Sommario: 1. Domanda di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma - 2. La procedura accelerata innanzi alla Corte di giustizia e i rischi applicativi - 3. L’ordinanza del Presidente della Corte di giustizia e la trattazione urgente del procedimento - 4. La posizione espressa dalla Corte di cassazione: Cass. n. 33398/2024 – su rinvio pregiudiziale ex art.363 bis c.p.c.- e Cass. (ord. inter.) n. 34898/2024 di “rinvio a nuovo ruolo” della trattazione del procedimento in attesa della decisione sul rinvio pregiudiziale da parte della Corte di giustizia - 5. Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di giustizia nella causa C‑758/24 - 6. La sentenza della Corte di giustizia dell’1 agosto 2025 - 7.La comparazione tra la sentenza della Corte di giustizia del 1° agosto 2025 e le Conclusioni dell’Avvocato Generale De La Tour - 8. La comparazione fra Corte di giustizia, 1° agosto 2025 (cause riunite C‑758/24 e C‑759/24), e Cass. n. 33398/2024 - 9. La comparazione fra le Conclusioni dell’Avvocato generale e l’ordinanza n. 34898/2024 della Corte di cassazione.
1. Domanda di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma
Le (speculari) domande di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale ordinario di Roma nelle cause C-758/24 e 759/24 si inseriscono nel contesto dell’applicazione, da parte delle autorità italiane della procedura accelerata di frontiera per i richiedenti asilo provenienti da Paesi designati come “di origine sicura” con atto legislativo primario. In particolare, i due casi riguardavano due cittadino bengalese i cui ricorsi contro il diniego di protezione erano stati valutati alla luce della nuova disciplina italiana, introdotta nel 2024, che qualifica il Bangladesh come Paese sicuro senza fondare tale designazione su una procedura istruttoria trasparente.
Dinanzi a tale quadro normativo, il Tribunale di Roma, in due separati procedimenti, ha sollevato quattro quesiti pregiudiziali ai sensi dell’art. 267 TFUE. Con il primo si chiedeva se il diritto dell’Unione, e in particolare gli articoli 36, 37 e 38 della Direttiva 2013/32/UE, letti in combinazione con i considerando 42, 46 e 48 e interpretati alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e degli articoli 6 e 13 della CEDU, osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri e a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese sicuro. Il secondo quesito domandava se gli articoli 36 e 37 e l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, vanno interpretati nel senso che essi ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo senza che, a causa della mancata divulgazione delle fonti di informazione sulle quali detta designazione si fonda, il richiedente proveniente dal paese interessato e il giudice nazionale investito del ricorso proposto avverso la decisione di rigetto adottata nei confronti di detto richiedente siano messi in condizione, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate all’allegato I alla direttiva sopra ricordata. Inoltre, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte se, in tali circostanze, il giudice nazionale possa controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate in detto allegato sulla base delle fonti di informazione che esso stesso ha raccolto tra quelle menzionate all’articolo 37, paragrafo 3, di detta direttiva. Il quarto quesito concerneva la possibilità o meno che un Paese sia considerato “di origine sicuro” anche laddove vi siano, al suo interno, categorie di persone per le quali tale qualificazione non risulta rispettata: in tal caso, si chiedeva se il diritto dell’Unione osti a una designazione generalizzata che non tenga conto di dette situazioni differenziate.
2. La procedura accelerata innanzi alla Corte di giustizia e i rischi applicativi
È soprattutto in relazione a quest’ultimo quesito che il Tribunale di Roma evidenzia le gravi criticità sistemiche e l’assenza di orientamenti consolidati sul piano nazionale. Il giudice richiama, infatti, il contesto controverso generato da una serie di decisioni di merito – tra le quali in particolare quelle dei Tribunali di Catania, Firenze e Bologna – che, nell’autunno 2024, non avevano convalidato i provvedimenti di trattenimento adottati nei confronti dei richiedenti asilo sottoposti alla procedura di frontiera. Tali pronunce avevano indotto il Governo ad adottare il d.l. n. 158/2024, volto a rafforzare normativamente la presunzione di sicurezza per determinati Paesi. Nella motivazione dell’ordinanza del Tribunale di Roma, il Tribunale segnalava il rischio di un’applicazione indiscriminata della nozione di “Paese sicuro”, anche a soggetti appartenenti a categorie strutturalmente vulnerabili (come donne, minoranze religiose, oppositori politici o soggetti LGBT), per i quali – anche secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo – la protezione offerta nel Paese d’origine potrebbe risultare illusoria. Il giudice remittente osservava, ancora, come tale rischio fosse aggravato dall’impossibilità per il richiedente di contrastare efficacemente la presunzione di sicurezza, data la mancanza di trasparenza sulle fonti ed il rischio di un ineffettivo sindacato giurisdizionale. È dunque in questo quadro che il Tribunale ravvisava la necessità di un intervento chiarificatore da parte della Corte di giustizia, capace di offrire un orientamento vincolante sui limiti e le condizioni che devono circondare l’uso della nozione di Paese di origine sicuro, con particolare attenzione al profilo della non applicabilità della designazione a intere categorie soggettive.
3. L’ordinanza del Presidente della Corte di giustizia e la trattazione urgente del procedimento
Con ordinanza del 29 novembre 2024, il Presidente della Corte di giustizia UE, riuniti i due procedimenti pregiudiziali, ha accolto la richiesta del Tribunale di Roma di un esame con trattazione accelerata ai sensi dell’art. 105 del Regolamento di procedura della Corte di giustizia. Ciò in ragione della rilevanza delle questioni sollevate, che toccano non solo il corretto recepimento della direttiva 2013/32/UE, ma anche il bilanciamento tra prerogative legislative nazionali e obblighi derivanti dal diritto dell’Unione, in un contesto di crescente tensione interpretativa. Il Tribunale di Roma aveva infatti segnalato che alcune pronunce di giudici di merito – nonché lo stesso contenzioso in esame – avevano generato una crisi istituzionale legata alla non convalida dei provvedimenti di trattenimento fondati sull’applicazione automatica della presunzione normativa. La Corte di giustizia ha ritenuto che simili questioni, toccando tematiche di primario rilievo in ragione del tono delle stesse meritavano una trattazione urgente, anche per prevenire decisioni giurisdizionali difformi e garantire uniformità nell’applicazione della normativa europea in tema di asilo e diritti fondamentali. Peraltro, numerose richieste di rinvio pregiudiziale erano state proposte da altri giudici in vicende simili a quella del rinvio sollevato dal Tribunale di Roma.
4. La posizione espressa dalla Corte di cassazione: Cass. n. 33398/2024 – su rinvio pregiudiziale ex art.363 bis c.p.c.- e Cass. (ord. inter.) n. 34898/2024 di “rinvio a nuovo ruolo” della trattazione del procedimento in attesa della decisione sul rinvio pregiudiziale da parte della Corte di giustizia
Il tema paese sicuro era stato in precedenza già intercettato dalla Corte di cassazione almeno in due occasioni.
Dapprima, Cass. n.33398/2024 in questa Rivista, 9 gennaio 2025, con commento di M. Serio e R. Conti, Brevi note sul rinvio pregiudiziale ex art.363 bis c.p.c. e su limiti e controlimiti giurisprudenziali alla definizione normativa di paese sicuro -intervenne in sede di rinvio pregiudiziale ex art.363 bis, c.p.c., per dare risposta al quesito sollevato dal Tribunale di Roma all’interno di un ricorso per l’ottenimento della protezione internazionale presentato da un cittadino di un paese (Tunisia) inserito nell’elenco dei paesi di origine sicuri all’epoca determinati in Italia con d.m. ministeriale. Il giudice di merito aveva chiesto alla Corte di cassazione di chiarire se il giudice ordinario avesse titolo per disattendere il decreto ministeriale nella parte in cui stabiliva la designazione di paese sicuro e dunque valutare, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria ed eventualmente anche in caso di mancanza di contestazione, sulla base di informazioni sui paesi di origine (COI) aggiornate al momento della decisione, se il paese incluso nell'elenco fosse da considerare tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia.
Il dubbio venne risolto da Cass.n.33398/2024, chiarendo che nell'ambiente normativo anteriore al d.l. n. 158 del 2024, conv. nella l. n. 187 del 2024, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro il giudice ordinario, nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all'art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione ed eventualmente disapplicare in via incidentale il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri, allorché la designazione operata dall'autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale; inoltre, a garanzia dell'effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l'istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova e, pertanto, in quest'ultimo caso la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale.
Non meno rilevante risulta l’ordinanza interlocutoria n. 34898/2024 della Corte di cassazione, intervenuta su un caso distinto rispetto a quelli oggetto del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, sebbene affine per oggetto e contesto normativo.
La vicenda nasceva da un ricorso presentato dal Ministero dell’interno contro una decisione del Tribunale di Roma con cui era stata disposta la liberazione di un cittadino bengalese trattenuto in frontiera dopo il rigetto della sua domanda d’asilo. Il Tribunale, pur riconoscendo che il Bangladesh fosse incluso nell’elenco dei Paesi sicuri, aveva evidenziato la necessità di un vaglio effettivo delle condizioni individuali del richiedente, ritenendo il trattenimento illegittimo. Il Ministero impugnò tale decisione, sostenendo che essa comportava una disapplicazione della normativa primaria senza che fosse stata previamente sollevata una questione di legittimità costituzionale o attivato il rinvio pregiudiziale alla Corte UE.
Cass.n.34898/2024 decise di rinviare la causa a nuovo ruolo, ritenendo che la decisione dipendeva dall’esito del rinvio pregiudiziale già pendente davanti alla Corte di giustizia UE e così evitando di decidere nel merito un caso che avrebbe potuto essere risolto in modo difforme rispetto ai principi eurounitari in via di definizione. Ciononostante, la Corte di cassazione ebbe a sviluppare un’ampia ed argomentata riflessione ricostruttiva distinguendo tra eccezioni di carattere territoriale (oggetto della sentenza della Corte di giustizia UE del 4 ottobre 2024) ed eccezioni di natura personale (oggetto del ricorso pendente innanzi alla stessa), riconoscendo che solo queste ultime siano rilevanti nella fattispecie. La Cassazione sottolineava che la presunzione di sicurezza poteva essere superata mediante elementi individuali dedotti dal richiedente e che il giudice non era esonerato dal vaglio personalizzato anche nei procedimenti accelerati. Tuttavia, concludeva affermando che «la valutazione definitiva sul punto non può prescindere dalla prossima pronuncia della Corte di giustizia», il cui esito è ritenuto decisivo per chiarire la compatibilità tra diritto dell’Unione e designazioni legislative non accompagnate da adeguate garanzie procedurali individuali.
5. Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di giustizia nella causa C‑758/24
Nelle sue conclusioni presentate nelle cause C‑758/24 e C-759/24 l’Avvocato Generale Richard de la Tour propone che la Corte di giustizia risponda in senso restrittivo rispetto alla legittimità della designazione legislativa di un Paese di origine sicuro, suggerendo un’interpretazione rigorosa delle garanzie previste dalla Direttiva 2013/32/UE. In merito al primo quesito, si afferma che gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità quanto alla scelta degli strumenti e delle modalità procedurali destinate a garantire la designazione, nel loro diritto nazionale, di paesi terzi come paesi di origine sicuri. Nulla osta a che tale designazione risulti da un atto di rango legislativo, rientrando una siffatta scelta in realtà nell’autonomia istituzionale e procedurale loro riconosciuta.Tuttavia, dall’articolo 288, terzo comma, TFUE si evince che tale libertà lascia inalterato l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire il primato del diritto dell’Unione e per assicurare la piena efficacia della direttiva di cui trattasi, conformemente all’obiettivo che essa persegue e agli obblighi da essa sanciti (20). Ne consegue che l’atto con cui uno Stato membro procede alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri non deve incidere in alcun modo sugli obblighi ad esso incombenti, sotto il profilo del rispetto dei principi basilari e delle garanzie fondamentali di cui al capo II della direttiva 2013/32 e, in particolare, quanto al rispetto del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo riconosciuto ai richiedenti protezione internazionale in forza dell’articolo 46 di detta direttiva. In relazione al secondo ed al terzo quesito l’Avvocato Generale Richard de la Tour evidenzia che la designazione di un Paese come “di origine sicuro” tramite atto legislativo nazionale non è, in astratto, incompatibile con il diritto dell’Unione. Tuttavia, una tale designazione non può sottrarsi al controllo giurisdizionale di legittimità, poiché ciò priverebbe l’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32, e l’art. 47 della Carta, della loro efficacia pratica. È in questa prospettiva che viene richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia (Samba Diouf e CV), la quale impone che il giudice nazionale sia in grado di esercitare un controllo pieno, ex nunc e completo su tutte le condizioni sostanziali della designazione e sulla procedura che ne deriva, anche in assenza di specifiche contestazioni da parte del richiedente. In tale contesto, la presunzione di sicurezza deve rimanere confutabile, ed è per questo che l’Avvocato Generale insiste sulla necessità che il legislatore assicuri la pubblicità delle fonti di informazione su cui si fonda la presunzione. Tali fonti, pubbliche e qualificate ai sensi dell’art. 37, par. 3, della direttiva 2013/32, sono essenziali affinché il richiedente possa esercitare il proprio diritto a un ricorso effettivo, distinguendo la propria situazione individuale da quella generale. Particolarmente significativo è il passaggio in cui de la Tour afferma testualmente che: «l’effettività del controllo giurisdizionale impone all’autorità giudiziaria competente, che dispone di tutta l’esperienza richiesta in tale materia, di fondare il suo giudizio sulle fonti di informazione che essa reputi maggiormente pertinenti per valutare la legittimità di detta designazione» (punto 63). Questo richiamo all’esperienza del giudice non è meramente descrittivo laddove sottolinea il fatto che il diritto dell’Unione attribuisce al giudice nazionale un ruolo attivo e responsabile, anche nel caso in cui le fonti non siano divulgate dall’autorità amministrativa o dal legislatore. Tale ruolo implica il potere/dovere di procedere autonomamente a una personalizzazione della valutazione del Paese di origine, anche sulla base di fonti raccolte in proprio tra quelle ammesse dalla direttiva.
In sintesi, le conclusioni dell’Avvocato Generale ribadivano che l’atto legislativo nazionale non può trasformare la presunzione di sicurezza in una presunzione assoluta. Al contrario, è il giudice – forte della propria competenza, autonomia e delle fonti a disposizione – a garantire che tale presunzione resti compatibile con i diritti fondamentali e l’evoluzione concreta delle situazioni individuali, secondo i principi del diritto dell’Unione.
Il passaggio più rilevante era quello dedicato al quarto quesito, con il quale il giudice del rinvio chiedeva, come ricordato, se il quadro UE andavano interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, benché talune categorie di persone possano non beneficiare in tale paese di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi. Il dibattito interno sul tema aveva preso le mosse dal ruolo avuto dalla sentenza della Grande sezione del 4 ottobre 2024, CV.
L’Avvocato Generale, nell’esordio delle sue conclusioni, aveva sottolineato che “Le presenti cause sollevano giustamente la questione della portata del potere e delle competenze degli Stati membri nell’ambito della designazione dei paesi di origine sicuri e si inseriscono nel solco della sentenza del 4 ottobre 2024, Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky”- p.3 Concl.
Il nodo circa la rilevanza di tale decisione ai fini della soluzione del quesito pregiudiziale è stato esaminato nelle Conclusioni ricordando, per un verso, che “nella sua sentenza CV, la Corte ha dichiarato che il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo garantito dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 impone all’autorità giudiziaria competente di rilevare, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal legislatore dell’Unione e sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad essa, una violazione delle condizioni sostanziali della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, enunciate all’allegato I a detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso (24). Secondo la Corte, compete quindi agli Stati membri adattare il loro diritto nazionale in modo che il trattamento dei ricorsi in questione comporti un esame, da parte di detta autorità giudiziaria competente, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che le consentano di procedere a una valutazione aggiornata del caso di specie, tra cui rientra la legittimità di una siffatta designazione -p.47 Concl.Avv. gen.
L’Avvocato generale Richard de la Tour prospettava, in astratto, due possibili risposte entrambe giuridicamente sostenibili. La prima orientava nel senso che tale designazione non era compatibile con il diritto UE, richiedendo che il Paese garantisca un regime democratico e protezione uniforme a tutta la popolazione, a prescindere dalle caratteristiche soggettive; tale soluzione, osservava l’Avvocato generale, “si muoverebbe nel solco della sentenza CV del 4 ottobre 2024”, che però affrontava solo le eccezioni di carattere territoriale. Tuttavia, tale orientamento, pur teoricamente coerente, rischierebbe di compromettere l’efficacia pratica della designazione in un contesto di forte pressione migratoria. Per questo motivo, l’Avvocato generale propende per una seconda opzione interpretativa, più pragmatica, che ammette la possibilità di designare un paese come sicuro pur in presenza di una o più categorie di persone chiaramente identificate come a rischio, a condizione che queste siano espressamente escluse dalla presunzione di sicurezza. In questa prospettiva, la nozione di paese sicuro si fonderebbe su un principio di generalizzazione, in base al quale uno Stato può essere ritenuto generalmente sicuro, fermo restando che alcune eccezioni personali devono essere gestite attraverso una procedura ordinaria individualizzata. A fondamento di tale posizione, de la Tour richiamava l’allegato I alla direttiva 2013/32, in cui si prevede che un paese sia considerato sicuro se, “sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni [...] né tortura [...] né pericolo a causa di violenza indiscriminata”. Secondo l’Avvocato generale, la presenza dell’avverbio “generalmente” implica che la protezione non debba essere assoluta o uniforme, ma possa fondarsi su una valutazione di carattere medio-statistico. Da qui la possibilità per uno Stato membro di escludere ex ante alcune categorie vulnerabili dalla presunzione di sicurezza, così come già avviene ex post nell’esame individuale. Tale interpretazione, prosegue de la Tour, risultava conforme anche al nuovo Regolamento 2024/1348, che all’articolo 61, paragrafo 2, autorizza espressamente gli Stati membri a prevedere eccezioni alla designazione in favore di “categorie chiaramente identificabili”. L’Avvocato generale sottolineava però che, se tali eccezioni fossero diventate eccessivamente ampie o indefinite, il concetto stesso di paese sicuro era destinato a diventare fittizio, rendendo la designazione non più né proporzionata né ragionevole.
6. La sentenza della Corte di giustizia dell’1 agosto 2025
La Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza del 30 luglio 2025 (causa C‑758/24), ha fornito un’articolata risposta ai quattro quesiti pregiudiziali sollevati dal Tribunale di Roma in merito alla designazione dei paesi di origine sicuri ai sensi della direttiva 2013/32/UE, letta alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali. In relazione al primo quesito, la Corte ha chiarito che nulla osta, in linea di principio, a che uno Stato membro proceda alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo, dal momento che il diritto dell’Unione non impone uno specifico strumento giuridico per tale designazione, lasciando agli Stati membri un margine di discrezionalità quanto alla forma e alla scelta dell’autorità competente, in virtù dell’articolo 288, terzo comma, TFUE; tuttavia, tale discrezionalità è condizionata dall’obbligo di garantire un controllo giurisdizionale effettivo sulla legittimità della designazione, ossia la possibilità per qualsiasi giudice nazionale investito di un ricorso contro una decisione individuale di respingimento di una domanda di protezione internazionale di verificare, anche incidentalmente, se la designazione legislativa rispetti le condizioni sostanziali fissate nell’allegato I alla direttiva. Quanto alle seconde e terze questioni, la Corte ha affermato che l’effettività del ricorso giurisdizionale – quale garanzia fondamentale prevista dall’articolo 47 della Carta e concretizzata nell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva – impone che tanto il richiedente quanto il giudice abbiano accesso alle fonti di informazione su cui si fonda la designazione del paese di origine sicuro, anche se la direttiva non prevede espressamente tale obbligo: l’accesso alle fonti è infatti necessario per consentire al richiedente di comprendere le ragioni del rigetto e valutare se presentare ricorso, e al giudice di esercitare un controllo effettivo e aggiornato (ex nunc) sui presupposti della designazione; inoltre, il giudice può basarsi su informazioni raccolte autonomamente, purché ne verifichi l’affidabilità e garantisca il rispetto del contraddittorio tra le parti. Infine, con riferimento al quarto quesito, la Corte ha stabilito che l’articolo 37 della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’allegato I, osta a che uno Stato membro designi come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi le condizioni sostanziali della direttiva per talune categorie di persone: l’interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma impone che i requisiti di sicurezza siano rispettati in modo costante e generalizzato con riferimento all’intera popolazione del paese, senza esclusioni per gruppi specifici, giacché consentire una designazione selettiva equivarrebbe ad ampliare indebitamente l’ambito applicativo di un regime procedurale derogatorio che deve invece essere interpretato restrittivamente; la facoltà di prevedere eccezioni per categorie particolari sarà ammessa solo con il futuro regolamento 2024/1348, che entrerà in vigore dal 12 giugno 2026, ma non può applicarsi ai procedimenti ancora regolati dalla direttiva. Pertanto, spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 e dell’articolo 47 della Carta, se la designazione del Bangladesh come paese di origine sicuro – prevista dall’articolo 2-bis del d.lgs. n. 25/2008 come modificato dal d.l. n. 158/2024 – soddisfi le condizioni sostanziali previste dalla direttiva, con riferimento a tutta la popolazione del paese e non solo ad alcune categorie, assicurando in tal modo il pieno rispetto del diritto dell’Unione e delle garanzie che essa attribuisce al richiedente protezione internazionale.
7. La comparazione tra la sentenza della Corte di giustizia del 1° agosto 2025 e le Conclusioni dell’Avvocato Generale De La Tour
Si rileva una sostanziale convergenza sugli aspetti centrali dell’interpretazione della direttiva 2013/32/UE fra le Conclusioni dell’Avv. Gen. De la Tour e la Corte di giustizia, ma anche una divergenza significativa sul punto decisivo relativo alla possibilità per gli Stati membri di designare come “paese di origine sicuro” un paese che non garantisca protezione a determinate categorie di persone. Entrambi concordano nel ritenere legittima, in linea di principio, la designazione legislativa dei paesi sicuri, purché essa non comprometta il diritto a un ricorso effettivo. La Corte, richiamandosi alla giurisprudenza consolidata sul primato del diritto UE, ribadisce che anche atti legislativi interni devono poter essere disapplicati dal giudice nazionale se ostano all’efficacia della direttiva. In questo quadro, i giudici di Lussemburgo sottolineano che la designazione deve essere soggetta a un sindacato giurisdizionale sostanziale, volto a verificare la conformità ai criteri dell’allegato I della dir. ult.cit., garantendo accesso alle fonti informative da parte del richiedente e del giudice. Su questi profili, le Conclusioni risultano pienamente coerenti con la decisione della Corte di giustizia.
Il nodo critico emerge, piuttosto, con evidenza nella risposta al quarto quesito pregiudiziale offerta dalla Corte di giustizia in merito alla possibilità di designare come “paese di origine sicuro” un paese terzo che non offra garanzie di protezione a determinate categorie di persone. L’Avvocato Generale, si è visto, aveva proposto un’interpretazione orientata alla futura evoluzione normativa, sostenendo che “non si deve escludere in via assoluta” la legittimità di una designazione selettiva, purché “categorie vulnerabili siano chiaramente identificate e escluse” dalla presunzione di sicurezza. A suo avviso, questa flessibilità era compatibile con lo spirito della direttiva 2013/32/UE, trovando conferma nel nuovo Regolamento UE 2024/1348, il cui articolo 61, paragrafo 2, consente esplicitamente – a partire dal 12 giugno 2026 – la designazione differenziata dei paesi sicuri, con eccezioni per gruppi specifici. In tal senso, De La Tour invocava, dunque, il regolamento come parametro interpretativo utile già allo stato.
La Corte di giustizia ha disatteso questa prospettiva, che pure era stata valorizzata dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n.34898/2024. Richiamando espressamente la propria sentenza del 4 ottobre 2024 (C‑406/22), la Corte di Lussemburgo ha ribadito che il bilanciamento tra rapidità delle procedure e garanzie effettive è stato già compiuto dal legislatore europeo e non può essere rideterminato in sede giudiziaria. L’articolo 37 della direttiva 2013/32/UE, interpretato secondo il suo “tenore letterale”, non consente – secondo la Corte – che la designazione riguardi solo una parte della popolazione di un paese terzo: “nulla nel testo […] indica che […] tali termini possano essere intesi nel senso che riguardino soltanto una parte” (§92). Inoltre secondo la Corte i criteri dell’allegato I devono essere rispettati “con riferimento a tutta la popolazione del paese terzo interessato” (§96), e anche se “non esiste alcuna garanzia assoluta di sicurezza per ciascun individuo” (§97), ciò non giustifica un abbassamento dei requisiti richiesti per la designazione. L’accoglimento della tesi dell’Avvocato Generale equivarrebbe, secondo la Corte, a “estendere l’ambito di applicazione del regime speciale d’esame” (§100) in modo non conforme al principio secondo cui “le disposizioni derogatorie devono essere oggetto di interpretazione restrittiva”.
Quanto al nuovo Patto sull’asilo, la Corte riconosce che il regolamento 2024/1348 prevede, ma solo per il futuro, la possibilità di designazioni selettive. Tuttavia, afferma chiaramente che “nella misura in cui ai procedimenti principali si applica l’articolo 37 della direttiva 2013/32 e non già l’articolo 61, paragrafo 2, del regolamento 2024/1348” (§108), il nuovo regime normativo non è in atto giuridicamente rilevante. Il richiamo al nuovo regolamento, dunque, non può giustificare una lettura anticipata della direttiva attualmente in vigore, ben potendo comunque il legislatore europeo, nell’esercizio della sua discrezionalità, decidere di anticiparne l’entrata in vigore o addirittura di modificare il bilanciamento individuato in precedenza fra esigenze di trattazione rapida di procedimenti per richiedenti provenienti da paesi sicuri ed esame adeguato e completo e un accesso effettivo del richiedente ai principi fondamentali e alle garanzie previsti dalla medesima direttiva 2013/32. In sintesi, se per l’Avvocato Generale- e Cass.n.34898/2024 - il regolamento del 2024 funge già oggi da criterio ermeneutico da utilizzare nell’interpretazione della normativa dell’Unione vigente, per la Corte esso rappresenta una volontà legislativa futura, non ancora efficace, e pertanto inidonea a incidere sull’interpretazione del diritto vigente.
8. La comparazione fra Corte di giustizia, 1° agosto 2025 (cause riunite C‑758/24 e C‑759/24), e Cass. n. 33398/2024
Tanto la Corte di giustizia quanto la Corte di cassazione riconoscono al giudice nazionale un ruolo essenziale nella verifica della conformità sostanziale della designazione di un Paese di origine sicuro ai criteri europei. La Corte di giustizia afferma che “quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro”, egli deve svolgere “un esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto art. 46, par. 3” e, soprattutto, che tale esame deve includere “una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso” (§85). Questa posizione è pienamente in linea con quanto affermato dalla Cassazione, la quale ha chiarito che “il giudice, a fronte del corretto adempimento degli oneri di allegazione, mantiene il potere-dovere di acquisire con ogni mezzo tutti gli elementi utili ad indagare sulla sussistenza dei presupposti della protezione internazionale, anche in relazione alla situazione generale del paese di origine” (Cass. n. 33398/2024, p. 23).
Sotto il profilo delle fonti informative e della trasparenza istruttoria, la Corte di giustizia ha ribadito che “il diritto a un ricorso effettivo richiede che il giudice abbia accesso e possa valutare il contenuto delle fonti di informazione utilizzate per la designazione” (§78), sottolineando che la procedura di designazione nazionale deve fondarsi su “fonti affidabili e verificabili” (§70). Su questo punto, la Cassazione afferma che “la presunzione che vi si ricollega non è dunque una fictio, ma deve essere fondata su fonti certe che consentano di dimostrare la sicurezza del Paese designato” (p. 11), esprimendo una convergente attenzione al controllo effettivo delle basi fattuali della presunzione.
Decisiva è poi la convergenza circa il primato del diritto dell’Unione e la disapplicazione della normativa interna in contrasto. La Corte di giustizia precisa che “spetta al giudice nazionale disapplicare, se del caso, qualsiasi disposizione nazionale, anche legislativa, che osti all’effettività del controllo previsto dall’articolo 46 della direttiva” (§63). In parallelo, la Cassazione ribadisce che “il giudice ordinario, anche dinanzi a designazione ex lege, deve comunque assicurare l’effettività del controllo, senza che l’elevazione di rango della fonte possa esonerarlo da tale dovere” (p. 23), riaffermando l'obbligo di disapplicazione in caso di contrasto con il diritto dell’Unione.
Infine, sul terreno della tutela giurisdizionale effettiva, la Corte di giustizia richiama l’art. 47 della Carta, chiarendo che “l’effettività della tutela giurisdizionale impone che il giudice possa sindacare la designazione, anche legislativa, del paese di origine sicuro” (§87). La Cassazione, con perfetta coerenza, osserva che “il giudice ordinario è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo” (p. 10), evidenziando che la giurisdizione civile ordinaria ha la responsabilità di dare attuazione ai diritti fondamentali anche in presenza di presunzioni normative.
In conclusione, il parallelismo tra le due decisioni è evidente poiché le due Corti riconoscono che il giudice nazionale è chiamato ad esercitare un sindacato pieno, attuale e concreto sulla designazione dei paesi sicuri, anche se operata con legge, garantendo l’effettività dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione e il primato del diritto dell’Unione.
9. La comparazione fra le Conclusioni dell’Avvocato generale e l’ordinanza n. 34898/2024 della Corte di cassazione
Può essere parimenti utile operare una analoga comparazione fra l’ordinanza della Cassazione n.34898/2024 e le conclusioni dell’Avvocato generale De la Tour, evidenziando che le stesse convergevano in più punti ed anche sulla soluzione del quarto quesito che, come si è visto, è stato deciso in modo difforme dalla Corte di giustizia.
In particolare, quanto al primo quesito pregiudiziale, la Cassazione sottolineava che «la presunzione che il Paese d’origine sia sicuro non esonera il giudice dal dovere di valutare, se del caso, eventuali elementi individuali dedotti dal ricorrente e idonei a inficiare, nel caso specifico, l’attendibilità della designazione». Tale dovere si affianca alla possibilità riconosciuta allo Stato di «escludere, nella fase della designazione, alcune categorie soggettive dalla presunzione, ove identificate come strutturalmente a rischio di persecuzione o trattamenti inumani».
Una simile impostazione era fatta propria anche dall’Avvocato generale De la Tour, secondo il quale «gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità che consente loro di designare un paese terzo come paese di origine sicuro, benché siano state individuate una o più categorie limitate, ma chiaramente identificabili, di persone a rischio in tale paese, e di escludere correlativamente ed espressamente tali categorie dalla presunzione di sicurezza» (§70 Concl.). A sostegno di questa lettura, de la Tour evidenziava che «il legislatore dell’Unione ammette chiaramente che il concetto di paese di origine sicuro e la presunzione di sicurezza che ne consegue derivano da una generalizzazione» (§79), e che «non ravviso alcuna valida ragione che osti a che uno Stato membro decida, in esito alla valutazione generale di tale paese, di escludere (ex ante) dall’ambito di applicazione di detta presunzione la categoria o le categorie di persone che esso ha già identificato come a rischio» (§81).
Nelle rispettive motivazioni, sia l’Avvocato generale de la Tour che la Corte di Cassazione insistevano poi sulla necessità di mantenere aperta la possibilità di contestare la presunzione di sicurezza, soprattutto in presenza di eccezioni personali. Entrambi i provvedimenti ribadivano l’obbligo del giudice di verificare in concreto la fondatezza della presunzione, anche in assenza di informazioni ufficiali. La Cassazione ricordava che «la presunzione che il Paese d’origine sia sicuro non esonera il giudice dal dovere di valutare, se del caso, eventuali elementi individuali dedotti dal ricorrente»,
Inoltre, quanto al quarto quesito pregiudiziale in sintonia con le Conclusioni dell’Avvocato generale, la Cassazione richiamava espressamente anche il nuovo Regolamento 2024/1348, in particolare l’art. 61, co. 2, che autorizza espressamente gli Stati membri a designare un Paese terzo come sicuro, escludendo tuttavia determinate categorie chiaramente identificabili di persone dalla presunzione di sicurezza che tale designazione comporta. La Cassazione osservava che questa disposizione, “pur non ancora applicabile ratione temporis, è indicativa dell’evoluzione del sistema normativo e può orientare l’interpretazione della normativa attuale” (p. 27), sottolineando così la funzione interpretativa di norme future già formalmente adottate, in coerenza con il principio di unità dell’ordinamento dell’Unione. Di analogo tenore era il passo delle conclusioni dell’Avvocato generale, che ricordava come l’art. 61 consente agli Stati “di prepararsi adeguatamente all’applicazione di detto regolamento” e ne deduce che risulterebbe paradossale “imporre agli Stati membri […](di) abrogare una siffatta modalità di applicazione” (§94 Concl.).
Qui le Conclusioni dell'Avvocato Generale De La Tour concl.Avv.-gen
Qui la Sentenza del 1 agosto 2025 corte-giut-1-agosto-2025
Sul tema si vedano anche Corte di giustizia: l’Egitto non è un paese sicuro, Paesi sicuri e categorie di persone “insicure”: un binomio possibile? Il Tribunale di Firenze propone rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE di Cecilia Siccardi, Il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul DL paesi sicuri, La sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024, causa C-406/22, secondo una prospettiva “interna” e di diritto dell’Unione Europea di Marcella Cometti, Un giudice a Roma. Gli immigrati, il governo e la protezione dello stato di diritto di Cataldo Intrieri, Immigrazione, rimpatri e incolumità del richiedente asilo. Intervista a Rita Russo di Paola Filippi, Brevi note sul rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. e su limiti e controlimiti giurisprudenziali alla definizione normativa di paese sicuro di Roberto Giovanni Conti e Mario Serio.