Corte di giustizia: l’Egitto non è un paese sicuro.
Ecco perché il tribunale di Roma, con il decreto del 18 ottobre 2024 n.42251, in applicazione della sentenza della corte di giustizia 4 ottobre 2024 causa C-406/2022, ha rigettato la richiesta di convalida del trattenimento in Albania di un migrante, cittadino egiziano.
Il Tribunale di Roma, con il decreto del 18 ottobre 2024, chiamato a decidere sulla convalida di cittadino egiziano, trattenuto in Albania, ai sensi dell’art. 6-bis del d.lgs. n° 142/2015, non ha convalidato il decreto in applicazione della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea – Grande Sezione, del 4/10/2024.
La Corte di Giustizia, è bene rammentarlo, il 4 ottobre scorso ha affermato il principio secondo il quale “l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, di cui all'allegato I di tale direttiva.» e la scheda-Paese del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale definisce il l’Egitto paese sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art 8, comma 1, lettera e) del D.lvo 19 novembre 2007, n. 251.
La nozione di sicurezza va collegata, come ha spiegato la Corte di Giustizia dell’Unione europea, a tutto il territorio e a tutti i cittadini e ciò in ragione della necessaria concretezza del requisito.
La sentenza ricorda al punto 68 che «[...] la designazione di un paese come paese di origine sicura dipende, […], dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all'articolo 9 della direttiva 2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno».
La Corte di Giustizia sottolinea, altresì, che: «interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l'effetto di estendere l'ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l'interpretazione restrittiva cui devono essere subordinate le disposizioni derogatorie (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015,Commissione/Lussemburgo, C-502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell'8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ricevibilità di un ricorso reiterato),C-216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 71). La precedente direttiva consentiva l’esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone), ma tale possibilità è stata abrogata dalla direttiva attualmente in vigore e l’espressa intenzione di abrogare tale possibilità è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta elaborata dalla Commissione e fornita al Consiglio dell’Unione Europea (punti 74, 75 e 76).
I giudici nazionali si sono dunque attenuti al principio vincolante della Corte Giustizia, d’altro canto, nessun’altra via interpretativa era loro consentita e ciò nemmeno per compiacere il Governo italiano.
Contro il decreto del Tribunale di Roma del 28 ottobre 2014 emesso nell’ambito del procedimento RG 42251/24 è possibile il ricorso alle impugnazioni di rito; nessun’altra via è percorribile.
Senz’altro non appare utilizzabile lo strumento della pressione del Governo nazionale contro decisioni giurisdizionali e tanto più perniciosa appare la minaccia di provvedimenti governativi contro decisioni giurisdizionali emesse in applicazione di decisione vincolante della Corte di Giustizia.