Abstract: il presente lavoro mira a offrire un commento ad una interessante ordinanza istruttoria del 8 marzo 2024 in cui si affronta il tema delle modalità con cui può e deve essere consentito allo straniero, cui è riconosciuta la protezione sussidiaria, l’esercizio in sicurezza di un suo diritto fondamentale come quello di contrarre matrimonio in Italia.
Sommario: 1. La questione affrontata nel provvedimento giudiziale - 2. Il matrimonio dello straniero in Italia, ammissibilità e controlli - 3. La condizione dello straniero, cui è riconosciuta la protezione sussidiaria, in Italia - 4. La soluzione del caso di specie.
1. La questione affrontata nel provvedimento giudiziale
Una interessante ordinanza istruttoria - datata otto marzo 2024 - pone all’attenzione dell’interprete la delicata questione delle modalità con cui può (e deve) essere garantito al migrante, nel paese di accoglienza, il godimento in sicurezza dei propri diritti fondamentali.
La vicenda in questione origina, più nello specifico, dal rifiuto manifestato da un comune rispetto alla richiesta di un cittadino straniero – titolare dello status di protezione sussidiaria- alla propria richiesta di pubblicazioni matrimoniali poiché questi non era stato in grado di ottemperare a quanto previsto dall’art. 116 del c.c. e quindi di presentare all’Ufficiale di Stato Civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese dalla quale risulta che nulla osti alle suddette pubblicazioni matrimoniali.
Lo straniero – nel contestare la decisione dell’Ufficiale di Stato Civile – evidenzia come in ragione del suo status di soggetto cui è riconosciuta la protezione sussidiaria non solo è impossibilitato a fare rientro fisico nel paese d’origine – dato il timore di essere rintracciato dai suoi agenti persecutori – ma anche che qualsiasi contatto intrattenuto con le autorità del suo paese lo avrebbe potuto esporre al pericolo di essere individuato dai suoi persecutori in Italia.
Di fatti egli si era trovato costretto a migrare dal suo paese di origine proprio perché era stato minacciato da un gruppo armato paramilitare che gli avrebbe imposto il pagamento di un “pizzo” per l’esercizio della propria attività, vincolo cui poi egli si sarebbe sottratto così trovandosi nella necessità di chiudere l’attività e lasciare la propria zona di origine, temendo ripercussioni sulla propria incolumità.
In ragione di tali fatti, considerate anche le fonti consultate ed il racconto dettagliato del richiedente, la Commissione Territoriale cui lo stesso aveva rivolto la sua domanda di protezione internazionale aveva riconosciuto che in caso di rientro nel suo paese di origine sarebbe stato esposto al rischio di subire “trattamenti inumani o degradanti qualificabili come danno grave ai sensi dell'articolo 14, lettera B, D. Lgs 251/2007”.
Il Tribunale, investito della questione, si trova a dover bilanciare da un lato il diritto del nubendo ad esercitare un proprio diritto fondamentale (tutelato inter alia anche dall’art. 12 della CEDU) dall’altro la necessità di garantire un controllo pubblicistico sulla condizione soggettiva del nubendo soprattutto perché questi aveva dichiarato di essere già sposato nel suo paese d’origine, il tutto senza esporlo a possibili pericoli per la sua incolumità fisica.
2. Il matrimonio dello straniero in Italia, ammissibilità e controlli
Il nostro ordinamento consente allo straniero di contrarre matrimonio in Italia, tanto con un cittadino italiano, tanto una persona di diversa nazionalità purché però egli presenti all'ufficiale di stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese, dalla quale risulti che, secondo le leggi cui è sottoposto, nulla osta al matrimonio (art. 116, 1° co.). Questo perché la capacità matrimoniale dipende dalla legge nazionale del nubendo (v. art. 27 della L. n. 218/1995).
Data quindi la non facile applicazione e interpretazione della legge straniera il legislatore italiano ha scelto di recepire la valutazione compiuta in altro ordinamento e adeguarsi ad essa.
Tuttavia la giurisprudenza si è trovata – già prima del precedente in commento – ad affrontare la questione relativa all’impossibilità per il nubendo di presentare il nullaosta proveniente dalle autorità del proprio paese d’origine.
In particolare, lo straniero si può trovare nell’oggettiva impossibilità di presentare la documentazione de quaquando manchi un'autorità nazionale competente a certificare la capacità matrimoniale dei propri cittadini. In questi casi, la giurisprudenza ha ritenuto che possa essere autorizzata la pubblicazione, previo accertamento del contenuto della legge nazionale dello straniero, e del fatto che sussistano le condizioni per rilasciare il nulla osta (v. T. Treviso 15.4.1997)
Oppure sono state autorizzare le pubblicazioni anche in presenza di un esplicito diniego dell’autorità nazionale allorché si accerti giudizialmente che tale diniego è fondato su delle norme straniere che non rispettano l'ordine pubblico internazionale (v. art. 16, della L. n. 218/1995). Un caso frequente è dato dai provvedimenti con cui l'autorità competente subordinava il rilascio del nullaosta alla conversione all'Islam del coniuge (v. T. Taranto 13.7.1996).
Nella presente fattispecie, però, non può dirsi che vi sia una oggettiva impossibilità per il nubendo di procurarsi il nullaosta, né tantomeno si è in presenza di un diniego contrario all’ordine pubblico.
Non solo, deve anche evidenziarsi che sempre l'art. 116 c.c. al secondo comma, stabilisce che lo straniero, che voglia contrarre matrimonio in Italia, debba rispettare alcune norme previste dalla legge italiana; tra le quali vi è soprattutto quella relativa alla libertà di stato. Si tratta di norme che il legislatore ritiene di ordine pubblico e che, quindi, devono essere applicate a tutti i matrimoni celebrati in Italia.
L’acquisizione della documentazione dalle autorità nel paese d’origine diviene quindi un passaggio imprescindibile non solo ai fini della verifica della capacità matrimoniale ma soprattutto ai fini del controllo di natura pubblicistica sulle condizioni necessarie per contrarre matrimonio, in considerazione anche del fatto che è lo stesso nubendo ad avere dichiarato di essersi sposato nel suo paese.
3. La condizione dello straniero, cui è riconosciuta la protezione sussidiaria, in Italia
Delineato quindi il quadro dei controlli che devono essere svolti al fine di consentire allo straniero di contrarre matrimonio in Italia, ci si deve soffermare sulla condizione dello straniero in Italia, ed in particolare di quello cui è riconosciuto lo status di protezione sussidiaria.
Al riguardo occorre evidenziare che già nell’impianto Costituzionale vi sono due norme fondamentali che garantiscono allo straniero il pieno ed effettivo godimento dei diritti fondamentali in Italia.
In primo luogo, vi è l’art. 2 della Carta, che pone l'obbligo per lo Stato di riconoscere e garantire i diritti fondamentali “dell'uomo”; cioè il nucleo fondamentale di diritti essenziali è riconosciuto dal nostro ordinamento alla persona in quanto tale e quindi anche ai cittadini stranieri. L'art. 10, poi, al secondo comma nel delegare al legislatore ordinario il compito di disciplinare la condizione giuridica dello straniero prevede che tale normativa “debba essere conforme alle norme e ai trattati internazionali”.
Tali principi trovano poi applicazione nell’art. 2 del Testo Unico Immigrazione laddove è previsto esplicitamente che “lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e il presente testo unico dispongano diversamente.” (cfr. Art. 2 D. Lvo 286 del 1998).
Su versante sovranazionale il pieno godimento dei diritti fondamentali è garantito – inter alia - dall’art. 14 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo il quale esplicitamente prevede che “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”
Ciò premesso, l’art. 116 del codice civile – che, come detto, consente allo straniero di contrarre matrimonio in Italia previa la presentazione del nullaosta dell’autorità nazionale – sembra essere una norma perfettamente coerente con detti principi, e dei quali è declinazione specifica per la materia matrimoniale. L’obbligo di presentazione della documentazione, infatti, è funzionale solo ed esclusivamente a compiere i controlli che vengono svolti dall’ufficiale di Stato Civile anche sul cittadino, e che sono funzionali a garantire l’applicazione di norme (come ad esempio quella sulla libertà di stato) ordine pubblico.
Sicché non può dirsi che in linea generale ed astratta l’art. 116 c.c. determini una qualche discriminazione diretta a danno dello straniero. Anzi – in una condizione di perfetta e speculare reciprocità – obbliga lo straniero a presentare della documentazione assolutamente analoga a quella che è tenuto a presentare il cittadino.
Ciò posto però è da considerarsi che l’applicazione di questa norma apparentemente neutra possa determinare, date le peculiarità di un caso di specie, una forma di discriminazione c.d. indiretta. In altre parole, può avvenire che una disposizione come l’art. 116 c.c. apparentemente neutra, metta una persona, in ragione della sua peculiare condizione, in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone, rendendo particolarmente difficoltoso l’esercizio del diritto in essa consacrato.
Ora, l’applicazione rigorosa dell’art. 116 c.c. nel caso in cui a richiedere le pubblicazioni matrimoniali sia uno straniero che gode dello status di protezione sussidiaria potrebbe proprio generare questo effetto.
Non può infatti richiedersi ad un soggetto che è fuggito dal proprio paese avendo il timore di essere perseguitato di farvi rientro al fine di richiedere documentazione amministrativa. Ma non solo allorché il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), del d.lgs. n. 251 del 2007, consegua ad una minaccia portata da un soggetto privato, non può nemmeno chiedersi al migrante di mettersi in contatto a distanza con le autorità nazionali al fine di richiedere la documentazione necessaria.
Questo perché nel caso in cui la minaccia venga portata da un agente privato lo status della protezione sussidiaria può essere riconosciuto solo “qualora risulti che le autorità statuali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di esse” (cfr. da ultimo Cass. Civ. Sez. 1 - , Ordinanza n. 6984 del 15/03/2024).
Sicché proprio l’incapacità delle forze statuali di opporsi alle organizzazioni criminali private che controllano il territorio e di garantire ai propri cittadini una adeguata protezione mettendoli in condizione di esercitare i propri diritti rappresenta un impedimento per lo straniero. Egli infatti – in simili fattispecie – ha il legittimo il timore tanto di rivolgersi alle autorità del suo paese, o comunque di ricevere da queste un trattamento non rispondente alla tutela dei suoi diritti.
Tale timore è stato anche esplicitamente preso in considerazione dal Legislatore tanto è vero l’art. 24 comma 2 del D.Lvo 251 del 2007 prevede che “quando sussistono fondate ragioni che non consentono al titolare dello status di protezione sussidiaria di chiedere il passaporto alle autorità diplomatiche del Paese di cittadinanza, la questura competente rilascia allo straniero interessato il titolo di viaggio per stranieri”, con ciò evitando contatti tra lo straniero e le autorità del suo paese.
4. La soluzione del caso di specie
Date queste premesse l’ordinanza in questione cerca di trovare il giusto contemperamento tra gli opposti interessi mediante una lettura costituzionalmente orientata delle norme processuali ed in particolar modo dei poteri officiosi del giudice civile.
Infatti, il provvedimento in esame parte proprio dall’affermazione delle due contrapposte esigenze cioè da un lato non è esigibile che il cittadino straniero entri in contatto con le autorità consolari e diplomatiche del paese di origine; e dall’altro che ai fini della decisione sull’accoglimento o meno della richiesta di pubblicazioni è comunque necessario indagare l’effettiva assenza di impedimenti matrimoniali in capo al ricorrente.
Ne consegue quindi che è lo stesso giudice – mediante una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 213 c.p.c. alla luce dell’art. 10 comma 3 Cost. – a richiedere le informazioni all’ambasciata ed al consolato del paese di origine del nubendo.
Nel fare ciò il giudice adotta le misure concrete volte alla protezione dei dati personali del richiedente impedendo che si venga a sapere dove lo stesso risiede, mediante un provvedimento di divieto di rivelazione del luogo di residenza e del domicilio anche della compagna alle autorità nazionali con cui la suddetta ambasciata ed il suddetto consolato dovranno relazionarsi.
Lo strumento quindi mediante il quale il giudice trova un punto di equilibrio tra le due contrapposte esigenze nel caso di specie è dato dallo strumento probatorio officioso di cui all’art. 213 c.p.c.
Al riguardo occorre osservare, per vero, che la giurisprudenza (v. su tutte Cass. Civ. n. 1484/2014), ha da sempre sostenuto che il potere officioso previsto dall'art. 213 può essere attivato solo quando sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti che la parte sia impossibilitata a fornire in giudizio.
L’impossibilità in questo frangente viene interpretata in senso soggettivo come inesigibilità e lo strumento probatorio officioso diviene il modo con cui lo Stato italiano garantisce ed assicura l’effettivo esercizio della libertà matrimoniale allo straniero.
Tale soluzione, del resto, è coerente con il principio di cooperazione istruttoria sancito dall’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE e dall’articolo 8 del d.lgs n. 25/2008 che governa l’intera materia della protezione internazionale e che – nel caso di specie – viene applicato dal giudice anche oltre i confini del processo relativo all’impugnazione dei dinieghi rilasciati dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale.
Si tratta a tutta evidenza di un supporto che il giudice officiosamente dà alla parte, supplendo mediante i suoi poteri officiosi, ad un suo deficit probatorio.
Tale carenza però è determinata dalla posizione di particolare vulnerabilità che il migrante ha all’interno di un processo. È infatti inesigibile richiedere a coloro che fuggano dal timore di un danno grave alla persona – nel caso di specie già riconosciuto da una decisione amministrativa – la produzione di documenti o comunque di atti reperibili nel proprio paese d’origine per le ragioni che si sono individuate in precedenza.
Al fine quindi di garantire alla parte processualmente debole il pieno ed effettivo esercizio dei propri diritti giudiziali è compito del giudice – mediante i propri poteri officiosi – riequilibrare le posizioni processuali, riportando la c.d. parità delle armi tra le due posizioni contrapposte in giudizio. Del resto – in un’ottica complessiva – si può notare come anche in altre fattispecie ove sono previsti poteri istruttori officiosi essi sono volti alla tutela della parte processualmente più debole (ad esempio il lavoratore, il minore, o il consumatore).
Estendere quindi il principio della cooperazione istruttoria anche oltre i confini del processo relativo al riconoscimento della protezione internazionale – sempre se ne sussistono analoghe esigenze di tutela della parte debole - è quindi coerente, non solo con i principi costituzionali in materia di condizione giuridica dello straniero (Art. 10 Cost.), ma anche con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, garantito dagli artt. 24, 103 e 113 Cost. e dall’art. 19 T.U.E: e 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che impone di mettere la parte processualmente “debole” in una posizione di parità processuale rispetto alla parte pubblica, di modo che possa esercitare in modo “effettivo” i suoi diritti fondamentali trovando riscontro alle sue istanze di tutela qualora a seguito di un’istruttoria eventualmente “cooperata” risultino fondate.
Immagine: Theodore Robinson, Il corteo nuziale, 1892, Terra Foundation for American Art, Chicago.