Sommario: 1. Vent’anni dopo – 2. Clientela vecchia e nuova – 3. Ombre crescenti – 4. Le cose cambiano – 5. La ‘’Bozza Cendon’’ del 1986 – 6. Scorciatoie, espedienti gestionali – 7. Sotterfugi disciplinari, esempi stranieri – 8. Un metro empirico di valutazione – 9. Economia domestica – 10. Fare male, non fare affatto – 11. Rischi accentuati – 12. Una treccia a tre fili colorati – 13. Crisi del consenso presunto – 14. Prima no e poi sì – 15. Negozi di tipo personale – 16. Una distinzione importante – 17. Sì da una parte, no dall’altra – 18. Centralità della persona del beneficiario – 19. Soggetti deboli e soggetti indeboliti – 20. Persone con disagi psichici – 21. Altri esempi – 22. Messe a confronto – 23. No a privilegi eccessivi – 24. Gli artt. 428 e 2046 cod. civ. – 25. Quando l'amministratore non può essere un familiare – 26. Casistica – 27. Abrogare l’interdizione – 28. Neppure ha senso oggi l’inabilitazione – 29. Conferme – 30. Ragioni a favore della dignità e libertà – 31. Spirito e linee dell’AdS: spiegare e diffondere – 32, Formazione, sensibilità a 360° – 33. Haters seriali, gruppi antipsichiatrici – 34. Scontentezze croniche – 35. Astuzie nei media – 36. Che fare – 37. Il mondo dei giudici – 38. Disfunzioni – 39. Decreti-fotocopia - 40. Occuparsi degli altri – 41. Resistenze, manchevolezze – 42. Disparità comunicative – 43. Correttivi, aggiustamenti – 44. Il patto di rifioritura – 45. Quattro storie – 46. Matrimonio sì o no – 47. Ultime volontà – 48. Atti della vita quotidiana – 49. Neo-sovranità negoziali – 50. Eluana Englaro – 51. Altre vicende – 52. Il mandato di protezione – 53. Inconvenienti di un assetto pan-negoziale – 54. Il profilo esistenziale di vita – 55. Comportamenti, abitudini – 56. Procedure – 57. Il patrimonio con vincolo di destinazione – 58. Dettagli – 59. L’ufficio-sportello comunale per la fragilità – 60. Espletamenti burocratici.
1. Vent’anni dopo
Pochi istituti privatistici hanno conosciuto, nel bilancio che possiamo trarre, a vent’anni dall’approvazione parlamentare, una crescita impetuosa come l’Amministrazione di sostegno. Si è molto allargata dal 2004 – prima notazione sociologica/disciplinare – la ‘’clientela’’ di riferimento. La lista dei beneficiari comprende ormai non soltanto sofferenti psichici, in senso stretto, ma in generale tutti coloro che, per serie ragioni, ‘’non ce la fanno’’ a gestirsi utilmente, sotto il profilo esistenziale. Ad esempio, anziani non più padroni di sé, esseri affetti da disabilità fisiche, malati contingentemente in difficoltà; oppure vittime di dipendenze, di ictus pesanti, portatori di disturbi invalidanti, nonché, secondo alcuni interpreti, analfabeti di ritorno, carcerati, eremiti irriducibili, homeless, migranti. E a rientrare nel raggio della protezione, come la Cassazione ha più volte riconosciuto, sono altresì coloro i quali erano affidati un tempo, in via esclusiva, alle competenze tecniche dell’interdizione, ossia gli infermi mentali gravi.
2. Clientela vecchia e nuova
Per la maggior parte i destinatari appartengono oggi, statisticamente, a tipologie di persone le quali non stanno – ecco la zona grigia del disagio – abbastanza bene da cavarsela da sole, in qualsiasi frangente; e che neppur risultano, sul piano fisiologico e spirituale, debilitate al punto da dovere essere sostituite, nell’area patrimoniale o non patrimoniale, interamente e per sempre. Creature a metà fra il bianco e il nero, nel campionario della mancata autosufficienza. Individui i quali sarebbero, un tempo, rimasti ai margini del diritto, abbandonati a se stessi: in balia del destino, delle proprie inettitudini, degli stenti, delle altrui incurie o cattiverie. Oggi è sempre meno così, anche di fatto. Attualmente gli ’’amministrati’’ in Italia sono all’incirca 400.000, il ritmo espansivo del presidio ex art. 404 cod. civ. è stato crescente, in percentuale, di anno in anno. Gli interdetti giudiziali sono oggi 140.000; si tratta in parte di persone le quali erano già interdette nel 2004, che non sono defunte nel frattempo, e che non sono state fin qui, per le ragioni più varie, “disinterdette" dai Tribunali, come pure era teoricamente possibile. Gli inabilitati sono press’a poco 20.000.
3. Ombre crescenti
Col passare degli anni alcune difficoltà, in vista della salvaguardia dei più fragili, sono venute acuendosi. Così, ad esempio, per effetto dei contrasti fra teoria e pratica del diritto. Da un lato i proclami, si osserva, delle convenzioni internazionali, del diritto europeo, della legislazione nazionale e regionale: con nobili affermazioni di principio, sulla carta, con un proliferare di vessilli e declamazioni, circa le prerogative degli esseri vulnerabili, in merito agli obblighi dello Stato, delle pubbliche istituzioni. Dall’altro lato le contro-segnalazioni del welfare in affanno, in quell’ambito, degli impegni rinviati o disattesi: allorquando emerga di giudici che scarseggiano, in particolare, di cancellieri che non vengono rimpiazzati, di fondi decurtati o dirottati altrove, di decreti dell’AdS impersonali, troppo standardizzati, di amministratori di buon cuore che latitano. O quando si sappia – aggiunge qualcuno – dell’assistenza domiciliare che verrà sospesa, a partire dal mese prossimo, del day hospital che sta per chiudere, salvo miracoli; degli sportelli che non apriranno subito, in Comune, del consultorio che accorcerà gli orari, del corso di formazione non più finanziabile.
4. Le cose cambiano
Forte in effetti il pericolo – si continua – che situazioni di relativo splendore possano, da un giorno all'altro, iniziare a perdere colpi, anche per quanto riguarda i più esposti alle intemperie; con uffici man mano anchilosati da tensioni interne, frustrati in qualche fantasia di riassetto, via via meno incisivi negli interventi, ridotti a gusci sostanzialmente vuoti. Neo forme di debolezza poi – sul piano dell’efficienza informativa, nella giungla burocratica, dei saperi e accessi tecnologici – che si affacciano insidiose; e non è detto che le difese rituali, per chi resti emarginato comunicativamente, saranno sempre utilizzabili. La scarsezza di risorse che incombe poi, a livello economico, deludendo e offuscando i sogni migliori, presso i consigli comunali e regionali; ed è già chiaro come alcune garanzie, quanto al lavoro dei malati di mente, o per l’aiuto scolastico agli allievi con disabilità, a proposito dei care giver, dei protettori di minori non accompagnati, non siano generalizzabili oltre una certa soglia, nelle rivendicazioni delle magistrature più alte. Psichiatri o psicologi i quali traslocano, per sempre talvolta; pensionamenti a raffica, assistenti sociali orientati a cambiare reparto, giudici chiamati a fare carriera altrove. Come evitare – se quella orale, mimica o gestuale è la forma con cui i disadattati si raccontano di solito, attraverso cui parlano e rispondono all’esterno – che ogni cambio fra i custodi, fra gli interlocutori abituali o prediletti, disperda ricchezze preziose? Vanificando subliminarità e automatismi, giochi di sinapsi scontati fino ad allora, pre-comprensioni collaudate negli anni?
5. La ‘’Bozza Cendon’’ del 1986
Molteplici i fattori che, grazie anche alla collaborazione di studiosi di altri Atenei, indurranno un gruppo di giuristi dell’Università di Trieste – dopo lo svolgimento dell’importante convegno tenutosi alla Stazione Marittima nel giugno del 1986, "Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione’’ – a stendere quell’estate una neo intelaiatura per gli assetti inerenti, nel codice civile, al continente dei ‘’civilmente disadattati’’. Occorreva per i redattori prendere atto, anzitutto, che la quasi totalità delle persone con disturbi mentali, salvo quelle accolte in cliniche private o in micro-istituzioni, erano destinate a vivere – dopo il 1978 – non più all’interno di un "Moloch totalitario’’, di un formicaio compattato della Sanità; bensì in famiglia, quella d’origine o quella propria, oppure in micro comunità, certuni in appartamenti alloggio, magari in un’abitazione da soli. A casa propria insomma. Non poteva prorogarsi allora, in via ulteriore, un sistema di risposte concepite nell’'800 per destinatari ammassati abitativamente, parti di un mega ingranaggio, a porte chiuse dall’interno. Con la “Chose sanitaria e inframuraria’’ che custodiva stabilmente gli ospiti, da un lato, e che aveva se non altro il merito di provvedere, mese per mese, più o meno gratis, al soddisfacimento dei loro bisogni elementari (dormire, mangiare, luce, acqua, riscaldamento, igiene).
6. Scorciatoie, espedienti gestionali
Era sempre più chiaro che i moduli risalenti, all’interno del codice civile, quali l’interdizione e l’inabilitazione, offrivano al popolo della vulnerabilità, sub specie di gestione ordinaria, risposte invecchiate, non più presentabili. Sia perché troppo severe come gabbie, quanto a ispirazione politica, per l’ordine pubblico. Sia perché schemi architettati in alto, destinati a entrare in gioco uniformemente, in termini meccanici: rispetto a una folla di esseri pur differenziati, sul piano umano, inconfondibili fra loro – per genere, diagnosi medica, età, carattere, salute fisica, tessuto familiare. Divise legali, in altre parole, nel grande falansterio di vita e di cura; livree uguali l’una all’altra, simili a camicie di forza, a righe orizzontali o verticali. Alle "voci legali e amministrative’’ dopo il 1978 – e cioè alle riscossioni e ai pagamenti, alle rate e alle multe, alle tasse e alle bollette, alle iscrizioni, agli abbonamenti e ai recessi contrattuali – provvedevano le famiglie, di solito, per i frequentatori dei Centri di salute mentale. Oppure gli operatori stessi dei Centri, infermieri e assistenti, intervenendo quasi sempre senza vere procure, neanche verbali; comunque sulla base di attribuzioni rappresentative e facoltizzazioni di dubbia regolarità. Spesso in forza di una filigrana accuditiva puramente empirica, "selvaggia’’; coltivata in modo spontaneo, emergenza per emergenza, se non proprio svolgentesi sulla base della negotiorum gestio. Entro cioè una cornice quantomeno precaria, dipendente dal buon cuore, un po’ approssimativa, come per i quasi contratti di stampo giustinianeo. Il che si traduceva alfine (ecco il punto) per metà in serie possibilità di abusi, di prevaricazioni insidiose per l’assistito; per l’altra metà nel rischio di incurie e neghittosità, di rimandi di comodo nelle consegne, negli assolvimenti, nelle bonifiche, nei condoni, nelle messe in regola al catasto: tutti disguidi solo in parte giustificabili col pericolo, per gli interessati, di incorrere in questa o in quella sanzione.
7. Sotterfugi disciplinari, esempi stranieri
Era anche palese che l’espediente utilizzato, dopo il 1978, da alcuni fra i nostri giudici tutelari – i quali muovevano da una mini disposizione contenuta nella legge 180, volta a riconoscere alcuni poteri d’intervento al GT, in via di urgenza, riguardo agli infermi sottoposti a un trattamento sanitario obbligatorio (norma che veniva estesa poi, in generale, a tutti i fragili psichici bisognosi di un soccorso gestorio) – non poteva dilatarsi oltre una certa misura. Pur se esso valeva a fornire, occorreva riconoscerlo, un tampone/accorgimento esemplare sul come operare post manicomio, per un sistema privatistico; anzitutto a livello giudiziale, in via di emergenza, un giorno magari sul piano legislativo. In più esistevano, lungo un’altra vetrina, quella dell’Europa, i grandi paradigmi offerti – sul terreno riformatore, a livello europeo – da alcuni ordinamenti stranieri: quelli culturalmente più sensibili alle necessità di svecchiamento e civilizzazione, per il diritto dei meno fortunati, come la Francia e l’Austria. Paesi che in vario modo, a partire dagli anni sessanta, la prima con l’introduzione della Sauvegarde de justice nel code civil, la seconda con l’abrogazione dell’interdizione e l’inserimento nell’ABGB della Sachwalterschaft, avevano ammodernato le loro officine. Non si trattava anche qui – ecco la domanda – di indicazioni preziose a livello normativo, di cui tenere conto per l’ambiente italiano?
8. Un metro empirico di valutazione
La chiave di volta allora dell’amministrazione di sostegno – come versione del terzo decennio, per il terzo millennio – nell’inchiesta affidata al giudice tutelare? Il criterio attraverso cui decidere, oggigiorno, se far luogo o meno alla misura in questione, riguardo a un determinato cittadino, al centro del ricorso presentato? Si tratta, va sottolineato, di una cifra funzionale e insieme comparativa, rimessa applicativamente al Tribunale, ossia di un filtro storico/contabile, in senso ampio: da identificarsi come ‘’adeguatezza/inadeguatezza di gestione’’, per quella data persona, nel suo contesto abituale di vita, tenuto conto di ogni aspetto, anche extra-monetario, immateriale. Cifra ravvisabile – ecco il raffronto indicatore – nella corrispondenza o meno (a) tra i comportamenti che sono stati tenuti dal soggetto in esame, specificamente, lungo un cert’arco di tempo; (b) a fronte di un modello ideale di dare/avere, sul piano spirituale e commerciale, come astratta fragranza quotidiana, del cuore e del portafoglio.
9. Economia domestica
In questa prospettiva le questioni-base per gli uffici preposti, nei confronti del beneficiando, verteranno non tanto e non solo sul se ci si trovi dinanzi a un individuo ‘’malato o menomato’’, a livello fisico o psichico: di fronte a un essere rientrante, come tale, in qualche casella nosologica o accademica. Occorrerà domandarsi soprattutto – a valle dell’inchiesta, partendo dagli estratti conto, dai tabulati, dai video di registrazione, dagli scontrini, dai prospetti condominiali, dai segni digitali di passaggio, dai test dello psicologo o del confidente domestico – se le azioni che la persona in esame compie, o non compie, mediamente, siano quelle che hic et nunc (a fin di bene, in vista di un risultato fruttuoso) dovrebbero venir intraprese nei contesti familiari, scolastici, lavorativi, relazionali, in cui la stessa si trova immersa. Diagnosi o etichette di tipo medico, previdenziale, sindacale, religioso, universitario, laboratoriale? Influiranno certamente, anche nell’ottica dell’Amministrazione di sostegno. Sempre fino a un certo punto però, come tracce di prima correlazione; per un raccordo fra i diversi saperi, nel computo d’insieme.
10. Fare male, non fare affatto
I fatti omissivi allora, le astensioni e mancanze spicciole, ‘’ruspanti’’? I materiali consistenti nel non essersi l’amministrando attivato, in nessun modo, quando un’iniziativa sarebbe invece stata indispensabile per lui, o almeno propizia? Sono elementi destinati quasi sempre – salvo che non ci si riferisca a soggetti abituati a vivere sugli alberi, o in una grotta di montagna – ad assumere un valore ben più marcato, all’interno del giudizio, rispetto ai fatti di tipo commissivo. Prescrizioni o decadenze dimenticate allora, oppure i figlioletti lasciati senza libri scolastici, senza giocattoli o senza scarpe. Convocazioni in tribunale che vengono disertate, col rischio di condanne in automatico. Il cane e il gatto di casa a digiuno, i fiori non innaffiati, centimetri di polvere sui libri, segni di rassegnazione sul piano igienico, sanitario.
11. Rischi accentuati
Certo è un male – sperando che non tardi eccessivamente l’annullamento contrattuale, o la condanna penale del truffatore – se colui che si trova ai margini dell’assennatezza, o del buon senso, effettua una donazione assurda, cosa che proprio non dovrebbe, per il suo bene; oppure se il nostro acquista un quadro pagandolo dieci volte il suo valore, o vende un prezioso mobile di casa per quattro soldi. Peggio ancora tuttavia, per certi versi, quando l’interessato evita (come talvolta succede) di pagare le bollette, in nome del suo stile di vita, o per vizi endemici, o per disinvolta noncuranza; se non si cura dei suoi debiti, e nemmeno dei crediti, se non aggiusta per tempo – nel segno dell’originalità riservata ai grandi della mente – qualche persiana delle finestre o una ringhiera di ferro pericolante, con sotto i pedoni che passano o i bambini che giocano. E ancor più preoccupante, il contesto, per chi usa gettare senza aprirle le raccomandate postali, con dentro i moduli di versamento; per chi scorda di prendere regolarmente gli antibiotici o gli anticoagulanti o le pasticche al litio: per chi non fa riparare i freni guasti o non cambia le gomme consumate dell’automobile.
12. Una treccia a tre fili colorati
Alcuni fra i nostri interpreti – per scandire immaginificamente quanto avvenuto, a partire dal 2004, nel campo dell’Amministrazione di sostegno – sogliono far riferimento allo Scooby Doo; quel giochino a basso costo (caro soprattutto alle bambine) che si compra dal giornalaio, e che consiste in tre fili di plastica di colore diverso, ad esempio rosso, verde e giallo, da ricomporre l’uno insieme agli altri, con le dita, in modo da formare una piccola treccia.
(a) In effetti, allorché la ‘’Bozza Cendon’’ era stata redatta, nel 1986, l’attenzione degli autori, circa le questioni riservabili al giudice o al vicario, si era rivolta in via pressoché esclusiva ai lemmi di tipo economico: e cioè spese ordinarie e straordinarie, canone tivù, condominio, garage, banca, conto postale, investimenti (giusti e sbagliati), contributi della badante, assicurazione, bollo auto, tagliandi, e così via.
(b) a partire dal 2004 il da farsi, per giudici e per gli amministratori di sostegno, era invece destinato a lievitare, sia nelle voci sia nei livelli generali. Anzitutto sotto il profilo sanitario.
Fino ad allora – salvo il caso degli interdetti e degli inabilitati, dove esisteva pur sempre un tutore o un curatore, in grado di prestare/incoraggiare il consenso – ad autorizzare l’atto medico, fuori dall’ipotesi dello ‘’stato di necessità’’, provvedeva di solito (allorché l’interessato non fosse in condizione di esprimersi direttamente) qualche familiare. Oppure si faceva capo all’espediente del ‘’consenso presunto’’, o dell’assenso ‘’tacito’’, secondo cui, dinanzi a un certo malanno fisico o psichico, è plausibile che chiunque di noi – contingentemente obnubilato o alienato – sarebbe d’accordo con le vie d’uscita proposte dal sanitario. Il giudice non veniva pressoché mai chiamato in causa.
13. Crisi del consenso presunto
Dopo l’entrata in vigore dell’AdS, alcuni fra gli scenari di cui sopra sarebbero caduti. I familiari non erano più abilitati a fornire, in quanto tali, un consenso informato per il congiunto; dovevano a quel fine essere stati prima nominati, ritualmente, amministratori di sostegno. L’espediente del consenso presunto – ora che in materia esisteva una normativa specifica – perdeva molto del suo credito presso i Tribunali. E di conseguenza presso i medici, consapevoli per primi dell’azzardo legale che incombeva, da allora in poi, per ogni gesto sanitario irregolare. Decisi pertanto a non subire accuse di violenza privata o di sequestro di persona o di abuso professionale, con i relativi corollari penali e risarcitori. Ecco perché, già nel 2004, si moltiplicheranno le istanze in cui un medico – per procedere a quell’atto, specie se di tipo chirurgico, talvolta anche poco impegnativo – pretendeva che entrasse in gioco qualcuno con le credenziali giuste: un fiduciario in condizione di prestare ufficialmente, riguardo al malato non in grado di esprimersi, il consenso informato.
14. Prima no e poi sì
All’inizio vi sarà – ricordiamo la cronaca dei Tribunali – qualche magistrato il quale respingerà l’istanza in questione: dichiarando di non possedere competenze formali, in quanto Ufficio dello Stato, sul piano sanitario/farmacologico. Sarà ben presto evidente tuttavia, a fronte di un medico deciso a non procedere di sua iniziativa, che l’unico modo onde uscire dall’impasse (evitando che fosse il malato a scapitarne) era quello di invitare il GT a nominare lui, con sollecitudine, un’“avatar privatistico’’: autorizzato espressamente nel provvedimento a prestare il consenso.
Dopodiché tutti i magistrati concordi, allineati in breve tempo. Il problema poteva dirsi temporaneamente risolto per l’Italia. Lacuna istituzionale colmata, salvo che per i casi (ma era già un altro discorso) in cui risultasse arduo reperire, di fatto, un incaricato disponibile alla bisogna; in assenza di un familiare a portata di mano. E le difficoltà si spostavano, semmai, sull’altra serie di crinali operativi – i più intricati fra tutti – al cui centro c’era un paziente non proprio lucido, magari, confuso sui dettagli, affetto da qualche tremolio psichiatrico; e fermamente contrario però (questo il punto) rispetto all’atto medico o farmacologico in questione. Si tratterà – ecco la conclusione – di una congerie di neo fattispecie medico/legali, spesso non semplici da ricomporre per il GT: ad esempio nell’eventualità di una mancata convergenza, presso lo stesso apparato sanitario, circa la via migliore da seguire.
15. Negozi di tipo personale
Non meno impegnativo, dopo l’avvento dell’AdS, il settore inerente al ‘’terzo filo colorato’’ dello Scooby Doo: quello relativo ai problemi di natura familiare e successoria. Pur tanto meno rilevanti a livello quantitativo, casi del genere, per come venivano affacciandosi sul tavolo del magistrato, apparivano nel 2004 di particolare delicatezza. Più di un giurista aveva prospettato, all’inizio, la conclusione secondo cui immaginare una delegabilità a terzi di momenti simili – così intrinsecamente legati al nucleo profondo di ciascuno, sul piano ideale e pulsionale – non fosse consentito nel diritto. Nessun alter ego avrebbe potuto gestire quei filamenti (tale l’assunto di fondo) in vece dello stretto interessato.
16. Una distinzione importante
Era una posizione che si articolava, sul piano casistico, in due distinti tronconi.
(a) Vi erano le ipotesi in cui appariva pressoché impossibile, salvo che in un film distopico, di fantascienza, immaginare una sostituibilità legale del beneficiario, in carne e ossa, quale autore del negozio.
Così ad esempio per atti come il matrimonio o il testamento: ambiti in cui (si osservava) la pregnanza del momento egoico/affettivo, non strettamente razionale e ufficiale, risultava palese a tutti.
(b) E vi erano poi le fattispecie in cui il dato cruciale, ai fini di una decisione circa il ‘’ponte di comando’’, poteva ravvisarsi (riguardo alle persone svantaggiate) non già nei tratti di una signoria ancestrale, d’ordine recondito/emotivo; quanto piuttosto nei lemmi del ‘’benessere oggettivo’’ per il singolo – alimentare, sopravvivenziale, metropolitano – con un’attenzione spiccata per il motivo del best interest.
Ad esempio là dove – come esito di iniziative tarate su provvedimenti come la separazione coniugale o il divorzio, o rivolte a un annullamento del matrimonio, a una rinuncia all’eredità, perfino a un riconoscimento del figlio naturale, o a una dichiarazione giudiziale di paternità – risultava pacifico cosa fosse e non fosse, anche psicologicamente, consigliabile per la miglior quotidianità dell’interessato (inerte ma non oppositivo).
17. Sì da una parte, no dall’altra
Bene dunque – ecco la conclusione – l’Amministrazione di sostegno, dopo un periodo di titubanza nelle Corti, per le evenienze tecniche del secondo tipo. No invece per quelle del primo tipo. Così è ancor oggi in linea di massima; sempre più diffusamente potremmo dire.
Naturale poi che la soluzione sarà destinata a complicarsi dinanzi a un beneficiario, afflitto da malesseri psichici, il quale si dichiari ostile – poniamo – al compimento di un atto personale per lui consigliabile, anzi necessario, secondo quanto suggerito dall’amministratore. O, in modo simmetrico, nel caso di un assistito incline alla conclusione di negozi che si annuncino, per lui, secondo l’opinione concorde del vicario e del giudice, visibilmente azzardati o temerari (ad es. il matrimonio con persona di dubbia moralità e affidabilità).
18. Centralità della persona del beneficiario
Il legislatore italiano ha avuto cura di sottolineare in più sedi, entro la cornice normativa del 2004, l’imprescindibilità (del motivo) della sovranità decisoria, nelle sue diverse declinazioni.
Autodeterminazione, libertà di gestione, propensioni hic et nunc: salvo eccezioni sarà il beneficiario a stabilire, così come meglio desidera, quel che rientra o non rientra nelle sue ‘’praterie d’inveramento’’ – e di tali elementi non si potrà non tener conto, fin che possibile, dagli operatori che lo attorniano.
Più d’una le disposizioni che interessano. Nell’art. 1 della l. 6\2004, si parla, in particolare, di "finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia’’. Nell’art. 406 cod. civ., di "ricorso per l'istituzione dell'Amministrazione di sostegno’’ che "può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato’’.
Nell’art. 407 cod.civ., di un giudice tutelare che "deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova’’ e che "deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa’’. Nell’art. 408 cod.civ., di scelta dell'amministratore di sostegno, che dovrà compiersi "con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario’’, precisandosi poi che "l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata’’.
Nell’art. 409 cod.civ. si sottolinea che "Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'Amministratore di Sostegno’’ e che egli “può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana’’. Nell’art. 410 cod.civ. viene stabilito che “nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario’’, che egli “deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso’’, aggiungendo che “in caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all'articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti’’.
19. Soggetti deboli e soggetti indeboliti
Scansato l’ostacolo, addolcite le creste, i problemi operativi verranno ad attenuarsi; scompariranno in parte dall’agenda del beneficiario. Non esistono in definitiva – ecco la conclusione di molti – creature “deboli intrinsecamente”; non si danno individui segnati da ombre arcane, ab origine, soggetti con un marchio scritto in fronte, tali una volta per sempre. Vi sono non più che esseri ‘’indeboliti’’ dalle circostanze, nel corso della stagione, cittadini resi claudicanti ex post, in via provvisoria; e ciò a causa di un’omessa rimozione degli ostacoli, da parte della Repubblica; per effetto di una proroga cieca e impigrita delle saracinesche, dei cavalli di Frisia dell’interessato.
L’ottica diventa così quella di un approdo/ritorno ai giusti ritmi, da ricercare attentamente, in vista di una rifioritura sostenibile. Così bisogna giudicare l’esistente, nella sostanza e già nelle parole che si impiegano. Non sarà fragile dunque, non almeno di default, il bambino rimasto orfano, esposto a insidie circostanti; il giovane extraeuropeo, magari albino e dai piedi rovinati, con ritardi di apprendimento. Casomai il minore privo di figure adulte sostitutive, istituzionalizzato sconsideratamente, ignorato dalle strutture educative; l’adolescente in cerca di affetto, buttato in un angolo, senza telefoni a portata di mano, senza i suoi colombi viaggiatori: la ragazzina bisognosa di un dentista, mancante di qualcuno in grado di registrare segnali, confidenze, invocazioni.
20. Persone con disagi psichici
Disturbi mentali? Di nuovo a contare – più che i misteri sotterranei – sarà il quadro dei rapporti con gli altri, il nesso di fluidità con l’ambiente. Indebolito potrà dirsi l’oligofrenico che i familiari sequestrino in casa, quello obeso per pigrizia, improduttivo suo malgrado, con gli occhiali da miope mentre gli servirebbero da presbite. Cesserà di esserlo, sarà meno in scacco, il giorno in cui gli operatori avranno rivisto il dosaggio di psicofarmaci, ritoccato le scadenze; inserendo l’utente in un circuito di impegni, di fermenti a sua misura, facendogli nominare un custode premuroso, procurandogli una pensione di invalidità. Ricomparirebbe, la parte oscura, il giorno in cui il nostro si trovasse interdetto senza necessità, dismesso dalla cooperativa, sottratto ai luoghi del tempo libero, boicottato nei legami sentimentali; minacciato qua e là nella sua riservatezza, ostacolato nello sport, scoraggiato nella coltivazione dei suoi hobby, affidato a un tutore (magari onesto ma troppo) austero e taccagno.
21. Altri esempi
Così di seguito. Non sarà fragile lo spastico, il sordomuto, il paraplegico avvolto in coltri idonee a valorizzare, al meglio, quanto il soggetto è in grado di compiere. Non Gregor - il neo-scarafaggio di Kafka, umano sino al giorno prima - qualora lo trattino in casa come un figlio malgrado tutto, come un fratello sfortunato. Non lo sarà la donna incinta, segnata da afflizioni psicosomatiche, che il consultorio sappia guidare dolcemente, sino al momento del parto; poi nei mesi successivi, con scrupolosità. Non sarà debole l’alcolista accolto in un centro che si prenda, continuativamente, cura di lui. Né il gay messo in condizione di accompagnarsi a qualcuno, alla luce del sole, di optare per un regime di comunione, di non testimoniare ai processi contro il compagno. Né il detenuto ospite di una prigione con celle adeguate, servizi di biblioteca, bagni puliti, contatti periodici, possibilità di tenerezze incluse, rispetto al mondo esterno; quello incoraggiato a organizzare quartetti d’archi dentro le mura, a diplomarsi, ad allevare uccellini.
22. Messe a confronto
Raffronti indicativi per l’interprete? Non tanto quelli tra la squadra dei "forti" da un lato, e la compagine dei "deboli" dall’altro; oppure i confronti – preziosi nei discorsi sul danno, un po’ meno rispetto al primo libro – tra ciò che un essere in difficoltà fa e disfa attualmente, con un minor tasso di freschezza, e il modo in cui il soggetto si muoveva, corpo e anima, prima che nella sua casella irrompessero i fattori di scompenso.
Piuttosto la messa a paragone – questa sì – fra quel che un “debole” si trova costretto a fare, contingentemente, e ciò che avverrebbe, per lui, qualora fossero attivi nella realtà i supporti (educativi, rincuoranti, sportivi, ospedalieri) capaci di neutralizzare, riguardo alle sue giornate, i riflessi negativi delle manchevolezze.
Parole chiave? Scambio, interfaccia, empatia: ponderare ciò che sta accadendo, dentro e fuori l’individuo, capire quali vie d’uscita saranno preferibili. Le leve giudiziali come percorsi elastici, da rinnovare ogni tanto, anche dietro istanza dell’interessato. Il bon ton quale insieme destinato a fluire, che dovrà spendersi con la giusta scioltezza – qualcosa privo di intralci, a misura d’uomo.
23. No a privilegi eccessivi
Il risultato che minaccia un’indulgenza eccessiva, alle volte, nello statuto della fragilità? A parte l’oggettiva iniquità per la controparte (vittima innocente del caso), potrebbe scattare una sorta di ingessamento – negoziale e sociale, per il soggetto privilegiato – quale contraccolpo indesiderabile; alla lunga un blocco ‘’pervasivo–esistenziale’’ nella sua agenda. Stante il presumibile rifiuto a monte, da parte dei terzi, a entrare in affari con creature autorizzate a monte, dall’ordinamento, a fare sempre ciò che vogliono, nel bene e nel male; creature ammesse ad agire anche capricciosamente, persino scompostamente, senza dover mai fornire spiegazioni, esenti per definizione da conseguenze. Meglio allora – opinano alcuni – prevenire per tempo i boomerang della vita corrente. Una tendenziale parità di trattamento, tra fragili e non fragili, nell’interesse anche dei primi, si profilerà a volte come la miglior linea di politica del diritto.
24. Gli artt. 428 e 2046 cod.civ.
Bene così un’impugnativa per (atti conclusi da) soggetti cui il potere dispositivo era stato, in via formale, sospeso o negato dal giudice tutelare.
Dubbi tuttavia sulla funzionalità di norme:
(a) come l’art. 428 cod.civ., secondo comma, che parrebbe consentire, una volta emersa la malafede della controparte, l’annullabilità anche di contratti equilibrati per sé stessi, impeccabili nella sostanza, nient’affatto dannosi per l’ ‘’incapace’’ - e che soprattutto rende inattaccabili il 99% dei contratti sbagliati fatti a distanza, tipo Amazon;
(b) o come l’art. 2046 cod.civ., che a beneficio degli infermi gravi di mente mantiene in vita una sorta di licenza a recare danni, senza dover pagare dazi, almeno in prima battuta.
Quale condominio in situazioni del genere – volendo metterla sul pratico – accetterebbe di ospitare al proprio interno una casa/appartamento per creature (‘’chi rompe stavolta non paga’’) instabili psichicamente? Quanti interlocutori, sapendo di aver a che fare con qualcuno facile da abbindolare, miracolato tuttavia dal sistema, in grado di sottrarsi agli obblighi esecutivi, a suo piacere, non preferiranno scansarlo a monte, isolare e ostracizzare già in partenza il ‘’fuorilegge’’?
25. Quando l'amministratore non può essere un familiare
Si sostiene da alcuni che la disciplina dell’AdS andrebbe modificata, a livello normativo o quantomeno applicativo, in un punto specifico; mai attribuire il ruolo di amministratore di sostegno al di fuori della famiglia – occorrerebbe pescare sempre, a tal fine, entro l’ambito domestico. Soltanto il coniuge, ad esempio, oppure un genitore, un figlio, un fratello, uno zio, un parente stretto; meglio se un consanguineo. Escluse altre soluzioni. Che dire al riguardo?
Occorre prudenza in questi casi, come sempre; bisognerà informarsi bene, ogni volta, candidato per candidato: lente di ingrandimento alla mano, per il magistrato. Accorgersi via via di ogni ombra, indovinare le furberie e i tranelli, procedere coi piedi di piombo. Diventare sospettosi, specie quando vi siano in ballo ‘’case e alberghi’’, analizzare il conto in banca, sistematicamente, il portafoglio titoli del beneficiario. Diffidare di chiunque si offra troppo disinvoltamente per quell’ufficio. Con scrupolo, meticolosità: il controllo può manifestare dei buchi a volte, non riuscire a smascherare gli imbrogli in atto, in cantiere.
26. Casistica
Va detto allora che l’inclinazione pro focolare, agli effetti della nomina, può essere accettabile in tutta una serie di ipotesi. È la linea che il legislatore ha fatto sua, del resto, allorquando ha indicato quello casalingo come il bacino entro cui attingere, in prima istanza, da parte del magistrato (art. 408 cod.civ.). Sono molte le situazioni però, ecco la realtà, in cui occorrerà indirizzarsi diversamente, scegliendo come amministratore un estraneo.
(a) Così anzitutto – per scendere a qualche esempio – quando non ci sia nessun parente cui far capo; è evidente che occorrerà qui pescare al di fuori. Lo stesso allorché il familiare esista, sulla carta, con un beneficiario che lo respinge però come gestore; nella misura del possibile andranno trovate altre soluzioni. Lo stesso nel caso in cui il congiunto, il quale potrebbe svolgere il compito assistenziale, detesti vivamente il beneficiario, e viceversa; o quando il candidato appaia indisponibile, e faccia sapere, motivatamente, di non voler assumere siffatto munus; oppure nel caso in cui il familiare abbia passato il proprio tempo – capita a volte – a derubare il fragile in passato, a truffarlo, a insidiarlo, ovvero nel caso in cui sussista un serio contrasto d’interessi, fra i due.
(b) Idem allorché il familiare risulti portatore di gravi dipendenze, tipo alcol, droga, sostanze, disturbi alimentari, gioco d’azzardo; o quando egli si trovi in carcere, oppure abiti in Australia o in Canada.
Conclusione analoga quando il familiare (candidato) appaia gravemente malato o disabile; o sia un centenario, o abbia meno di 18 anni, o sia interdetto o inabilitato, o risulti a sua volta un beneficiario di AdS. Oppure quando si tratti di un soggetto analfabeta, ritardato tecnologico, inesperto rispetto alle questioni che interessano la vita del fragile; o sia un credulone inguaribile, uno spilorcio, come peggio non si potrebbe, oppure un essere maniacale, smemorato, imprudente per natura, negligente di carattere, prodigo con tutti, ribelle patologico, seguace di sette misteriose.
In generale, allorché ci si trovi in presenza di un gruppo familiare – quello di partenza – pieno di odio, intrinsecamente tossico, un nucleo di vipere; con dissidi gravi e ricorrenti, con minaccia di ricadute negative per il beneficiario (tenuto conto anche delle convivenze in atto), laddove uno dei parenti diventasse AdS.
27. Abrogare l’interdizione
A vent’anni dall’entrata in vigore della legge n. 6 del 2004 sono maturi, oggigiorno, i tempi per far luogo all’abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione. Non sussiste alcun motivo valido che giustifichi la conservazione, nel codice civile, dei due vecchi modelli “incapacitanti’’. E anzi tale abrogazione è divenuta non più rinviabile, per un ordinamento che voglia dirsi realmente sensibile ai diritti fondamentali dell’individuo – quali, in primo luogo, la dignità personale e il diritto al sostegno. Una chiara indicazione in tal senso proviene dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’Osservatorio ha, in particolare, elaborato un documento nel quale riferisce circa le osservazioni e istanze formulate dal Comitato Onu, riguardo all’attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. La preoccupazione del Comitato è che si continui oggi a “perpetuare la sostituzione’’ della persona disabile, mediante il ricorso a un tutore, per quanto concerne le decisioni da assumere. La raccomandazione è nel senso di abrogare, in concreto, le leggi che permettano siffatta sostituzione, per giungere ad assetti imperniati su un presidio autentico del processo decisionale. Sulla base di detta istanza l’Osservatorio passa allora in rassegna – con la lente di ingrandimento – le tre misure difensive contemplate oggi nel codice civile; ciò allo scopo di vagliarne la compatibilità con le indicazioni del Comitato. Riguardo all’interdizione, in particolare, l’Osservatorio così si esprime: “Sicuramente la prima delle tre misure di protezione giuridica (interdizione) deve essere abrogata, visto che prevede la sostituzione della persona con disabilità da parte del tutore nominato dal Giudice sempre e per l’esercizio di qualsiasi diritto, patrimoniale e non (incluse le scelte esistenziali: dove vivere, ecc.) parlandosi in tal caso di ‘rappresentanza esclusiva’ (il tutore compie gli atti da solo e firmando in nome e per conto della persona interdetta)”. Tale passaggio condensa in poche parole il d.n.a. dell’interdizione, ovverosia il taglio espropriativo e di totale rimpiazzo per la creatura in difficoltà; la quale si trova collocata dal tribunale – come spesso vien detto – entro una maglia giuridica equivalente alla morte civile. Con l’interdizione la persona viene dichiarata, urbi et orbi, legalmente incapace di agire, il che comporta un'estromissione dalla possibilità di compiere qualsivoglia atto produttivo di effetti giuridici (contratti anche semplici, negozi di natura personale, come il matrimonio o il riconoscimento di un figlio).
28. Neppure ha senso oggi l’inabilitazione
Al riguardo, l’Osservatorio ricorda come il Curatore intervenga, qui, ad “assistere’’ e non già a “sostituire’’ la persona, nel compimento dei soli atti di straordinaria amministrazione; talché l’interessato rimane libero di compiere quelli di ordinaria amministrazione. Pur tuttavia, prosegue il documento, “i poteri del curatore e quindi l’ampiezza dei suoi poteri è già declinata in maniera generale nel codice civile, senza aver cura di calibrare tale attività rispetto alle esigenze di supporto del caso concreto; quindi all’eventuale ricorrere di alcune condizioni stabilite dal codice civile, si prevede che il curatore agisca sempre in una certa maniera nell’‘assistere’ la persona nel compimento di tutti gli atti di straordinaria Amministrazione controfirmando e dando valore agli atti. ovvero non controfirmando gli atti posti in essere dalla persona con disabilità e quindi bloccandoli”. Da qui la necessità – secondo l’Osservatorio – di abrogare pure l’inabilitazione: “Anche rispetto a tale misura di protezione giuridica, si deve considerare l’automatismo nell’attività di una figura (curatore) che interviene, con una sorta di potere di veto, nelle scelte della persona con disabilità su un novero di atti già identificato dal codice, semmai per il ricorrere solo di alcune condizioni che non permettano solo alcuni di tali atti di straordinaria Amministrazione”. In effetti l’istituto dell’inabilitazione risulta da tempo disapplicato, in Italia, sostituito com’è nella prassi dall’Amministrazione di sostegno; e tale sfioritura conferma la necessità di procedere a una cancellazione formale.
29. Conferme
La stessa Convenzione delle Nazioni Unite, sui diritti delle persone con disabilità, fa obbligo agli Stati di prendere le misure necessarie a che le persone con disabilità ricevano il sostegno di cui hanno bisogno per esercitare la loro capacità (art. 12, par. 3). Tutte le misure statali suscettibili di incidere sulla capacità, precisa la Convenzione, devono essere tarate sulle specifiche esigenze della persona interessata, e devono tener conto della volontà e delle preferenze di quest’ultima (art. 12, par. 4). E nello stesso Preambolo della Convenzione – come rammenta ancora l’Osservatorio – “si riconosce la necessità di promuovere e proteggere i diritti umani, incluso quindi quello più intrinseco all’essere Persona, quale quello all’autodeterminazione, per tutte le persone con Disabilità, incluse quelle che richiedono un maggiore sostegno, anche ad intensità elevatissima”. Va poi sottolineato che la nostra Corte di Cassazione, con sentenza 25.10.2012, n. 18320, ha sancito la piena compatibilità sostanziale dell’AdS rispetto a tali indicazioni; a differenza di quanto non possa dirsi (ecco il punto) per una figura come l’interdizione, che appare una risposta non proporzionata allo scopo, quale misura in sostanza irrevocabile, di fatto non revisionabile. Merita anche segnalare come, a favore dell’abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione, si sia pronunciato in modo esplicito – nell’ultimo ventennio – l’intero Gotha della dottrina civilistica italiana: basterà ricordare qui i nomi di R. Sacco, P. Rescigno, C. M. Bianca, P. Schlesinger, S. Rodotà, F. Busnelli, P. Perlingieri.
30. Ragioni a favore della dignità e libertà
È il caso di ricordare, in estrema sintesi, le negatività tecniche che sono proprie dell'interdizione (e dell'inabilitazione):
- Taglio sterilizzante/ostracistico: la persona interdetta viene collocata in automatico, s’è detto, entro uno status equivalente alla morte civile. Con l’interdizione la persona diventa legalmente incapace di agire, ciò che comporta l’esclusione della facoltà di compiere qualsivoglia negozio, produttivo di effetti: nessun contratto, nessun acquisto possibile, non il matrimonio, né alcun atto di natura personale. E l’articolo 427 primo comma del codice civile, che voleva addolcire tale durezza, è rimasto lettera morta nei tribunali. La c.d. '’protezione’' fornita dai vecchi istituti tradisce, è stato detto, valenze eminentemente punitive, escludenti per il “debole’’, motivi che non appaiono più tollerabili in una società evoluta;
- Mancanza di valore terapeutico/ricompositivo: alla formale incapacitazione della persona a disagio, in tutto il suo essere, non si accompagna (come default) alcun progetto di risocializzazione/empowerment;
- Enfasi eminentemente economicistica: i soli interessi presidiati mediante i vecchi istituti figurano quelli economico–patrimoniali, con l’occhio soprattutto ai familiari e ai parenti;
- Scarsa trasparenza del procedimento, insufficienza delle garanzie formali concesse all’interdicendo: l’interessato rimane oggi, di fatto, ai margini del giudizio civile; nonostante il codice di procedura civile gli riconosca la capacità di stare in giudizio personalmente (art. 716 cod. proc. civ.), tale norma appare di fatto disapplicata (tanto che il ricorso introduttivo non viene quasi mai notificato personalmente all'interdicendo);
- Irrevocabilità “pratica” della misura: una volta interdetta, la persona è destinata nel 99% dei casi a rimanere tale, per il resto dell’esistenza. Nonostante la possibilità di revoca dell'interdizione (e dell'inabilitazione) figuri astrattamente prevista dalla legge, e malgrado l'esistenza dell'Amministrazione di sostegno costituisca, in quanto tale, ragione valida per liberare l’incapace dalle vecchie misure, i casi di revoca effettiva risultano quantomai esigui.
31. Spirito e linee dell’AdS: spiegare e diffondere
Non sempre dagli addetti ai lavori, dalle autorità, dai professori, dagli esperti vengono coltivati - con la necessaria solerzia - i profili della formazione, culturale e istituzionale: offrire alle famiglie e al vasto pubblico, agli stessi operatori on the field, i chiarimenti opportuni circa i ‘’motivi’’ della legge 6/2004. Lavorando anche sull’esegesi sui testi normativi, fornendo i ragguagli sistematici del caso. Momenti tanto più importanti per un’area non scontata - arieggiante com’è al ‘’diritto dal basso’’, da riplasmare e adattare per ogni situazione – qual è la difesa dei meno fortunati. Esempi di errori in proposito? A fornirne uno significativo è un recente decreto giudiziale: dove leggiamo che l’amministrazione di sostegno, a livello di diritti e di poteri, costituirebbe sempre una misura "incapacitante’’; nel senso che ogni applicazione dell’art. 404 cod.civ. produrrebbe, lo si voglia o meno, qualche restrizione nella sovranità del beneficiario. Si tratta – secondo quanto risulta dall’art. 409, primo comma, cod.civ. – di un’affermazione sicuramente lontana dal vero. Ed è sufficiente pensare al campo delle disabilità fisiche: dove potrà ben manifestarsi civilmente, qua e là, la necessità di un ausilio tecnico, a favore dell’interessato, fra cui la nomina di un vicario ad negotia (art. 404 cod.civ.); e dove raramente si segnalano, però, insidie tali da giustificare soluzioni restrittive della sovranità. Lo stesso vale – può aggiungersi – per settori come quelli delle persone anziane, dei fragili istituzionali, dei malati cronici, del fine vita.
32. Formazione, sensibilità a 360°
Né il discorso è limitato all’area degli atti e dei contratti, in senso stretto. Esempi ulteriori possono ricercarsi oltre l’ambito prettamente negoziale, dispositivo. Basta pensare ai risvolti di emotività che costellano, tendenzialmente, l’aggravarsi di un deficit psicofisico; più in generale, ai fondali umani e antropologici della volontaria giurisdizione, quale ramo del diritto privato. È palese come solo una buona educazione spirituale e interdisciplinare – presso chi è chiamato a decidere – potrà abbassare qui il rischio che venga trascurato l’ascolto degli svantaggiati, il dialogo sereno e pacato con loro. Che si eviti di indagare circa gli effetti psicologici delle decisioni assunte in Tribunale; che non sia controllata via via la qualità delle regole e delle atmosfere che vigono nei luoghi di cura, negli asili, negli hospice. Che escano qua e là calpestate le prerogative dei familiari del beneficiario, accolto in una casa di cura o in una RSA.
33. Haters seriali, gruppi antipsichiatrici
Altri imprevisti sono quelli legati al diffondersi, presso la communis opinio, di momenti di ostilità preconcetta – di avversioni umorali, spesso distillate a tavolino – nei confronti dell’amministrazione di sostegno, come entità del primo libro del codice. Beninteso rispetto alla legge 6/2004, cioè alla sua applicazione in Tribunale, si incontrano spesso critiche ben argomentate, giustificate nei fatti; critiche mosse da spirito costruttivo, allora, dentro e fuori i palazzi di giustizia, rilievi accorti e provvidenziali, lamentele che centrano in modo sapiente il bersaglio.
Alle volte ci si trova dinanzi invece, specie negli ultimi tempi, a contestazioni che travalicano le soglie della ragionevolezza, della buona fede: invettive di stampo aprioristico, programmatico, avvelenate da un che di strumentale, cahiers e requisitorie che sembrano venire da lontano, accuse intrise di un fiele di bottega.
34. Scontentezze croniche
Due al riguardo, fra esasperazioni accumulatesi nel tempo e sbandamenti polemici, le tipologie di base.
Da un lato si segnalano gli ’’infelici cronici’’, nel mondo nell’AdS: donne e uomini un po’ incattiviti, esacerbati internamente, cani perduti senza collare, con poche speranze, vittime pure e semplici della sfortuna. Persone nei cui confronti la sorte, in passato, si è accanita più o meno crudelmente; esseri che hanno perduto l’affetto di una persona cara, magari in circostanze drammatiche, scontratisi poi con decisioni avvilenti dei medici, del capo ufficio, dell’assessorato, della caserma: individui colpiti e inaciditi da sfratti, espulsioni, pignoramenti, usciti non bene da espropriazioni giudiziali, da conflitti in famiglia, da licenziamenti. Creature passate da un insuccesso all’altro, nella vita, rimbalzanti da una comunità a un ospedale, da un reparto cattivo a uno ancora peggiore. Anime schiave di qualcosa, incollerite, senza più sogni, costrette a vivere in condizioni penose.
35. Astuzie nei media
Sull’altro fianco si collocano – figure assai diverse – certi ‘’addetti all’informazione’’, grandi esperti della cronaca spettacolare, circense. Professionisti abili a far nascere le breaking news, quasi dal nulla, in ambito di fragilità umana e risvolti giuridici. Insuperabili nel fiutare scoop e colpi di scena, per il mercato, esaltando ciò che convenga, attraverso i report, in vista di un aumento del fatturato, degli applausi, tacendo tutto il resto.Autori di trasmissioni giornalistiche, responsabili di testate, di blog, odiatori che frequentano Facebook, talvolta aggregatori di vittime sentimentali. Gente familiarizzata con l’universo televisivo, che ben conosce le debolezze subliminali del pubblico, legata magari a compagini antipsichiatriche, a giuristi spregiudicati, a ex compagne di un disabile famoso. Gruppi consumati nel trasformare le storie di miseria, di débauche, ogni neo-vertenza di carta bollata, in qualcosa di mondano, di stuzzicante a livello mediatico; gonfiando qualsiasi riflesso atto a indignare i lettori, gli ascoltatori, a commuoverli in profondità. Comunicatori maestri nello svelare – con forti impennate nell’audience (fra gioielli rubati, macchine di lusso, firme estorte, quadri scomparsi) – i tristi segreti di vecchie celebrità del cinema, di star musicali, di personaggi di spicco.
36. Che fare
Difficile immaginare qui contromisure.
Vedremo come possano reagire, in certe ipotesi, gli uffici giudiziari.
Altrimenti? La frangia del pubblico più ragionevole si lascerà persuadere, ogni tanto, a tentare di contro-informarsi: in cerca di versioni meno tendenziose, presso qualche tivù o giornale on line. Decidendo poi se credere davvero alle tesi di complotti segreti, orditi dai giudici, dai p.m. e degli amministratori, contro quel beneficiario.
Una quota consistente, anche se minoritaria, non cambierà affatto opinione. Non presterà fede ad altre versioni; continuerà– spesso ignorando dove sia disciplinata l’AdS, non avendo messo piede mai in Tribunale, all’oscuro di cosa sia la Cassazione – a ripetere che l’intero ‘’sistema’’ è sbagliato, in Italia, a giurare che i magistrati sono per metà senza cuore, per l’altra metà collusi con gli amministratori. A insistere che questi ultimi sono per terzo dei ladri, per un terzo degli indifferenti patentati, per un terzo degli accaparratori di fascicoli.
Una parte significativa dirà invece che, al mondo, i disguidi accadono purtroppo, che certe risposte dei magistrati suonano frettolose, che alcuni divieti di accesso agli ospizi e alle cliniche sono eccessivi. E che dietro quell’avvenimento "tenebroso’’ non ci sarà magari il dolo, un po’ di colpa sì però - più o meno lieve - in chi ha preso le decisioni.
37. Il mondo dei giudici
Altri passaggi critici sono quelli legati al funzionamento dei Tribunali.
La prima osservazione, in proposito, è che l’amministrazione di sostegno deve molto del suo sviluppo positivo, dopo il 2004, a una coppia di elementi. C’è anche del buono, del confortante a livello istituzionale, nella conduzione del diritto.
Bene in particolare – verso il basso – la lungimiranza con cui tanti giudici tutelari hanno saputo cogliere, fin dal primo momento, l’essenza della novità del 2004: obbedendo alla saggezza del cuore, alle voci del coraggio, non tirandosi indietro rispetto a una serie di dilemmi applicativi. Non ripiegando sulle linee più comode, tralatizie, nel decidere su questo o quel garbuglio.
Bene poi – verso l’alto – l’atteggiamento della Corte di Cassazione: che su molteplici versanti, sostanziali e processuali, ha mostrato di condividere fin da subito le ambizioni più luminose dell’AdS; ponendo ogni approccio alla materia, tanta rifinitura teorico-pratiche, al servizio dei meno forti e più scoperti della società. A presidio dell’istanza ad avere, in Italia, regole lievi e civili sul disagio.
38. Disfunzioni
Con questo non si vuol dire che tutto, presso le Corti nostrane, proceda al meglio.
La volontaria giurisdizione non vanta, presso i magistrati, un’immagine granché attraente. Solo una minoranza tra i vincitori di concorso è disposta a occuparsene, a vederla come un buon tramite, da sperimentare utilmente per un lawyer.
La progressione di carriera non è strutturata - a livello cartaceo, negli incentivi formali - per valorizzare il lavoro dedicato ai meno felici, agli esseri più inanimati della schiera. Un "mestiere da donne’’, quello del giudice tutelare, un impegno "da assistenti sociali’’, pensano in tanti (anche se non sempre lo si dice). Una professione in cui i decreti dell’AdS varranno poco come titoli; dove otterranno blandi riscontri, per salire di grado, i pomeriggi spesi a colloquiare con gli assistiti, le mattinate a sentirli pazientemente. Dove garbo e premura verso i derelitti, i perdenti del milieu, lasciano il tempo che trovano.
Col numero dei beneficiari in costante aumento, poi, con fascicoli mai definitivi, stanti le continue novità nella vita degli interessati. Fatiche aggiuntive in Tribunale, altrettanti accomodamenti nel dossier, che non promettono avanzamenti di sorta.
Non era meglio tutto sommato – si chiedono alcuni – non tentare nulla di funambolesco, nel 2004, non era saggio accantonare i fremiti da Don Chisciotte? Non c’era più umiltà nell’arrendersi al destino, filosoficamente, rinunciando ai sogni di grandezza, volando bassi con le riforme? Non era raccomandabile – quel fine 2003 - astenersi dai propositi di cambiare il mondo, a colpi di diritto civile? Non era più sensato voltare e le spalle ai sogni, al buonismo quale metodo, non conveniva lasciare che i poveretti si arrangiassero, cavandosela da soli, come sempre, ognuno per i fatti propri?
39. Decreti-fotocopia
Come numero i magistrati risultano oggi insufficienti, tendenzialmente, nelle stanze e nelle cucine dell’AdS. Spesso sono davvero pochi, gli addetti al lavoro, non reggono decorosamente alla bisogna; con un organico già in crisi, in varia misura secondo le sedi territoriali. Le energie personali che potrà dedicare ai ‘’clienti’’ ciascun giudice, dipendono dal contagocce; le clessidre previste per chi bussa alla porta, non sono adeguate, né in partenza generose. Mancano setacci appropriati nella formazione, che rassicurino circa le attitudini – liquide, introspettive, relazionali – per chi dovrà gestire i temi della sofferenza.
Così anche nei Dipartimenti di Giurisprudenza, in quelli di Scienze morali, così fra i manuali delle professioni d’aiuto, nelle aule universitarie.
Il ricorso a giudicanti non togati, nei cui confronti i filtri di assunzione non sono sempre rigorosi, è talora esorbitante; le deleghe interne eccessivamente disinvolte, in certi casi, generiche.
Finisce per cronicizzarsi così, giorno dopo giorno, la prassi dei decreti fatti in serie, troppo laconici e allo stesso tempo troppo ampi, come dettato. L’approdo a provvedimenti emessi in serie, con la fotocopiatrice: l’opposto di quella logica del "vestito su misura’’, confezionato ago e filo per quel certo individuo, in cui tanti interpreti avevano giustamente ravvisato – fin dall’inizio – l’anima stessa dell’AdS.
40. Occuparsi degli altri
Interrogativi ulteriori attengono alla figura dell’amministratore di sostegno.
Al fondo della riforma, sembra esservi la fiducia che l’Italia 2024 abbondi di Cirenei ansiosi di occuparsi del prossimo, spontaneamente, evangelicamente. Felici di aiutare chiunque balbetti, incespichi - chi non sappia gestirsi da solo. Senza mai chiedere cosa vi sia in cambio, come riconoscimento; senza informarsi se arriverà un corrispettivo prima o poi, per l’opera prestata. E v’è pure l’idea che i destinatari del soccorso, per la maggior parte, si conformeranno volentieri alle indicazioni ricevute, alle scelte fatte nei loro confronti; con sentimenti di gioia, per quanto hanno ottenuto, ringraziando per la fortuna, ogni volta che possono. Sarebbe anzi tale remissività a giustificare poi l’abnegazione del gestore, sull’altro versante; compensandolo per le energie spese pro assistito: innescando così un gioco di scambi virtuosi, fatti di buoni sentimenti, in cui tutti gli attori in scena si apprezzano e si complimentano, vicendevolmente, nella luce del Signore.
41. Resistenze, manchevolezze
Così non è in effetti, nella maggioranza dei casi.
Lo si è già detto: i beneficiari sono spesso – a vedere le cose come sono, non come si vorrebbe che fossero – persone ferite dalla vita; vittime offese in modo profondo, talora beffardo. Individui poco collaborativi, mortificati dentro e fuori. Delusi nei sentimenti e frustrati dal lavoro, amareggiati dall’ex–riformatorio, dai Sert, dal carcere, dal pronto soccorso, dalla comunità terapeutica. Esseri convinti – a volte al crepuscolo - di avere il diritto che ci si occupi di loro, amabilmente, senza indugi, dando il meglio che c’è; pronti a incolpare a ogni passo lo Stato, il Governo, non inclini a particolari sentimenti di gratitudine.
Ancora: le Regioni italiane che hanno legiferato in tema di AdS sono, fino ad oggi, la metà del totale nazionale; manca nelle altre - oltre al resto - la previsione di un fondo utile a pagare le indennità per i beneficiari incapienti: col risultato che gli amministratori, rispetto a questi ultimi, si vedono costretti a lavorare gratis, a volte, rimettendoci magari di tasca propria.
I giudici, quando cercano un amministratore di sostegno, là dove manchi un familiare adatto, non sanno spesso a chi rivolgersi. E finiscono così per far capo a certi studi di avvocato, quelli cui si sono abituati, nello smistamento delle pratiche, che da tempo godono della loro fiducia. Buoni legali magari, tecnici bravi nella procedura, sempre quelli però ripetitivamente: stesso indirizzo, stessa pec, stesso codice fiscale. Sicché troviamo nelle città professionisti i quali accumulano e concentrano oggigiorno, sopra di sé, decine e decine di fascicoli di AdS; con quali risultati - ai fini di un accudimento gentile, personalizzato dei sofferenti - si può ben immaginare.
"Beato il paese che non ha bisogno di eroi’’, diceva Bertold Brecht.
42. Disparità comunicative
Gli inconvenienti del riserbo obbligato, adesso. Dinanzi alle campagne ordite da certa stampa, i Tribunali appaiono qua e là disarmati. I pericoli sparsi, i dettagli che hanno indotto quel dato giudice ad adottare, poniamo, un provvedimento restrittivo dell’accesso al conto bancario, a bloccare un matrimonio, a optare per l’entrata in una casa di riposo: ebbene, si tratta di particolari che non possono venir rivelati, esternamente, coperti come sono dai sigilli della discrezione, della riservatezza. Così la pubblica opinione, cui mancano i dettagli esplicativi, illuminanti, può uscirne seriamente sconcertata: ha l’impressione di una giustizia frettolosa, di crudeltà commesse senza ragione. Gli elementi negativi, come look complessivo, finiscono così per sopravanzare quelli positivi, nell’amministrazione di sostegno; il che ha l’effetto di appannare l’immagine stessa della giustizia, il suo stemma araldico, quale circolante nel paese. Con l’ingenerarsi di complicazioni non da poco, allora, per quanto concerne lo stato d’animo, le propensioni naturali negli utenti; ciò anche presso le famiglie dei beneficiandi, in generale, riguardo alle future evenienze.
43. Correttivi, aggiustamenti
Il tema è complesso, ci si può forse interrogare sugli antidoti – non è semplice trovarli.
Basterà a volte (a tranquillizzare gli scettici) il computo dei fascicoli rispetto ai quali le cose procedono invece, a livello di territorio, ragionevolmente bene o almeno in modo discreto e talora proprio risolutivamente, con riguardo all’AdS?
Confidare poi che la buona stampa, se non altro nei dossier coinvolgenti celebrità dello spettacolo, riuscirà a mettere mano sui delitti nascosti – piccoli crimini, affiorati dalle pieghe di un processo penale, a sorpresa - da passare poi al campo civile, per il grande pubblico?
Incoraggiare infine i Tribunali a pubblicizzare ogni tanto (se non proprio le brutture dei casi singoli) quantomeno i binari e i fuochi ispiratori lungo cui, per l’anno in corso, si svolgerà in ufficio la gestione dei fascicoli – il metodo abituale di lavoro, lo stile degli interventi tecnici, riguardo alla protezione dei bisognosi, agli orizzonti operativi che si assumono - in chiave di politica del diritto?
44. Il patto di rifioritura
Come riuscire – altra questione adesso – ad aiutare chi sia afflitto da serie dipendenze, tali da fiaccarlo nel corpo e nello spirito, come fargli ritrovare il sentiero perduto?
Primo passaggio, allora, affidarsi alla regia di un’autorità sperimentata, ossia il giudice tutelare. Anche là dove il dato sanitario figuri in primo piano, resteranno decisivi, per l’agenda di chi zoppica, i momenti di tipo non biologico: il focolare, il lavoro, il tempo libero, la scuola, le intese col volontariato.
Meglio sia un’équipe composita, suggeriscono allora certi interpreti, a occuparsene istituzionalmente. Il timone rimesso a chi è abituato, per mestiere, a soppesare e bilanciare i risvolti secolari del giorno per giorno, del tenore di vita.
(a) E occorre abbandonare l’idea di un marchingegno ospedaliero – tipo la settimana del trattamento obbligatorio, di cui alla legge 180 – esaurentesi in pochi giorni.
Le cose vanno viste come destinate a svolgersi in più fasi: continue, progressive, all’insegna di un accorto interscambio, del non primato per i muscoli e la chimica. Con alternanze di passaggi, medici e non medici, fintantoché la presa in carico perduri; qualche mese di impegno o anche più tempo, nella coscienza che i miracoli sono rari, che necessitano di pazienza, di realismo. Un metodo condiviso, il più possibile. Meno diritto penale, meno psichiatria. Che non escluda all’orizzonte l’eventualità di momenti energici, all’occorrenza, di ‘’coazioni benigne’’: nel segno di un richiamo ai doveri della civitas, per l’assistito, della coerenza operativa.
Ogni sacrificio – giri di boa, astinenze virtuose, rinunce alla tossicità, self–restraint – concertato col gruppo istituzionale di ripristino: in stretta armonia d’intenti.
Chi brontola o protesta, invitato a smetterla - dal cane pastore, dall’équipe salvavita - per il bene di tutti quanti: ammonito a rispettare gli accordi, ‘’altrimenti si andrà avanti col programma’’, piaccia o non piaccia, fino in fondo.
(b) Resta da aggiungere come l’Amministrazione di sostegno si sia confermata, dopo anni di applicazione, quale corpus pienamente rilevante ai sensi dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione. Figura e bastione istituzionale in grado di legittimare - con le dovute garanzie - diffide/ultimatum in ordine ai doveri che ogni individuo accusa verso se stesso (autoprotezione, dignità, onore, cautela); nonché in merito agli obblighi che gravano, su di lui, rispetto ai familiari e alle persone che lo attorniano (assistenza, mantenimento, educazione, promozione).
45. Quattro storie
Non dovrà più accadere così che Bianca – diciottenne tossicodipendente, a rischio di autodistruzione, facile preda di malintenzionati – possa uscire a suo piacere dalla comunità che la ospita. Al custode che vigila alla guardiola sarà stato attribuito dal Tribunale, in partenza, il potere di rifiutare alla ragazza, che lo domandasse, l’apertura del cancello.
Ancora. Luciano, un ludo–dipendente, poker, macchinette, corse al trotto: tre giorni dopo aver preso lo stipendio se l’è già "fatto fuori’’; risultato i bambini di casa denutriti, senza scarpe, la moglie che non può andare dal dentista. Un provvedimento giudiziale, circoscritto ai meri profili finanziari, non esteso agli aspetti sanitari, terapeutici, farmacologici, potrebbe reputarsi per il futuro, con buona ragione, non proprio adeguato.
Evelina, aspetta un bambino da un mese e mezzo, risulta che fino al giorno del concepimento si faceva di eroina, un giorno sì e un giorno no. Andrà messa in condizione di non poter assumere nessuna sostanza, non perfettamente innocua, sino al parto concluso, e anche dopo se allatta.
Gregorio, beve ogni giorno sino a stordirsi, non appena ubriaco picchia moglie e figli, quando non è assecondato. Un itinerario all’insegna dell’ascolto, disseminato però di aut–aut, di robuste saracinesche, di allontanamenti prolungati, dovrà al più presto – secondo quanto suggeriscono il sociologo, il farmacista, l’analista dell’anima – tratteggiarsi dal magistrato.
46. Matrimonio sì o no
Infermiera tuttofare. La diciannovenne dell’est, bionda di capelli, sensuale, occhi da gatta, che vorrebbe sposare il novantenne arzillo a lei affidato, milionario, apparentemente felice di impalmare la giovinetta e, difficoltà linguistiche a parte, di farla sua. Sì, oppure no alla cerimonia, deve decidere il giudice, sollecitato dai parenti preoccupati per l’eredità: è questo un matrimonio che s’ha da fare? Sì allora – è il responso – qualora lei figuri almeno un minimo affidabile, di buona indole: non troppo rapace, gentile, ragionevolmente onesta, affezionata quel tanto che basta.
No alle nozze invece (basterà e avanzerà una convivenza di fatto, per i colombi) se è evidente che la biondina comincerebbe, già al secondo giorno della luna di miele, a spolpare il ‘‘marito’’; se è una pessima cuoca che gli preparerebbe, magari apposta, piatti poco digeribili; se è ben chiaro che, entro breve tempo, porterebbe in casa qualche amante; se è scontato che quelle mini–tenerezze, ragione non ultima per cui lui vuol darle il suo nome, lei smetterebbe tre settimane dopo la cerimonia di prodigargliele.
47. Ultime volontà
Cosi press’a poco per le decisioni relative al testamento.
S’intende che, in merito a quello olografo, l’interessato può scrivere sul foglio di carta quello che gli pare, magari quello che gli detta lei, vocabolario alla mano, dietro le sue spalle; si vedrà poi in sede di giudizio sull’impugnativa.
A livello notarile tutto si sposta sul momento iniziale: che cosa ammettere e che cosa bloccare subito?
No alla validità dell’atto allora – no alla sua possibile redazione – qualora le lusinghe amorose mostrino di oltrepassare una certa soglia, di seduttività e di scaltrezza; allorché la lucidità del testatore riveli, specularmente, di scendere sotto un certo limite, ogni giorno peggio.
Sì invece, coi debiti scongiuri, nell’ipotesi opposta.
Resta solo da interrogarsi – presenze ammaliatrici a parte – sul ruolo che è o sarebbe affidabile all’amministratore, in vista della messa a punto di un testamento notarile, al limite perfino olografo, da parte di un de cuius con qualche ombra cognitiva; deciso però a far sentire la sua voce, l’ultima per il ‘’dopo di me’’, nel consuntivo che gli resta. Si tratta, comunque, di interrogativi quasi interamente de iure condendo.
48. Atti della vita quotidiana
Il fatto di accusare disturbi mentali non significherà che la persona non possa, sul piano delle iniziative, collaborare alla propria rinascita. Anche sul piano contrattuale.
Anzitutto è pacifico che un individuo, per quanto instabile o bizzarro, è pressoché sempre in grado di compiere gli atti della vita di ogni giorno. Nessun barista, al "pazzerello’’ che gli chieda un cappuccino, porgendo due euro, potrà mai rispondere dunque: “Non ti servo, sei fuori di testa. Puoi restare nel mio locale, niente però consumazioni; al massimo un bicchier d’acqua dal rubinetto, in regalo”.
Lo stesso per quanto concerne il fornaio, il tassista, il salumiere, il calzolaio, il fruttivendolo (art. 409 cod.civ., ultimo comma).
Conclusione analoga, fin che possibile, rispetto a negozi meno semplici.
Non si parla di operazioni societarie, beninteso, né di fusioni tra banche. Ciò che è sensato dovrà accogliersi tuttavia – in vista di una miglior risocializzazione – nella portata virtuale del fragile; almeno in chiave informativa, di partecipazione ai vari anelli.
Complicità, accompagnamenti; mai esclusioni o segretezze, nessun individuo messo di fronte al fatto compiuto. Decisive nei dettagli, sempre, le caratteristiche del caso specifico: natura del vulnus cognitivo, curiosità e disponibilità al coinvolgimento, importanza del contratto da stipulare, costi/benefici sulla carta, idoneità di un’assistenza (doppia firma) civilistica.
49. Neo-sovranità negoziali
Neanche il fatto che un individuo sia "incapace di intendere e volere’’, secondo i crismi ufficiali, significherà che i suoi propositi interni non contino
Una persona può non aver stilato disposizioni anticipate, non aver lasciato alcunché di solenne: rimarrà libera di indicare al medico, al momento cruciale, cosa debba accadere di lei, del suo corpo. E se il paziente è obnubilato, magari in coma, sarà comunque decisivo ciò che egli risulti aver detto, ai familiari e agli amici, quando stava bene di salute. Tutti al mondo parlano, si esprimono, basta saperli ascoltare.
“Non ti pronunci, non hai scritto nulla”.
“Non è vero, sei tu che non leggi, che non presti attenzione”. “Forse hai poco cervello e niente cuore”.
50. Eluana Englaro
È questo un passaggio su cui Beppino Englaro insiste particolarmente, nelle sue conferenze. Le lotte per porre fine allo strazio di Eluana, la figlia tenuta in vita dalle macchine, una lesione irreversibile al cervello. “Non mi sarei battuto con tanto impegno, – ripete sempre, – senza il ricordo della fermezza con cui Eluana, a vent’anni, parlando in generale, un po’ riferendosi a un amico al quale era capitata una disgrazia, ripeteva che in frangenti simili, mancando speranze di ripresa, lei non avrebbe accettato prolungamenti artificiali dell’esistenza”. “La memoria di quel vigore, ecco perché sono sceso in campo”: soltanto a certe condizioni, di freschezza e dignità elementari, merita di essere vissuta la vita.
51. Altre vicende
Lo stesso per chi da un certo momento in poi, emergenze terminali a parte, stenti a indicare chiaramente cosa vuole.
Flebo, interventi chirurgici, anestesie, riabilitazioni, sondini. Verrà ancora dal paziente la risposta: confidenze fatte agli amici, trent’anni prima, pagine di diario, scritti per un concorso; collezioni di aforismi nel blog, testi di canzoni famose modificati appositamente e registrati sul telefonino. Più gli indizi e i segnali che trasmette il presente: battiti degli occhi, movimenti del corpo, le narici, il sudore sulla fronte, la mano che si apre o che si chiude: chi vuol documentarsi ha ciò che gli serve. Anche per quanto riguarda il matrimonio.
(a) Vincenzo ad esempio, è portatore di una seria diagnosi psichiatrica, con scompensi ricorrenti; vorrebbe sposare Arianna: neanche lei sta bene, depressa cronica, poche speranze di rimessione. Gli esperti sono pessimisti. Ecco un caso in cui l’ultima parola, in Tribunale, non potrà che essere nel senso: questo matrimonio non s’ha da fare.
(b) Lucio invece. Affetto da oligofrenie visibili sarebbe intenzionato – lei d’accordo – a sposare Carolina, non perfetta a sua volta. Cresciuti insieme, le famiglie si conoscono, hanno sempre presidiato quella che, per anni, era una semplice amicizia. I due novizi con gli occhi a mandorla hanno frequentato buone scuole, entrambi dispongono di un mestiere sicuro in mano, lui magazziniere, lei sarta; tutti li conoscono, ambedue vantano un bel carattere, ci sarà sempre a un metro di distanza un’ala protettiva. Due le coppie, normali, che si sono sposate ultimamente, fra i coetanei del quartiere. Perché non lo stesso anche loro? Carolina con l’abito bianco che ha già adocchiato, boccioli e strascico, in una boutique specializzata del centro; Lucio quel nuovo vestito grigio perla, coi risvolti lucidi e il cravattino a righe.
52. Il mandato di protezione
Trattasi di una figura già nota all’estero – presente con alterni successi in Europa – che non pochi vorrebbero oggi importare in Italia. In sostanza; invece che affidarsi all’amministrazione di sostegno, un soggetto il quale tema di perdere presto o tardi la sua lucidità, stipula un contratto di mandato, quando sta ancora bene, con un altro soggetto. Nel momento in cui si verificherà la detta condizione, il mandatario entrerà in carica, occupandosi lui degli affari del mandante, di lì in avanti, secondo i termini stabiliti nel contratto. Gli interpreti nostrani appaiono divisi nel conteggiare/misurare vantaggi, e svantaggi, di questa soluzione.
Opportunità, vantaggi
- È il fragile stesso che sceglie qui, senza drenaggi del giudice tutelare, colui che dovrà agire in nome e per conto suo, che lo assisterà in futuro; dovrebbe contare pertanto su un massimo di lealtà e fedeltà, rispetto ai propri desideri; mandante e mandatario si conoscono da tempo, verosimilmente, dovrebbero capirsi al volo, il dialogo promette di essere fervido e positivo.
- Dovrebbe verificarsi, sotto il profilo oggettivo, un massimo di snellezza operativa: no alla farragine delle cancellerie, scansati gli impacci burocratici, nessuna coda davanti alla porta del giudice, e così via.
53. Inconvenienti di un assetto pan-negoziale
I punti critici adesso
- Confezione dell’abito su misura, cronologia: sarebbe logico che la messa a punto avvenisse allorché si manifestano gli annebbiamenti, non prima; col mandato il riferimento è invece a un tempo anteriore, quello in cui il contratto viene stipulato; il che (visto che non se ne saprà abbastanza allora circa le ombre future) appare piuttosto incongruo.
- Entrata in funzione: non è chiaro quando il mandatario dovrebbe entrare in campo, materialmente; si parla del momento in cui, secondo una perizia, la lucidità nel mandante sarà venuta meno; il problema è che in certi casi, a basso tenore medico–legale (prodigalità, ingenuità, arretratezze patologiche, deficit culturali, disagio burocratico, influenzabilità affettiva), quel momento può apparire alquanto sfuggente.
- Suggerimenti dell’affetto, paura della solitudine: allorché il fragile si affidi a qualcuno caro al suo cuore, fonte per lui di incantamenti sentimentali, è troppo alta la probabilità che una volta in carica, gettata la maschera, l’affidatario passerà il tempo a spolpare finanziariamente il suo protetto (neanche andando incontro magari a condanne penali).
- Familiare, nonché futuro erede, come mandatario: il pericolo è stavolta quello di una gestione poco dinamica, del tutto passiva, parsimoniosa ai limiti della grettezza; tesa a far sì che, dalle casse della fragile, esca periodicamente la minima quantità possibile di denaro;
- Limiti del rendiconto: l’obbligo di rendiconto può garantire contro il rischio di sprechi, di malversazioni, non già rispetto all’eventualità di gestioni spilorce, taccagne, per quel certo fragile, i cui desideri e bisogni figureranno sistematicamente disattesi;
- Fragili oppositivi: lo schema del mandato si addice, per sua natura, a frangenti in cui tra le parti domini l’armonia, la concordia, non già al caso di un mandante affetto, per ipotesi, da sopravvenute demenze o dipendenze bellicose (emerse solo più tardi); situazioni in cui ciò che il mandatario dovrebbe fare, per adempiere al suo incarico, sarà spesso ciò che il mandante ormai disdegna, non vuole più.
- Passaggio del tempo, nuove esigenze: nell’AdS l’aggiornamento non crea problemi, c’è il giudice pronto ad aggiustare il tiro, ritoccando il decreto iniziale; col mandato i mutamenti di sostanza, le crepe esistenziali sopraggiunte, quali affiorano via via che gli anni passano, esigerebbero l’offerta di sempre nuove indicazioni: con un mandante appannato ormai, tuttavia, per definizione, non più in grado di fornirle adeguatamente.
54. Il profilo esistenziale di vita
Prendiamo ora il caso di una donna, Juliette, vicina ai quarant’anni. Vive in un borgo in provincia di Bologna, è nata con un forte ritardo mentale. Figlia unica, per fortuna con dei bravi genitori, si sono sempre occupati di lei. La madre, Viola, fa la bidella in un istituto scolastico, ormai alle soglie della pensione; il padre, Franco gestisce una piccola officina di elettrauto, ha il suo carico di anni. Non parla Juliette, praticamente, vede e sente così così; in carrozzina da sempre. Simpatie e antipatie estreme: gusti categorici, mai mezze misure. Una cosa le piace o non le piace. Se tutto fila come lei desidera, ove la cucina sforni leccornie, qualora il gioco che sta facendo la diverta, allora è felice come un usignolo; iniziano a splenderle gli occhi, saluta con le mani. Ride, alza e abbassa le spalle più volte, sporge la bocca per dare baci. Quando succede il contrario, eccola invece strepitare; pugni battuti per aria, cinque minuti, si chiude poi in un silenzio rassegnato: sopracciglia aggrottate, espressione tra la furia e lo sconforto. Da quarant’anni va avanti così. Colpa del reparto di ostetricia – il ritardo, la disgrazia. L’ultimo giorno Juliette aveva assunto una posizione sbagliata, nel grembo materno: occorreva far luogo a un taglio cesareo, ogni pericolo sarebbe stato superato. Purtroppo quel black–out in ospedale: risultato, il cordone ombelicale attorcigliatosi intorno al collo del feto, la mancata ossigenazione al cervello, per un paio di minuti; donde la lesione anatomica finale. C’era stato un risarcimento poi, il punto evidentemente non era quello.
55. Comportamenti, abitudini
I gusti di Juliette si sono fissati via via nel corso del tempo; benché ricchi di variabili, sono oggi ben chiari ai genitori, per l’intera gamma. Sì alla cioccolata fondente, ai lamponi di bosco, ai fagioli bianchi, al salame coi pistacchi; no alla polenta, al formaggio di capra, al gelato di cocco, alle pere cotte, alla lingua salmistrata. Sì alle storie d’amore, in televisione, ai cartoni animati retro, alle pellicole in costume; no ai telegiornali, ai dibattiti culturali, ai film del terrore. A Juliette piace andare al mare, esita a entrare in acqua però. Il viola quello chiaro, che dà sul lilla; l’azzurro se sfuma sul turchese. Sì al gelsomino, come profumo, anche alle spighe, no alla verbena. I bambini la divertono, i cani grossi la spaventano; vanno bene i gatti, quando vede le galline stringe gli occhi e ride. Meglio le canzoni cantate dalle donne che dagli uomini, soffre l’umido, i rumori forti, gli spifferi. Odia che la si faccia dormire sul fianco sinistro, detesta non essere lavata ogni giorno; gli sconosciuti prima di accettarli deve studiarli da lontano, per qualche minuto, poi dipende.
58. Procedure
Viola e Franco, come madre e come padre, hanno iniziato a pensare che – un giorno neanche tanto lontano – loro due non saranno più al mondo. Sanno che esiste l’art. 3 della Costituzione. Juliette, benché in serie difficoltà, ha buona tempra e vivrà a lungo: chi sarà lì a decidere (ecco la preoccupazione) il giorno che lei non avrà più accanto qualcuno che, come quelli di casa, conosce a memoria ogni segreto? Qualcuno che sappia come prenderla, volta per volta, che decodifichi ogni battito d’occhi al volo, qualunque smorfia.
Per questo occorre mettere a punto nuovi scudi istituzionali. Il ‘‘Profilo esistenziale di vita’’: ossia uno strumento a garanzia dei più fragili, qualcosa da porre al centro di una legge apposita; un testo che andrà approvato al più presto dal Parlamento.
(a) Ecco in breve i punti chiave. I genitori, una volta decisi ad assicurare al figlio quella rete difensiva, o in mancanza i Servizi sociosanitari, si rivolgono all’apposito ufficio del Comune. Viene attivato un procedimento teso alla confezione materiale del Profilo: mirante cioè a raccogliere, sotto la regia di un ‘’accompagnatore’’ incaricato dal Comune, i dati biografici necessari. Materiali che forniranno il disabile stesso, nella misura del possibile, i genitori, gli esperti che hanno seguito il caso, i restanti membri della famiglia. Nessun dettaglio trascurato: quale abitazione e con chi, disposizione del letto, tipi di film, insofferenze coi negozi, gusti nei vestiti, uso del frigorifero. Il tutto – con corredo di foto, di clip, di registrazioni, di video – convogliato entro un format di una decina di pagine. Documento destinato a essere parte, per un verso, della carta di identità della persona; da trasfondere, per altro verso, nell’apposito registro del Comune: a sua volta in rete con la banca–dati nazionale dei ‘’Profili esistenziali di vita’’.
(b) Da allora in poi nessun operatore avrà facoltà di prendere decisioni, sul conto di quella persona, qualora non abbia prima consultato il Profilo esistenziale di vita. Consultazione scrupolosa, fatta al microscopio, specie dopo che i genitori sono mancati. E ogni scelta non conforme al Profilo – riguardante il cibo, il tragitto della carrozzina nelle passeggiate, la presenza nei social, il colore delle tende – sarà impugnabile presso il Giudice tutelare. Ogni tanto il testo andrà aggiornato, se invecchia; un organo apposito in Municipio vigilerà su quella persona, minuziosamente, verificando che funzioni tutto al meglio, mese per mese. “Chi mi protegge è l’Italia”, ecco il vessillo per il beneficiario.
57. Il patrimonio con vincolo di destinazione
Soluzioni nuove per il “dopo di noi”. L’abrogazione dell’interdizione determina in prospettiva, negli artt. 692 ss. del codice civile, l’aprirsi di un “vuoto’’ disciplinare; vuoto suscettibile di essere coperto, agli effetti patrimoniali, tenendo presenti le istanze umane e tecniche che si ricollegano oggi all’universo del “durante e dopo di noi”. In effetti il vuoto in questione esisteva già, funzionalmente, nella vigenza dei vecchi istituti; essendo la sostituzione fedecommissaria un meccanismo quantomai farraginoso, oggetto di scarsa applicazione nella pratica. Né il deficit di presidio legale, da sempre registrabile nell’ambito del bisogno, poteva dirsi utilmente aggirato/colmato attraverso eventuali ricorsi all’istituto (non proprio italiano) del trust, o dalla legge (super laconica) sul ‘’dopo di noi’’, o dalla disciplina (puramente secondaria) dell’art. 2645 ter del codice civile. Anzi un recente bilancio circa lo stato di attuazione della legge sul dopo di noi ha messo in evidenza (gennaio 2020) che, per facilitare la diffusione degli strumenti in essa previsti, può "risultare utile completare la disciplina del contratto di affidamento fiduciario che, ad oggi, appare soltanto parzialmente regolamentato nell'ambito della legge in questione, con inevitabili conseguenze in merito alla sua concreta applicazione". È stato così immaginato, a livello di "Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili’’, un neo–bastione privatistico, denominato “patrimonio con vincolo di destinazione a favore della persona fragile”, che occuperebbe statutariamente gli articoli da 692 a 697 del codice civile (articoli ospitanti fino ad oggi la disciplina del fedecommesso). Tenuto conto, d’altronde, quanti siano nella prassi i casi in cui, rispetto ad una persona vulnerabile, il giudice tutelare mostra di orientarsi – per le ragioni più varie, allorché sia operativa una buona rete domestica – verso una non apertura hic et nunc dell’Amministrazione di sostegno, si è ritenuto opportuno ampliare il target del neo–istituto, allargandolo in generale a tutte le persone che vivano in condizioni di spiccato disagio.
58. Dettagli
Brevemente allora: con l’introduzione di detto strumento diviene possibile, per i familiari della persona in difficoltà, costituire un fondo gestito da un affidatario, nell’interesse e per l’esclusivo sostegno del fragile: in particolare per il mantenimento, la cura, la formazione, la partecipazione sociale dello stesso. È esperienza comune – merita sottolineare – come risulti spesso non opportuno intestare i beni direttamente alla persona bisognosa; x) essendo più utile che detti beni costituiscano un patrimonio separato, y) gravato da un vincolo di destinazione e contrassegnato da pressanti obbligazioni fiduciarie a carico del proprietario–gestore, z) in modo che sia assicurato il rispetto del programma che il costituente ha stabilito. Elemento caratterizzante del nuovo istituto appare, in sintesi, il favor per l’autosufficienza economico-esistenziale dell’interessato. La realizzazione del programma e il rispetto della finalità sono posti sotto l’egida del Giudice tutelare. L’istituto in esame si colloca nel solco già tracciato dall’art. 2645-ter del codice civile, delineando e disciplinando un atto di destinazione volto, in prospettiva, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, secondo il nostro ordinamento giuridico. Esso risponde sia alle preoccupazioni dei familiari, relative alla futura eventuale impossibilità di prendersi direttamente cura della persona con fragilità, sia ad esigenze del “durante noi”. Diversamente da quanto previsto nella legge 112/2016 (legge sul ‘’dopo di noi’’), il patrimonio vincolato potrebbe costituirsi anche a vantaggio di persone non classificabili come “disabili gravi”: un passaggio disciplinare mirante alla esaltazione/promozione della sovranità, per tutte le persone civilmente svantaggiate, a prescindere dalla serietà della patologia che le affligga.
59. L’ufficio-sportello comunale per la fragilità
Una proposta che si affaccia, sempre più spesso, è in tema di fragilità quella di un “Ufficio–sportello triangolare per la fragilità e l’Amministrazione di sostegno” (Ustfas), da insediare tendenzialmente a livello di Comune o di Consorzi di Comuni. Un’agenzia di supporto – viene precisato – affidata al coordinamento dell’Assessore comunale alle politiche sociali, gestibile eventualmente attraverso un’apposita fondazione, o agenzia esterna, o cooperativa, sotto il controllo dell’ente locale. Composta al suo interno da vari soggetti, pubblici e privati: personale del Comune stesso, rappresentanze degli amministratori di sostegno, operatori del Tribunale, enti della Cooperazione sociale, uffici del Dipartimento di salute mentale della A.S.L., e poi espressioni del volontariato, delle famiglie dei malati di mente, o comunque delle persone anziane, dei portatori di dipendenze, delle persone con disabilità.
"Non vi spiegherò cari utenti come fare le cose – questo il motto – le faccio io direttamente per voi”.
A monte allora una legge–quadro nazionale, istitutiva dell’Ustfas per l’intero paese, seguita poi da leggi regionali di attuazione. Tre interfacce sociali di riferimento: x) cittadinanza, famiglie, persone fragili del territorio; y) ufficio del giudice tutelare, z) amministratori di sostegno in carica. Obiettivi di fondo: accogliere, prendere in carico i non autosufficienti, sgravare il giudice e l’amministratore di sostegno da tutta una serie di mansioni (meccaniche, burocratiche, computerizzabili); consentendo a entrambi di gestire, al meglio, i rapporti personali con gli assistiti (dialogo, ascolto, confidenze, passaggi maieutici, rassicurazioni).
60. Espletamenti burocratici
Fra i compiti dell’Ustfas, soprattutto:
- Redazione del testo dei singoli ricorsi giudiziali, con l’indicazione del perché si ricorre, espliciti nel suggerimento degli atti da compiere, corredati con la documentazione necessaria.
- Ricerca di notizie, per conto del giudice tutelare, sul conto dei beneficiandi/beneficiari e delle famiglie.
- Ispezioni, controlli periodici, verifiche di base, sulla condizione degli assistiti.
- Sostegno agli amministratori in carica, facendo con loro o al posto loro tutto ciò che si presta sul piano organizzativo (adempimenti con banche, catasto, imposte, ufficio del lavoro, case di riposo, Inps, luce, acqua, gas, farmacie, telefonia, e così via).
- Servizio di consulenza (medica, psichiatrica, pensionistica, bancaria, assicurativa, psicologica, etc.) a vantaggio degli amministratori.
- Organizzazione semestrale, città per città, di corsi di formazione, sia per la cittadinanza, sia per futuri amministratori di sostegno.
- Tenuta di un telefono verde, con gli opportuni filtri, a beneficio dei singoli amministrati e delle famiglie.
(Immagine: Dino Campana, Fabbricare fabbricare fabbricare, illustrazioni di Sebastiano Vassalli, Edizioni Pulcinoelefante, Osnago, 2009.)