ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La giustizia civile di fronte all’emergenza epidemiologica. Parte I
Intervista ad Antonello Cosentino (Corte di Cassazione), Franco Petrolati (Presidente Sezione VII C.d.A. Roma), Paola Del Giudice (Presidente Tribunale di Paola), Antonella Magaraggia (Presidente Tribunale di Verona)
di Riccardo Ionta
Giustizia Insieme, con l’intento di offrire uno sguardo diretto sull’attività giudiziaria, ha chiesto a quattro magistrati appartenenti a diversi ruoli e realtà giurisdizionali di esprimere il proprio punto di vista sul presente e futuro della giustizia civile di fronte all’emergenza epidemiologica. La Parte I intervista Paola Del Giudice (Presidente Tribunale di Paola) e Antonella Magaraggia (Presidente Tribunale di Verona).
Sommario:1. La giustizia civile che verrà; 2. Prima dell’epidemia; 3. La proroga della sospensione; 4. Giustizia civile e penale; 5. Il lavoro agile e le (non) agevolazioni per le cancellerie; 6. L’alternativa del lavoro in presenza; 7. La tutela delle professionalità; 8. Trattazione scritta e da remoto; 9. Il ruolo dei presidenti; 10. Il primo mese e la proroga; 11. Frammentazioni possibili e frammentazioni esistenti; 12. Esigenze di uniformità; 13. Insegnamenti
1. La giustizia civile che verrà
Migliaia di procedimenti civili sono stati e saranno rinviati a causa della sospensione dell’attività giudiziaria. Altri saranno rinviati per effetto e della sospensione dei termini ed altri ancora sono già pronti ad essere iscritti dopo il lungo fermo delle attività. Come si prospetta il prossimo futuro della giustizia civile, anche considerando il ruolo che le spetta nel difficile periodo economico alle porte?
Paola Del Giudice
Certamente il rinvio di ufficio delle udienze civili per tre mesi aggraverà la situazione della Giustizia civile nei circondari, come quello del Tribunale di Paola, in cui le pendenze ultra-triennali sono numerose per ragioni strutturali legate alla composizione della pianta organica. Nondimeno, sono fiduciosa sulla possibilità di recupero della sezione civile per le seguenti ragioni:
a) alla ripresa dell’attività giurisdizionale non dovrebbe fare seguito una impennata immediata delle nuove iscrizioni, tenuto conto del fatto che il “fermo” si è accompagnato ad una brusca interruzione dell’attività professionale dell’Avvocatura e anche dei contatti dei professionisti con la clientela;
b) i magistrati della sezione civile, presso le loro abitazioni e con l’uso della consolle, stanno lavorando alacremente e stanno eliminando ogni forma di arretrato, anche quello non patologico, e questa è una circostanza di non poco conto per un ufficio, come quello di Paola, in cui i carichi di lavoro sono notevoli;
c) questo momento di lontananza fisica dall’ufficio e di interruzione della routine delle udienze sta rappresentando (lo si coglie nei dibattiti appassionati che fervono sulle mailing list) per tutti noi magistrati l’occasione per una riflessione profonda sulla organizzazione del lavoro giudiziario, del singolo e dell’intero ufficio, che potrà costituire una spinta, alla ripresa, per l’adozione di metodi di lavoro più razionali che contribuiscano ad una accelerazione dei tempi di trattazione, senza alcun risvolto negativo sulla qualità della risposta alla domanda giudiziaria e, naturalmente, sempre nel rispetto delle norme di legge e delle garanzie costituzionali.
Se la mia previsione è corretta, la sezione civile (il Tribunale di Paola è costituito da un’unica sezione civile che ingloba anche il settore lavoro – previdenza – assistenza) dovrebbe essere in condizioni di affrontare quel contenzioso aggiunto derivante dalla congiuntura economica negativa nazionale ed internazionale che prevedibilmente, a partire dall’autunno, coinvolgerà tutti i tribunali d’Italia.
Antonella Magaraggia
La riorganizzazione non sarà semplice. Nel periodo di sospensione ho ritenuto che non si potesse celebrare alcuna udienza, tranne quelle relative a procedimenti dichiarati urgenti. So che in altri Tribunali si sono fatte scelte differenti. Non penso siano corrette sia perché contrarie al dettato legislativo sia perché, per lo meno nella regione in cui opero (il Veneto), non avrebbero rispettato le cautele igienico sanitarie. Questo affermo anche per quanto riguarda la trattazione scritta e “da remoto” in quanto, pur non comportando la presenza fisica di giudici e avvocati e, quindi, rischi per questi ultimi, sarebbero state incompatibili con le scarne presenze del personale amministrativo, organizzato in presidi.
Il flusso di processi che gli uffici si troveranno a gestire nella fase successiva alla sospensione sarà notevole. Tuttavia, al fine ridurre, non certo di eliminare, i disservizi, con i giudici, ho condiviso la necessità che si facessero rinvii “ragionati”, non differendo le udienze solo di data, ma scaglionando i processi e fissando date diverse a seconda della prioritaria necessità di trattazione.
2. Prima dell’epidemia
La giustizia civile stava riuscendo nella riduzione dell’arretrato e nella riduzione dei tempi dei procedimenti.
Paola Del Giudice
Per quanto riguarda il tribunale da me presieduto, il “fermo” dell’attività giurisdizionale ha bruscamente interrotto un percorso - lento ed accidentato per il consueto “turn over” che caratterizza la sua composizione organica - di miglioramento dell’efficienza.
Certamente la possibilità di recupero di cui ho parlato prima non sterilizzerà del tutto gli effetti negativi del “fermo”, in quanto, ad esempio, le udienze sui ruoli civili generici più gravati (che contano anche più di 900 cause) sono state rinviate a distanza di almeno sei/otto mesi sicché medio tempore si assisterà ad un aumento ulteriore dei tempi di durata dei procedimenti civili.
Antonella Magaraggia
Nel triennio che ci ha preceduto vi è stata una generalizzata riduzione del contenzioso. Non è questa la sede per esaminare le ragioni di tale calo, non sempre legate ad una minore domanda di giustizia fisiologica (penso all’aumento del contributo unificato che ha scoraggiato molti). Ritengo che la necessaria riduzione dell’afflusso dei processi (vera riforma che tutti invochiamo), per essere davvero equa, dovrebbe dipendere da scelte della politica, che, invece, non pare avere intenzione di operarle, limitandosi a meri maquillage processuali. Il calo è stato così significativo che costringe gli uffici anche a ripensare la distribuzione dei giudici tra settore penale e civile. Nel mio Tribunale, ad esempio, con la prossima Tabella di organizzazione dell’ufficio prevederò un passaggio di unità dal civile al penale.
Non so se il rinvio generalizzato dovuto all’emergenza farà venir meno quella boccata di ossigeno che avevamo avuto con il calo significativo delle entrate. Certo è che prevedo un periodo molto impegnativo, che presumo durerà fino alla fine dell’anno e che non consentirà di portare a compimento i programmi ex art. 37 D.L. n.98/2011.
3. La proroga della sospensione
Il periodo di sospensione delle attività giudiziarie è stato prorogato dopo già un lungo, inevitabile, periodo di fermo. Il legislatore aveva comunque previsto la possibilità di rinviare le cause civili e di utilizzare, per le stesse, forme alternative di trattazione, sfruttando al massimo le potenzialità del processo telematico ed evitando così la frequentazione dei palazzi di giustizia. Era necessaria la nuova proroga anche per i procedimenti civili?
Paola Del Giudice
Ritengo che questa ulteriore proroga all’11.5.2020 del periodo di “sospensione” delle attività giudiziarie fosse indispensabile. Sebbene le forme alternative di trattazione previste dall’art. 83 comma 7 lettere e) ed h) del D.L. n. 18/2020 – per come, a mio avviso, correttamente intese anche quali strumenti offerti al magistrato per svolgere la propria attività giurisdizionale in piena sicurezza presso la propria abitazione - consentano lo svolgimento delle udienze senza alcun rischio di contagio (oltre che per il giudice) anche per parti e difensori, la ripresa con le restrizioni previste dalla decretazione di urgenza avrebbe avuto certamente un impatto negativo sulla tutela del personale di cancelleria dai rischi di contagio.
E’ noto che i registri informatici civili, SICID e SIECIC, non possono essere allo stato utilizzati al di fuori della rete giustizia, sicché, in mancanza della nuova proroga disposta con il D.L. n. 23/2020, sarebbe stato indispensabile rimpinguare il presidio in presenza del personale di cancelleria. Ma non solo.
La ripresa delle attività giudiziarie non può non accompagnarsi alla cessazione della sospensione dei termini e tale cessazione, a sua volta, non può non avvenire contemporaneamente all’attivazione dell’intero circuito gravitante sull’attività giurisdizionale. Faccio degli esempi per meglio rendere l’idea di quanto affermo: se comincia nuovamente a decorrere il termine perentorio per proporre una impugnazione, non solo dovrà essere consentito al cittadino di avere un colloquio in presenza con il suo difensore per portare consegnare tutto ciò che è rilevante per la sua difesa ma dovrà essergli garantita anche la possibilità di reperire documenti presso altri uffici pubblici e di avere contatti sociali con altre persone finalizzati ad articolare la linea difensiva; se il presidente del tribunale comincia a fissare con regolarità le udienze di comparizione dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio assegnando ai ricorrenti un termine per la notifica del ricorso e del decreto, gli agenti postali si dovranno recare con regolarità ad eseguire le notifiche presso la residenza/domicilio dei destinatari, con il conseguente aumento dei contatti sociali.
Occorre poi considerare che il processo telematico è inesistente presso gli uffici del giudice di pace, presso i quali sarebbe ripresa non solo l’attività di udienza (che in ipotesi secondo l’art. 83 citato poteva essere mantenuta sospesa con provvedimento del presidente del tribunale fino al 30.6.2020) ma anche quella di iscrizione a ruolo, da farsi necessariamente in presenza.
Infine, evidenzio che, nei tribunali d’Italia con maggiore arretrato, i fascicoli delle cause civili sono misti (cartacei e telematici) sicché non è detto che il giudice, per svolgere le sue funzioni con completezza, non avrebbe dovuto raggiungere la sede giudiziaria prima della celebrazione delle udienze.
La ripresa dell’attività giurisdizionale nel solo ambito civile in data 15.4.2020 avrebbe inciso, a mio avviso, negativamente sulla necessità del distanziamento sociale in un momento in cui la curva del contagio epidemiologico nel nostro Paese non presentava ancora alcun segnale incoraggiante.
Antonella Magaraggia
Premetto che la gestione normativa di questo periodo non è stata semplice, soprattutto all’inizio. Io che vivo e lavoro in una tra le regioni più colpite, soprattutto all’inizio, posso attestare che è stato un crescendo quasi giornaliero che ha trovato tutti impreparati. Tra l’altro ogni previsione sanitaria e, conseguentemente, legislativa che si faceva in un momento in poco tempo doveva essere rivista. Non è stato semplice per il Governo e per il Ministero della giustizia, in particolare, registrare questi mutamenti repentini. Non è stato facile per noi dirigenti fare provvedimenti organizzativi non semplici di per sé e continuamente revocati, ripensati, modificati.
Premesso questo, non ho condiviso la proroga “secca”, che lascia la possibilità di utilizzare le forme alternative solo per i procedimenti urgenti. Il legislatore avrebbe potuto pensarle anche per gli altri in quanto non comportano alcun rischio sanitario. Magari avrebbe potuto fornire un ventaglio di possibilità, che poi ciascun dirigente avrebbe adattato al proprio ufficio in relazione alla gestione del personale amministrativo (come sopra ho detto, unico limite alla possibilità di trattazione con le forme alternative).
4. Giustizia civile e penale
La giustizia civile ha strumenti e principi diversi dalla giustizia penale. Una distinzione di disciplina per il periodo emergenziale sarebbe stata opportuna o così inopportuna?
Paola Del Giudice
Sicuramente il processo civile telematico (lasciando da parte la situazione degli uffici del giudice di pace) salvaguardia maggiormente le parti e il giudice dal pericolo che possa derivare, in tempo di epidemia, dai contatti sociali.
Non secondaria, inoltre, è la circostanza che il giudizio civile più si presta alla possibilità che le parti (magari con la copertura del protocollo) rinunzino ad eccepire nullità derivanti dalla contrazione dell’oralità posta a presidio di interessi delle parti. Tanto è vero che i protocolli tra Tribunali e Avvocatura, per le udienze civili da celebrarsi dopo l’11 maggio prossimo, che si stanno adottando presso diversi circondari, prevedono 1) in taluni casi il ricorso alla trattazione scritta anche qualora le parti, la comparizione delle quali è prevista dalla legge, vi rinunzino; 2) in caso di giuramento di un ausiliario, che si possa ricorrere alla trattazione scritta qualora le parti accettino che quest’ultimo, in luogo della comparizione, invii una nota scritta contenente il giuramento di rito.
Tuttavia ritengo, per le ragioni esposte al punto 3, che non fossero maturi i tempi per una ripresa dell’attività, neppure limitata al settore civile.
Antonella Magaraggia
Sarebbe stata opportuna. La disciplina è necessariamente diversa per la semplice ragione che il processo civile è tendenzialmente telematico (non del tutto, purtroppo, come abbiamo constatato in questo periodo) mentre il processo penale è ancora cartaceo (quello telematico sta ancora balbettando) e richiede quasi sempre la presenza fisica dei protagonisti.
Forme alternative di trattazione sono più facilmente individuabili nel settore civile, ma, con i dovuti limiti, possono trovare posto anche nel settore penale. Tra l’altro, proprio in quest’ultimo sarebbe stato opportuno avere una copertura legislativa per una disciplina, anche minimale, a fronte della sempre più forte resistenza delle Camere Penali. Sul punto credo che il legislatore debba farci comprendere quale linea intenda prendere.
5. Il lavoro agile e le (non) agevolazioni per le cancellerie
Lo sfruttamento pieno delle potenzialità del processo civile telematico implica l’intensificazione del lavoro di c.d. back office per le cancellerie. Il Ministero tuttavia, consente al personale l’accesso “da casa” solo per taluni degli applicativi (protocollo e spese di giustizia) ma non dei registri di cancelleria. Dal recente tavolo tecnico tra C.S.M. e Ministero è emerso che l’accesso da remoto è limitato per ragioni di sicurezza dei dati. Esiste una soluzione?
Paola Del Giudice
Non ho le necessarie competenze per rispondere a questa domanda. Mi limito ad osservare che l’uso dei registri informatici a distanza da parte dei cancellieri avrebbe eliminato una delle ragioni che mi ha fatto apprezzare l’ulteriore proroga della sospensione dell’attività giurisdizionale fino all’11.5.2020: la tutela della salute del personale di cancelleria.
Antonella Magaraggia
Lo smart working che abbiamo dovuto attuare ci ha trovato davvero impreparati sia perché è una modalità lavorativa mai sperimentata sia perchè si scontra con gli evidenti limiti citati nell’uso domestico dei registri da parte del personale. In collaborazione con la dirigente amministrativa e con uno sforzo di fantasia notevole abbiamo “inventato” varie forme di lavoro agile. Non è stato semplice sia perché, come ho detto, si trattava di modalità non praticata in precedenza sia perché si è dovuto fare tutto nell’urgenza e con la pressione dei lavoratori, giustamente sempre più forte mano a mano che la situazione sanitaria si aggravava. Devo anche dire che il Ministero ha, forse, individuato una disciplina un po' troppo articolata (se si leggono i progetti si può constatare quante indicazioni si devono inserire), incompatibile con l’emergenza e la novità dell’istituto. Aggiungo che lo smart working è una delle possibilità perché i dirigenti hanno dovuto articolare il lavoro del personale amministrativo avendo a disposizione un ventaglio di alternative (lavoro agile, ferie pregresse, all’esenzione dal lavoro ecc.) che non sempre è stato compreso e accettato da lavoratori e sindacati. In ogni caso scontiamo l’arretratezza del nostro sistema. Tutto sarebbe stato più agevole se il personale avesse potuto utilizzare i registri da casa. Insieme ad altri Presidenti, ho fatto espressa richiesta al Ministero della Giustizia.
6. L’alternativa del lavoro in presenza
E’ possibile garantire il lavoro “in presenza” degli uffici di cancelleria in piena sicurezza?
Paola Del Giudice
Proprio in concomitanza con l’ultima proroga della “sospensione” dell’attività giurisdizionale (a dimostrazione, ancora una volta, dell’opportunità della proroga) stanno pervenendo i frutti delle iniziative poste in essere per adeguare l’ufficio giudiziario alle prescrizioni impartite nei vari decreti legge e D.P.C.M. che si sono succeduti in materia di prevenzione della diffusione del contagio da COVID-19.
Difatti, nonostante gli uffici giudiziari nella stragrande maggioranza dei casi si siano mossi tempestivamente per l’acquisto dapprima dei prodotti per l’igienizzazione e poi delle mascherine – queste ultime a partire dal momento in cui (superata l’originaria raccomandazione che sconsigliava l’uso alle persone sane) anche il ministero ha cominciato a promuovere l’acquisto dei dispositivi di protezione individuali - la penuria degli stessi sul mercato ha rallentato e sta ancora rallentando notevolmente l’approvvigionamento.
Ad esempio, presso il Tribunale di Paola, soltanto da una ventina di giorni abbiamo ricevuto la parziale fornitura di prodotti disinfettante ordinati all’inizio del mese di marzo e soltanto da una settimana circa una prima fornitura di mascherine acquistate dalla Corte di appello di Catanzaro. Allo stato ciascun ufficio giudiziario si sta organizzando in proprio per approvvigionarsi ma è chiaro che la risposta del mercato alla domanda è determinante. Alla ripresa dell’attività e fino a quando non cesserà l’epidemia occorrerà poi fare periodiche sanificazioni degli spazi. Alcuni uffici giudiziari già hanno previsto anche la rilevazione della temperatura corporea di tutti coloro che accedono presso le sedi giudiziarie.
Insomma, ciascun dirigente di ufficio giudiziario, nell’ambito dei fondi messi a disposizione dal Ministero della Giustizia, sta fruttando questo periodo di “sospensione” per adottare accorgimenti che consentano una ripresa dell’attività giurisdizionale in condizioni di sicurezza.
Mi auguro, pertanto, che con tali accorgimenti, consentendo però ancora il lavoro agile per una parte del personale (anche se più esigua rispetto all’attuale percentuale) e limitando l’accesso dell’utenza, si possa garantire il lavoro in cancelleria in condizioni di sicurezza.
Mi preme evidenziare che tanto affermo in considerazione della conformazione del Palazzo di Giustizia di Paola e della tipologia degli spazi riservati al personale: la valutazione è inevitabilmente destinata a mutare in ragione delle diverse condizioni logistiche dei singoli uffici.
Antonella Magaraggia
La domanda non ha una risposta univoca perché dipende dalla struttura dei nostri palazzi di giustizia, molto diversi gli uni dagli altri. Al di là dell’uso dei dispositivi di protezione che, finalmente, sono arrivati (quanto abbiamo dovuto penare per averli), credo che si debba fare una verifica degli spazi, delle disposizioni delle postazioni, dei front office ecc. In vista della parziale ripresa dell’11 maggio sto facendo, con la dirigente e i funzionari dei vari uffici (ricordo che il Presidente del Tribunale sovraintende anche l’Ufficio del giudice di pace e l’Unep), una “mappatura” degli spazi, ufficio per ufficio, cancelleria per cancelleria, verificando, in sinergia con i lavoratori, se possono essere osservate le distanze e, in caso negativo, mettendo divisori e facendo, nei limiti del possibile, i necessari spostamenti ecc. Diciamo che è un’attività inedita per una Presidente di Tribunale, ma ritengo che rientri a pieno titolo nei compiti del capo dell’ufficio/datore di lavoro. Certo si dovrebbe fare molto di più e il Ministero dovrebbe supportarci. Con altri Presidenti in una recente lettera inviata al Ministro abbiamo chiesto quanto segue: “il posizionamento di cartelli di spiegazione e segnaletica anche a terra per indicare le distanza previste; il posizionamento di policarbonati per proteggere gli addetti allo sportello, altro personale in contatto con il pubblico, magistrati, avvocati, parti e testi nelle aule d’udienza; la verifica della capienza massima nel rispetto del distanziamento sociale, con indicazioni specifiche, di aule, uffici, corridoi; la posa in opera di strumenti automatici di verifica e regolamentazione degli accessi; dotazioni nelle aule penali di strumenti microfonici per ognuno dei protagonisti del processo, con relativa sanificazione; la fornitura periodica dei dispositivi personali di protezione e dei liquidi disinfettanti; la programmazione della sanificazione degli immobili con cadenza settimanale; la stipula di contratti che garantiscano una pulizia quotidiana degli uffici, laddove oggi non garantita; servizi di controllo della temperatura corporea all’ingresso”.
7. La tutela delle professionalità
E’ concreto il rischio che il Ministero lasci “a casa” molti dipendenti svuotandoli in sostanza delle proprie mansioni in violazione dell’art. 52 del T.U. sul pubblico impiego e conseguentemente anche dell’art. 2087 c.c.?
Paola Del Giudice
Non credo che si corra il rischio paventato. Il lavoro agile viene svolto sulla base di un dettagliato progetto ed è peraltro intervallato dalla partecipazione al presidio e dal godimento dell’eventuale residuo di congedo ordinario. Avendo contatti quotidiani soprattutto con i funzionari giudiziari dei diversi settori dell’ufficio, ho avuto modo di constatare come, anche a distanza, continuino a svolgere alcune tipologie di attività che ordinariamente eseguivano in ufficio.
Antonella Magaraggia
L’art. 52 TU è legge ordinaria e può essere derogata da norme successive, soprattutto da quelle che, nel rispetto della parità di trattamento, regolano la situazione di emergenza a tutela della salute e integrità fisica del dipendente, garantite dagli obblighi di sicurezza previsti dall’art. 2087 c.c.
L’art. 83 del D.L. n. 18/2020 attribuisce ai capi degli uffici il potere di limitare la presenza dei dipendenti allo stretto indispensabile per lo svolgimento di attività indifferibili utilizzando quel ventaglio di possibilità cui ho fatto riferimento sopra.
Credo che il lavoratore potrebbe lamentarsi solo se l’esenzione dal servizio non fosse adeguatamente motivata (per esempio potrebbe indicare possibilità concrete di smart working o una più frequente rotazione).
8. Trattazione scritta e da remoto
La trattazione scritta e da remoto sono strumenti adeguati, costituzionalmente e processualmente, per affrontare il periodo emergenziale?
Paola Del Giudice
La trattazione scritta, secondo la mia esperienza, è senza dubbio la modalità che è stata accolta con maggior favore dagli operatori si adatta a diversi momenti processuali in cui l’oralità non apporta necessariamente un valore aggiunto. Difatti, ho già prima messo in evidenza come nei protocolli tra Tribunali e Avvocatura per organizzare le udienze civili da celebrarsi dopo l’11 maggio prossimo, si stia valorizzando ed estendendo questa tipologia di trattazione.
L’udienza da remoto è uno strumento anch’esso prezioso in questa fase emergenziale ma appare meno risolutivo soprattutto negli uffici giudiziari con notevoli carichi di udienza. Il numero di cause da trattare con quella modalità deve essere, infatti, necessariamente ridotto per evitare sforamenti dell’orario.
Ho rilevato, inoltre, che non tutti i magistrati e gli avvocati hanno mostrato quell’apertura a mettersi in gioco con la piattaforma teams (cercando di capire per tempo come procedere con efficacia) che è fondamentale per la celebrazione con successo dell’udienza con quella modalità. Inoltre, i magistrati che già si sono cimentati in prove in vista della ripresa hanno evidenziato non trascurabili problematiche. Peraltro, nel mio ufficio si sono verificati casi di magistrati aventi in dotazione PC portatili privi di webcam ed è in corso la risoluzione della problematica.
Per quanto mi riguarda, nel prevedere le modalità di trattazione dell’udienza presidenziale, ho valutato (salvo i casi di indifferibilità) non proficua la trattazione dell’udienza presidenziale in remoto per la difficoltà di svolgere l’audizione separata di ciascun coniuge (senza l’assistenza del difensore), che è funzionale sia all’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione che all’assunzione dei provvedimenti temporanei ed urgenti.
Antonella Magaraggia
Certamente sono strumenti assolutamente consoni al periodo emergenziale perché impediscono la compresenza delle persone.
Sono adeguati processualmente per alcune udienze e non per altre. Ad esempio la trattazione scritta lo è sicuramente per alcune (precisazione delle conclusioni nei procedimenti di cognizione ordinaria ex art. 163 e ss. c.p.c. e sommaria ex art. 702 bis c.p.c.; ammissione delle prove; conferimento incarico al CTU; esame della CTU dopo il suo deposito ecc.), può essere compatibile, a determinate condizioni, per altre (discussione ex art. 281 sexies c.p.c. ed ex art. 429 c.p.c.; udienze ex art. 183 ed ex art. 420 c.p.c.) e per altre ancora difficilmente attuabile (assunzione testi).
Sono adeguati sotto il profilo costituzionale ove non comprimano i diritti delle parti e osservino i principi che governano il processo. Ricordo che stiamo parlando di mezzi e non di contenuti, ma se il mezzo non garantisce un contenuto processualmente adeguato (non è tutelato il diritto di difesa, non viene osservato il principio del contraddittorio ecc.) non può trovare ingresso. Insomma la modalità non è buona o cattiva in sé, ma dipende come viene utilizzata. Dobbiamo usare la tecnologia per quello che ci può essere utile. Usarla e non essere usati. Così facendo la trattazione scritta e da remoto potranno essere utile strumento, nel settore civile, forse anche dopo il periodo emergenziale (l’oralità, molto, spesso, dobbiamo dirlo, non esiste più) o costituire una buona “cassetta degli attrezzi” per eventuali altri periodi di emergenza.
9. Il ruolo dei presidenti
Il legislatore, per la prima volta, ha rimesso alla magistratura una normativa processuale di dettaglio ed ha affidato ai presidenti degli uffici molti poteri. Una scelta adeguata o inadeguata?
Paola Del Giudice
La scelta di affidare ai “capi degli uffici giudiziari” il compito di indicare le misure organizzative anche con riguardo alla trattazione degli affari giudiziari, in contraddittorio con l’Autorità sanitaria regionale e l’Avvocatura, obbedisce ad una scelta di fondo che condivido: quella di ancorare le modalità della ripresa dell’attività giurisdizionale con restrizioni alle peculiarità del singolo ufficio giudiziario (area geografica, entità del rischio di esposizione a contagio nel circondario, quantità e qualità del contenzioso trattato, caratteristiche del Palazzo di Giustizia - ad esempio: la sua estensione prevalentemente in orizzontale o in verticale, il sistema di aerazione esistente-, ampiezza delle aule e degli spazi destinati alle cancellerie, numero di udienze che si celebrano quotidianamente).
La prima criticità che ho rinvenuto in questa scelta risiede nel fatto che, mentre con l’Avvocatura è immediatamente stata avviata una proficua interlocuzione, nessuna raccomandazione specifica è pervenuta fino ad ora (almeno per gli uffici giudiziari ubicati nella Corte di Appello di Catanzaro) dalla Presidenza della Regione, quale tramite con l’Autorità sanitaria regionale, sicché per ora manca il (fondamentale) punto di vista sanitario locale nell’interlocuzione prevista, interlocuzione che già dal mese di marzo il presidente della corte ha sollecitato a beneficio di tutti gli uffici giudicanti del distretto. Nell’attesa, i presidenti hanno fatto le loro valutazioni tenendo conto delle indicazioni igienico – sanitarie generali e stanno inviando all’attenzione della Presidenza della Regione i protocolli fatti in vista della ripresa e le bozze delle linee guida elaborate.
Un altro punto critico che ho riscontrato è la mancata previsione di un ausilio tecnico che consenta di stabilire con il più alto grado di approssimazione il livello di occupazione “in sicurezza” dei singoli ambienti dell’ufficio, in relazione, cioè, non soltanto all’estensione ma anche alla loro tipologia.
Questo parametro consentirebbe di agganciare quella scelta a dati più seri. In mancanza, molti dei presidenti con i quali mi sono confrontata hanno valutato di adottare una linea prudenziale nella ripresa dell’attività, nel senso di peccare, nel dubbio, in difetto piuttosto che in eccesso.
Antonella Magaraggia
La storia di questa pandemia, in Italia, ha avuto una forte connotazione regionale, sia per una diversa diffusione del contagio sia per una diversa disciplina data dai Governatori, che hanno assunto ruolo determinante. Anche i dati, se si pone attenzione, sono sempre stati diffusi regione per regione. I nostri provvedimenti organizzativi, d’altro canto, vengono emessi “sentita l’autorità sanitaria regionale” (art. 83 comma sesto D.L. n. 18/2020).
Forse sarebbe stato opportuno che venisse imposta una disciplina distrettuale (nella forma di provvedimenti organizzativi, Linee guida, Protocolli ecc. emanati dalla Corte d’Appello), magari da adattare in sede circondariale. Come ho detto sopra, ogni Tribunale ha delle peculiarità per cui può programmare o non programmare certe attività in relazione agli spazi, alla possibilità di intese con il foro ecc. Il tutto, però, andava armonizzato in un’unica cornice. La bontà di quanto affermato, per lo meno nella regione Veneto, è dimostrato dal fatto che proprio in questi giorni la nostra Presidente della Corte sta cercando di uniformare i vari provvedimenti organizzativi/Protocolli circondariali per evidenti finalità di equità e semplificazione. L’averlo previsto sin dall’origine sarebbe stata scelta più opportuna.
10. Il primo mese e la proroga
Gli uffici, nell’arco del primo mese di sospensione, hanno reagito in modo diverso rispetto alla “fase 2”, taluni con provvedimenti o protocolli dettagliati, taluni con provvedimenti ripetitivi delle disposizioni legislative, taluni non hanno provveduto. Questo come ha influito sulla proroga della sospensione?
Paola Del Giudice
Credo che la proroga della sospensione sia dipesa non dalla constatazione di una inerzia degli uffici bensì dalla gravità della pandemia, che ha sconsigliato di mettere in movimento il “pianeta Giustizia”, peraltro in un momento in cui sul mercato non era possibile reperire i presidi di sicurezza.
Antonella Magaraggia
Certo. Vi è stata una disciplina a macchia di leopardo. Con uno sforzo non indifferente, anche di fantasia, ognuno ha cercato di attrezzarsi. Questo “fai da te” dei singoli Uffici ha portato a differenti discipline, conseguenza che non ritengo positiva. Almeno distrettualmente si sarebbe dovuta richiedere una certa uniformità.
11. Frammentazioni possibili e frammentazioni esistenti
Il potere attribuito ai dirigenti degli uffici in tema di politica dei rinvii, di tempistica delle azioni e di regolamentazione delle forme alternative di trattazione delle cause civili si presta all’idea di una giustizia civile frammentata? E questo come incide sulle frammentazioni già esistenti?
Paola Del Giudice
Certamente la scelta di fondo fatta dal legislatore si presta ad una ripresa dell’attività a velocità diverse e se la ripresa è più rallentata proprio nelle aree ove il contenzioso civile è in maggiore sofferenza la frammentazione può aggravarsi.
Nondimeno, non penso che questa constatazione debba influenzare le scelte da farsi, che devono rispondere unicamente all’esigenza di consentire la ripresa dell’attività giurisdizionale senza mettere a repentaglio la sicurezza di coloro che frequentano gli uffici giudiziari. Fermo restando che è compito del Ministero della Giustizia apprestare nell’immediatezza tutti gli interventi strutturali per adeguare i Palazzi di Giustizia alle esigenza di tutela della sicurezza dei lavoratori (e dell’utenza), ora anche dai rischi determinati dalla pandemia.
Antonella Magaraggia
Certamente in questo periodo emergenziale tale frammentazione si è attuata. Era, d’altro canto, inevitabile. Come dirigenti ci siano trovati a rincorrere i decreti legge (si ricorderà che, a volte, venivano emanati la domenica per il lunedì, con varie anticipazioni che, molto spesso, hanno creato solo confusione) e a dover provvedere quasi ad horas. Credo che, soprattutto nel civile, con un po' più di calma, non sarà difficile ricondurre ad unità la disciplina.
Vedo più difficile il percorso nel penale sia per l’arretratezza telematica sia, e soprattutto, perché, come sopra ho detto, vi deve essere una scelta di fondo della nostra politica.
12. Esigenze di uniformità
Il C.S.M. ha redatto delle linee guida in cui, almeno per la trattazione scritta, i punti maggiormente problematici non sono stati affrontati. La SSM, impegnata nell’attività di formazione e supporto, non si è vista assegnare il compito di formulare delle linee guida nonostante il ruolo scientifico che le spetta. Da un lato c’è chi invoca l’aiuto del legislatore, dall’altro c’è chi invoca una soft law che s’imponga per forza culturale ed autorevolezza della fonte. Se una tendenza all’uniformità appare necessaria, come raggiungerla?
Paola Del Giudice
Mi sembra che il dibattito che si sta svolgendo all’interno della magistratura in vista dell’applicazione delle modalità di trattazione previste dalle lettere f) ed h) del comma 7 dell’art. 83 del D.L. n. 18/2020 sia un buon viatico per una corretta applicazione della nuova disciplina.
Sinceramente la situazione non mi sembra diversa da altri casi di frettolose innovazioni procedurali non accompagnate da disposizioni di dettaglio.
Sarà, come di consueto, l’applicazione pratica della normativa da parte dei giudici, unitamente agli spunti che verranno da parte della dottrina processualcivilistica, con gli approfondimenti che saranno favoriti dalla Scuola superiore della Magistratura (la quale ha già avviato l’offerta formativa a distanza, partendo dai MOT in tirocinio), a suggerire le modalità più consone al rispetto del contraddittorio.
Antonella Magaraggia
Credo che il CSM possa fornirci un ausilio, continuando nel solco, già percorso proficuamente nelle due ultime consiliature, di emanazione di Linee guida più puntuali, magari di concerto con il Consiglio Nazionale Forense. Forse ci dovrebbe essere una maggior interlocuzione con il Ministero e una spinta per l’innovazione.
Pure la Scuola Superiore della Magistratura potrà giocare un ruolo, ma lo declino prevalentemente sotto il profilo culturale e formativo per il futuro più che di ausilio nell’emergenza.
Vedo una grande risorsa negli Osservatori della giustizia civile, da sempre avanguardia nel settore delle innovazioni, nella facilità di interlocuzione con i diversi utenti della giustizia e nella capacità di fare sintesi raccogliendo prassi ed elaborando Protocolli.
13. Insegnamenti
Il riflesso sulla giustizia civile dell’emergenza epidemiologica ha già chiarito qualcosa e insegnato qualcosa?
Paola Del Giudice
Certamente.
In primo luogo l’emergenza epidemiologica ha confermato come il processo civile telematico sia stata una innovazione epocale e come sia necessario che il legislatore porti a compimento questa innovazione, rendendo in primo luogo regola non più emergenziale ma definitiva quella secondo cui, nei casi in cui non è consentita la costituzione personale della parte, la previsione di cui al comma 11 dell’art. 83 D.L. 18/2020 - che impone, negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico, il deposito in modalità telematica anche di quegli atti e documenti (ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) che di regola possono essere depositati in forma analogica. Ma soprattutto estendendo il processo civile telematico nella sua interezza anche agli uffici del giudice di pace e agli uffici giudiziari superiori.
L’emergenza epidemiologica ha dimostrato quanto sia fondamentale la possibilità tecnica per il personale di cancelleria di lavorare a distanza sui sistemi SICID e SIECIC. Basti pensare che in questo momento storico l’innovazione legislativa della trattazione scritta e dell’udienza da remoto, in combinazione con tale possibilità tecnica, avrebbe consentito lo svolgimento, certamente non di tutte, ma di numerose attività giurisdizionali.
Ritengo, inoltre, visto anche il favore che la trattazione scritta ha trovato presso gli operatori del diritto, che questa esperienza emergenziale possa costituire l’occasione per rimeditare sulla effettiva proficuità della previsione dell’udienza in alcuni snodi processuali (penso all’udienza di ammissione delle prove, all’udienza di precisazione delle conclusioni, all’udienza di conferimento dell’incarico al C.T.U.) e possa spingere verso una riflessione volta a riservare l’oralità soltanto a quei momenti processuali in cui essa rappresenti effettivamente un valore in più.
Infine, il collegamento da remoto (se migliorato e previo potenziamento della rete internet di giustizia, che purtroppo in alcune parti del Paese, come la Calabria, lascia molto a desiderare), può rivelarsi uno strumento importante in talune evenienze processuali, come ad esempio per lo svolgimento di attività istruttorie che coinvolgono pubblici uffici (penso alle informazioni da raccogliersi presso i Servizi sociali nei procedimenti camerali relativi ai minori), e anche per le attività successive alle udienze (è il caso delle camere di consiglio collegiali per lo scioglimento delle riserve).
Insomma, la pandemia ancora in corso sembra avere avuto già l’effetto di accelerare una serie di riflessioni e di dibattiti suscettibili di condurre ad un miglioramento tecnologico del “pianeta Giustizia”.
Fondamentale, in particolare, mi è apparsa l’incitazione di chi ha affermato che è necessaria una nuova consapevolezza: quella che la gestione delle udienze possa essere variegata a seconda del tipo di contenzioso e delle modalità con cui occorre attuare il contraddittorio.
Antonella Magaraggia
Questo periodo ci ha insegnato che possiamo trovare, sia come giudici che come personale amministrativo, nuovi modi di lavorare.
Ci ha anche fatto capire che in materia di innovazione abbiamo ancora tanta strada da fare. Di questo è responsabile certamente il Ministero, ma anche le resistenze di parte della magistratura, che ora stiamo pagando.
Giustizia penale e ideologie emergenziali
di Giorgio Spangher
Sommario: 1. Premessa. - 2. Oralità e cartolarità. - 3. La detenzione carceraria. - 4. Le misure cautelari. - 5.Gli orizzonti.
1. Premessa.
Una analisi Intesa a verificare il substrato culturale e ideologico sotteso alla parte della normativa d’urgenza relativa alla giustizia penale non dovrebbe arrovellarsi più di tanto, tanto sono esplicite ed evidenti le relative linee ispiratrici.
Invero, le aree interessate dal d.l. n. 18 del 2020, ed ancor più dagli emendamenti approvati al Senato con il maxiemendamento con la successiva fiducia evidenziano chiaramente dove “batte il mare” della maggioranza parlamentare o almeno di quella parte di essa che, silente l’altra, governa ormai da tempo l’area della giustizia e di quella penale in particolare.
Come è noto le aree di intervento sono due: processi e libertà personale. Il primo è cristallizzato nell’art. 83, dove non casualmente è regolata anche la materia della custodia preventiva e il secondo è disciplinato dagli artt. 123 e 124 dove trovano disciplina i profili legati all’esecuzione della pena negli istituti penitenziari.
Con riferimento alla prima tematica la logica sottesa alla normativa – dopo una prima fase orientata alla sospensione – è quella finalizzata alla celebrazione dei processi da remoto: l’ulteriore logica delle previsioni è sicuramente quella tesa ad anticipare la logica già da tempo orientata alla c.d. smaterializzazione del processo, come si è evidenziata con la riforma Orlando degli artt. 139 bis, 146 bis e 45 bis disp. att. c.p.p.
2. Oralità e cartolarità.
Invero, come succede spesso nelle fasi emergenziali, i precari equilibri sui quali si reggono le previsioni frutto di compromessi, si rompono e si cerca di “spostare in avanti gli equilibri” sui quali si regge la materia. E’ evidente che l’epidemia come emerge quotidianamente è lo strumento attraverso il quale si cerca di perfezionare e consolidare la filosofia di un processo che punta alla marginalizzazione della difesa e al ridimensionamento del contraddittorio effettivo a vantaggio di uno meramente formale.
In altri termini si cerca di ottenere nei fatti quella dimensione del processo che pone a fondamento le esigenze decisionali di cui è garante il solo giudice monocratico, la cui collegialità appare sempre più marginale, e il pubblico ministero per la fase investigativa di cui si cerca di consolidare i risultati.
Irrilevanti si prospettano i contributi difensivi filtrati dalla asettività, impersonalità, precarietà del mezzo tecnologico.
Il processo assume il ruolo di un rito virtuale, impersonale, freddo, un contenitore algido, con soggetti separati nella lontananza delle immagini spersonalizzate.
Questi elementi obliterano l’aspetto più importante che la informatizzazione avrebbe dovuto e dovrebbe realizzare: la sburocratizzazione degli adempimenti per l’espletamento delle attività procedurali: notificazioni, deposito degli atti, formazione dei fascicoli, o quant’altro non implichi riflessi che superano gli elementi puramente formali, escludendo quelli di merito.
Il dato trova una precisa conferma nella visione che si vuole assegnare al processo in Cassazione, perfezionando la vocazione alla sua auspicata cartolarità, che sottende molte implicazioni tese a ridurre il confronto delle opinioni, alimento che dovrebbe, invece, nutrire la funzione nomofilattica del Supremo Collegio, attraverso il confronto delle idee.
Innestato sulla freddezza che ha ormai attanagliato il fatto, anche la questio iuris si inaridisce nella cartolarità delle argomentazioni.
3. La detenzione carceraria.
Si potrebbe pensare che sia stata dedicata maggiore sensibilità al tema della restrizione nelle carceri, considerato quanto previsto dagli artt. 123 e 124, attraverso il parziale recupero di quanto previsto dalla legislazione svuota carceri, in particolare dalla l. n. 199 del 2010 che, infatti, viene in parte richiamata.
Si tratta di pura apparenza, perché il dato non risulta calibrato sull’effettiva condizione penitenziaria, relativamente al suo stato di degrado, ma esclusivamente sull’abbassamento della tensione sfociata nelle manifestazioni dei detenuti.
Lungi dall’affrontare il tema delle carcere nei suoi profili strutturali, si è preferito un provvedimento tampone che non trova le sue premesse neppure nella verifica delle condizioni sanitarie indotte dall’emergenza.
Questo elemento è stato sicuramente condizionato dalla mancanza di un intervento in materia da parte del Ministro della Salute che avrebbe dovuto – e peraltro dovrebbe e potrebbe ancora verificare, come è nella sua competenza, le condizioni sanitarie oggettive e soggettive.
Si consideri sul punto quanto è previsto in generale dall’art. 11 della l. n. 354 del 1975, nonché più specificamente dall’art. 286 bis c.p.p. relativamente al divieto della custodia in carcere per i soggetti affetti da HIV.
In altri termini, posto l’art. 32 Cost. che tutela la salute individuale e collettiva, riconosciuto come diritto fondamentale, il tema avrebbe richiesto una approfondita riconsiderazione delle condizioni di vita collettiva nella situazione di restrizione che supera la mera situazione dell’affollamento. Sarebbe stato necessario e sarebbe necessario, fra le altre, verificare le condizioni di socialità, regolare le modalità di aggregazione, indicare le malattie suscettibili di accentuare il rischio connesso a possibili contagi.
4. Le misure cautelari.
Questa mancata iniziativa oltre a prevenire le situazioni interne agli istituti penitenziari, in relazione non solo ai detenuti, ma anche con riferimento agli operatori penitenziari, alla polizia penitenziaria, al personale amministrativo, ha condizionato le scelte relative ai soggetti ristretti in carcere in esecuzione di una misura cautelare.
Conseguentemente, questo elemento è rifluito nella disciplina processuale che – come anticipato – è rimasta non solo insensibile a questa condizione personale del ristretto ma addirittura ha imposto la sospensione dei termini della custodia e ne ha aggravato la condizione.
Una attenta valutazione della condizione dell’epidemia nelle carceri, con le conseguenti implicazioni, avrebbe contribuito a riconsiderare l’intero sistema delle cautele, alla luce del mutato quadro di riferimento dei pericula libertatis e delle presunzioni relative della pericolosità.
Dall’esclusione del carcere, fatte salve le situazioni di pericolosità assoluta e di eccezionali esigenze cautelari, il criterio processuale del carcere extrema ratio, così ridimensionato ulteriormente, avrebbe – dovrebbe – comportare scelte processuali calibrate sulla situazione delle cautele e conseguentemente sulle altre misure restrittive (arresti domiciliari) e non custodiali.
5.Gli orizzonti.
Come anticipato in esordio, la filosofia sottesa alla normativa d’urgenza si muove e continua a muoversi su piani slegati e senza progettualità, consegnando alla fine dell’emergenza tutte le problematicità esistenti, ma anche profonde divisioni tra gli operatori della giustizia.
Sul fronte del processo si scontreranno quelli che vorranno consolidare il modello di processo emerso dalla “sperimentazione”, a cui si contrapporranno le opinioni di coloro i quali chiederanno che si fermi la deriva di un processo “contenitore tecnologico”, sollecitando invece, scelte nel nome dell’efficienza degli strumenti informatici.
Sul fronte del carcere, si riproporrà il confronto mai sopito sul ruolo della pena, tra funzione retributiva e dimensione rieducativa, in attesa che Corte edu e Corte Costituzionale arginino le situazioni che maggiormente stridono con la dignità e l’umanità della reclusione, aprendo qualche spiraglio alle misure alternative. L’applicazione delle misure cautelari, non intaccata da qualche decisione ispirata al favor, resterà marchiata dal suo codice genetico, legato all’anticipazione della colpevolezza.
La giustizia dall’animazione sospesa passa in terapia intensiva: altri sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile (note a prima lettura alla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020).
di Franco De Stefano
Sommario: 1. La proroga secca. - 2. Le modifiche in sede di conversione del d.l. n. 18 (Cura Italia). - 3. Novità di ordine generale. - 4. Le modifiche alla fase uno. - 5. Le modifiche alla fase due. - 6. Specificità per i giudizi di cassazione. - 7. Epilogo.
1. La proroga secca.
In materia di Giustizia, già posta in stato di animazione sospesa, intervengono almeno due norme di notevole impatto.
Va prima di tutto segnalato che l’art. 36 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), prevede, al suo comma 1, che il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all’11 maggio 2020; e si premura di soggiungere che, di conseguenza, il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020.
L’articolo estende la sua applicazione, coi consueti limiti di compatibilità, ai procedimenti di cui ai commi 20 e 21 dell’articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020; i quali, nel testo originario, precedente cioè la modifica di cui alla legge di conversione, sono: i procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, i procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, i procedimenti relativi alle commissioni tributarie e alla magistratura militare.
La proroga al giorno 11 maggio non si applica ai procedimenti penali in cui i termini di cui all’articolo 304 del codice di procedura penale scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020 e quindi fino all’11 novembre 2020; e non si applica neppure nel processo amministrativo, se non per i termini per la notificazione dei ricorsi, fermo restando quanto previsto dall’articolo 54, comma 3, del relativo codice.
Al contrario, la proroga del termine di cui al comma 1, primo periodo, si applica altresì a tutte le “funzioni e attività della Corte dei conti”, come elencate nell’art. 85 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18.
Rimane quindi la distinzione in due fasi, la prima di sospensione generalizzata ed ampia con eccezioni e che impatta in modo deciso sulla funzionalità della giustizia, la seconda di regime articolato intermedio verso una ripresa che si presume – o, più verosimilmente, si auspica – complessiva o definitiva: ma si interviene solo sulla fase uno, che è aumentata fino a quasi due mesi, senza modificare – per ora – il termine finale anche della fase due (al 30 giugno, data sempre più prossima) e quindi riducendo in modo corrispondente la fase due, dell’organizzazione duttile e flessibile, anche territorialmente differenziata, che in origine era articolata su due mesi e mezzo ed ora si limita a poco meno di due, cioè un tempo inferiore a quello dell’emergenza acuta.
In definitiva, si tratta di una scelta probabilmente imposta dall’andamento dell’epidemia, ma ancora una volta inopportunamente indifferenziata, che cristallizza la situazione delle prime ore, dalla quale potrebbe forse adesso trarsi ogni utile spunto per superare il rischio di un immobilismo mortale, comprensibile ed in parte giustificabile solamente nei primi momenti di sbandamento e di priorità, nell’emergenza acuta, dell’imperiosa esigenza di prevenire l’impennata dei contagi e di organizzare la linea del Piave per la ripartenza dell’offensiva alla malattia e soprattutto della società nel suo complesso.
Altre quattro settimane di piena paralisi sono molte, moltissime; oltretutto, la comprensibile rigidità della fase uno impedisce l’adozione, fin d’ora, di strumenti agili e flessibili come quelli previsti dai commi sei e sette, esclusivo appannaggio della fase due, salva l’impervia strada della dichiarazione di urgenza ope iudicis e, beninteso, ferma la trattazione dei procedimenti definiti tali per legge o, auspicabilmente, nei casi dubbi a tale categoria ricondotti da provvedimento ricognitivo del giudice.
Lo stato di animazione sospesa (quasi un coma farmacologico) in cui era stata collocata la Giustizia col d.l. 18 si trova quindi protratto, come una terapia, dall’art. 36 del d.l. 23; ma, al tempo stesso, qualche intervento per limitare gli effetti nefasti che possono temersi dalla protrazione di questo stato di cose si tenta con le modifiche arrecate in sede di conversione del primo: come se, insomma, almeno si volesse trasferire il paziente in terapia intensiva, una volta che questo possa ancora dare segni vitali e potenzialità di ripresa o, almeno, per non rendere quest’ultima ancora più complicata o non lasciare postumi invalidanti permanenti irreversibili.
2. La legge di conversione del d.l. 18/20 (Cura Italia).
All’esito della modifica arrecata al Senato (il 9 aprile 2020), il testo finale della legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020 è stato varato dalla Camera dei Deputati il 24 aprile.
L’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 ne risulta trasformato in una norma ancora più complessa di almeno trentaquattro commi.
La disciplina diventa molto frastagliata proprio in ordine all’individuazione delle fasce temporali di applicazione, che vengono pure talvolta differenziate all’interno della tendenziale bipartizione nella fase uno (fino al giorno 11/05) e due (fino al 30/06, almeno allo stato).
Per quanto riguarda il civile e il processo in generale dell’art. 83 d.l. 18/2020 sono stati modificati:
- il comma 3, con l’affinamento dell’elenco dei procedimenti esclusi dalla sospensione nella fase uno;
- il comma 7, con la precisazione delle udienze civili in cui sarà possibile, nella fase due, la modalità da remoto, ma pure con l’estensione di queste alle attività di tutti gli ausiliari di tutti i giudici;
- il comma 20, quanto alla sospensione dei procedimenti di mediazione o risoluzione stragiudiziale delle controversie.
Sempre per il processo civile o in generale sono state:
- previste modalità di deposito telematico di atti nei procedimenti civili in Cassazione;
- abilitate le celebrazioni da remoto delle camere di consiglio, ma nella sola fase due e per i soli procedimenti non sospesi;
- previste modalità di svolgimento da remoto a determinate condizioni degli incontri di mediazione;
- introdotte nuove modalità di conferimento delle procure in ogni procedimento civile, con previsione di un termine finale pericolosamente incerta o mobile.
Non è questa la sede per occuparsi specificamente di modifiche ad altre disposizioni complementari, come l’art. 103 (formalmente dedicato ai procedimenti amministrativi, ma che, con disposizione assolutamente incongrua per la sedes materiae proclamata nella rubrica, potrebbe finire con l’estendersi ai procedimenti esecutivi e concorsuali fino al 15/04/2020, oltre che, secondo quanto già previsto dall’originario comma 6, alle procedure di rilascio fino al 01/09/2020) o l’art. 54-ter (sulla sospensione delle procedure esecutive sulle prime case). Basti allora un cenno al fatto che il primo prevede (al co. 1-bis) una sospensione, curiosamente limitata però al solo 15 aprile 2020, in materia di procedimenti amministrativi, per i “termini relativi ai processi esecutivi e alle procedure concorsuali, nonché ai termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali” (nonostante questi procedimenti nulla abbiano in comune con i procedimenti amministrativi, come insegna la dottrina processuale da almeno settant’anni); ma si interviene pure sui procedimenti amministrativi per il recupero di somme dovute in materia di lavoro e legislazione sociale, con una ancora più curiosa modulazione del relativo periodo di sospensione, dal 23 febbraio al 31 maggio 2020, estesa anche al relativo termine prescrizionale.
3. Novità di ordine generale.
Incide su norme generali del processo, non solo civile, la liberalizzazione dello svolgimento da remoto di tutte le attività di tutti gli ausiliari del giudice (e, attesi i richiami delle rispettive discipline, anche di quelli dei magistrati), alla condizione generale della salvaguardia del contraddittorio e dell’effettiva partecipazione delle parti: si tratta della lettera h-bis del co. 7: pertanto, è disposizione studiata e dettata per la fase due (12 maggio – 30 giugno 2020) ed anche stavolta tutto è rimesso al provvedimento del capo dell’ufficio giudiziario. Al riguardo, è auspicabile un indirizzo unitario coordinato a livello nazionale dal CSM in sede di adozione delle linee guida, ma comunque a livello distrettuale dal presidente della Corte d’appello. L’ampiezza della lettera della legge dovrebbe consentire una auspicabile corrispondente ampiezza del ricorso a tali modalità, nel rispetto del principio di libertà delle forme e dei soli due obiettivi appena visti come riconosciuti meritevoli di garanzia. Pertanto, in applicazione di principi generali del processo civile, nessuna eventuale nullità derivante dalla violazione delle relative norme, primarie, secondarie o subsecondarie, potrà essere dichiarata ove l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo ed il diritto di difesa della parte non sia stato in concreto pregiudicato.
Incide invece su norme generali del processo, stavolta soltanto civile, la previsione del nuovo comma 20-ter, la cui durata è ancorata ad una data futura ed incerta quale la “cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione dal contagio COVID-19”: in forza di tale disposizione, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo strumenti di comunicazione elettronica. In tal caso, l’avvocato certifica l’autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell’articolo 83 del codice di procedura civile, se è congiunta all’atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia. Si tratta di norma che, quindi, per potere concretamente operare necessita di un atto di normazione secondaria peculiare, quale appunto il decreto ministeriale; ma ogni relativa irregolarità (tra cui l’adozione con modalità in parte difformi, se non forse anche l’applicazione di simili modalità prima della formale pronuncia del Ministro), tranne il solo caso delle procure speciali previste per peculiari giudizi (come quello di legittimità), deve potersi sanare ai sensi dell’art. 182 c.p.c., configurandosi al riguardo una potestà del giudice (e, quindi, un suo autentico potere-dovere in tal senso).
Per un periodo diverso ed estraneo alla modulazione della tempistica finora esaminata, siccome individuato tra il 16 aprile ed il 31 maggio 2020, è poi la riduzione a modalità da remoto, fatta salva una diversa ed evidentemente specifica disposizione del giudice (sicché, in mancanza di positivo intervento di questi, si dovrebbe applicare la previsione di cui appresso), degli incontri tra genitori e figli in in spazio neutro, ovvero alla presenza di operatori del Servizio Socio assistenziale, disposti con provvedimento giudiziale. Unica condizione è che siano permesse le comunicazioni audio e video tra il genitore, i figli e l’operatore specializzato, secondo le modalità che saranno individuate dal responsabile del Servizio Socio assistenziale e comunicate al giudice procedente; ma con la clausola di salvaguardia che, mancando un diverso provvedimento di questi, ove non sia possibile assicurare il collegamento da remoto gli incontri sono sospesi; e, nella dinamica dei difficili rapporti tra genitori e figli, un mese e mezzo può essere un periodo intollerabilmente lungo, sicché è auspicabile una particolare attenzione da parte del giudice, che potrebbe pur sempre, informato delle difficoltà tecniche, disporre diversamente e – beninteso – nel rispetto delle esigenze sanitarie.
La peculiarità del giudizio di legittimità specificamente introdotta per rendere trattabili i procedimenti civili dinanzi alla Corte di cassazione merita un cenno a parte, su cui v. infra.
Lo svolgimento in modalità da remoto è esteso poi – dal co. 20-bis – ai procedimenti di mediazione: a condizione del consenso di tutte le parti, questa è una facoltà generale nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, ma si prevede pure (in modo probabilmente non del tutto congruente con la limitazione della previsione al periodo emergenziale) che in tempi successivi, sempre previo quel consenso, gli incontri possano aver luogo in via telematica, ai sensi dell’art. 3, co. 4, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, mediante sistemi di videoconferenza; e si precisa che, in caso di procedura telematica, l’avvocato, che sottoscrive con firma digitale, potrà dichiarare autografa la sottoscrizione del proprio cliente collegato da remoto ed apposta in calce al verbale ed all’accordo di conciliazione. Il verbale relativo al procedimento di mediazione svoltosi in modalità telematica sarà sottoscritto dal mediatore e dagli avvocati delle parti con firma digitale ai fini dell’esecutività dell’accordo prevista dall’art. 12 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
Con una generalizzazione opportuna (al co. 21), infine, la disciplina dell’intero art. 83, tra cui la suddivisione in due fasi del periodo di crisi, è estesa (oltre che alla giustizia tributaria e militare) anche ai procedimenti di competenza delle giurisdizioni speciali, anche se non contemplate direttamente od esplicitamente dal decreto legge, come pure agli arbitrati rituali, con il consueto limite generale della compatibilità.
4. Le modifiche alla fase uno.
Limitata alla fase uno, di indifferenziata sospensione di termini (salve le sole eccezioni previste), è una serie di precisazioni.
La prima riguarda i procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni in cui è urgente ed indifferibile la tutela di diritti fondamentali della persona: si tratta di dizione volutamente ampia, idonea a garantire una discrezionalità opportuna in un settore dove una generalizzazione ex ante è spesso impropria ed inopportuna; piuttosto, è arduo il contemperamento con l’ultima parte della stessa lettera a) del co. 3, che già prevedeva l’esenzione dalla sospensione dei procedimenti in cui la ritardata trattazione avrebbe potuto produrre un grave pregiudizio alle parti, visto che la valutazione del giudice è indispensabile in entrambi i casi. A non volere ritenere che proprio in materia minorile le parti godano di una tutela minore, si può concludere che le due forme di esenzione, entrambe ope iudicis e quindi abbisognevoli di un provvedimento positivo del giudice (propriamente ricognitivo nel primo caso e costitutivo nel secondo), concorrano, ma non si escludano.
La seconda riguarda la limitazione dell’esenzione dalla sospensione delle cause relative ad alimenti od obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio od affinità ai soli casi in cui vi sia pregiudizio per la tutela di bisogni essenziali. Valgono considerazioni analoghe a quelle appena svolte per la precisazione in tema di urgenza ed indifferibilità della tutela dei diritti fondamentali della persona nei procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni: con la conseguenza che particolare attenzione andrà dedicata dal giudice alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della seconda oppure dell’ultima delle ipotesi del primo periodo della lett. a) del comma 3; tuttavia, non dissimilmente che per la precedente, un richiamo indifferenziato o generico all’una o all’altra (anche con formula di congiunzione e, in alternativa, di aggiunta) dovrebbe fondare a sufficienza la determinazione del giudice competente di trattare l’affare.
La terza riguarda i particolari procedimenti elettorali di cui agli artt. 22 a 24 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, intrinsecamente urgenti per l’indifferibilità delle decisioni in materia, soprattutto per il caso in cui le competizioni elettorali cui si riferiscono siano state tenute egualmente nonostante l’emergenza sanitaria.
Ancora, il co. 12-quinquies regolamenta le modalità di deliberazione da remoto dei provvedimenti collegiali nei procedimenti civili e penali non sospesi: alla lettera, quindi, poiché di sospensione si parla esclusivamente per la cosiddetta fase uno (mentre per la fase due rimane una ampia gamma di provvedimenti rimessi all’iniziativa dei capi degli uffici, tra i quali non si fa mai menzione della sospensione), la disciplina può applicarsi in via diretta ed immediata esclusivamente a quelli ed a quegli altri, che ordinariamente non sono sospesi, nella fase due. In particolare, dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera dì consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei soli procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l’ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell’inserimento nel fascicolo il prima possibile e, in ogni caso, immediatamente dopo la cessazione dell’emergenza sanitaria. Nei procedimenti civili, per i quali nulla è previsto in modo esplicito dalla legge, le modalità di deposito degli elaborati restano affidate al provvedimento del singolo capo dell’ufficio, se intervenuto ai sensi del co. 7, oppure, in mancanza, dal giudice (o, in caso di collegio, dal suo presidente) che vi provvede.
5. Le modifiche alla fase due.
Nonostante l’evidente opportunità di una generalizzazione di tali precisazioni, tale disciplina (del co. 12-quinquies) è espressamente limitata anche temporalmente, dal 9 marzo al 30 giugno 2020, benché dall’11 maggio non vi siano più procedimenti sospesi; ma può ritenersi codificazione esplicita di principi della materia, quale quello dell’equiparazione alla camera di consiglio “in presenza” del luogo o dei luoghi da cui si collegano i magistrati dell’organo collegiale, nonché quello del deposito quanto prima dell’originale in cancelleria, oppure quello della delegabilità delle relative funzioni del presidente del collegio.
Pertanto, nulla esclude l’applicazione di analoga modalità di trattazione da remoto, purché però tanto sia reso oggetto di provvedimento ad hoc del capo dell’ufficio ai sensi della lett. f) del medesimo co. 7, adottato nel rispetto delle regole procedurali del comma 6 (vale a dire previa consultazione dell’autorità sanitaria regionale, sentito il Consiglio dell’ordine degli avvocati e comunque d’intesa col Presidente della Corte d’appello o il Procuratore generale della Repubblica presso la medesima, con la sola eccezione di Corte di cassazione e Procura generale presso quest’ultima).
Con simile provvedimento il capo dell’ufficio sarà quindi ancora in facoltà di determinare le modalità di trattazione non solo delle udienze, ma pure delle adunanze (in Cassazione, anche se non partecipate) e delle relative camere di consiglio da remoto: a tale conclusione (di indifferenziato riferimento alle attività comunque espletate dal giudice nello sviluppo del procedimento come regolato davanti a lui) potendo giungersi ora anche sulla base di due nuovi argomenti testuali: in primo luogo, l’esplicita estensione – alla lett. f) – a tutte le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzate all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione; in secondo luogo, l’inserimento della lett. h-bis (anch’essa appunto relativa alla sola fase due), con la previsione dello svolgimento dell’attività da remoto di tutti gli ausiliari del giudice, fatti salvi il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti (per cui, tra l’altro, nulla che presupponga l’esame fisico od obiettivo di cose o persone dovrebbe potersi ricondurre a tale facoltà: non certamente una visita medica sulla persona, ad esempio, o – verosimilmente – un’ispezione di luoghi).
La conclusione che si ricava è che tutte le attività funzionali alla giurisdizione civile, diverse da quelle che esigono la presenza fisica delle parti di persona, sono sostituibili, se non altro finché dura l’emergenza, con le modalità da remoto e, deve ritenersi, a condizione dell’equipollenza del contatto così istituito con quello normalmente esistente nel processo civile, di cui può comunque – e in linea di principio – garantirsi oralità, concentrazione ed immediatezza anche tra persone distanti ma adeguatamente collegate.
6. Specificità per i giudizi di cassazione.
Preliminarmente, può notarsi che, quanto alla firma dei provvedimenti civili della Corte suprema di cassazione, opportunamente il Primo Presidente della Corte di cassazione ha disposto, con suo decreto n. 40 del 18-19 marzo 2020, che, in caso di residenza del presidente o del relatore fuori Roma, possa configurarsi uno degli impedimenti per i quali l’ultima parte dell’ultimo comma dell’art. 132 cod. proc. civ. prevede la possibilità della sottoscrizione da parte del consigliere più anziano. Tale norma, conformemente alle prime valutazioni anche di altri commentatori ed in virtù di un’interpretazione estensiva, necessitata dall’eccezionalità della situazione e della probabilità della diffusione dell’impedimento dovuta alla dimensione nazionale dell’ufficio ed alla dislocazione dei suoi magistrati su tutto il territorio italiano, deve ritenersi applicabile a scalare in caso di impedimento anche del componente del collegio più anziano dopo il presidente, fino a raggiungere ed investire del potere di firma il più anziano dei componenti del collegio che non sia impedito.
Soltanto un cenno poi, per il grande impatto pratico che potrebbe avere per consentire la ripresa decisa delle attività della Cassazione civile ed anzi per costituire un’occasione di superamento di un anacronistico ritardo nell’applicazione delle innovazioni tecnologiche nell’ufficio di vertice della magistratura italiana, può essere qui fatto al co. 11-bis, per il quale, nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione, ma – allo stato – sino al 30 giugno 2020, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Si precisa che condizione per l’attivazione del servizio è un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, di constatazione dell’installazione e dell’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici. Va di pari passo l’abilitazione dei difensori delle parti al pagamento del contributo unificato di cui all’art. 14 d.P.R. 30 maggio. 2002, n. 115 (e dell’anticipazione forfettaria di cui all’art. 30 del medesimo decreto), dovuto per il deposito telematico degli atti dì costituzione in giudizio presso la Corte di Cassazione, mediante sistemi telematici di pagamento anche tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
La sperimentazione pare avviata proprio in queste ore.
E proprio in queste ore è stato pubblicato sul sito istituzionale della Corte un protocollo di intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e la Procura Generale presso la Corte per la trattazione delle adunanze camerali civili (e delle udienze ex art. 611 c.p.p.), dichiarato immediatamente efficace e valido fino al 30/06/2020 e del quale il CNF si impegna a dare ampia pubblicità, in base al quale:
1. il provvedimento di fissazione dell’adunanza o dell’udienza camerale conterrà l’invito ai difensori a trasmettere, ove nella loro disponibilità e secondo le forme di cui agli articoli seguenti del protocollo, entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione stessa, copia informatica - in formato pdf - degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge (per il civile: ricorso, controricorso, nota di deposito ex art. 372, comma 2, c.p.c., provvedimento impugnato); con espresso avvertimento che nel caso in cui non pervengano nel detto termine in cancelleria tali copie, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto;
2.1. il difensore provvederà a trasmettere gli atti richiesti, dei quali abbia la disponibilità, mediante invio dal proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal RE.G.IND.E., congiuntamente:
a. agli indirizzi di posta elettronica certificata delle cancellerie della Corte di cassazione e delle segreterie della Procura Generale, che saranno previamente comunicati al Consiglio Nazionale Forense ed adeguatamente pubblicizzati sui rispettivi siti internet dei soggetti che sottoscrivono il presente protocollo,
b. all’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori delle altre parti processuali risultante dai pubblici registri di cui all’art. 16.ter del d.l. n. 179 del 2012 e successive modificazioni;
2.2. l’invio dovrà essere fatto separatamente per ciascuno dei ricorsi per i quali si è ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza ed il messaggio dovrà contenere la chiara indicazione nell’oggetto del numero del ruolo generale, della sezione, civile o penale, della data dell’udienza o adunanza secondo il format che verrà previamente comunicato ed adeguatamente pubblicizzato;
2.3 l’adesione all’invito di cui al presente protocollo implica, in capo ai difensori, l’impegno a trasmettere copie informatiche di contenuto uguale agli originali o alle copie già presenti nel fascicolo cartaceo;
2.4 con analoghe modalità di cui ai punti 2.1. e 2.2. potranno essere trasmesse le memorie ai sensi degli artt. 380-bis, 380-bis 1 e 380-ter c.p.c.;
2.5 resta fermo quanto previsto dai decreti del Primo Presidente della Corte di cassazione innanzi richiamati, quanto alla trasmissione delle memorie e dei motivi aggiunti nei procedimenti civili e penali;
2.6 ciascuna delle parti processuali ha facoltà di trasmettere tutti gli atti del processo, ivi compresi quelli depositati dalle altre parti;
3. la trasmissione degli atti indicati nell’art. 1 dovrà avvenire entro e non oltre il settimo giorno successivo alla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza o adunanza camerale. Nel caso in cui non pervengano nel detto termine in cancelleria le copie informatiche di tutti gli atti rilevanti, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto, per avere già acquisito le copie di atti e documenti;
4.1. la Procura Generale provvederà a trasmettere agli indirizzi di posta elettronica certificata delle cancellerie della Corte di cassazione ed agli indirizzi di posta elettronica certificata dei difensori di cui al punto 2.1, copia informatica degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge;
4.2. con le stesse modalità potranno essere trasmesse le conclusioni scritte ai sensi degli artt. 380-bis.1 e 380-ter c.p.c., nonché le richieste e le memorie di cui all’art. 611 c.p.p.;
5. La Camera di Consiglio sarà svolta secondo le modalità indicate nei decreti del Primo Presidente nn. 44 del 23 marzo e 47 del 31 marzo 2020;
5.2. per quanto attiene il deposito delle note di cui al punto 2.5, sarà onere delle cancellerie provvedere all’inserimento nei fascicoli cartacei, ai fini della loro completezza;
6. la trasmissione della copia informatica dell’originale cartaceo non sostituisce il deposito nelle forme previste dai codici di rito, civile e penale, né determina rimessione in termini per le eventuali decadenze già maturate.
7. Epilogo.
Qualcosa, insomma, si muove. La Giustizia, colpita al cuore anch’essa da una sciagura senza precedenti e paralizzata per la fase acuta dell’emergenza, può ambire ad essere spostata dall’animazione sospesa prima alla terapia intensiva e poi in corsia, perché vuole dare il suo contributo al Paese; questi provvedimenti, nel complesso, offrono agli operatori qualche strumento per agire in questa direzione: e, impregiudicate beninteso le priorità sanitarie e la sicurezza minima di tutti i lavoratori ed i soggetti coinvolti nelle attività giurisdizionali, starà a loro, nell’ampio ventaglio di possibilità comunque offerto o ricavabile da una normativa comunque complessa, applicarli al meglio delle loro possibilità.
Perché un Paese non può sopravvivere senza cibo, ma non può restare a lungo senza Giustizia. Perché, insieme e se lo si vuole davvero, ce la si può fare.
Covid-19 e sospensione dei termini sostanziali
di Antonio Scarpa
A fronte delle conclusioni, più o meno rassicuranti, cui sono pervenuti i primi commentatori, il testo dell’art. 83, comma 2, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge, suscita notevoli incertezze circa l’applicabilità della sospensione ai termini di prescrizione e di decadenza.
Sommario: 1. La disciplina dei termini nella normativa sull’emergenza COVID-19 – 2. I primi commenti – 3. Un tentativo di riconduzione ai principi – 4.Una breve considerazione finale.
1. La disciplina dei termini nella normativa sull’emergenza covid-19 - Com’è noto, allo scopo di contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria, l’articolo 83, comma 2, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni in legge, ha disposto, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 (termine, quest’ultimo, poi prorogato all’11 maggio 2020 dal decreto legge 8 aprile 2020, n. 23), la sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”. La norma precisa che “si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l'adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l'udienza o l'attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto”.
Il successivo comma 6 dell’articolo 83 cit. rimette, inoltre, ai capi degli uffici giudiziari, per il periodo compreso tra il 12 maggio 2020 ed il 30 giugno 2020, l’adozione di “misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d'intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone”. Tali misure organizzative sono elencate nel comma 7 dell’articolo 83, e vanno dalla “limitazione dell'accesso del pubblico agli uffici giudiziari”, alla “limitazione dell'orario di apertura al pubblico degli uffici”, alla “regolamentazione dell'accesso ai servizi”, alla “adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze”, alla “celebrazione a porte chiuse” delle udienze pubbliche, alla “previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto”, alla “previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020”, allo “svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
Il comma 8 dell’articolo 83 del decreto legge n. 18 del 2020 aggiunge, a sua volta, che “per il periodo di efficacia dei provvedimenti di cui al comma 7 che precludano la presentazione della domanda giudiziale è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi”.
Il comma 20 dell’articolo 83 cit. ha, quindi, sospeso per lo stesso periodo “ i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ... quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
Ancora, il comma 1-bis dell’art. 108 del decreto legge n. 18 del 2020, inserito all’atto della conversione in legge, prescrive: «1-bis. Per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta, di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e all’articolo 201 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, gli operatori postali procedono alla consegna delle suddette notificazioni con la procedura ordinaria di firma di cui all’articolo 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, oppure con il deposito in cassetta postale dell’avviso di arrivo della raccomandata o altro atto che necessita di firma per la consegna. Il ritiro avviene secondo le indicazioni previste nell’avviso di ricevimento. La compiuta giacenza presso gli uffici postali inizia a decorrere dal 30 aprile 2020. I termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo in esame sono sospesi sino alla cessazione dello stato di emergenza».
Gli articoli 34 e 42 del decreto legge n. 18/2020 hanno, dal canto loro, individuato una disciplina di proroga o sospensione dei termini decadenziali in materia di prestazioni previdenziali, assistenziali ed assicurative erogate dall'INPS e dall'INAIL.
Peraltro, con l’articolo 10, comma 2, del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 marzo 2020, n. 53, già a decorrere dal 3 marzo 2020 e sino al 31 marzo 2020, per i procedimenti civili pendenti presso gli uffici giudiziari dei circondari dei Tribunali cui appartenevano i comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, erano stati sospesi “i termini per il compimento di qualsiasi atto processuale, comunicazione e notificazione” da svolgere nelle regioni di appartenenza degli indicati comuni. Il comma 4 dell’articolo 10 del decreto legge n. 9 del 2020, contemplava, sempre soltanto “per i soggetti che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono residenti, hanno sede operativa o esercitano la propria attività lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020”, la sospensione dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 dei “termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali”. L’articolo 1 della legge di conversione del decreto legge n. 18 del 2020 ha però disposto l’abrogazione del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9, comunque restando “validi gli atti ed i provvedimenti adottati” e facendo “salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti” sulla base del medesimo decreto legge.
Col decreto legge n. 18 del 2020 sono stati altresì abrogati gli articoli 1 e 2 del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, coi quali erano già stati sospesi sino al 22 marzo 2020 “i termini per il compimento di qualsiasi atto” dei “procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all'articolo 2, comma 2, lettera g”.
In definitiva, dopo la conversione in legge del decreto legge n. 18 del 2020, con riguardo espresso ai termini sostanziali di prescrizione e di decadenza, oltre ad alcune norme di settore, rimane vigente la sola esplicita previsione del comma 8 dell’articolo 83 del decreto legge n. 18 del 2020, che però riguarda il periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020.
Il dubbio dell’operatore è: sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza per il periodo dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 ?
2.I primi commenti – I dossier contenenti le schede di lettura predisposte dal sevizio studi del Senato e della Camera dei deputati ai fini dell’esame del d.l. 18/2020 (A.C. 2463) non mostrano grandi perplessità in proposito:
“In base al comma 8 (n.d.r.: dell’articolo 83), se l’adozione delle misure organizzative per il contenimento del contagio preclude la possibilità di presentare una domanda giudiziale, la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei relativi diritti è sospesa fintanto che perdurano le misure stesse. Pertanto, i termini di prescrizione e decadenza sono sospesi di diritto dal comma 2 per il periodo 9 marzo -15 aprile (9 marzo - 11 maggio, in base al decreto-legge n. 23/2020) ma potranno essere sospesi anche successivamente, fintanto che perdurano le misure organizzative di contenimento del virus, se tali misure precludono la possibilità di presentare una domanda giudiziale”.
Anche la Relazione su novità normativa dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo n. 28/2020 del 1 aprile 2020, pur lamentando che la disposizione in esame non è “affatto perspicua”, è giunta alla conclusione che sia “ferma la sospensione dei termini sostanziali di prescrizione e decadenza nella fase di sospensione ex lege di tutti i termini processuali”.
A.Panzarola, M. Farina, L'emergenza coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in http://giustiziacivile.com, hanno dedicato la loro attenzione alla sola previsione contenuta nel comma 8 dell’art. 83, parimenti definendola “non certo perspicua”, ma nella consapevolezza che essa sia destinata al cosiddetto «secondo periodo», e dunque al periodo di efficacia delle misure organizzative di cui al comma 7 che precludano la presentazione della domanda giudiziale. Gli Autori menzionati hanno osservato come, pur essendo la norma ispirata da un “lodevole intendimento”, non si comprende in che modo quelle misure possano impedire tout court la proposizione di una domanda giudiziale. Quindi si sono dedicati a determinare “i diritti (sostanziali) cui la norma si riferisce, i quali, stando al dettato normativo, sono esercitabili «esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti» assunti dal capo dell'ufficio”.
G. Sicchiero, Decreto Cura Italia: le disposizioni in tema di giustizia civile, in https://www.quotidianogiuridico.it, ha, invece, inteso il comma 8 dell’articolo 83 cit. riferito già al primo periodo, argomentando: “data la sospensione dei processi civili e penali dal 9 marzo al 15 aprile (a parte le eccezioni espressamente indicate), il comma 8 prevede che durante tale periodo è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività̀ precluse dai provvedimenti medesimi”.
M. Tarantino, Aspetti critici sulla decorrenza dei termini per impugnare le delibere condominiali durante l’emergenza COVID-19, in http://www.dirittoegiustizia.it, dopo aver richiamato le norme che dettavano esplicite sospensioni dei termini comportanti prescrizioni e decadenze nei provvedimenti approvati, ad esempio, per le popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009, o dal sisma del 24 agosto 2016, ha ravvisato l’operatività della sospensione dei termini sostanziali soltanto nei limiti del comma 8 dell’art. 83, e dunque agganciata “in maniera difficilmente comprensibile” alle due condizioni ivi dettate. Nel prosieguo del commento, tuttavia, l’Autore presta adesione alle conclusioni della richiamata Relazione del Massimario n. 28/2020 del 1 aprile 2020, dando per certa la sospensione dei termini sostanziali di prescrizione e decadenza nel periodo di sospensione ex lege dei termini processuali.
3.Un tentativo di riconduzione ai principi – Il primo principio che viene a mente è quello secondo il quale tutte le norme, contenute nel Codice civile o in altre leggi, che prevedono la sospensione dei termini di prescrizione o di decadenza, integrano disposizioni di carattere eccezionale, a norma dell'art. 14 delle preleggi, con la conseguenza che non sono suscettibili di applicazione oltre i casi e i tempi espressamente e tassativamente considerati dalla legge, dovendosi assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici. Come facciamo a leggere che siano sospesi i termini di prescrizione e di decadenza in una norma che dispone espressamente la sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali” e che, dopo averli esemplificati, ribadisce di sospendere “in genere, tutti i termini procedurali” ?
A proposito della più nota ipotesi di sospensione ex lege dei termini processuali, ovvero quella prevista dall'art. 1 della legge n. 742 del 1969 per il periodo feriale, sono state dapprima la Corte costituzionale, con le declaratorie di illegittimità in rapporto agli articoli 3 e 24 Cost. (sent. n.380 del 1992; n. 49 del 1990; n. 255 del 1987; n. 40 del 1985), e poi la giurisprudenza ordinaria, in sede interpretativa, ad ampliare la locuzione “termini processuali”, ma al fine di ricomprendere nella sospensione quei soli brevi termini di decadenza fissati per la proposizione dell'atto introduttivo del giudizio, allorché quest’ultimo costituisca, per il titolare del diritto, l'unico rimedio per fare valere tempestivamente il diritto stesso. Il fondamento delle sentenze orientate in tale direzione nasceva dalla considerazione che il carattere processuale di un termine non si rivela solo in base al suo manifestarsi e compiersi dopo l'inizio del processo, ma anche avendo riguardo alla sua funzione, al suo valore di “atto iniziale del processo”, allorché il processo si dimostri come l'unico strumento idoneo a difendere e a tutelare il diritto del singolo, visto che la situazione di chi deve ricorrere ad un legale nel mese di agosto perché rediga un atto d'appello non è diversa da chi deve necessariamente rivolgersi ad un avvocato in quel medesimo periodo dell’anno per impugnare, ad esempio, una deliberazione societaria o condominiale entro il termine previsto dall'ordinamento. Quando, dunque, l’ordinamento conosce mezzi alternativi, anche stragiudiziali, idonei ad impedire la decadenza o ad interrompere la prescrizione, non muta il carattere sostanziale del termine, esplicando l'atto introduttivo del giudizio effetti equipollenti a quelli di tali mezzi alternativi. Viceversa, è il riscontro dell'assenza di altri rimedi, ovvero del collegamento diretto e necessario tra il termine e l'atto introduttivo del giudizio, a far acquistare al primo natura (anche) processuale, dalla quale deriva l'applicabilità della sospensione. Ciò pur sempre, è bene ricordarlo, avendo riguardo alla ratio propria della norma di cui all'art. 1 cit. della legge n. 742 del 1969, che è quella di assicurare agli avvocati una pausa feriale, così che essi, tranne che per gli affari urgenti di cui agli art. 2 e 3, non debbano essere costretti ad interrompere il loro periodo di riposo (Corte cost., sent. n. 225 del 1987, n. 40 del 1985, n. 130 del 1974).
Se si conviene che la lettera dell’articolo 83, comma 2, cit. non riguarda espressamente i termini sostanziali di prescrizione e di decadenza, si potrebbe non di meno, in via interpretativa, far rientrare nella sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili”, ovvero di “tutti i termini procedurali”, non soltanto i termini per il compimento degli atti dei processi già pendenti, ma altresì i termini sostanziali “stabiliti … per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio”, quando si tratti di prescrizioni o decadenze la cui interruzione o il cui impedimento consegue esclusivamente alla proposizione della relativa domanda giudiziale, e non anche ad un atto stragiudiziale di costituzione in mora (si pensi, per fare qualche esempio, all’usucapione, all’azione revocatoria ordinaria, alla rescissione ed all’annullamento del contratto, alle impugnative di delibere, all’istanza del creditore contro il debitore per l’ultrattività della fideiussione in caso di scadenza dell’obbligazione principale, alle azioni possessorie, alla domanda di disconoscimento della paternità naturale, alla revocazione delle donazioni, alle impugnazioni delle rinunzie e transazioni previste dall'articolo 2113 codice civile, alla domanda proposta dal conduttore per ottenere la restituzione di somme corrisposte al locatore in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla legge).
Dunque, l’estensione interpretativa della sospensione dei termini processuali ex articolo 83, comma 2, ai termini sostanziali “con rilevanza processuale” dovrebbe supporre che la possibilità di agire in giudizio costituisca, per il titolare che deve munirsi di una difesa tecnica, l'unico rimedio idoneo a far valere il suo diritto.
Va tuttavia considerato come, per quelle controversie che, ai sensi dell’art. 5, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, implicano l’esperimento del procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda, il comma 6 del medesimo articolo 5 prevede che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale” ed “impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo”. Nel singolare meccanismo di conciliazione strutturata sul processo, come allestito dal d.lgs. n. 28 del 2010, viene, quindi, prescelta, quanto meno per alcuni effetti, quali, appunto quelli interruttivi della prescrizione ed impeditivi della decadenza, una equivalenza tra domanda giudiziale e domanda di mediazione, non perché quest’ultima costituisce manifestazione di una volontà sostanziale, bensì in quanto instaura un rapporto diretto a realizzare un accordo conciliativo.
Il già richiamato comma 20 dell’articolo 83 del medesimo d.l. n. 18 del 2020, applica, del resto, la sospensione dei termini allo “svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 …. quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Nel testo approvato in sede di conversione, al citato comma 20 la sospensione dei termini viene estesa ai procedimenti di mediazione che “siano stati introdotti o risultino già pendenti a far data dal 9 marzo”, facendosi salvo, con apposito comma 20-bis, nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, lo svolgimento degli incontri di mediazione in via telematica con il preventivo consenso di tutte le parti coinvolte. Il successivo comma 20-ter, sempre introdotto con la legge di conversione del d.l. n. 18/2020, consente, inoltre, fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da COVID-19, la sottoscrizione della procura alle liti nei procedimenti civili apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore.
E’ così tutto da verificare il primo presupposto che renderebbe plausibile l’estensione in via di interpretazione della sospensione dei termini processuali ex articolo 83, comma 2, ai termini sostanziali (o, quanto meno, ad alcuni di essi), e, cioè, l'assenza di altri rimedi rispetto al promovimento del giudizio. Per di più, siffatta estensione dovrebbe attuarsi partendo dalla ratio propria della norma in esame (che, all’evidenza, non è quella, tradizionalmente riscontrata nell'art. 1 della legge n. 742 del 1969, e cioè assicurare un periodo di ferie agli avvocati), in maniera da concludere che, nel periodo corrente dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 (11 maggio 2020) risulti comunque particolarmente difficile, a colui che intenda esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale, munirsi della necessaria difesa tecnica. Ora, né l’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, né, nel complesso, le misure sull’emergenza epidemiologica, precludono l’esercizio del diritto di agire in giudizio con la necessaria difesa tecnica. Pur in costanza della sospensione dei termini e delle attività giudiziali per l’emergenza COVID-19, rimane ammissibile impedire la decadenza ed interrompere le prescrizioni, ad esempio, quanto meno per le cause di competenza del tribunale, mediante citazione in via telematica (provvedendo al deposito esclusivamente con le modalità previste dal comma 1 dell’articolo 16, del decreto legge n. 179/2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012). Altrimenti, gli stessi effetti sostanziali possono conseguirsi comunicando la domanda di mediazione per le controversie in cui l’esperimento della mediazione funziona quale condizione di procedibilità.
Deve precisarsi che non si rivela affatto risolutiva del problema in esame l’aggiunta del comma 1-bis dell’art. 108, operata con la legge di conversione, ove si dispone, come visto, che «i termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo in esame sono sospesi sino alla cessazione dello stato di emergenza». La norma tiene conto delle modalità di svolgimento del servizio postale relativo agli invii raccomandati, collegate alle esigenze di tutela sanitaria, di cui al comma 1 dello stesso articolo (che prescindono dalla sottoscrizione dell'avviso di ricevimento da parte del destinatario), e così stabilisce che il termine di decadenza o di prescrizione, impedito o interrotto con la lettera raccomandata, non riprende a decorrere nuovamente dalla consegna del plico, ma rimane sospeso “sino alla cessazione dello stato d’emergenza”. Una disposizione siffatta lascia supporre, al contrario, che, fino all’inoltro della raccomandata, “i termini sostanziali di decadenza e prescrizione” stiano regolarmente decorrendo e non siano affatto aliunde sospesi sino all’11 maggio 2020. Trattasi, peraltro, di modifica apportata al decreto legge in sede di conversione, e che ha perciò efficacia soltanto dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, non disponendo quest'ultima diversamente (articolo 15, comma 5, legge 23 agosto 1988, n. 400).
Ad una esplicita affermazione di applicabilità ai termini sostanziali della sospensione per ora disposta dall’articolo 83, comma 2, potrebbe altrimenti pensarsi di arrivare con una norma di “interpretazione autentica”, oppure con una norma comunque retroattiva. Alla prima soluzione farebbe resistenza l’argomento che la nuova legge rivelerebbe, in realtà, una portata innovativa; sulla seconda soluzione si dovrebbero considerare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sui limiti posti alla retroattività delle leggi in materia civile sulla base sia dell’art. 6 CEDU che dell’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU.
4. Una breve considerazione finale- Vorrei concludere con una considerazione finale di carattere del tutto personale. Quanto meno per la parte che disciplina gli effetti sul decorso dei termini, l’articolo 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni in legge, è una norma scritta assai male.
N. Bobbio (La certezza del diritto è un mito?, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, XXVIII [1951], 150) insegnava che «la certezza del diritto (è) un elemento intrinseco del diritto, sì che il diritto o è certo o non è neppure diritto».
A mio avviso, l’affannato legislatore delle ultime settimane, quello volto a contrastare in ogni modo l'emergenza epidemiologica da COVID-19, avrebbe potuto anche meritare l’indulgente silenzio degli interpreti e degli operatori del diritto. Tante volte in questi giorni ci hanno però ricordato le parole di Albert Camus, per cui, quando sarà terminato il doveroso silenzio del momento del flagello, occorrerà riprendere l’abitudine della retorica.
[in copertina Giulia Iofrida,
Distanziamento sociale,
25 aprile 2020]
Vulnerabilità, cultura giuridica, Covid-19
di Baldassare Pastore
Sommario: 1. Le molte facce della vulnerabilità – 2. Le sfide dell’emergenza – 3. Una (possibile) tendenza inquietante.
1. Le molte facce della vulnerabilità
Siamo tutti vulnerabili. La pandemia scatenata dal Covid-19 – esempio tragicamente paradigmatico di come l’interdipendenza globale trasformi eventi catastrofici locali in fenomeni planetari – mostra in maniera evidente questa condizione che accomuna gli esseri umani.
Vulnerabilità è parola che indica la suscettibilità di subire ferite (vulnera), di subire danni causati da fenomeni naturali o da attività umane, connessa ad una serie di situazioni, da cui dipende il verificarsi di determinate stati di cose, e che si manifesta in svariate circostanze.
La vulnerabilità è, in primo luogo, legata alla nostra corporeità. Il corpo umano ci espone alla malattia, alla sofferenza, alla morte. Esso porta con sé la possibilità, sempre presente, di essere colpiti e/o di andare incontro ad avversità, che sfuggono al controllo individuale o collettivo. In questo senso, si pone come caratteristica universale, costante, dell’esistenza umana. Essa, però, può essere vissuta da ciascuno diversamente, variando la grandezza e la potenzialità della sua incidenza in rapporto alle reti di relazioni in cui si è coinvolti e alla quantità e qualità di risorse, opportunità, beni posseduti o di cui si può disporre. In proposito, non può non essere sottolineato che vi sono situazioni di disagio sociale e/o personale in cui il grado di vulnerabilità degli individui può aumentare.
Nella nozione di vulnerabilità, quindi, risultano compresenti una dimensione ontologica, esistenziale, e una dimensione situazionale, contestuale, accidentale e variabile. Emerge il volto della fragilità e della finitezza, ma anche della dipendenza. E viene in rilievo, nel contempo, il compito delle istituzioni nel sostenere policies in grado di ridurne l’esposizione, aumentando il grado generale di resilienza, che ha a che fare con le strategie solidali attraverso le quali si può mitigare, compensare, rimediare a, tale vulnerabilità (sui significati e gli usi di tale nozione si rinvia ai contributi pubblicati nel volume Vulnerabilità. Analisi multidisciplinare di un concetto, a cura di O. Giolo e B. Pastore, Carocci, Roma, 2018).
Il diritto incontra la vulnerabilità umana in vari modi. In primo luogo, perché, tra le funzioni essenziali di qualsiasi ordinamento giuridico, vi è quella di proteggere gli individui da aggressioni, violenze e offese che colpiscono la vita degli individui. Inoltre, perché, avendo il compito di risolvere i problemi di coordinazione delle azioni, il diritto serve a garantire la sicurezza e la simmetria nei rapporti tra individui, sottraendo le vicende umane all’arbitro.
Se, nello spazio delle relazioni intersoggettive, la vulnerabilità designa la condizione di chi è esposto al rischio di un danno causato dall’essere alla mercé di altri, tale concetto può essere utilizzato come “strumento euristico”, “indicatore qualitativo e quantitativo” di situazioni nelle quali rilevano la sofferenza socialmente prodotta, l’esposizione all’offesa e al danno. Siamo di fronte a quella vulnerabilità patogena, che include i casi derivanti da pregiudizi o abusi nei rapporti interpersonali, da ingiustizie, discriminazioni, oppressioni, forme di sfruttamento, marginalizzazioni, diseguaglianze, costruite attraverso dinamiche di potere differenziate e differenzianti. Si tratta di vulnerazioni che ledono la dignità delle persone, colpite in ciò che è loro dovuto: l’eguale considerazione e rispetto. Proprio qui i diritti umani trovano la loro ragione giustificativa. Essi, infatti, costituiscono una risposta (in termini di rifiuto) alle minacce alla dignità, trovando collocazione entro una struttura normativa che richiede impegni e responsabilità sociali, nonché obblighi istituzionali.
Il diritto, così, è chiamato a svolgere un ruolo centrale nel contrastare la vulnerabilità. Ma può operare esso stesso come fattore di vulnerazione, qualora – venendo meno alla sua essenziale ragion d’essere – consenta o faciliti comportamenti che producono negazioni del riconoscimento, connesse all’umiliazione, alla mancanza di rispetto, all’esclusione sociale, alle ingiustificate disparità di trattamento, alla degradazione del valore della persona. Da questo punto di vista, la nozione di vulnerabilità si pone come “campanello d’allarme”, principio critico, elemento dinamico che chiede agli ordinamenti di rilegittimarsi continuamente, interrogandosi sui propri fondamenti ed esiti normativi.
D’altra parte, lo stesso diritto dovrebbe essere inteso, di per sé, come una entità vulnerabile. Le istituzioni, infatti, sono potenzialmente instabili e soggette a sfide e trasformazioni interne ed esterne. Riconoscere tale vulnerabilità implica che si accetti la necessità di un monitoraggio e di una valutazione connessi ad un’auto-comprensione della cultura giuridica, vigile e attenta ai mutamenti in corso. Il diritto può essere considerato una pratica sociale che implica la partecipazione ad un’impresa comune. L’identità di tale pratica è custodita da organi istituzionalizzati (legislazione, giurisdizione, amministrazione), che producono decisioni; dalla dottrina, con le sue concettualizzazioni e opinioni; ma anche da tutti in cittadini, che concorrono, variamente, alla configurazione e realizzazione di tale pratica. La cultura giuridica è frutto di un’opera collettiva, nella quale confluiscono orientamenti normativi, interpretazioni di testi, argomentazioni, costruzioni concettuali, princìpi, e contribuisce a formare il diritto.
2. Le sfide dell’emergenza
Il Covid-19 costituisce una sfida epocale produttiva di effetti sulla vita delle persone, della società, delle istituzioni. Con il suo incidere nell’ambito giuridico sollecita a riflettere sulle conseguenze di uno stato di emergenza che può condurre a notevoli mutamenti e che, se non governato alla luce dei princìpi fondamentali che caratterizzano i nostri ordinamenti, può comportare profonde alterazioni (si veda l’intervista di Franco De Stefano a Corrado Caruso, Giorgio Lattanzi, Gabriella Luccioli e Massimo Luciani: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/961-la-pandemia-aggredisce-anche-il-diritto - 2 aprile 2020). Il rischio, infatti, è che si consolidino tendenze volte a trasformare meccanismi pensati e costruiti per far fronte a situazioni contingenti in strumenti ordinari di funzionamento del sistema.
L’emergenza – come è stato sottolineato da più parti – non ha nulla a che vedere con l’eccezione. Lo stato di eccezione, nella teorizzazione schmittiana, rappresenta una rottura dell’ordinamento che è in netta contraddizione con il principio di legalità. Lo Stato di diritto, però, non ammette deroghe e ogni sua rottura equivale alla sua negazione. Lo stato di eccezione è quello che travolge (e stravolge) l’assetto costituzionale incidendo radicalmente sui diritti fondamentali, sull’articolazione dei poteri, sull’assetto delle fonti, esautorando gli organi dalle loro competenze normativamente stabilite e trasferendole ad autorità d’eccezione. L’emergenza, invece, riguarda momenti temporanei e particolari di necessità che vengono meno con la scomparsa delle circostanze fattuali che li giustificano.
Con riferimento alla pandemia da Covid-19 e alle misure prese per contenerla, limitazioni ai diritti e alle libertà in nome del diritto alla salute degli individui possono essere tollerate solo se viene rispettato il criterio della ragionevolezza, riguardante il corretto rapporto tra atti adottati e scopi perseguiti e la ricerca di soluzioni che comportino il minore stress possibile per la Costituzione (la sua minima, e solo temporanea, vulnerazione) e per tutti i beni e gli interessi che essa protegge (lo ha ben messo in luce Antonio Ruggeri nell’intervista di Roberto Giovanni Conti: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/942-scelte-tragiche-e-covid-19 - 24 marzo 2020). Le limitazioni, inoltre, devono essere proporzionate, non arbitrarie, e configurate attraverso decisioni prese secondo modalità legalmente previste, dunque entro i vincoli formali e sostanziali posti nell’ordinamento. Ciò richiede valutazioni di adeguatezza, pertinenza, congruità. Rilevano, al riguardo, le tecniche del bilanciamento, che consentono di risolvere i conflitti tra diritti in relazione alle specifiche situazioni, mantenendo però sempre la priorità, propria dello Stato costituzionale di diritto, dell’opzione assiologica della dignità della persona. Rimane, comunque, sullo sfondo, ma pesa come un macigno, il ruolo della riserva assoluta di legge come modalità basilare di garanzia in relazione ai diritti fondamentali. Tali diritti, nella nostra democrazia costituzionale, possono essere limitati soltanto attraverso la legge del Parlamento, vincolata al rispetto dei motivi (espressamente indicati dal testo costituzionale) che legittimano l’apposizione del limite per ogni singolo diritto. Così, valgono come limiti la sanità e l’incolumità pubblica in relazione alla libertà di domicilio (art. 14 Cost.); la sanità e la sicurezza per la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.). Emerge, in proposito, l’esigenza di recuperare la correttezza procedurale della produzione normativa, definendo il più possibile, nel tempo e nei contenuti, le deroghe e le sospensioni (si veda G. Brunelli, Democrazia e tutela dei diritti fondamentali ai tempi del coronavirus: www.giuri.unife.it/it/coronavirus/diritto-virale - 7 aprile 2020).
Molte, invero, sono le criticità della normativa emergenziale. Su di essa, in questi mesi, sono stati prodotti contributi di grande interesse e utilità, a testimonianza dell’importanza della funzione sociale dei giuristi. E a conferma che la società, complessivamente considerata, non può fare a meno di una cultura giuridica cui pertiene un impegno di vigilanza critica.
Le riflessioni e le analisi si sono concentrate sui diversi aspetti connessi alle ricadute della pandemia da Covid-19 sui vari ambiti ordinamentali. Ci si è trovati, in primo luogo, di fronte ad una produzione giuridica che ha introdotto una massa di imposizioni comportamentali, finalizzati a prevenire il contagio, invero limitative dei diritti fondamentali. Si tratta di una produzione giuridica che incide sul tema (costitituzionalistico, ma anche teorico-generale) delle fonti del diritto e delle tecniche normative utilizzate. In gioco, però, vi sono tante altre questioni che toccano il diritto civile (si pensi agli inadempimenti contrattuali, alle rinegoziazioni dei contratti, alla responsabilità per eventi lesivi e/o letali negli ospedali), il diritto penale (in relazione, ad esempio, alla valutazione dei comportamenti commessi in stato di necessità e alle condotte del personale sanitario), il diritto dell’esecuzione penale (con riguardo alla condizione dei detenuti negli istituti penitenziari), il diritto processuale, il diritto del lavoro (in relazione alla sicurezza dei dipendenti, ai licenziamenti, alle retribuzioni), il diritto tributario, il diritto amministrativo. Per non parlare del tema della privacy, riguardante l’uso delle tecnologie informatiche per il tracciamento e la sorveglianza della popolazione infetta e per il trattamento dei dati sanitari ai fini del suo censimento.
A tutto ciò si legano notevoli difficoltà interpretative, riflesso di una stratificazione normativa alluvionale, che incide sulla condotta dei cittadini e sull’attività degli operatori giuridici.
Emerge, qui, un aspetto saliente della vita del diritto, che tocca il tema dell’interdipendenza strategica e normativa. I cittadini, infatti, accettano e usano le regole giuridiche, come standards comuni di azioni, all’interno di una rete di aspettative stabili che consenta di esercitare l’autonomia personale in una logica d’interazione. I cittadini sanno che l’esistenza delle disposizioni giuridiche dipende da come essi comprendono cosa viene richiesto da tali disposizioni. Ma ciò dipende, a sua volta, da come si aspettano che i funzionari interpretino le disposizioni. Questi ultimi, a loro volta, devono comprendere e interpretare le disposizioni secondo quello che i cittadini si aspettano che essi facciano. Siamo di fronte ad una dinamica interattiva in cui la comprensione di ogni interlocutore dipende dalle aspettative e dalla comprensione degli altri. Tali aspettative non riguardano solo ciò che gli altri di fatto faranno, ma muovono anche dalla convinzione che gli altri siano in qualche modo obbligati a comportarsi in un certo modo e ad avere un certo tipo di aspettative, sicché è possibile legittimamente pretendere che essi si adeguino. La reciprocità è data dalla condivisione del carattere normativo dei significati intersoggettivi, entro cui gli individui articolano le loro intenzioni, le loro credenze, e pongono in essere i loro comportamenti (B. Pastore – F. Viola – G. Zaccaria, Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 45, 48-50).
In risposta alla velocità di propagazione del coronavirus, e con una progressione temporale fulminea, sono stati adottati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti-legge, ordinanze ministeriali e conseguenti circolari applicative, ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile, ordinanze dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci, ordinanze prefettizie. Gli esiti di tale profluvio normativo mostrano il modo peculiare di funzionamento delle nostre istituzioni e la crisi che affligge il sistema delle fonti (ormai invero destrutturato) (in argomento mi limito a rinviare agli scritti di M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in “Rivista AIC”, 2, 2020, p, 109 ss., e A. Ruggeri, Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in “Consulta online”, 1, 2020, p. 210 ss.). Le conseguenze sono state la confusione nei rapporti tra Stato e autonomie territoriali, l’incertezza delle competenze, con conflitti e sovrapposizioni che hanno determinato, non poche volte, scarsa efficienza, ma anche un senso di smarrimento nell’opinione pubblica, frastornata dal caos comunicativo e dalla diffusione di una quantità di informazioni di diversa origine e dal fondamento spesso non verificabile, con il connesso ampliamento dell’area dell’incomprensione. Ne è risultato un quadro affastellato e confuso che rende estremamente difficoltoso, per i cittadini, individuare i comportamenti leciti, distinguendoli da quelli vietati. A ciò si unisce la genericità delle prescrizioni che ricade sulla loro applicazione, potenziando la discrezionalità degli organi chiamati a darne esecuzione. Non è difficile immaginare che uno degli effetti di una tale situazione, foriera di conflitti interpretativi, sarà l’aumento dei contenziosi.
3. Una (possibile) tendenza inquietante
L’emergenza da Covid-19, per molti versi, fa “saltare” alcune coordinate generali e alcune rilevanti categorie giuridiche e fa emergere alcune condizioni di vulnerabilità che toccano l’ordinamento. Un inquietante indizio in tal senso mi pare possa essere rintracciato nella previsione del processo “da remoto”, introdotta dall’art. 83 comma 12 bis della legge n. 27 del 24 aprile 2020 di conversione del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, con integrazioni e modifiche dettate dal decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020.
Il collegamento “da remoto”, attuato grazie al sistema informatico, ha lo scopo di contemperare l’esigenza di assicurare il distanziamento sociale (rectius: umano) e quella di garantire lo svolgimento delle attività giudiziarie. Peraltro, molte sono le prospettive riguardanti l’impiego delle tecnologie informatiche per la gestione delle attività processuali giustificate da ragioni di efficienza (tra questi sicuramente rientrano la digitalizzazione degli atti processuali e la creazione di un fascicolo telematico dove possano convergere tutti i dati del procedimento, man mano che si dipana), così come molti sono i problemi che si aprono, superata la fase acuta dell’epidemia, con l’utilizzo dei mezzi informatici e telematici come strumenti per disegnare un ordinario nuovo regime del processo civile e penale (rinvio, sul tema, alle interviste di Franco De Stefano a Filippo Donati e Giorgio Spangher: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1051-la-giustizia-da-remoto-adelante-con-juicio-prima-parte - 1° maggio 2020, e a Giorgio Costantino e Massimo Orlando; https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1058-la-giustizia-da-remoto-adelante-con-juicio-seconda-parte - 2 maggio 2020).
Il punto riguarda, in questo ambito, il possibile utilizzo futuro del processo da remoto (a distanza) per la celebrazione delle udienze penali. Notevoli sono le perplessità che una simile prospettiva solleva (si vedano gli interventi di O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in “Archivio penale”, 1, 2020, pp. 1-10, e di E. Bandiera, Il processo penale dallo ieros kuklov agli autómatoi: www.giuri.unife.it/it/coronavirus/diritto-virale - 29 aprile 2020). Il rischio – lo si ribadisce con riferimento alla giurisdizione penale – è che meccanismi pensati per far fronte ad una emergenza contingente possano diventare strumenti ordinari di svolgimento dell’attività giudiziaria, alterando la natura stessa del processo. Certamente la modifica dettata dall’art. 3 del decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020, e che prevede che le disposizioni dell’art. 83 comma 12 bis «non si applicano, salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti» corregge, in parte, il tiro. È bene però che l’attenzione rimanga desta.
La smaterializzazione fisica dei luoghi connessa al processo a distanza produce una vulnerazione dei princìpi fondamentali riguardanti il diritto di difesa e il “giusto processo”, riconosciti nella Costituzione (art. 24 e art. 111), nonché nelle fonti internazionali e sovranazionali (si considerino gli artt. 10, 11 della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’art. 6 CEDU, l’art 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici).
Nel processo penale sono in gioco diritti e garanzie (indisponibili) che devono avere una consistenza materiale assicurata da uno spazio scenico tangibile. Il “giusto processo” è caratterizzato dal contraddittorio tra le parti, le quali, in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale (ossia, sotto i suoi occhi, al suo cospetto), partecipano allo svolgimento dibattimentale (pubblico) nelle modalità di un’interazione dialettico-discorsiva. Il principio del contraddittorio caratterizza strutturalmente la fairness processuale. Un suo aspetto indefettibile è costituito dal diritto di difesa, posto che, ove mancasse la possibilità di difendersi, non vi sarebbe spazio per il confronto tra parti contrapposte, che “si fanno sentire” (e vedere) ”in presenza”, potendo esporre le ragioni proprie e controbattere quelle avversarie. Tale principio, però, assume una valenza che riguarda non solo la situazione dei portatori di interessi in conflitto, ma anche l’assetto della giurisdizione, collegandosi alla necessaria presenza dell’organo giudicante “terzo”, indipendente e imparziale, che decide dopo aver ascoltato e visto le parti su ogni questione di cui è investito. L’essenza del contraddittorio, infatti, sta proprio nel confronto di argomenti su ogni tema decisorio e nella pratica comunicativa espressa dalla regola audiatur et altera pars, avendo un essenziale valore epistemico in quanto metodo per la formazione della prova. Risulta pertanto difficile pensare ad una prova formata in un contesto di distanziamento, che esclude la partecipazione fisica all’udienza di tutti gli attori. Presenza fisica e presenza virtuale non sono fungibili. Non va dimenticato, inoltre, che il contraddittorio si pone come elemento indispensabile di controllo del procedimento che conduce alla decisione.
L’unità di luogo della celebrazione del processo rappresenta un tratto imprescindibile della giurisdizione. Soltanto nell’aula giudiziaria può realizzarsi l’interazione, ritualmente mediata e proceduralmente strutturata, tra soggetti, tutti contemporaneamente presenti. Qui trova consistenza il “giusto processo” come categoria ordinante di portata generale, clausola di giustizia procedurale, espressione della cultura della legalità nell’odierno Stato di diritto.
L’emergenza da Covid-19 non può – né deve – essere una scorciatoia per cambiamenti che possono incidere, talvolta considerevolmente, sul modo di essere e di funzionare dell’ordinamento. Il diritto può essere vulnerato. La cultura giuridica, fedele ai princìpi costituzionali che positivizzano i valori basilari della convivenza civile, è chiamata a curarne le ferite e a custodirne il senso.
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