio laddove, il giorno dell’udienza, le parti avessero già provveduto al deposito delle note scritte, il che imporrebbe, peraltro, di interrogarsi sulla possibilità per le parti medesime di esercitare una sorta di ius poenitendi, provvedendo, sempre nel termine di scadenza, al deposito di note scritte “sostitutive” di quelle già depositate. Per contro, indipendentemente dalla collocazione informatica dei procedimenti la cui udienza è stata sostituita in una apposita partizione della Consolle del magistrato, proprio perché il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito di note è considerato data di udienza “a tutti gli effetti”, appare da escludere la soluzione di poter assegnare per il deposito delle note scritte una data differente (ad es., il giorno prima dell’udienza originariamente prevista) giacché ciò si tradurrebbe, di fatto, nello svolgimento di una udienza in giorni diversi da quelli tabellarmente assegnati.
[37] Ragioni di completezza argomentativa impongono di notare come nella giurisprudenza amministrativa il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un’udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data. Invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell’ultimo giorno utile è inammissibile; cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 4 giugno 2024 n. 4997 ma anche Consiglio di Stato sez. III, 10 aprile 2025, n. 3074. Tuttavia ciò avviene in forza della espressa disposizione di cui all’art. 4, co. 4, delle disposizioni di attuazione al c.p.a.
[38] Quanto precede pare trovare conferma anche nella relazione al decreto cd. “Correttivo” ove si legge che “…si è risolta l’inconciliabilità pratica della sostituzione ex art. 127-ter c.p.c. dell’udienza di discussione, nei casi in cui questa richiede la lettura del dispositivo in udienza, con la possibilità delle parti di depositare note scritte fino al termine di quello stesso giorno: è stato perciò aggiunto un periodo all’ultimo comma dell’art. 127-ter c.p.c., in virtù del quale il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine si considera letto in udienza…”
La sentenza in oggetto si può consultare a questo link
Intervento di Giuseppe Cascini al V Congresso nazionale di Area DG, 10-12 ottobre 2025, Genova
Rivolgo un ringraziamento ai colleghi della sezione genovese per la splendida organizzazione di questo congresso e al segretario Zaccaro per la sua ottima relazione introduttiva.
Viviamo in un mondo sempre più attraversato da divisioni, polarizzazioni e scontri.
Le grandi sfide che pone la modernità, l'innovazione tecnologica, i cambiamenti climatici, l'aumento delle disuguaglianze, i flussi migratori, il sempre più diffuso ricorso alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie, richiederebbero dialogo, confronto, collaborazione tra punti di vista diversi, nella ricerca di soluzioni condivise e durature.
Dopo le grandi tragedie del secolo scorso l'umanità trovò la capacità di affermare il carattere universale dei diritti fondamentali e la loro prevalenza sul diritto della forza e lo fece attraverso un percorso di dialogo e di collaborazione che coinvolse popoli, culture, ideologie profondamente diverse.
Noi dovremmo riuscire a ritrovare quello spirito, senza dover aspettare un'altra tragedia, dovremmo riuscire a collaborare per costruire un futuro diverso per i nostri figli.
E invece mi pare che si stia facendo esattamente l’opposto.
La riforma costituzionale voluta dal Governo è stata presentata al parlamento come una scatola chiusa, sulla quale c’era solo uno slogan: spezziamo le reni ai magistrati. E il Governo ha imposto al parlamento la approvazione di quella scatola chiusa, senza discussioni e senza modifiche, come se fosse un decreto-legge.
Io non discuto la legittimità formale della procedura adottata, che è stata rivendicata dal Cons. Giuffrè. So bene che l’art.138 è stato formalmente rispettato. Ma la sostanza e lo spirito di quella disposizione sono stati calpestati, in un percorso che ha umiliato il Parlamento italiano e ha rifiutato qualsiasi confronto ed ascolto.
Quando gli studiosi cercheranno i lavori preparatori di questa riforma costituzionale non troveranno le parole di Calamandrei o di Mortati, ma quelle di un ministro siciliano che ha definito killer i magistrati, come ha ricordato poco fa il cons. Carbone. Leggeranno le campagne di denigrazione nei confronti di magistrati, gli insulti e le contumelie che hanno accompagnato la riforma e che danno il senso e il segno della volontà politica del legislatore: ridimensionare il ruolo della giurisdizione e (ri)condurre i magistrati in una posizione di sudditanza nei confronti del potere politico.
Lo ha detto esplicitamente poco fa anche il cons. Giuffrè, quando ha parlato della necessità di mettere fine all’uso alternativo del diritto da parte dei magistrati. Tornerò tra un attimo su questo punto, perché mi pare centrale.
Non vi è stata una discussione e non è stato possibile un confronto sugli obiettivi della riforma e sulla congruità delle soluzioni proposte a realizzare quegli obiettivi.
Il risultato è un testo privo di qualsiasi razionalità, pieno di incongruenze e di contraddizioni, scritto e approvato in fretta e senza ponderazione. Quanto di più lontano da ciò che si richiede ad un testo costituzionale. Mi soffermerò più avanti su alcuni punti per cercare di dimostrare cosa intendo dire.
Forse all'inizio non si voleva arrivare sin qui. Probabilmente si voleva solo mandare un segnale ai magistrati, una sorta di invito a non disturbare il manovratore.
Poi è successo qualcosa per cui si è scelto di andare avanti e così si sta arrivando ad approvare una riforma costituzionale che, lo dico con tutto il rispetto, secondo me pochi hanno letto e ancora meno hanno compreso.
Prima di soffermarmi, come anticipato, su alcuni punti di merito della riforma, devo una risposta al Cons. Giuffrè sulla questione dell’uso alternativo del diritto.
È vero che nei primi anni della storia repubblicana vi fu una lunga stagione in cui la Costituzione restò inattuata. Gli studiosi hanno definito quel periodo come gli anni del gelo costituzionale. La ragione storica di questo ritardo è da ricercare nella mancanza di una effettiva cesura nelle classi dirigenti del paese, ivi compresa la magistratura, rispetto al regime fascista. E non ha nulla a che vedere con la mancanza di alternanza nel governo del paese.
All’inizio degli anni ’60 sotto la pressione dei movimenti giovanili e con l’ingresso negli apparati dello Stato di una generazione convintamente antifascista iniziò un processo di attuazione della Costituzione, al quale partecipò anche la magistratura.
E infatti, nonostante la mancanza di alternanza nel governo del paese, il Parlamento approvò alcune importanti riforme sociali e culturali: lo statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, la legge Gozzini e tante altre. E lo fece attraverso quel metodo di dialogo, di confronto e di collaborazione cui facevo cenno all’inizio e che ha segnato i momenti migliori della storia di questo paese.
Anche la magistratura fu protagonista di questo processo di disgelo costituzionale, grazie all’ingresso di una nuova generazione di magistrati, alla istituzione del Consiglio superiore della magistratura, alle leggi che abolirono la carriera e la supremazia della magistratura di legittimità.
In quegli anni fu coniata l’espressione, volutamente provocatoria e probabilmente anche un po’ infelice, di uso alternativo del diritto. Ma il senso di quella espressione era molto lontano da quello che i tanti detrattori dei magistrati, e qualche ignorante tra noi, hanno voluto dargli. Basta leggere gli scritti di Senese, di Borrè e di Ferrajoli di quegli anni per comprendere che ciò di cui si discuteva era il carattere immediatamente precettivo delle disposizioni costituzionali e la conseguente necessità di rileggere la normativa vigente attraverso la lente della Costituzione, reinterpretandola, ove possibile, in maniera costituzionalmente conforme oppure, ove non possibile, denunciandone la illegittimità davanti alla Corte Costituzionale. Un uso del diritto dunque alternativo a quello conservativo e anticostituzionale fino a quel momento propugnato dai vertici della magistratura.
Questo ruolo della giurisdizione di custode e di garante dei principi fondamentali consacrati nelle carte costituzionali è divenuto ormai senso comune in tutte le democrazie costituzionali. E si è anzi accentuato negli ultimi decenni in ragione della sempre maggiore complessità degli ordinamenti giuridici e delle fonti sovranazionali. E non a caso è ovunque ragione di tensioni e conflitti tra potere politico e magistratura.
Mi rendo conto che questi vincoli -la Costituzione, i diritti fondamentali, le norme sovranazionali- possono rendere più complicata la vita di chi è chiamato a governare la enorme complessità della realtà, ma dovrebbe essere interesse di tutti conservare questo ruolo neutro della giurisdizione a tutela e garanzia dei diritti di tutti.
Concludo con alcuni accenni al merito della riforma, che, secondo me, dimostrano quanta poca ponderazione e riflessione ci sia stata nel disegnare questo progetto.
Toccherò tre punti nei quali, a me pare, le soluzioni proposte non risolvano e in alcuni casi addirittura accentuino i problemi che si dichiara di voler fronteggiare: il sorteggio, la separazione degli ordini e il secondo CSM per i pubblici ministeri, il disciplinare.
Il sorteggio, lo dicono in tanti e lo hanno detto anche oggi l’Avv. Greco e il cons. Giuffrè, è una cosa sbagliata. Il presidente Greco lo ha definito una cosa abominevole. Ma, si dice, di fronte alla gravità del fenomeno del correntismo qualcosa è necessario fare. E dunque, in assenza di altre proposte, meglio fare una cosa sbagliata che non fare nulla.
Questo argomento è francamente sorprendente: stiamo parlando della Costituzione e non credo si possa sfregiare la Costituzione inserendovi una previsione abominevole solo perché non c'è venuta in mente un’idea migliore.
Ma, poi, non è vero che non ci sono rimedi possibili ai vizi del correntismo.
Uno degli anticorpi alle degenerazioni del correntismo è qui, davanti ai vostri occhi: è il dibattito libero e trasparente, sulle idee, sui valori, sui principi, di un gruppo di magistrati.
I corpi intermedi, l'elaborazione collettiva, il confronto delle idee sono un antidoto potente rispetto ai gruppi di potere che si riuniscono in luoghi nascosti, alle conventicole, ai centri di potere.
L’ho detto più volte e in più occasioni: le degenerazioni clientelari e corporative del governo autonomo della magistratura non derivano dalla forza delle correnti, ma semmai dalla loro debolezza, cioè dalla loro incapacità di fare da argine alle richieste di protezione e di promozione provenienti dagli iscritti.
Un ruolo fondamentale potrebbe avere la componente laica del CSM attraverso un recupero del suo ruolo di effettiva rappresentanza dell’accademia e della avvocatura. Non penso, cons. Giuffrè, che la questione sia di adeguatezza del curriculum professionale o accademico dei componenti laici. La questione è quella del mutamento del ruolo della componente laica all'interno del Consiglio, con una accentuazione del peso della appartenenza politica. Oggi la componente laica tende sempre di più a portare in Consiglio il punto di vista della politica e non quello dell’accademia o dell’avvocatura. E, a volte, ha portato anche alcuni vizi della politica, che si sono andati a sommare ai vizi della componente togata.
I laici dovrebbero tornare a svolgere quel ruolo di antidoto rispetto ai rischi di ripiegamento corporativo dell’organo di governo autonomo.
La soluzione proposta dalla riforma, invece, mortifica allo stesso tempo il Parlamento, l’Avvocatura e l’Accademia. E non aiuterà a rendere più forte e autorevole la componente laica.
Ma soprattutto l'antidoto al corporativismo sta nella partecipazione dei magistrati alla discussione collettiva, sta nella loro capacità di confronto con l'esterno, nella capacità di pensare e di elaborare.
Il sorteggio, invece, elimina ogni possibilità di rappresentanza sulla base di idee e di valori ed esclude i magistrati, che partecipando alla vita delle correnti o dell’associazione magistrati, hanno acquisito una abitudine al confronto delle idee. E questo produrrà inevitabilmente un ripiegamento corporativo dell’organo di governo autonomo.
Il secondo punto riguarda il pubblico ministero.
La necessità della riforma viene spiegata con l’eccessiva invadenza del potere del pubblico ministero: troppe indagini che spesso finiscono con assoluzioni, eccessivo riflesso mediatico dei risultati delle indagini, scarsa attenzione del pubblico ministero alle garanzie degli indagati.
Alcuni di questi problemi sono reali, anche se le cause sono diverse e non tutte attribuibili alla magistratura, ma non è questa la sede per affrontare il tema. Quello che mi preme dire è che queste criticità, per la parte che riguarda la magistratura, con il nuovo assetto non potranno che peggiorare.
Lasciare il monopolio dell’azione penale obbligatoria in capo ad un corpo molto ristretto di funzionari, che dispongono della polizia giudiziaria, che si amministrano da soli e che godono delle stesse garanzie di indipendenza e di autonomia dei giudici, rischia di creare davvero quel predominio dei pubblici ministeri che oggi alcuni paventano.
A me pare evidente, infatti, che la separazione porterà ad un aumento, e non ad una diminuzione dei difetti della funzione, determinando inevitabilmente una torsione in senso inquisitorio del pubblico ministero.
Ciò avrà una ricaduta anche sul piano del ruolo del Consiglio superiore della magistratura. Molti lamentano, oggi, l’eccessivo ruolo politico del Consiglio, che con i suoi pareri sui progetti di riforma interferirebbe con il processo legislativo atteggiandosi ad una sorta di terza camera. È questa una critica che io ho sempre ritenuto infondata, in quanto è esclusivamente frutto di una debolezza della politica e della sua incapacità di assumersi la responsabilità delle scelte, eventualmente anche andando di contrario avviso rispetto al parere di un organo tecnico. Ma quello che è certo è che tra i due Consigli che saranno creati dalla riforma quello che avrà maggiore peso politico nel dibattito pubblico e i cui pareri potranno maggiormente interferire sulle scelte del legislatore sarà proprio quello dei pubblici ministeri.
Anche per questo in molti pensano, e alcuni lo hanno detto anche esplicitamente, che l’attuale riforma non sia che un primo passo verso l’approdo finale della sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo. Un approdo, si badi, che non richiederebbe necessariamente una nuova modifica costituzionale e che potrebbe essere realizzato anche di fatto, ad esempio rafforzando ulteriormente il potere dei dirigenti degli uffici. L’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario, infatti, per essere effettive richiedono robusti ed efficaci presidi di garanzia, senza i quali la mera affermazione del principio in Costituzione può ridursi anche a pura e inutile declamazione.
In ultimo il tema del disciplinare con la creazione di una Alta Corte separata dal CSM, sul quale pure sono molteplici le criticità.
La espressa esclusione del ricorso in Cassazione avverso le sentenze della Alta Corte è chiaramente in contrasto con il disposto dell’art.111 della Costituzione e porterà alla probabile dichiarazione di incostituzionalità della norma, con il rischio che in ragione del numero limitato di componenti la Corte si trovi presto nell’impossibilità di funzionare.
È difficile, inoltre, comprendere la coerenza sistematica di una riforma che separa in maniera netta i due ordini giudiziari, crea due Consigli superiori, ma poi affida il disciplinare ad un organismo misto di giudici e pubblici ministeri, peraltro con una rappresentanza di pubblici ministeri proporzionalmente più ampia (3 contro 6 a fronte di un rapporto di 2 a 10 nella attuale composizione della magistratura). Difficile comprendere come mai qui non venga in gioco il pericolo di un condizionamento dei giudici da parte dei pubblici ministeri, pericolo che è indicato come ragione e fondamento dell’intera riforma.
Vi è poi il problema della iniziativa disciplinare oggi affidata per previsione costituzionale al Ministro e per previsione legislativa anche al Procuratore generale. Sul punto la riforma nulla dice. Resterà nelle leggi di attuazione, l’iniziativa anche in capo al Procuratore generale oppure si intende lasciarla al solo Ministro della giustizia?
Nel primo caso appare evidente come ne risulterebbe ancora più rafforzato quel pericolo di condizionamento dei giudici da parte dei pubblici ministeri. Non solo i pubblici ministeri giudicano gli illeciti disciplinari anche dei giudici, ma addirittura si affida al vertice dell’ordine requirente l’iniziativa disciplinare anche nei confronti dei giudici. E tutti sappiamo quanta incidenza abbia nel disciplinare il potere di azione (e il connesso potere di non esercizio dell’azione).
Nel secondo caso si affiderebbe, invece, l’iniziativa disciplinare al solo Ministro della giustizia. Solo che l’azione disciplinare è obbligatoria, mentre la Costituzione (art.107) attribuisce al Ministro della giustizia la sola facoltà dell’esercizio. E tutti sappiamo che i casi in cui il Ministro della giustizia ha esercitato questa facoltà non sono molti. E la gran parte di essi non fanno onore ai Ministri che l’hanno esercitata. Il risultato sarebbe una drastica riduzione del numero di azioni disciplinari e, al contempo, una fortissima politicizzazione della iniziativa. Ed è probabile che ad una scarsa o nulla attenzione all’iniziativa disciplinare per gli illeciti extra-funzionali dei magistrati, quale quella registrata finora, si venga a contrapporre un incremento della iniziativa sugli illeciti funzionali a fronte di decisioni giudiziarie non gradite al potere politico.
Infine, vale per l’Alta Corte disciplinare, anch’essa composta per sorteggio, la stessa obiezione mossa alla composizione dei due Csm, dovendosi ritenere altamente probabile che anche in questo organismo composto per sorte finiscano per prevalere logiche di protezione corporativa.
Con un pericolo ulteriore, però, connesso alla separazione della funzione disciplinare dalla funzione di governo della magistratura: è possibile che magistrati estratti a sorte, privi di esperienze associative o di governo autonomo, non investiti anche della funzione di presidio della autonomia affidata al Csm, a fronte del possibile aumento delle contestazioni per illeciti funzionali e della forte pressione politica ad esse connessa, possano non coltivare a pieno quella forte attenzione al principio di intangibilità dell’attività di interpretazione delle norme e di valutazione del fatto, che è attualmente sancita dalle pronunce delle Sezioni unite della corte di cassazione, ma che già oggi tende pericolosamente a essere messa in discussione da alcune pronunce della sezione disciplinare.
Insomma, io credo che nonostante si sia arrivati alla terza lettura e nonostante il clima che si cerca di creare, buon senso e serietà impongano di fermarsi e riflettere; di buttare via gli slogan e le pretese di rivincita di un potere sull’altro e di cercare di individuare soluzioni condivise nell’interesse dei cittadini e del paese.
Testo rielaborato ed ampliato dell’intervento svolto nella tavola rotonda su “I diritti negati “ il 10 ottobre 2025, nell’ambito del Congresso di Area Democratica per la Giustizia che ha avuto luogo a Genova il 10-12 ottobre 2025.
1. La crisi in cui questo Congresso si svolge può forse definirsi come la più drammatica nella storia recente della magistratura italiana e di tutte le istituzioni democratiche.
La violenza di due guerre non lontane dai nostri confini ci ha consegnato fino a ieri immagini di morti, di bambini disperati, di persone affamate che tendevano una ciotola per avere un po' di cibo, di migrazioni di massa verso destinazioni sconosciute e impossibili, di potenti della terra occupati a spartirsi territori del mondo.
Nel circuito impazzito della democrazia che è sotto i nostri occhi una politica cattivista si fa promotrice di un cambiamento fatto di diritti negati, di porti chiusi, di riduzione delle persone a corpi, di infanzia violata, di rimozione di ogni seria politica di genere, di repressione di qualsiasi possibile dissenso, di creazione di nuovi reati privi di pericolosità, in un approccio panpenalista di chiara matrice populista.
Emergono nella realtà dei nostri giorni nuove diseguaglianze, accentuate dalla mancanza di servizi sociali, da moltiplicate povertà, dalla precarietà del lavoro, dal rifiuto del diverso e del migrante, dal riaffermarsi di atteggiamenti culturali di spiccata tendenza sessista, da una concezione patriarcale dei rapporti tra i generi, sulla quale alligna la cultura della violenza fisica e della sopraffazione morale delle donne.
Il tema della sicurezza è divenuto una sorta di brand pubblicitario, secondo la definizione di Armando Spataro, che serve a giustificare qualsiasi violazione dei diritti fondamentali; l’ altro tema della paura, in particolare la paura degli immigrati, è anch’ esso entrato prepotentemente al centro dell’agenda politica, mentre appaiono desolatamente assenti le questioni della sicurezza sociale, del sostegno alle famiglie e alle persone in difficoltà, della sicurezza del lavoro, della salute, del benessere ambientale, della qualità della vita, della casa, della scuola e dell’ educazione affettiva.
Il Parlamento ha perso da tempo le sue prerogative di decisore politico e prima ancora di luogo di confronto e di sintesi tra opzioni diverse per assumere un ruolo subalterno al Governo, di ratifica di decisioni prese altrove, anche quando si tratta di modificare la Costituzione. Viene così a verificarsi una progressiva erosione dei presidi democratici attuata in forme subdole e non sempre riconoscibili.
Viviamo una stagione segnata da una continua lesione dei diritti fondamentali della persona: siamo sospesi in una sorta di limbo fatto di diritti negati o resi ineffettivi, perché le generose aperture della Corte costituzionale, anche attraverso l’ elaborazione di strumenti decisori innovativi, non trovano riscontro e completamento nelle scelte del potere politico, che anzi vive ogni intervento giurisdizionale a tutela dei diritti come un inaccettabile attentato all’ autonomia degli altri poteri, mentre gli obblighi che derivano dai vincoli internazionali e sovranazionali sono vissuti con fastidio o del tutto ignorati.
2. Sono molti i diritti fondamentali che attendono da anni di essere riconosciuti e garantiti, in evidente spregio degli insistiti richiami della Consulta, diritti che è compito dei magistrati tutelare, senza il timore di liste di proscrizione. Procedo ad una loro rapida e non esaustiva elencazione.
A. C’è da completare la disciplina del cognome dei figli nati nel e fuori dal matrimonio, attraverso una legge che realizzi pienamente il principio costituzionale di parità tra i genitori ed elimini ogni traccia di quella storica, orribile discriminazione delle donne, forse la più arretrata in ambito europeo. Come è noto, la sentenza n. 286 del 2016 della Corte Costituzionale - una sentenza per certi aspetti dirompente, nonostante la sua portata limitata - nel dichiarare l’ incostituzionalità della norma non espressa, ma desumibile dal sistema, che non consentiva ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno, ritenne indifferibile un intervento legislativo che disciplinasse organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità tra i genitori, in tutti gli aspetti non coperti dalla pronuncia di incostituzionalità. Successivamente, la sentenza n. 131 del 27 aprile 2022 della stessa Corte delle leggi segnò una vera svolta rispetto al regime precedente dichiarando l’incostituzionalità dell’intero sistema di attribuzione del cognome. In motivazione la Corte definì impellente un intervento del legislatore che dettasse una disciplina coerente ed organica, evitando anche meccanismi moltiplicatori nel succedersi delle generazioni e tutelando l’interesse del figlio a non vedersi attribuire un cognome diverso rispetto a quello dei fratelli e delle sorelle.
Da allora sono passati inutilmente più di 3 anni senza che il Parlamento rispondesse ai pressanti inviti della Consulta a colmare le non poche lacune conseguenti ai suoi interventi.
Attualmente sono all’ esame delle Camere ben nove progetti e disegni di legge, ma l’iter parlamentare sembra ancora ben lontano dalla conclusione.
B. Va disciplinata la condizione dei bambini nati da maternità surrogata. Nonostante i reiterati inviti della Corte Costituzionale ad affrontare il tema, il Parlamento non è stato capace di far altro che configurare una sorta di reato universale, estendendo con la legge n. 169 del 2024 la punibilità della gestazione per altri al caso di surrogazione commessa all’ estero da cittadini italiani, peraltro bypassando disinvoltamente il principio della doppia incriminazione. Questa scelta, di chiara ispirazione propagandistica e di evidente matrice ideologica, adottata nel tripudio generale delle forze di governo, dimostra in modo plateale e con rara finezza l’incapacità della classe politica di distinguere il piano della illiceità penale della condotta degli adulti, che non è in discussione, dal rispetto della vita vera, la quale esige un principio ordinativo nei confronti dei bambini che per effetto di tale pratica sono comunque venuti al mondo e che reclamano uno status, quello stato giuridico di cui l’ art. 315 c.c. ha previsto inequivocabilmente l’ unicità.
C. Va altresì delineato in via legislativa il procedimento per la conoscenza delle proprie origini. Come è noto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 278 del 18 novembre 2013 aveva dichiarato l’ incostituzionalità dell’ art. 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983 nella parte in cui non prevedeva, attraverso un procedimento stabilito dalla legge idoneo ad assicurare la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre che al momento del parto avesse dichiarato di non voler essere nominata, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e aveva demandato al legislatore il compito di introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’ anonimato. Con sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017 le Sezioni Unite, a distanza di oltre 3 anni dalla pronuncia della Consulta, hanno affermato che la norma dichiarata incostituzionale non poteva più trovare applicazione, onde non era più possibile negare a priori al figlio l’ accesso alle informazioni sulle sue origini in forza di un vincolo non più assoluto e immodificabile, ma che il mancato intervento del legislatore nella regolazione del procedimento di interpello non esonerava gli organi giurisdizionali dall’ applicazione diretta dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale ed imponeva di interpellare la madre ai fini di una eventuale revoca della precedente dichiarazione, reperendo sussidiariamente nel sistema le regole più idonee ed adottando modalità procedimentali capaci di assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna.
Sono trascorsi da allora quasi 9 anni ed il Parlamento non è stato in grado di offrire soluzioni normative idonee alla composizione degli interessi in gioco.
D. Ed ancora in materia di fine vita le importanti decisioni della Corte Costituzionale che entro determinati limiti hanno sancito la non punibilità del suicidio assistito attendono di essere integrate da scelte politiche di competenza del legislatore. Spetta invero ai nostri rappresentanti politici individuare - completando il disegno con il quale la Consulta, con l’ordinanza n. 207 del 2018 e la successiva sentenza n. 242 del 2019, e poi con le sentenze n. 135 del 2024 e n. 66 del 2025, ha fornito una solida, ma incompleta intelaiatura di una futura legge - un punto di equilibrio tra i vari interessi coinvolti e disciplinare in modo dettagliato l’ambito di liceità dell’aiuto al suicidio. È allora innanzi tutto necessario che in sede parlamentare si definisca la posizione giuridica del soggetto richiedente, ossia che si precisi se nelle situazioni date sia configurabile un diritto soggettivo ad essere aiutati a morire. Di un diritto siffatto nelle motivazioni del giudice delle leggi non vi è menzione, ed anzi pare doversi escludere l’esistenza, parlando esse solo di richiesta di aiuto e lasciando al medico la facoltà di esaudirla, così sembrando voler ridurre la possibilità di morire in modo conforme alle proprie scelte individuali tramite aiuto di terzi a mera libertà di esprimere una istanza non vincolante. È inoltre necessario che il Parlamento stabilisca se le quattro condizioni che nella pronuncia della Corte Costituzionale fissano il perimetro all’ interno del quale si legittima la richiesta di aiuto a morire siano tassative o se costituiscano solo un punto di partenza per ulteriori aperture; in detto ambito dovranno anche fornirsi elementi di chiarezza sul concetto di trattamenti di sostegno vitale. È necessario altresì, ferma la possibile individuazione di garanzie sostanzialmente equivalenti, che sia puntualmente articolata la procedura da seguire, soprattutto in relazione all’ intervento ed al potere di controllo di un organismo terzo e all’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario, sommariamente evocati dalla Corte. È ancora importante che sia dettata una disciplina per le fattispecie precedenti la pronuncia del giudice delle leggi, che non possono essere affidate alla discrezionalità dei singoli giudici, stante l’evidente inapplicabilità al pregresso dell’iter configurato dalla Consulta.
Il testo unificato di vari disegni di legge attualmente all’ esame delle Commissioni Giustizia e Sanità del Senato, relatori Zanettin e Zullo, sembra purtroppo del tutto disallineato rispetto alle indicazioni della Consulta.
Va ricordato che di recente sono state intraprese varie iniziative a livello regionale dirette a disciplinare la materia, anticipando i tempi lunghi del Parlamento, e che anzi la Regione Toscana, ed ora anche la Regione Sardegna, si sono date una propria legge. Pur apprezzando lo spirito che anima dette iniziative e pur riconoscendo il ruolo propulsivo che esse possono svolgere nei confronti del legislatore statale, non ritengo percorribile una strada siffatta. La materia di cui si tratta è riservata alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l della Costituzione ), senza che vi sia spazio per alcuna legittimazione concorrente delle Regioni: spetta unicamente al legislatore nazionale dettare disposizioni su un tema che interseca diritti personalissimi dell’ individuo, applicabili a tutti i cittadini, mentre la legislazione regionale potrà successivamente apprestare una disciplina di dettaglio limitatamente alla fase organizzativa del servizio.
Resta altresì la necessità di una normativa diretta a disciplinare la situazione di chi, pur trovandosi nelle condizioni richieste dalla Corte Costituzionale per rendere non punibile l’aiuto al suicidio, non è in grado di togliersi la vita da solo, per essere privo anche di quel minimo di autonomia che gli consentirebbe - premendo quel pulsante o iniettandosi quel farmaco - di percorrere l’ultimo tratto del cammino verso la morte. L’ esigenza di un intervento del legislatore in tale direzione, da porre in essere con autentico spirito laico, lontano da steccati ideologici e da posizioni preconcette, appare ancor più pressante dopo la recente sentenza della Consulta n. 132 del 2025 che ha dichiarato inammissibili le proposte questioni di incostituzionalità dell’art. 579 c.p.
E. Ed ancora non può non ricordarsi che un’ importante apertura in tema di diritti della persona è stata operata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 26 gennaio 2024 sul diritto alla affettività intramuraria dei detenuti, una sentenza destinata a rimanere negli annali della giurisprudenza costituzionale, nella quale è stata evidenziata la necessità che gli istituti di pena diano da subito attuazione a tale diritto predisponendo locali adeguati, in attesa di una legge che disciplini luoghi, tempi e modalità dell’ esercizio di esso. Il tenace ostruzionismo frapposto dalle forze di governo al rispetto delle prescrizioni contenute in detta pronuncia - tanto che le relative linee guida sono state emesse dal DAP solo l’11 aprile 2025, dopo vari interventi dei magistrati di sorveglianza - conferma una volta di più quanto lungo sia il cammino per il riconoscimento e per l’ effettività dei diritti delle persone e quanto sia lontano dalla sensibilità di chi governa il senso del limite che i diritti umani inviolabili impongono alla signoria della pretesa punitiva.
F. Penso infine alla legge n. 40 del 2004 in tema di procreazione medicalmente assistita, una legge chiaramente segnata da una marcata ideologia, ormai ridotta ad un contenitore di pochi residui divieti grazie all’ opera demolitoria della Corte Costituzionale, che richiede una riscrittura che tenga conto dei grandi cambiamenti sul piano culturale che hanno investito negli ultimi anni la famiglia, i rapporti tra i suoi componenti ed il concetto di genitorialità. Mi limito in questa sede a richiamare la recente sentenza n. 68 del 22 maggio 2025 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale dell’ art. 8 della legge n. 40 nella parte in cui non prevedeva che anche il nato in Italia da donna che abbia fatto ricorso all’ estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto pure dalla donna che abbia espresso il preventivo consenso al ricorso a dette tecniche e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. Si tratta di una decisione di grande rilievo, destinata a porre fine alle molte incertezze e a superare le diverse prassi degli ufficiali dello stato civile nella redazione di atti di nascita di minori figli, in tesi, di due donne. È importante sottolineare la centralità del passaggio argomentativo in cui la Consulta ha posto a fondamento del legame genitoriale la responsabilità assunta con il consenso al progetto procreativo, così superando la logica biologistica in favore di una concezione relazionale e volontaristica della genitorialità.
Segnalo altresì che con sentenza n. 15075 del 5 giugno 2025 , di pochi giorni successiva alla decisione della Consulta, la Cassazione, in applicazione dei principi in essa espressi e dissociandosi dai propri precedenti, ha riconosciuto la fondatezza della pretesa delle due madri.
Né appare possibile ravvisare una divergenza tra la richiamata pronuncia della Corte delle leggi e la sentenza della Corte EDU che proprio ieri 9 ottobre ha affermato che l’ Italia non ha violato la Convenzione quando ha annullato l’ iscrizione anagrafica della madre intenzionale nell’atto di nascita di un bambino nato in Italia nel 2018, atteso che detta decisione si riferisce ad eventi verificatisi quando la normativa italiana non consentiva la registrazione delle due madri.
Il Parlamento dovrà pertanto darsi carico di rendere effettivo il diritto alla doppia maternità affermato dalla Consulta dettando una normativa che dia piena tutela alle famiglie omogenitoriali.
3. A fronte di tante assenze del legislatore, del prevalere di politiche sociali discriminatorie anche all’ interno della famiglia e di ideologie lesive dei diritti dei più deboli, del prorompere di nuovi sovranismi e populismi, spetta alla giurisdizione svolgere un ruolo essenziale nella promozione e nella tutela dei diritti fondamentali, ponendosi come scudo per il cittadino, come cerniera attiva tra la vita e il diritto e come sentinella a difesa delle conquiste del passato, nella consapevolezza che i diritti calpestati, come ricordava Stefano Rodotà, sono lo specchio e la misura dell’ ingiustizia.
La politica alza barricate denunciando lo strapotere dei giudici e l’abuso del loro ruolo di supplenza, con il progressivo indebolimento per tale via della funzione legislativa. Ma la politica dimentica che il rapporto tra sentenza e norma non è di rottura, ma di sviluppo del senso e della funzione che la norma trova nella sentenza, e che lì dove la norma manca il giudice ha il dovere di desumerla dai principi costituzionali e dalle fonti sovranazionali. E questo non è fare politica, ma svolgere fino in fondo la funzione che la Costituzione assegna al giudice. Ed è proprio la latitanza della rappresentanza politica su tanti fronti che attengono ad aspetti cruciali della vita delle persone a determinare la crescente richiesta di tutela giurisdizionale e la conseguente doverosità della risposta di giustizia: per tale via la voce della giurisdizione si pone come strumento essenziale per riequilibrare il piano inclinato dei diritti ed arrestare il processo in atto di erosione delle regole della democrazia.
Il prezzo da pagare per questo impegno sarà molto alto: la sistematica delegittimazione, gli attacchi all’ indipendenza, le accuse di protagonismo, il ricorso ad incaute azioni disciplinari. Ma io credo che in difesa della Costituzione e della autonomia e indipendenza della magistratura non si possa arretrare di un passo, pena la perdita di ogni dignità professionale, così come credo che la salvaguardia dei valori universali sui quali si fonda la giurisdizione costituisca il miglior viatico per contrastare la deriva autoritaria populista che ci sovrasta.
*Testo rielaborato ed ampliato dell’intervento svolto nella tavola rotonda su “I diritti negati “ nell’ambito del Congresso di Area Democratica per la Giustizia che ha avuto luogo a Genova il 10-12 ottobre 2025
Intervento del Presidente dell'ANM Cesare Parodi al Congresso di Area DG, Genova 10 ottobre 2025
Buonasera a tutti, io potrei dirvi che dovevo parlare domani – questo è vero – e questa notte contavo di scrivere il mio discorso, infarcendolo di ricche citazioni. Meno male che non l'ho fatto perché le citazioni colte, devo dire, parlo per invidia, le ha fatte tutte il presidente Pinelli. Non sto scherzando, la sua cultura ogni volta che lo sento parlare mi impressiona, però mi ha bruciato tutte le citazioni che stanotte avrei cercato. Quindi devo improvvisare, come sempre peraltro, qualcosa da dire di abbastanza intelligente.
Avevo qualche buona idea da raccontarvi, ma le ha già esposte tutte il professor Romboli, e quindi anche le possibilità che avevo di raccontarvi in qualche modo un po' di spunti orecchiati in tantissimi dibattiti ai quali ho partecipato - anche abbastanza vivaci, con esponenti di idee diverse dalle nostre - ve li ha spiegati benissimo lui.
Allora che cosa mi resta da fare? Un piccolo collage delle esperienze di questi mesi nella speranza che poi voi, parlandone in giro, possiate portarli a chi conoscete, perché credo siano utili alla nostra causa. Sempre con un'idea ben chiara: finiamola di pensare di dover parlare fra di noi, avendo come interlocutori avvocati e professori. Noi dobbiamo parlare alla gente, ai cittadini. E noi non siamo abituati a questo, io per primo sto combattendo dal primo giorno una battaglia perché dobbiamo imparare a comunicare in maniera diversa.
Certo dobbiamo conoscere gli argomenti giuridici del dibattito ma non dobbiamo pensare ‘Eh ma tanto l'Alta corte, i due CSM, come li spiego?’ e rinunciare. Sarebbe un errore.
Io prendo sempre come esempio mia zia. Mia zia è mancata tanti anni fa, era una simpatica signora della provincia di Alessandria, la zia Mariuccia, e io penso sempre a lei quando faccio questi discorsi perché devo parlare alle persone come lei ( le uniche che mi vedono in televisione perché io non esisto sulle reti nazionali quindi vado in onda quando capita dalle 15 alle 18 del pomeriggio e quindi sono abituato a questo genere di pubblico).
Però dobbiamo parlare anche agli altri e allora usare gli stessi discorsi, gli stessi argomenti travasandoli in qualche modo nel contesto degli interlocutori ai quali ci rivolgiamo.
Quando mi hanno detto che avrei dovuto parlare al congresso di Area, come sempre mi sono fidato del primo pensiero che mi viene in mente; io inizio sempre con la prima idea che mi passa per la testa e in questo caso non mi sono venuti in mente Habermas o Zagrebelsky. Mi è venuto in mente Lucio Dalla. Ognuno parla ai livelli che conosce e il primo pensiero è stato una vecchia canzone - qui c'è qualcuno vecchio come me e quindi qualcuno se la ricorda- che diceva: “cosa sarà che fa crescere gli alberi la felicità, che fa morire a vent'anni anche se vivi fino a cento?”
Ecco se parliamo alla gente dobbiamo partire da questo: cosa sarà che spinge tutti questi magistrati con sensibilità così diverse (pensate compresi quelli di MI – state tranquilli, siamo assolutamente convinti che questa riforma come dice il nostro segretario è proprio sgangherata) a condividere questa battaglia di idee e di difesa di valori?
Cosa sarà, allora, ci accomuna tutti quanti?
Spieghiamolo: noi non andremo a guadagnare meno, non avremo meno ferie, non avremo secondo me di più - addirittura forse di meno- da lavorare; spieghiamo che il 99,9 per cento dei magistrati - me compreso - non ho mai pensato di candidarsi a CSM e quindi non siamo spiaciuti di perderemo per sempre questa possibilità; spieghiamo che la maggior parte di noi non ha mai pensato e che pochissimi hanno cambiato funzioni: la cambiano i giovani che vengono mandati da una parte all'altra d'Italia. Diciamolo alla gente che non è la nostra vita che potrebbe cambiare ma che potrebbe essere la loro.
Questo è difficile da far credere; è maledettamente difficile da far credere ma è la chiave di tutto, specie quando alcuni giornali – certa stampa, così come dicono “certi magistrati” che non ci vogliono bene continuano a porci domande del tipo – ‘Ma voi non pensate di difendere i vostri privilegi, il vostro essere una casta ?”
Basta con questa di storia della casta e dei privilegi, perché non è questo il punto. Non è questo il punto ed è difficile farlo capire, perché i tempi sono brevi.
Il quadro generale che si è venuto a formare negli anni e rispetto al quale siamo stati un po' passivi, abbiamo lasciato in qualche modo che l'opinione pubblica venisse modificata un po' strumentalmente un po' accidentalmente. E oggi ci troviamo in difficoltà e abbiamo pochi mesi una nostra credibilità. Noi certo dovremmo parlare della riforma e dovremo affrontare questi temi – vedremo rapidamente magari come - ma dovremmo parlare soprattutto anche di noi di quello che è il significato del nostro lavoro, il significato della nostra presenza nella società, del perché davvero siamo qui.
Cos'è che ci spinge comunque a farci insultare, anche frequentemente? A me è capitato ed è capitato ad altri dell’ANM, con delle accuse - davvero ingiuste- di voler in qualche modo difendere i nostri famosi “privilegi! Per farci capire, andiamo sul piano della logica di base perché è la cosa più facile. Pensiamo davvero al sorteggio senza arrivare all'esempio – che ha fatto pure il professor Gatta, illustre penalista milanese, professore di diritto penale – “Neanche nel condominio noi sorteggiamo l'amministratore!”
Guardate che è un problema di logica generale, tutti possono capirlo: il principio di rappresentatività è un valore assoluto riconosciuto ovunque. Quando un avvocato a Belluno mi ha detto ‘Eh ma no guardi lei si sbaglia, 2500 anni fa ad Atene c’era il sorteggio i direi si rispondere : “Ecco, appunto 2500 anni fa, è passato un po’ di tempo.”
Vogliamo dirlo evidentemente che le cose sono cambiate… E quando gli avvocati in tutti i dibattiti ci dicono ‘C'è il tribunale dei ministri che viene sorteggiato, la corte d’assise è composta da sorteggiati “non è difficile rispondere che sono giurisdizionali non di amministrazione come è, al contrario, il Consiglio superiore della magistratura. Diciamolo questo, chiaramente.
E poi c’è un argomento che vi tireranno fuori sempre e comunque: ‘Se un giudice può mandare in carcere un uomo, se può rovinarlo dal punto di vista patrimoniale, come possiamo pensare che quel giudice non sia adatto a risiedere su uno scranno del Consiglio superiore della magistratura?’. Ribattiamo in modo semplice: “Però non è neanche adatto per votare un suo rappresentante”. Quel giudice può fare tutto ma non può neanche scegliere chi lo rappresenta.
Lo ha spiegato molto bene il professor Romboli prima di me: il Csm non è nato per tutelare i magistrati - che in quell’epoca non godevano di particolare fama visti i rapporti con il potere costituito – ma per difendere la funzione giurisdizionale. Come dice il professor Flick, per garantire non tanto la separazione dei poteri ma la separazione dal potere: questo è il punto.
Il Csm è stato chiamato a garantire la separazione dal potere politico dal potere esecutivo: questo noi dobbiamo assolutamente fare capire alle persone.
La rappresentatività è un valore che tutti, con le parole giuste, possono perfettamente comprendere perché il singolo rappresentante si fa portatore di una serie di esigenze, di criticità, di sensibilità della collettività nemmeno l'interesse solo di quella collettività ma dell'interesse comune. Questo accade in tutti i contesti umani organizzati. L'ho detto agli avvocati al congresso delle Camere Penale: voi siete fortunati avete sorteggiato l’avv. Caiazza e l’Avv. Petrelli, si fa presto a dire va bene il sorteggio. Dopo, privatamente tanti mi hanno detto che forse avevo ragione.
I due Csm. Provate a pensare, come pure alcuni accademici che probabilmente non ci amano tantissimo, hanno tratteggiato in quadro particolare, paragonando i PM separati a 2000 samurai. 2000 PM isolati, con il loro CSM che se la cantano e se la suonano e che si valutano da soli progetti organizzativi delle procure. Attenzione: a me può anche andar bene, ma va bene a tutti il fatto che verrebbe meno il controllo incrociato tra giudici e PM sull'efficienza? È davvero una garanzia migliore il fatto che ognuno valuta e decida fino in fondo sulle proprie scelte o non è meglio un sistema dove si incrociano le valutazioni, dove magari si litigano ma si arriva a un risultato efficace? Questo è un principio basilare: avremmo ai vertici della magistratura due organi che se va bene colloquiano, ma alla fine del confronto si presenta un contrasto sarà il Presidente della Repubblica a doversi impegnare per cercare un accordo? Vi sembra un sistema efficiente? Ed è così difficile da far capire questa logica per cui è proprio il lavoro in comune che è garanzia di efficacia di controllo e quindi in qualche modo di interesse della giustizia?
L’Alta corte. Dividiamo giudici e PM su tutto però l'Alta corte giudica su tutti ugualmente. La riforma separa PM e giudici in tutto ma proprio l'Alta corte è una per tutti. Vi è una logica ? Non solo: un altro argomento logico, secondo me molto forte. La riforma cambia il Csm e le rende un meraviglioso organo in quanto prevede il sorteggio dei componenti (come nel bingo i componenti). Quindi avremo un Csm che funziona benissimo e che può fare tutto ma che non può svolgere la funzione disciplinare. Strano, vero ?
Come la mettiamo: se è composto di sorteggiati quindi dovrebbe funzionare per tutto. O no ? Forse anche questo problema potrei provare a spiegarlo anche a mia zia.
E ancora: non c'è nessuna garanzia che la quota politica abbia una rappresentatività delle minoranze. Voi direte un dettaglio? No, non è un dettaglio perché se modificano questo aspetto, tutti i membri politici che saranno sorteggiati saranno appartenenti alla maggioranza. Vi sembra normale questo? Vi sembra un dato non inquietante? Secondo me lo è.
E poi , ovviamente , bisogna sottolineare che una valutazione disciplinare nasce dalla conoscenza della vita di un ente, di un organo, dei soggetti che in quell’ente lavorano. Per l’Alta Corte avremo dei giuristi magari bravissimi totalmente astratti dal contesto che devono valutare. Io mi sono occupato di difese disciplinare (per adesso per altri, ma non si può mai dire). Può capitare di depositare una sentenza con qualche giorno di ritardo: se noi andiamo ad effettuare una valutazione astratta ci sarà quasi certamente una condanna. Se al contrario si spiega - come a me è capitato - del perché c'è stato questo ritardo, delle ragioni del contesto, ossia se procediamo alla contestualizzazione della valutazione della colpa, potrebbe esserci una assoluzione. È un principio che noi applichiamo a tutti: ai medici, agli ingegneri, ma per i magistrati sarebbe molto difficile farlo applicare in termini generali.
Un ultimo tema: la separazione delle carriere. Questa è stata una straordinaria operazione di marketing del governo, bisogna riconoscere assolutamente questa grande capacità. Hanno intercettato questa volontà ultratrentennale di una parte autorevole dei penalisti italiani, forse neppure di tutti, per instradare tutto un movimento di pensiero che fa capo agli avvocati italiani a favore della riforma. Una riforma che il professor Romboli ci ha detto si poteva introdurre con una legge ordinaria. E ciò, per sfruttare un antico desiderio dell’avvocatura. Anche in questo caso, molti mi hanno detto privatamente “Il sorteggio… beh sì dottore ha ragione però la separazione delle carriere la aspettiamo da trent'anni quindi lei mi capisce che non posso non votare la riforma’.
Lo capisco anche troppo bene questo discorso, ma noi dobbiamo essere pronti a fronteggiare quest'argomento. Non è difficile. Quando vi dicono che esiste un unico modello di processo accusatorio nell'alto dei cieli, che c'è il processo accusatorio dove il giudice è separato dal PM, sarebbe simpatico rispondere che non è così
Non è vero, non esiste un modello ideale, unico garantito in tutto il mondo. Provate a pensare, raccontatelo anche ai vicini di casa ‘Ma lei vorrebbe veramente un processo accusatorio dove le sentenze non sono motivate, dove decide la giuria senza nessuna motivazione?’ Un processo dove se l’imputato vuole rendere interrogatorio deve dire la verità?
Basterebbe questo per capire che il nostro è un altro mondo e- posso dirlo - migliore. Il nostro è un mondo migliore perché ha coniugato esigenze di civiltà giuridica diverse. E spiegate due cose semplicissime: che non esiste da nessuna parte al mondo un processo accusatorio in un paese dove l'azione penale è obbligatoria. Trovatemene uno, perché non può funzionare; nel 1984 l'onorevole Casini commentando quello che sarà poi il progetto del nuovo codice dell'89 ha detto “facciamo questo progetto che sicuramente sarà molto bello e potrà funzionare se la maggior parte dei processi si svolgerà con riti alternativi’.
Noi abbiamo un processo accusatorio – come molti affermano- che tuttavia si regge come sistema sul fatto che la maggior parte dei processi vengono svolti con un rito che non è accusatorio: l'abbreviato non è accusatorio, non lo è il patteggiamento, non lo è decreto penale. Questo è il punto. Diciamo allora chiaramente che il nostro sistema è equilibrato, ma accusatorio all’italiana. Il professor Romboli mi ha fregato la battuta più bella quando ha detto che quando hanno riscritto l’art. 111 nel 1999 – inserendo in Costituzione una norma che in realtà è una norma procedurale- non hanno perlato di separazione delle carriere.
E pure non hanno chiamato mia zia e le sue amiche per riscrivere l’art. 111: han preso di fior di giuristi che però si sono dimenticati di scrivere che bisognava anche separare le carriere. È strano che giuristi raffinati e colti questo dettaglio la hanno dimenticato: chissà come mai. In un dibattito, un giornalista a fronte del fatto che il giudice è già in realtà terzo, ha risposto “Il giudice sì è già terzo, ci vorrebbe un giudice un po’ più terzo” . Avrei dovuto rispondergli: “Guardi facciamo quarto e la chiudiamo qua”.
E allora finisco ovviamente con l'invito che vi ho fatto all'inizio, invito molto difficile. A me è capitato, molti anni fa, come esperienza personale di pronunciare parole per me molto importanti, tre le parole più importanti della mia vita e sentirmi rispondere ‘questa è retorica vuota’
Mi è successo ed è un ricordo terribile ed è il timore che vivo ancora oggi tutti i giorni, quando vado in giro e spiego ai cittadini che noi facciamo tutto questo perché crediamo che quello attuale sia il sistema migliore per voi e non per noi. Temo che molti possano pensare che anche questa è retorica vuota.
E allora io vi chiedo, noi vi chiediamo come ANM, un forte impegno in questo senso. Un impegno di testimonianza, che vada al di là della riforma, che parli veramente di quella che è la nostra vita, del nostro ruolo nella società. Dobbiamo raccontarci, raccontarci in modo diverso un po’ più vero di quanto fanno in tanti in maniera strumentale.
Io amo molto uno scrittore che forse non è più popolare da tanti anni, che ha scritto una volta “la gran cosa è resistere e fare il nostro lavoro e vedere e udire imparare capire; e scrivere, quando si sa qualcosa e non prima e porco cane – lo scrive lui e non io – nemmeno troppo dopo”.
E questo è quello che ci aspetta: noi sappiamo cosa dire, oggi è il momento di dirlo con chiarezza sulla riforma e non solo: parliamo del nostro lavoro, delle nostre fatiche e dei nostri dubbi, perché in questo momento, e non dopo, noi oggi possiamo parlare.
Proveranno a fermare le nostre parole. Già più volte, avrete notato, qualcuno ha detto che si tratta di politica, che, come magistrati dovremmo astenerci dal parlare anche dei temi della riforma, lasciando intendere la possibilità di porre dei vincoli, magari disciplinari, per condizionare la nostra possibilità di esprimerci su questi temi.
Se lo faranno ancora, se proveranno a farlo, sarà un buon segno perché vuol dire che staremo colpendo nel segno. E allora voglio terminare con queste precise parole: se ci sarà - e non posso escluderlo- una volontà di fermare anche le nostre parole magari con una minaccia di legge disciplinare, legata anche al nostro manifestarci su questo tema sul quale abbiamo diritto di parlare prima di tutto come cittadini io sarò il primo a denunciarmi. So anche chi sarà il secondo perché qua in prima fila davanti a me e sono convinto che molti altri lo faranno, magari anche tra quelli presenti in questa sala.
Grazie.
Trascrizione del discorso fatto a braccio a Genova.
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