Ratificato il Protocollo n. 15 ...aspettando il Prot. 16. Al via le modifiche alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
di Marina Castellaneta*
Sommario: 1.Premesse. 2. 2.Le modifiche introdotte dal Protocollo n. 15: il principio di sussidiarietà e la dottrina del margine di apprezzamento. 3. Le novità sulle condizioni di ricevibilità e sul deferimento alla Grande Camera. 4. L’eliminazione del “diritto di veto” nei casi di deferimento alla Grande Camera. 5. Le novità nella scelta dei giudici della Corte 6. Osservazioni conclusive.
1.Premesse.
Alla fine la ragionevolezza ha avuto la meglio e, seppure con ritardo rispetto a tutti gli altri Stati parti alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’Italia ha adottato la legge di ratifica, contenente anche l’ordine di esecuzione, al Protocollo n. 15 del 24 giugno 2013 recante emendamento alla Convenzione[1]. Il 10 febbraio 2021 è stata pubblicata, infatti, la legge n. 11 del 15 gennaio 2021 (in Gazzetta Ufficiale n. 34 del 10 febbraio) ed è stato rimosso l’ultimo ostacolo all’entrata in vigore del Protocollo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’Italia è arrivata ultima (una scelta politica, inerzia?) e, quindi, ha bloccato per diversi anni l’applicazione del Protocollo poiché, in base all’articolo 7 che contiene la clausola si omnes, era necessaria la ratifica di tutti gli Stati contraenti della Convenzione[2]. Con l’ultima ratifica, quindi, il Protocollo n. 15 può entrare in vigore - come previsto dall’articolo 7 - il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui tutte le Parti hanno espresso il proprio consenso ad essere vincolate dal Protocollo salvo, come vedremo, per l’articolo 4 (relativo alla riduzione dei termini per presentare ricorso alla Corte) che entrerà in vigore dopo un periodo di sei mesi, sempre a partire dalla data di entrata in vigore del Protocollo.
La scelta di separare i destini del Protocollo n. 15 dal n. 16[3] ha permesso di arrivare a questo risultato, abbandonando alla sua sorte, almeno per il momento, la ratifica del n. 16 adottato il 2 ottobre 2013[4]. Il Protocollo, come è noto, è entrato in vigore per 10 Stati dal 1° agosto 2018 (oggi sono 15) e, in sostanza, introduce nel sistema Strasburgo un meccanismo analogo al rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, prevedendo che le corti supreme di uno Stato parte alla Convenzione europea possano sospendere il procedimento interno e chiedere alla Grande Camera un parere sull’interpretazione o sull’applicazione di una norma convenzionale e sui protocolli addizionali.
2.Le modifiche introdotte dal Protocollo n. 15: il principio di sussidiarietà e la dottrina del margine di apprezzamento
Il cammino verso l’adozione del Protocollo n. 15 è stato dettato dal costante incremento del carico di lavoro della Corte che, anno dopo anno, si è vista arrivare ricorsi individuali anche su questioni via via meno rilevanti sotto il profilo della tutela dei diritti umani. Per arginare, quindi, lo snaturamento della funzione della Corte e consentire ai giudici internazionali di arrivare a una diminuzione del carico di lavoro, nell’interesse del buon funzionamento del sistema e della garanzia di una tutela effettiva dei diritti, dal 2010, nei vertici di Interlaken, Smirne, Brighton, con le dichiarazioni adottate in occasione delle Conferenze di alto livello sul futuro della Corte, è stata tracciata la linea da seguire, con alcuni indirizzi confluiti, almeno in parte, nel Protocollo n. 15.
Tra le novità, l’inserimento esplicito del principio di sussidiarità che era già implicitamente incluso nella Convenzione europea attraverso l’affermazione del principio del previo esaurimento dei ricorsi interni[5]. Con il Protocollo n. 15 (articolo 1) è stato aggiunto un considerando al Preambolo nel quale si afferma che “spetta in primo luogo alle Alte parti contraenti, conformemente al principio di sussidiarietà, garantire il rispetto dei diritti e della libertà definiti” nella Convenzione e nei suoi Protocolli. Inoltre, il considerando in esame, codifica la dottrina del margine di apprezzamento concesso agli Stati “sotto il controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo”, che ha variato l’ampiezza della discrezionalità concessa agli Stati (da ampio a ristretto) tenendo conto delle materie in cui essa viene esercitata e del consenso degli altri Stati in relazione a una determinata questione giuridica[6].
3. Le novità sulle condizioni di ricevibilità e sul deferimento alla Grande Camera - Il Protocollo, inoltre, introduce due modifiche all’articolo 35 della Convenzione europea, dedicato alle condizioni di ricevibilità. In particolare, sempre nel rispetto del previo esaurimento delle vie di ricorso interne, da valutare tenendo conto dei principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, il limite temporale di presentazione del ricorso passa da sei mesi, a partire dalla data della decisione interna definitiva, a quattro mesi (articolo 4 del Protocollo). Una scelta che ha suscitato perplessità ma che, come chiarito nel rapporto del relatore Christopher Chope della Commissione sugli affari giuridici e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa[7], era necessaria tenendo conto dell’utilizzo su larga scala delle nuove tecnologie che consentono un taglio dei tempi di comunicazione e di trasmissione dei documenti. Per assicurare la certezza del diritto, in ogni caso, il nuovo termine sarà applicabile, come previsto dall’articolo 8, par. 3, alla scadenza di un periodo di sei mesi dall’entrata in vigore del Protocollo e, inoltre, non si applica ai ricorsi “in merito ai quali la decisione definitiva ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1 della Convenzione sia stata presa prima della data di entrata in vigore dell’articolo 4 del presente Protocollo”. È stata così esclusa ogni possibile interpretazione di applicazione retroattiva, che avrebbe incisivo negativamente sulle potenziali vittime di violazioni dei diritti convenzionali e sul diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. Questa modifica, a nostro avviso, dovrebbe anche spingere verso una maggiore conoscenza del sistema di funzionamento della Corte europea e della Convenzione, perché il taglio dei tempi di ricorso impone assenza di improvvisazione nella presentazione delle istanze alla Corte. Pertanto, nelle università, nei percorsi formativi degli avvocati e, in generale tra gli operatori del diritto, dovrebbe essere rafforzato l’approfondito studio del sistema di garanzia, a vantaggio del piano interno e internazionale.
Tra le altre novità, in un’ottica di riduzione del carico di lavoro della Corte, è soppressa la previsione introdotta con il Protocollo n. 14 in base alla quale la Corte non può rifiutare l’esame di un ricorso se, malgrado il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio importante, il caso non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno (articolo 35, par. 3, lett. b). Di conseguenza, a seguito dell’eliminazione della lettera b (articolo 5 del Protocollo), la Corte sarà tenuta a verificare unicamente la condizione del pregiudizio importante e, quindi, anche se la causa non sia stata esaminata da un tribunale nazionale, in assenza di un pregiudizio importante, già definito in diverso occasioni dalla Corte europea, i giudici internazionali dovranno dichiarare il ricorso irricevibile e questo anche con riguardo ai ricorsi pendenti al momento dell’entrata in vigore del Protocollo n. 15 (articolo 8, par. 4). Questa modifica potrebbe incidere in termini positivi anche sul carico di lavoro di Strasburgo: dalla relazione annuale presentata il 26 gennaio 2021 dal Presidente della Corte Robert Spano, con riferimento all’attività 2020, risulta che l’arretrato arriva a 61.500 casi pendenti (+ 4% rispetto al 2019), dei quali il 75% è causato da Russia, Turchia, Ucraina, Romania e Italia.
L’indicata modifica potrebbe essere utile in questa direzione anche perché codifica il principio de minimis non curat praetor affermato nella decisione del 25 ottobre 2005, O’Halloran e Francis contro Regno Unito (ricorsi n. 15809/02 e n. 25624/02) e nella sentenza della Grande Camera nel caso Micallef contro Malta del 15 ottobre 2009 (n. 17056/06). In questo modo, la Corte, anche in ragione del crescente numero di ricorsi, spesso futili e che non raggiungono una soglia minima di gravità, può evitare un intasamento del lavoro dell’organo giurisdizionale, fermo restando l’obbligo per gli Stati parti di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti dell’uomo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione. In questa direzione, va ricordato che l’indicata clausola riguarda unicamente i ricorsi a Strasburgo e va letta congiuntamente al principio di sussidiarietà in base al quale la tutela dei diritti convenzionali va assicurata dai giudici nazionali e, solo in mancanza, dalla Corte europea. Pertanto, la suddetta modifica certo non può essere letta nel senso di non offrire una tutela interna in virtù del principio de minimis o di arrivare a un’applicazione estensiva delle condizioni di ricevibilità di cui all’articolo 35, rischio che, come sottolineato in dottrina[8], ha già trovato, però, in passato, una conferma in alcune sentenze interne. Ed invero, va chiarito che il principio de minimis non curat praetor è applicabile solo nei ricorsi alla Corte europea e impone la massima tutela interna dei diritti perché, in caso contrario, sarebbe in contrasto con il principio di sussidiarietà codificato proprio nel Protocollo n. 15. Una lettura diversa risulta contraria alla Convenzione europea.
4. L’eliminazione del “diritto di veto” nei casi di deferimento alla Grande Camera In base all’attribuzione di competenze alla Grande Camera, quest’ultima può essere chiamata a pronunciarsi dalla Camera, qualora una sezione ritenga che si sia in presenza di una questione grave relativa all’interpretazione della Convenzione o dei suoi Protocolli o che la soluzione della questione potrebbe portare a una contraddizione con una precedente sentenza della Corte. In queste ipotesi, la precedente regola prevedeva che la Camera avesse questo potere di declinare la propria competenza in favore della Grande Camera, salvo che una delle parti non si opponesse (articolo 30). Il Protocollo n. 15 ha portato all’eliminazione di questa sorta di diritto di veto esercitato dalle parti, con la conseguenza che uno Stato o la vittima, non possono più bloccare il deferimento dell’affare alla Grande Camera (articolo 3). La rimozione di questa possibilità di obiezione, che costituiva un limite al deferimento alla Grande Camera, è considerata, stando al rapporto esplicativo, come un mezzo per migliorare e accelerare il funzionamento della Corte proprio nei casi che pongono questioni più complesse o che possono portare a un cambiamento della prassi seguita fino a quel momento. Anche qui è stata prevista una condizione temporale di operatività, perché l’articolo 8, par. 2 dispone che l’indicato emendamento “non si applica alle cause pendenti in cui una delle parti si sia opposta, prima dell’entrata in vigore del presente Protocollo, alla proposta di una camera della Corte di dichiararsi incompetente a favore della Grande Camera”.
5. Le novità nella scelta dei giudici della Corte
Di minore rilievo i cambiamenti introdotti dal Protocollo n. 15 legati all’età dei giudici. È stabilito, infatti, che possono accedere alla funzione di giudice della Corte europea solo candidati che abbiano meno di 65 anni alla data in cui la lista di tre candidati, fornita dagli Stati, arrivi all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. In questo modo, con riguardo all’età, diventa variabile l’età anagrafica di cessazione dell’attività dei giudici e si assicura, però, che non si vada al di là dei 74 anni, in linea con i limiti di età già previsti in diversi Stati. Resta ferma la durata del mandato di 9 anni, non rinnovabile. Tale emendamento conduce a una modifica dell’articolo 21 par. 2 della Convenzione e comporta l’eliminazione dell’articolo 23, par. 2, con la rimozione del limite del compimento del settantesimo anno.
6. Osservazioni conclusive
Le novità introdotte dal Protocollo n. 15 che, a prima vista, potrebbero essere lette come la volontà di eliminare l’arretrato e limitare il carico di lavoro della Corte, sono, invece, a nostro avviso, un utile intervento per spingere gli Stati verso l’applicazione effettiva della Convenzione sul piano interno e lasciare all’organo giurisdizionale internazionale la competenza per i casi di violazione dei diritti umani più significativi. Ci sembra, in questa direzione, che l’operatività del Protocollo n. 16, seppure non per l’Italia che ha scelto per ora di non ratificare, possa essere funzionale anche a una corretta applicazione del Protocollo n. 15 con riguardo al principio di sussidiarietà e al divieto di porre veti in caso di deferimento della Camera alla Grande Camera perché, proprio grazie alla nuova e già operativa funzione consultiva, il dialogo tra Corti dovrebbe condurre a una migliore attuazione dei diritti convenzionali, come interpretati dalla Corte europea. Inoltre, in questo modo, sono anche evitate manovre dilatorie dei Governi in causa, che potrebbero avere un interesse, per evitare l’accertamento di una violazione, a prolungare la durata del procedimento – inevitabile se è previsto prima l’intervento della Camera e poi quello della Grande Camera – proprio nei casi in cui si presentino le questioni più gravi.
Per quanto riguarda il taglio sui tempi di ricorso, come detto, ci sembra un’occasione utile per favorire e rafforzare la formazione, anche degli avvocati, i quali talvolta spingono i propri clienti verso Strasburgo, utilizzando la Corte come quarto grado di giurisdizione e snaturando, così, le sue funzioni. Basti pensare al numero di ricorsi dichiarati irricevibili nel 2020, che è arrivato a 37.289.
* Professore ordinario di diritto internazionale, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.
[1] Il testo ufficiale, con il rapporto esplicativo, è disponibile nel sito https://www.coe.int.
[2] Qui sono reperibili le audizioni in vista della ratifica dei Protocolli n. 15 e n. 16 https://www.camera.it/leg18/1104?shadow_organo_parlamentare=2803&id_tipografico=03. Cfr. A. Cannone, Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione dei Protocolli 15 e 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: audizioni parlamentari, in Rivista di diritto internazionale, 2020, p. 859 ss.; E. Crivelli, The Italian debate about the ratification of Protocol n. 16, in Eurojus, 2020, n. 4, p. 371 ss.; M. Luciani, Note critiche sui disegni di legge per l’autorizzazione alla ratifica dei Protocolli n. 15 e n. 16 della CEDU, in http://www.sistemapenale.it, 2019; E. Nalin, I Protocolli n. 15 e 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Studi int. eur., 2014, p. 117 ss.
[3] Si veda il disegno di legge C.1124 del 10 agosto 2018, “Ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013, e del Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013”. Tale atto è stato affiancato dalla proposta di legge del 23 marzo 2018, C. 35 (Schullian, Gebhard e Plangger).
[4] Sulla mancata ratifica del Protocollo n. 16, cfr. B. Nascimbene, La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto, in questa Rivista, 2021; S. Bartole, Le opinabili paure di autorevole dottrina a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare, ivi, 2020; P. Biavati, Giudici deresponsabilizzati? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo n. 16, ivi, 2020; E. Cannizzaro, La singolare vicenda della ratifica del Protocollo n. 16, ivi, 2020; C. V. Giabardo, Il Protocollo n. 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courts, ivi, 2020; E. Lamarque, La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa, ivi, 2020; C. Pinelli, Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale, ivi, 2020; A. Ruggeri, Protocollo 16: funere mersit acerbo, ivi, 2020.
[5] Cfr. M. I. Vila, Subsidiarity, margin of appreciation and international adjudication within a cooperative conception of human rights, in International Journal of Constitutional Law, 2017, p. 393 ss.
[6] Si veda F. Fabbrini, The Margin of Appreciation and the Principle of Subsidiarity: a Comparison, in A Future for the Margin of Appreciation?, 2015, iCourts Working Paper Series, no. 15, nel sito https://ssrn.com.
[7] Doc. n. 13154, del 28 marzo 2013, reperibile nel sito https://assembly.coe.int.
[8] Per un’approfondita analisi di alcune controverse sentenze della Cassazione, si veda R. Conti, Legge Pinto – ma non solo – Corte di Cassazione e CEDU su alcune questioni ancora controverse, in Questione giustizia, 2015, p. 1 ss., reperibile anche nel sito https://academia.edu, il quale ha sottolineato che l’operatività dei criteri di cui all’articolo 35, par. 3, estesa ai giudici nazionali risulterebbe contraria a quanto affermato dalla Corte europea (p. 15). Per l’A., infatti, “la Corte europea non sembra affatto avere affermato un principio di irrisarcibilità dei danni di lieve entità, piuttosto limitando il ricorso alla Corte di Strasburgo, per evidenti esigenze deflattive, alle ipotesi di violazioni di maggiore entità” (p. 16).