Lo scritto riprende alcuni dei temi trattati nel corso della relazione tenuta al convegno sul tema “Diritto d'amore” tenutosi a Roma nei giorni 25, 26 e 27 gennaio 2024 organizzato dall'Associazione Cammino. Si tratta della quarta di una serie di pubblicazioni sulla nostra Rivista in tema di "diritto d'amore" per condividere le riflessioni emerse in occasione del Convegno e costituisce una rielaborazione dell'intervento conclusivo della prima sessione dei lavori del Convegno. Si veda Diritto d'amore e responsabilità civile di Alessandra Cordiano, Diritto, biodiritto e amore di Roberto Giovanni Conti, Diritti d'amore e rapporti familiari di Mirzia Bianca.
Il diritto d’amore in una prospettiva multidisciplinare
di Gabriella Luccioli
1. Nell’accingermi a tracciare le conclusioni di questa prima sessione, presieduta dal professor Carratta, desidero innanzitutto compiacermi con l’organizzazione del congresso per aver scelto un bellissimo tema: un tema certamente non comune nelle sedi convegnistiche, che soltanto la sensibilità delle donne di Cammino poteva concepire.
La parola amore è una parola importante, che evoca il calore umano, il rapporto con gli altri, la solidarietà, l’altruismo, l’empatia; è un termine che dà pienezza alla relazione tra le persone ed esprime la libertà del vivere.
Usare la parola amore vuol dire riferirsi ad una relazione non soltanto paritaria, ma fondata sulla solidarietà e sul rispetto reciproco, vuol dire contrastare in modo diretto la forza oppositiva di parole come diseguaglianza, discriminazione, sopraffazione, subordinazione, pretesa, indifferenza.
Stefano Rodotà e Massimo Bianca, al cui insegnamento il tema del dibattito chiaramente e dichiaratamente si ispira, esaminarono il diritto d’amore secondo prospettive diverse, ma significativamente convergenti: per Rodotà si trattava di riflettere sul diritto di amare, per Bianca sul diritto di essere amati.
Nelle prime pagine del suo libro Diritto d’amore, che ha lo stesso titolo di questo incontro, Stefano Rodotà si domanda se i due termini diritto e amore siano compatibili o appartengano a logiche conflittuali destinate alla reciproca sopraffazione, essendo il primo connotato da rigidità e autorità, il secondo da flessibilità e libertà. La risposta che l’Autore si dà sta nella ricerca dei modi in cui il diritto moderno, a partire dalla riforma del 1975 del diritto di famiglia, ha rifiutato ogni pretesa di impadronirsi della vita sentimentale della persona ingabbiandola in regole rigorose e in categorie giuridiche tassative – come quelle di possesso, di proprietà, di credito, di adempimento, di responsabilità – per aprirsi alla valorizzazione dei diritti della persona e per tale via attrarre l’amore nella categoria dei diritti fondamentali.
In effetti negli ultimi anni il tema dei sentimenti è divenuto oggetto di un rinnovato interesse da parte della dottrina, anche sulla spinta di una chiara propensione ad estendere lo studio del diritto a profili extragiuridici. Per tale via si è cessato di chiedere se il sentimento sia configurabile come oggetto in sé di tutela, esaminando piuttosto l’incidenza della componente affettiva nella sfera dei diritti della persona.
Questo percorso di apertura dell’ordinamento ai sentimenti umani comporta la saldatura tra diritto e vita, tra diritto e amore, consentendo infine di configurare il secondo come oggetto del primo e così rintracciando nel diritto non solo la regola, ma anche la proiezione dei sentimenti.
Come sottolineano Angelo Falzea e Paolo Spaziani, in tutti i casi in cui il sentimento non esprime soltanto un atteggiamento individuale dell’anima, un’aspirazione o un desiderio personale, ma riflette un valore sociale, perché conforme al sentire dell’intera collettività nel momento dato, quel sentimento supera i confini del giuridicamente irrilevante per inserirsi nel quadro di valori recepiti dall’ordinamento giuridico e diventa un interesse meritevole di tutela.
Ciò vale a dire che in ogni caso in cui la valutazione positiva della coscienza individuale viene replicata e amplificata da una coincidente valutazione della coscienza sociale l’amore cessa di essere irrilevante per il diritto e si oggettivizza nella realtà, assumendo una dimensione collettiva che lo rende giuridicamente tutelabile, mentre nell’ipotesi opposta in cui alla valutazione individuale faccia riscontro una riprovazione sociale deve trovare tutela giuridica l’interesse contrario, volto alla repressione del sentimento disapprovato. In entrambi i casi, l’approvazione del sentimento o la sua disapprovazione sociale si traducono in norme giuridiche.
Il sentire della società si pone così a fondamento del diritto oggettivo, nella sua dimensione di diritto effettivo, intesa l’effettività come connotato essenziale della giuridicità, e il diritto d’amore si salda con il rispetto della persona umana, e specificamente della sua dignità,inserendosi tra i diritti fondamentali.
Come ci ricorda ancora Stefano Rodotà, l’amore nel farsi diritto non muta natura, ma si avvale di uno strumento che gli permette di esprimersi con pienezza nell’ambito delle relazioni giuridiche. E se il diritto rinuncia alla sua forza costrittiva, riconoscendo l’esistenza di uno spazio in cui non può entrare, esso recupera per sé una nuova fonte di legittimazione che ha radice nel rispetto delle persone, dei loro sentimenti e dunque anche del rapporto amoroso.
Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti del 1776 è scritto che tutti gli uomini sono titolari di alcuni diritti inalienabili, e tra questi la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Anche nella Costituzione francese del 1793 si richiama il valore della felicità come scopo della società. La nostra Costituzione non menziona la felicità, e anche nella giurisprudenza costituzionale e ordinaria non si trovano riferimenti alla felicità o al diritto ad essere felici, e tanto meno al diritto d’amore; e se pure è vero, come ci ricorda Massimo Recalcati, che la felicità come vita armoniosa, come stato dell’anima che esclude la sofferenza e la pena, si riduce nella realtà a mera illusione, perché la vita umana è sempre vita infranta, tuttavia la gioia e l’amore non ci sono preclusi e possono essere declinati in termini di diritti.
E invero dalla trama delle disposizioni contenute nella prima parte della Carta costituzionale, che riconosce i diritti fondamentali della persona, è agevole cogliere come il diritto alla felicità e il diritto d’amore siano trasversali a molti di tali diritti. Per questa via il diritto ad essere felici, declinato in termini di diritto d’amore, trova un riconoscimento che si proietta in ogni ambito della vita di relazione, come i vari interventi di questa sessione hanno messo in luce.
E tuttavia dobbiamo prendere atto che tale processo di espansione del diritto d’amore trova continui ostacoli nel nostro Paese in quei tanti pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni che allignano nel comune sentire e che si manifestano nel rifiuto del diverso, nel disconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, nella negazione della libertà delle donne.
2. Gli interventi che abbiamo ascoltato nel corso della sessione offrono un affresco completo e armonico della capacità di penetrazione del sentimento amoroso in ogni settore del diritto.
La professoressa Lamarque ha sottolineato l’ineludibilità della prospettiva costituzionalistica, nonostante, come già rilevato, la nostra Carta fondamentale non parli di diritto d’amore e nonostante da qualche momento dei lavori dell’Assemblea Costituente si colgano alcune vischiosità, come nel dibattito sulla definizione dell’istituto del matrimonio, che hanno infine portato alla contestata formulazione dell’art. 29, definito da Calamandrei come un articolo che nasconde un nocciolo di ipocrisia.
L’ispirazione personalista della Costituzione trova diretta espressione nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo, con particolare riguardo ai profili dell’eguaglianza sostanziale e al dovere di solidarietà politica, economica e sociale: il riferimento è in particolare agli artt. 2, 3, 4, 13, 27, 32, 36, 41 della Carta.
È peraltro noto che le esigenze solidaristiche sottese all’ordito costituzionale hanno ispirato infinite pronunce della Corte delle leggi, che hanno aperto la lettura della Carta fondamentale al mondo dei sentimenti, della continuità affettiva, del rispetto delle persone, offrendo soluzioni innovative e non esitando anche a modificare consolidati orientamenti alla luce dell’evoluzione della sensibilità sociale e anche della mutata funzione di taluni istituti giuridici.
Per questa via la Costituzione, vivificata dalla voce dell’Istituzione che ne è garante, con i suoi forti riferimenti alla dignità, al dovere di solidarietà, alla crescita sul piano economico e culturale di ogni persona, si offre a tutti i cittadini non solo come un manuale di convivenza, secondo la definizione di Giovanni Flick, ma come un libro aperto, come la fonte inesauribile di tutela di antichi e nuovi diritti.
E forse mai come in questo periodo è necessario evocare con forza i principi costituzionali di dignità, di eguaglianza e di solidarietà, a fronte delle ripetute offese che detti principi subiscono e dei tanti episodi che sembrano legittimare la definizione della nostra comunità come società del rancore.
***
Nessun settore del diritto come il diritto di famiglia apre spazi significativi alla tutela giuridica degli affetti nella dinamica dei rapporti interpersonali.
Come ha ricordato la professoressa Bianca, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rivoluzione copernicana nella configurazione del rapporto tra amore e diritto nell’ambito familiare. Se in una non lontana stagione i fatti di sentimento che caratterizzano le relazioni familiari avevano fortemente influenzato la percezione del diritto di famiglia come un diritto alieno all’invasione del diritto, quasi al confine tra sociologia e psicologia, come un’isola che il mare del diritto poteva soltanto lambire, nei tempi attuali la dimensione affettiva ha assunto un valore centrale nella configurazione giuridica dei rapporti familiari, sino a dare legittimità a nuovi modelli di genitorialità, diversi da quelli tradizionali basati sul rapporto biologico.
Viene in primo luogo in esame il diritto del bambino ad essere amato. Se già la riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva fortemente ridotto le discriminazioni tra figli legittimi e figli naturali, così che la filiazione non era più legittimata dalla sussistenza di certi requisiti formali, ma dal rapporto tra due persone generatore di una nuova vita, il legislatore del 2012 ha sancito il diritto del minore a ricevere amore dai suoi genitori, secondo la formulazione del primo comma dell’art. 315 bis c.c. (Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori). E se pure la norma non menziona esplicitamente il diritto del minore ad essere amato, non è dubbio che assistere moralmente voglia dire avere cura amorevole, assicurare vicinanza, comprensione, aiuto, conforto, ossia riversare sul minore quella carica affettiva di cui ha bisogno, soprattutto nel periodo della sua prima formazione. Il diritto all’assistenza morale si sostanzia quindi nel diritto all’amore, assunto come diritto fondamentale del fanciullo.
Lo stesso art. 315 bis c.c. nel suo secondo comma estende la tutela dell’affettività all’intera cerchia parentale, così come l’art. 337 ter c.c. riconosce al figlio il diritto di mantenere rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di entrambi i rami nel caso di crisi dei genitori. Particolare rilevanza assume in questo contesto la figura dei nonni, prima della riforma privi di specifici strumenti di tutela in relazione al cd. diritto di visita e ora titolari, ai sensi dell’art. 317 bis c.c., non solo del diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, ma anche del potere di chiedere al giudice, in caso di impedimento all’esercizio di tale diritto, i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse dei minori: ciò rende evidente l’acquisita consapevolezza del legislatore dell’importanza di tali figure nella crescita dei bambini, della ricchezza del rapporto affettivo tra nonni e nipoti e della ontologica diversità di esso rispetto a quello con i genitori, nonché della necessità di rendere effettiva la tutela di tale rapporto.
Da segnalare al riguardo la sentenza della Corte EDU 20 gennaio 2015 (Manuello e Nevi/ Italia, ric. n. 107) che ha condannato l’Italia per non essersi le autorità nazionali impegnate in maniera adeguata e sufficiente per mantenere il legame familiare del minore con i nonni e aver quindi violato il diritto di questi al rispetto della loro vita familiare, così comprendendo nella sfera dell’art. 8 della Convenzione anche la garanzia di una relazione stabile tra nonni e nipoti.
E anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea nel 2018 (sentenza 31 maggio 2018 n. C- 335/17) ha affermato che nella nozione di diritto di visita contenuta nell’art. 2 del Regolamento CE n. 2201/ 2003 va ricompreso il diritto dei nonni ad avere una regolare frequentazione con i nipoti.
La legge sull’adozione n. 184 del 1983 contiene numerosi richiami all’affettività, e quindi al diritto all’amore. L’art. 6, comma 2, dispone che gli aspiranti adottanti devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare, per tale via identificando l’idoneità ad adottare con l’idoneità affettiva, ossia con la capacità di trasmettere ai minori calore e affetto, così come l’art. 2, comma 1, postula ai fini dell’affidamento temporaneo la capacità della famiglia affidataria o della persona singola di assicurare al minore le relazioni affettive di cui ha bisogno. E ancora l’art. 8, nel far riferimento, in relazione allo stato di abbandono, alla privazione di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, individua nella carenza di affettività del nucleo di origine il presupposto dello stato di adottabilità. Infine, i nuovi commi 5 bis, 5 ter e 5 quinquies dell’art. 4 contengono disposizioni dirette a garantire la continuità delle positive relazioni affettive consolidatesi nel tempo.
È altresì da segnalare la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 183 del 2023 di inammissibilità/ rigetto delle eccezioni di incostituzionalità dell’art. 27, comma 3, della legge n. 184 nella parte in cui esclude la possibilità di valutazione in concreto dell’interesse del minore a mantenere i rapporti con la famiglia di origine: la Corte delle leggi ha ritenuto che detta recisione riguardi solo i rapporti giuridici formali, e non anche quelli socio-affettivi in fatto, così che l’interesse dei minori adottandi a continuare dette relazioni affettive con componenti del nucleo originario, degradato dal piano del diritto a quello del fatto, ma non per questo meno rilevante, non si pone in contrasto con il contestuale loro interesse ad essere conosciuti come figli di una nuova famiglia. È evidente in tale decisione il riconoscimento della fondamentale rilevanza del mondo degli affetti per la serena crescita dei minori, nel solco di una crescente attenzione alla loro identità personale, secondo una prospettiva che guarda alla continuità delle relazioni affettive.
Sempre in materia di adozione è importante richiamare la recentissima sentenza della Corte delle leggi n. 5 del 2024 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 291, primo comma, c.c. nella parte in cui non consente al giudice, nell’adozione di maggiorenni, di ridurre l’intervallo minimo di età di 18 anni tra adottante e adottato nei casi di esiguo scostamento e sempre che sussistano motivi meritevoli. In tale decisione la Corte, nel fare propria una lettura fortemente evolutiva dell’istituto, ha posto in rilievo che l’adozione di soggetti maggiorenni, divenuta strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici accanto a quelli patrimoniali, è ora volta a suggellare legami affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo.
E ancora, come non ricordare la sentenza n. 79 del 2022, che ha riconosciuto l’incidenza dei rapporti affettivi sull’identità personale, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 55 della legge n. 184 nella parte in cui prevede che l’adozione particolare non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante?
Infine, la possibilità dell’adozione particolare del figlio del convivente, pacificamente riconosciuta nella elaborazione giurisprudenziale, si fonda sulla esigenza di continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante e adottato.
Ed è lo stesso principio del best interest of the child, che costituisce la stella polare che illumina l’intero diritto di famiglia, a richiamare un’idea di benessere del minore strettamente legato all’accoglienza, alla cura amorevole, all’ascolto.
Per quanto concerne il rapporto tra adulti, se pure è vero che non può ravvisarsi in via generale un diritto soggettivo all’amore, va per contro considerato che nella relazione tra i coniugi il dovere sancito dall’art. 143 c.c. di assistenza morale e materiale coinvolge chiaramente la dinamica degli affetti. Il dovere previsto dalla norma richiamata è ispirato ad una reciprocità che ha il suo fondamento nel principio di eguaglianza, secondo la logica paritaria ispiratrice della riforma del 1975, finalmente preminente rispetto ai cascami proprietari e gerarchici del passato e affrancato da obblighi che sancivano diseguaglianza e discriminazione.
Coerentemente, l’attuale configurazione della separazione personale tra i coniugi quale rimedio ad una prosecuzione della convivenza divenuta intollerabile esprime a termini invertiti la visione di una convivenza matrimoniale fondata su un rapporto di cura, di assistenza e di reciproco scambio: ove tale tensione affettiva venga meno può soccorrere la separazione.
Allo stesso tempo si delinea il riconoscimento del dato di realtà che il matrimonio non è l’unico luogo in cui riconoscere spazio all’amore, perché il mondo degli affetti può svilupparsi anche fuori da quel recinto. Se in passato il diritto aveva ingabbiato l’amore nell’unico perimetro del matrimonio, rigidamente regolamentato nelle sue componenti, nelle sue finalità e nella configurazione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, ora l’amore riceve legittimazione e tutela anche in altri spazi. Soccorrono al riguardo l’istituto dell’unione civile, che consente alle coppie omosessuali di liberare l’amore all’interno di una nuova categoria giuridica, superando stigmatizzazioni e discriminazioni fortemente avvertite in passato, ma ancora esistenti nel comune sentire, e quello della convivenza di fatto, che il comma 36 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016 identifica con la convivenza tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale: una convivenza che non può più essere intesa come uno stato transitorio, ma integra un diverso modello di famiglia in cui si dispiega la dinamica degli affetti e che nella sua stessa denominazione si contrappone a quella di diritto fondata su un riconoscimento formale.
Mettere al centro dell’ordinamento non già il vincolo matrimoniale, ma la qualità della relazione di coppia vuol dire riconoscere cittadinanza al diritto d’amore; disciplinare con la legge Cirinnà le unioni civili vuol dire affrancare in via definitiva quell’amore che non osa dire il suo nome amaramente evocato da Oscar Wilde.
È stato in questa sede ricordato che la Corte EDU fin dalla sentenza del 2010 Oliari e altri c. Italia ha operato un significativo avvicinamento tra diritti delle coppie coniugate e diritti delle coppie omosessuali, ritenute entrambe meritevoli della tutela accordata alla vita familiaredall’art. 8 della Convenzione.
L’art. 12 della CEDU e l’art. 9 della Carta di Nizza riconoscono ad ogni persona il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia, tenendo ben distinti i due diritti e al tempo stesso parificando le diverse forme di costituzione del nucleo familiare.
Non può al riguardo non farsi riferimento alla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 35969 del 2023, che ha ritenuto la rilevanza, ai fini della determinazione della durata del rapporto in tema di assegno ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, della convivenza di fatto precedente la formalizzazione dell’unione, in quanto espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole da equiparare al rapporto formale, quale sua coerente anticipazione.
E ancora va ricordato che con la recentissima ordinanza n. 1900 del 2024 le Sezioni Unite hanno sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 230 bis c.c. lì dove non include il convivente more uxorio tra i soggetti titolari dei diritti di mantenimento e partecipazione agli utili dell’impresa familiare.
***
Per quanto attiene al rapporto tra diritto penale e diritto d’amore, sul quale si è soffermato Antonio Balsamo, è agevole constatare che nel linguaggio del legislatore penale è frequente il riferimento al mondo dei sentimenti, così da far emergere una stretta connessione tra la normativa penalistica e la dimensione affettiva. Già nel 1972 Angelo Falzea poneva l’accento sulla rilevanza della sfera delle emozioni e dei sentimenti nel sistema penale.
È immediata l’evocazione di concetti come il sentimento religioso, la pietà dei defunti, l’onore, il pudore, l’amore per gli animali, la nuova fattispecie di reato degli atti persecutori (art. 612 bis c.p.), o anche l’indicazione degli stati emotivi e passionali come non escludenti né diminuenti l’imputabilità (art. 90 c.p.), o ancora la previsione della reazione in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui come circostanza attenuante comune (art. 62 n.2 c.p.). È altrettanto immediata la riflessione che alcune di tali previsioni hanno a che fare con l’amore malato, quello che concepisce la persona amata come oggetto di possesso esclusivo, che ne comprime ogni spazio di libertà e che si esprime anche con condotte violente, fino al femminicidio.
Poi c’è il mondo della pena e dei diritti dei detenuti. Scrive in un bell’articolo di stampa Natalino Irti che la dignitas poenae è una forma di dignitas curae: vedere il reo dietro il reato vuol dire passare dall’oggettività tecnico strumentale della privazione della libertà alla soggettività del dolore.
È stata pubblicata oggi la sentenza n. 10 del 2024 della Corte Costituzionale che, in accoglimento dell’eccezione proposta nella bella ordinanza del magistrato di sorveglianza di Spoleto, ha riconosciuto il diritto all’affettività delle persone detenute, rilevando che l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive delle persone in tutte le formazioni sociali in cui esse si esprimono e che lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio della libertà di esprimere affetto, anche nella dimensione intima, ma non può annullarla in radice. Il superamento del limite concreto entro il quale lo stato detentivo può giustificare la compressione di tale libertà è costituzionalmente ingiustificabile, in quanto si risolve in un sacrificio irragionevole della dignità della persona.
Si è inoltre fatto riferimento alla giustizia riparativa, nella sua nobile funzione di ricostruzione o costruzione di un rapporto fecondo tra autore del reato e vittima fondato sul rispetto reciproco e sull’ascolto.
***
Il tema del rapporto tra amore e biodiritto, affidato a Roberto Conti, apre spazi sconfinati alla riflessione su amore e nuove forme di genitorialità, su amore e diritto a non soffrire, su amore e fine della vita. Attraverso il richiamo al concetto di mobilità la prospettiva si allarga alla disciplina vigente in altri ordinamenti e alle problematiche che dalle differenti normative possono scaturire, nonché alle giurisprudenze straniere al riguardo, che hanno progressivamente assunto un’importanza decisiva sul piano interno nella configurazione di diritti e di strumenti di tutela.
E invero il metodo comparatistico costituisce da tempo un fondamentale criterio ermeneutico per interpretare, adattare e completare il diritto interno, specie quando questo appaia poco chiaro o lacunoso. L’apertura al diritto internazionale e sovranazionale consente infatti di utilizzare la comparazione come strumento di ridefinizione di istituti di diritto nazionale, tanto più ove siano in discussione diritti fondamentali e valori di dimensione universale.
Per questa via la giurisdizione si apre a fenomeni regolati in altri ordinamenti e non disciplinati dal nostro: si tratta allora di verificare se la normativa straniera o ultranazionale possa trovare applicazione o debba essere impedita nell’ordinamento interno, se i provvedimenti adottati fuori del sistema nazionale possano essere riconosciuti o debbano essere respinti nel nostro Paese. Si tratta al tempo stesso di verificare se la disciplina interna sia conforme al complesso di valori che attingono dalla Costituzione e dalle Carte dei diritti fondamentali.
Il pensiero va alle pratiche di fecondazione assistita e al fenomeno della gestazione per altri, alla possibilità di configurare nel nostro ordinamento il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Il relatore ha ancora ricordato quanto ha a che fare con l’amore il ruolo dei familiari nella scelta o nel rifiuto delle cure mediche e il diritto del malato a non soffrire, inteso il dolore come malattia in sé e come attentato alla sua dignità.
E ancora vi è la delicatissima materia del suicidio assistito, che chiama in causa i sentimenti del soggetto infermo e di chi lo assiste, in nome di una solidarietà che esige comprensione, vicinanza, condivisione, empatia.
È notizia dell’altro ieri che il gip del Tribunale di Firenze, nella persistente latitanza del legislatore, pur sollecitato più volte dalla Corte costituzionale, ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 580 c.p. nella parte in cui prevede, a seguito della sentenza della stessa Corte n. 242 del 2019, che la non punibilità di chi agevola il suicidio sia subordinata, tra l’altro, alla condizione dell’essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale. La Corte delle leggi sarà quindi chiamata a tornare su se stessa, valutando la legittimità costituzionale di una norma modificata dalla stessa Corte in una precedente sentenza, appunto per supplire all’assenza del Parlamento.
***
Il tema del rapporto tra diritto d’amore, convivenza e amicizia ha riguardato le convivenze caratterizzate da legami diversi da quelli tradizionali, fondate sull’amicizia e sulla solidarietà. Il professor Morozzo della Rocca ha illustrato il fenomeno delle convivenze solidali, previste dalla legge catalana, e ne ha evidenziato le forti potenzialità, con particolare riguardo alle esigenze delle persone anziane, in quanto praticate con maggiore frequenza da tale fascia di popolazione. Si tratta di forme di convivenza stabile caratterizzate da spontaneità, e quindi non fondate su rapporti di servizio o di lavoro, che non realizzano una famiglia né una parafamiglia, ma si risolvono in mere formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità degli individui.
I gravi problemi connessi all’invecchiamento della società italiana e le criticità del nostro sistema di welfare hanno indotto anche nel nostro Paese varie organizzazioni a promuovere e sperimentare tale modello di convivenza, allo scopo non solo di alleviare difficoltà economiche, ma anche di superare problemi di solitudine e trovare nuovi spazi di convivialità.
***
Quanto infine al rapporto tra diritto d’amore e diritto processuale civile, il professor Danovi ha posto in evidenza l’apparente dicotomia e inconciliabilità tra le due tematiche, stante la rigidità delle forme che regolano il processo, ma ha osservato che tale dicotomia è solo apparente, atteso che anche nel processo si aprono spazi alla sfera dei sentimenti e dell’emotività, occupandosi pure il processo dell’amore e delle sue patologie sia nel suo svolgimento sia nella decisione finale.
Il richiamo è ai poteri anche officiosi del giudice in materia di scelte di fine vita, di tutela dei minori e degli incapaci, di affidamento dei figli nei casi di separazione e divorzio, o ancora di scelta dell’amministratore di sostegno e di definizione dei suoi poteri. Appare più in generale legittimo il riferimento alla materia della volontaria giurisdizione, nella sua funzione non già di risoluzione di conflitti, ma di composizione di interessi: e invero l’intervento di un giudice, soggetto terzo e imparziale, che collabora con le parti per la costituzione di un rapporto giuridico, specie ove si tratti di decisioni incidenti sullo stato delle persone, deve rivolgersi a soluzioni attente anche alla tutela dei sentimenti.
E ancora viene in gioco il ruolo del pubblico ministero nel processo civile, portatore di interessi diversi da quelli in conflitto delle parti.
Il relatore ha inoltre evocato la disciplina dell’ascolto del minore, che deve in ogni caso essere condotto nel segno del rispetto e in modo da evitare una sovraesposizione emotiva del fanciullo, nonché il ruolo del curatore (speciale e non) del minore nella recente riforma Cartabia.
È importante anche il richiamo alla nuova negoziazione assistita in materia familiare, che ha aperto spazi in passato inimmaginabili all’autonomia delle parti, promuovendo una cultura e una gestione della crisi familiare fondata non più sul conflitto, ma sulla composizione degli interessi e sul contemperamento delle diverse esigenze affettive.
In questa chiave di lettura della dinamica processuale il relatore ha conclusivamente e forse provocatoriamente stimolato ad intendere finanche il contraddittorio come atto d’amore, in quanto proposizione di tesi contrapposte nel segno del rispetto e dell’ascolto.
3. Dunque tanti spunti di riflessione, che muovendo da punti di partenza diversi ed evidenziando i molteplici momenti di emersione dell’amore rispetto al diritto, hanno posto il diritto d’amore come elemento unificante del sistema, restituendo alla sfera dei sentimenti, attraverso la forza di un pensiero che mai si accontenta (Paul Hazard), spazi sterminati di rilevanza.
(Immagine: Agostino Carracci, Omnia Vincit Amor, incisione, 1599, Metropolitan Museum of Art)