“Vaccinazione e prodotto farmaceutico nel sistema della responsabilità civile da attività lecita”
Recensione di Paolo Maddalena al volume di Maria Rosaria Scotti
Il tema della responsabilità civile da attività lecita è, oggi, di grande attualità. La pandemia da coronavirus, i dubbi da molti sollevati sulla opportunità di sottoporsi alla trasfusione di un vaccino non ancora pienamente sperimentato, la pratica “obbligatorietà di fatto” di sottoporsi a questo trattamento sanitario, non imposto, ma fortemente sollecitato dalle Autorità, pongono il problema giuridico, non della libertà di scelta, che è stata assicurata, ma quello ben più concreto, del “rischio” che è intrinseco in questa specie di trattamento sanitario e della “risarcibilità” dei danni alla persona subiti da quei soggetti che si siano sottoposti alla vaccinazione.
Il tema che più sta a cuore all’Autrice è quello di dimostrare che nel caso in esame non è giuridicamente possibile parlare soltanto di “indennizzo” (cioè di un parziale “ristoro” economico), ma di vero e proprio “risarcimento “ di tutti i danni subiti.
La semplice proposizione del problema fa capire quanto ardua sia l’indagine da compiere, poiché in questo caso si tratta, si badi bene, di superare una giurisprudenza tuttora ancorata all’idea che il risarcimento del danno presupponga (diversamente dall’indennizzo) un “fatto illecito”, cioè una condotta riprovevole, in quanto posta in essere con dolo o colpa, in base al principio, molto risalente nel tempo, secondo il quale “nessun risarcimento senza colpa”, ovvero “qui suo iure utitur neminem laedit”. Una concezione, quindi, penalistica e sanzionatoria, peraltro di carattere soltanto “patrimonialistico”, e quindi conforme alla concezione “borghese”, e oggi “neoliberista”, del diritto.
Il lavoro, di una complessità e completezza scientifica più unica che rara, attraversa tutto ciò che dottrina e giurisprudenza hanno affermato, non solo sul piano specifico della responsabilità per atti leciti, ma anche e soprattutto a proposito degli innumerevoli problemi esistenti nella immensa area della responsabilità civile.
Nel trattare una materia di così eccezionale ampiezza, l’Autrice indica subito il file rouge che Ella intende seguire, in modo che il lettore non resti disorientato dalla complessità della trattazione: questo filo rosso è costituito dal convincimento secondo il quale “la norma integra un giudizio di valore, non una regola logica, poiché la realtà della vita ha la meglio sulla costruzione formale”.
Ciò premesso, la trattazione comincia con il mettere in evidenza come la giurisprudenza, sia quella costituzionale, sia quella di legittimità, siano fortemente ancorate al principio della “indennizzabilità” dei danni, anziché del loro “risarcimento”, non ostante l’articolo 35 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, prescriva l’intero risarcimento e non ostante il primo comma l’art. 117 della Costituzione sancisca il “rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. E tutto questo avviene, è bene sottolinearlo, con la citazione precisa e analitica delle varie tesi sostenute dalla dottrina e dalle numerose affermazioni giurisprudenziali.
Il primo argomento che l’Autrice pone in evidenza, a dimostrazione della sua tesi, è il grande rilievo che ha in dottrina il “diritto alla salute”, di cui all’art. 32 della Costituzione, in collegamento diretto con “i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, imposti dall’articolo 2 Cost.
Il “valore primario” e indiscutibile sancito per la salute della persona umana, e cioè per la sua integrità fisica e psichica, costituisce, insomma, un punto essenziale di ancoraggio per una nuova prospettiva della responsabilità civile, la quale comincia a essere considerata, non più soltanto dal punto di vista “patrimonialistico”, ma anche e soprattutto dal punto di vista “personalistico”. Si staglia così all’orizzonte l’importanza della “persona umana”, la quale richiede, ovviamente, un “giudizio di valore” (quello assunto come criterio direttivo dell’indagine), che non può non concretarsi in una valutazione di “priorità” della tutela dell’interesse alla salute e alla vita dell’uomo.
Arriva così, sulla base di detto criterio interpretativo, il primo colpo decisivo contro la teoria che vede la fonte della responsabilità civile aquiliana, di cui all’art. 2043 del codice civile, una “sanzione” contro il comportamento illecito dell’autore del danno. E viene conseguentemente spiegato il motivo di fondo del perché la migliorie dottrina ha spostato la sua attenzione dal “fatto illecito” al “danno”, con la conseguenza di dover ritenere che la “illiceità” segue e non precede il “danno”.
A questo punto appare evidente che la ricerca relativa al criterio di imputazione del danno, cioè del trasferimento degli effetti dannosi da un soggetto a un altro, debba necessariamente approdare ai principi etici contenuti nella nostra Costituzione, e cioè, fondamentalmente, al “principio di eguaglianza” di cui all’art. 3 Cost.
L’indagine, e questo è molto importante, si sposta così dall’astratto al concreto, comportando la necessità di una revisione dei fondamenti della responsabilità civile alla luce della mutata situazione economica e sociale ben diversa da quella esistente all’epoca dell’entrata in vigore del codice civile.
Viene pertanto in evidenza il problema del “rischio” che è insito nell’utilizzo degli strumenti offerti dallo sviluppo tecnologico. Si pensi ai rischi del trasporto aereo o dei treni a alta velocità, ai rischi conseguenti agli inquinamenti industriali e di altro tipo, e, perché no? ai rischi che comportano le vaccinazioni e i prodotti farmaceutici.
Allora lo sguardo si allarga. Non c’è più soltanto un problema di rapporto tra due soggetti uno dei quali ha arrecato danni patrimoniali all’altro, ma un problema di “ripartizione” del “rischio”, secondo la “valutazione” e il “bilanciamento” dei valori costituzionali in gioco, tenendo presente che i danni possono colpire, e di solito colpiscono, soggetti terzi, che nulla hanno a che vedere con le cause del danno subito.
Ne consegue che la dottrina comincia a distinguere tra “responsabilità per colpa” e “responsabilità per rischio”, addossando quest’ultima, in modo oggettivo, all’impresa, come si è affermato per i danni da inquinamento atmosferico.
In questo ambito una teoria molto valutata è quella dell’analisi economica del diritto, la quale individua la valutazione del rischio come elemento della individuazione del “costo” di impresa. In questo senso l’imprenditore è tenuto a valutare a priori quale sia la soluzione più conveniente, considerando il “rischio” di dover risarcire i danni, come un “costo” dell’impresa.
Ma il problema, come agevolmente si desume dal discorso fin qui condotto, non può risolversi nella sola prospettiva di addossare i danni al soggetto che in qualche maniera ne è stato causa, ma deve essere risolto in una prospettiva assai più ampia, che contempli non solo il produttore, ma anche il consumatore.
In questa più ampia prospettiva, assume una piena valenza il “principio di “eguaglianza”, che implica, a ben vedere, un giudizio “etico sociale”, in base al quale si ridefinisce anche il significato della “ingiustizia” del danno, visto non più nel comportamento del danneggiante, ma come effetto della “ripartizione del rischio”.
Restringendo a questo punto l’esame ai danni alla persona prodotti da vaccinazioni, trasfusioni o farmaci difettosi, riemerge il dato fondamentale del “valore assoluto” della “persona” e l’assioma inconfutabile secondo cui tale valore, essendo “assoluto” e “primario”, non sopporta alcun bilanciamento e merita l’integrale risarcimento del danno subito, che viene a avere il suo fondamento nell’art. 2 Cost., secondo il quale il nostro Stato comunità, la Repubblica, impone “doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale”. Ne consegue che, una volta che la collettività ha accettato il “rischio” che alcuni trattamenti possano ledere la “salute” di singoli cittadini, essa deve assumersi anche l’onere di “risarcire integralmente” i danni alla salute subiti da singole persone a causa del’accettazione collettiva del rischio di cui si parla.
Si tratta di una conclusione alla quale l’Autrice perviene, come si è ripetuto, attraverso un esame approfonditissimo delle tematiche attinenti all’oggetto di trattazione. E ne è venuto fuori un libro che è una miniera inesauribile di informazioni e che dovrebbe circolare nelle Università e tra coloro che davvero vogliono approfondire il complicatissimo, ma affascinante, tema della responsabilità civile, nel quadro dell’attuale progresso tecnologico.
Potremmo aggiungere che, a nostro avviso, un altro terribile argomento si sta profilando all’attenzione degli studiosi: quello della cosiddetta “sostenibilità” del rischio prodotto dall’avanzare inarrestabile della tecnologia. giacché, molto probabilmente, si è già superato il limite naturale di questa sostenibilità.
Ma questo è un altro discorso.