I giovani e la guerra
(nota a Cass. 9 giugno 2022 n. 18626)
“Queste nostre parole sono dettate da una profonda aspirazione: il consolidamento della pace nel mondo… abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene”.
(Giovanni XXIII, Pacem in terris, 11 aprile 1963, punto 89)
Sommario: 1. Roma. Corte di Cassazione. La protezione internazionale che debba darsi a chi rifiuti di farsi coinvolgere in un conflitto armato che comporti il rischio di commissione di crimini di guerra o contro l'umanità. 2. Parigi. Palazzo dell’Eliseo. La dichiarazione di Emmanuel Macron circa l’invio di truppe nel conflitto Russia/Ucraina. 3. Di nuovo in Italia. Breve rassegna dell’evoluzione dell’art. 52 Cost. 4. Sintesi: la Corte di Cassazione 9 giugno 2022 n. 18626 e il diritto fondamentale dell’uomo a non esser obbligato a prender parte ad una guerra.
Roma. Corte di Cassazione. La protezione internazionale che debba darsi a chi rifiuti di farsi coinvolgere in un conflitto armato che comporti il rischio di commissione di crimini di guerra o contro l'umanità.
1. Si annota l’ordinanza Cass. 9 giugno 2022 n. 18626.
Si tratta di una pronuncia non recente, che tuttavia merita la nostra attenzione per (almeno) due diverse ragioni:
a) perché si tratta di un’ordinanza che si inserisce in un preciso e costante orientamento della Corte di Cassazione, e ad essa infatti possono unirsi, senza alcuna pretesa di completezza, le decisioni conformi anteriori di Cass. 3 marzo 2022 n. 7047; Cass. 18 maggio 2021 n.13461; Cass. 8 gennaio 2021 n. 102; Cass. 21 ottobre 2020 n. 22873; e Cass. 19 novembre 2019 n. 30031;
b) e perché, soprattutto, seppur sotto l’angolo visuale della protezione internazionale, ha ad oggetto un tema purtroppo oggi di grandissima attualità, e che è quello della guerra, nonché del diritto (o meno) di un cittadino a non esserne coinvolto.
1.1. Questo il fatto.
Due coniugi ucraini si allontanano dall’Ucraina per raggiungere l’Italia; per primo raggiunge l’Italia il marito, e ciò per sottrarsi al servizio militare e alla guerra; poi lo segue la moglie, che si unisce a lui.
Il marito chiede al giudice italiano la protezione internazionale dovuta alla circostanza che, altrimenti, egli sarebbe stato costretto al servizio militare e alla partecipazione del conflitto armato in atto.
La questione arriva all’attenzione della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione osserva che la domanda volta ad ottenere lo status di rifugiato non può prescindere: “dalla considerazione della attuale, notoria, esistenza di un conflitto armato internazionale, che interessa l'intero territorio ucraino, in relazione al quale deve ritenersi altrettanto notoria e comunque plausibile la connotazione di tale conflitto in termini di elevato rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità”.
Sulla base di questa premessa la Corte di Cassazione chiarisce altresì che: “in tema di protezione internazionale, deve essere riconosciuto lo status di rifugiato politico all'obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l'arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche indiretto, in un conflitto caratterizzato anche solo dall'alto rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità, costituendo la sanzione penale prevista dall'ordinamento straniero per detto rifiuto atto di persecuzione ai sensi del d.lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. e), e dell'art. 9, par. 2, lett. e), della direttiva n. 2004/83/CE come interpretato da C.G.U.E., 26 febbraio 2015, (causa C-472/13, Shepherd contro Germania), che estende la tutela anche al personale militare logistico e di sostegno (Cass. n. 13461/2021, Cass. n. 102/2021, Cass. n. 30031/2019)”.
Per questi motivi, così, la Corte di Cassazione riconosce al cittadino ucraino lo status di rifugiato, e, quanto alla moglie, rileva che: “l'attuale conflitto armato internazionale, che interessa l'intero territorio ucraino, con diffuso coinvolgimento di civili ed alla base di fenomeni di sfollamento di grandi dimensioni, giustifica il diretto riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del d.lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”.
1.2. Si consideri, infatti, che l’art. 9, 2° comma, lettera e) della Direttiva 2004/83 CE, e l'art. 7, comma 2, lett. e) del d.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 in attuazione di quella direttiva, richiamati dalla pronuncia annotata, ritengono sussistere lo stato di persecuzione a fronte di una sanzione penale in conseguenza del rifiuto di prestare il servizio militare collegato ad un conflitto armato ove possano perpetuarsi crimini di guerra o contro l’umanità.
Esattamente l’art. 9, 2° comma, lettera e) del e) della direttiva 2004/83 CE dispone che: “Gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, tra l'altro, assumere la forma di…… azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all'articolo 12, paragrafo 2”.
E parimenti l'art. 7, comma 2, lett. e) del d.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 statuisce che: “Gli atti di persecuzione di cui al comma 1 possono, tra l'altro, assumere la forma di:….azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie che comportano gravi violazioni di diritti umani fondamentali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare per motivi di natura morale, religiosa, politica o di appartenenza etnica o nazionale”.
Dunque, per la normativa europea ed interna, costituisce atto di persecuzione, che attribuisce il diritto allo status di rifugiato, l’obbligo di prestare servizio militare quando questi possa comportare il coinvolgimento in conflitti armati con commissione di crimini.
E, peraltro, per la Corte di Cassazione, la: “esistenza di un conflitto armato internazionale” rende, di per sé sola:“plausibile la connotazione di tale conflitto in termini di elevato rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità”.
1.3. La decisione, come premesso, non è isolata, ma costituisce espressione di un costante e conforme orientamento della Corte di Cassazione.
Tutti i precedenti di cui sopra, e che qui di nuovo si richiamano (Cass. 3 marzo 2022 n. 7047; Cass. 18 maggio 2021 n.13461; Cass. 8 gennaio 2021 n. 102; Cass. 21 ottobre 2020 n. 22873; Cass. 19 novembre 2019 n. 30031), attengono a fatti analoghi, relativi alla guerra in Ucraina, iniziata fin dal 2014, e affermano medesimi principi di diritto.
Merita, se del caso, esporre in modo più esteso la prima pronuncia, ovvero Cass. 19 novembre 2019 n. 30031, poiché è quella che ha posto le basi argomentative delle decisioni successive.
Esattamente in quella pronuncia si legge, preliminarmente, che l’UNHCR, nelle Linee Guida in materia di protezione internazionale n. 10, statuisce che l’obiezione di coscienza è: "il rifiuto di obbedienza ad una legge o ad un comando dell'autorità perché considerato in contrasto con i principi e le convinzioni personali radicati nella propria coscienza. L'obiettore di coscienza è dunque un cittadino che, dovendo prestare servizio militare armato, contrappone il proprio rifiuto all'uso delle armi ed attività ad esse collegate".
Questo rifiuto è considerato legittimo dalla Corte di Cassazione, tanto che questa prosegue asserendo che l’obiezione di coscienza nient’altro è se non: “l’esercizio dei diritti di libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici”.
Venendo poi al caso di specie, ovvero alla guerra in Ucraina, la Corte di Cassazione prosegue asserendo che: “Orbene, il caso di specie rientra nella fattispecie delineata dalla Corte di giustizia, in quanto il conflitto in cui il ricorrente rischia concretamente di essere arruolato - e per il quale è stato ricercato ai fini dell'arruolamento, come è incontroverso in atti - è già caratterizzato da svariati crimini di guerra e contro l'umanità, tali da legittimare sia il rifiuto di prestare il servizio militare, sia il riconoscimento della protezione internazionale in conseguenza di esso”.
E poi ancora: “Nel suo ultimo Rapporto 2015-2016, Amnesty International riferisce che entrambe le parti in conflitto in Ucraina "hanno commesso crimini di guerra, tra cui tortura e altri maltrattamenti dei prigionieri", riportando una serie di episodi, sia perpetrati dai separatisti del Donbass che dall'esercito ucraino o dalle forze paramilitari che lo coadiuvano, come il gruppo di estrema destra Pravyi Sektor. Una ricerca condotta dall'International Partnership for Human Rights dall'ottobre 2014 all'ottobre 2015, pubblicata a fine 2015, conferma che entrambe le parti hanno perpetrato crimini di guerra e crimini contro l'umanità, presentando il Rapporto alla Corte penale internazionale, ai sensi dell'art. 15 dello Statuto di Roma”.
Conviene poi riportare per esteso i seguenti passi della motivazione di Cass. 19 novembre 2019 n. 30031:
“Gli sforzi del governo ucraino per salvaguardare l'integrità territoriale dell'Ucraina e ristabilire la legge e l'ordine nelle zone di conflitto hanno continuato ad essere accompagnate da accuse di sparizioni forzate, arbitrarie e detenzione, così come torture e maltrattamenti di persone sospettate di attentati contro l'integrità territoriale o di terrorismo o ritenute sostenitrici della Repubblica di Donetsk e della Repubblica di Luhansk. Elementi del servizio di sicurezza dell'Ucraina sembrano godere di un alto grado di impunità, con rare indagini sulle accuse che li riguardano.
Da tutto ciò deriva, quindi, la persistente violazione dei diritti umani e la commissione di crimini di guerra in Ucraina, che legittimano la decisione del ricorrente di sottrarsi al fondato timore di essere arruolato e inviato nelle zone di guerra. Legittimo è, infatti, il rifiuto di partecipare alle operazioni militari se questo possa comportare anche il solo rischio di commissione di crimini di guerra o di gravi violazioni dei diritti umani.
Quanto poi alla punizione per la renitenza alla leva o la diserzione, si evidenzia che l'UNHCR, nel rilevarne l'aumento nel 2015 per svariati fattori "tra i quali l'obiezione a prendere parte ad una guerra civile in cui sono stati segnalati crimini di guerra contro i prigionieri commessi da entrambe le parti e dove è probabile che vengano uccisi dei connazionali", testimonia che "il Governo ha intensificato i procedimenti penali nei confronti di coloro che sono sospettati di renitenza alla leva e alla mobilitazione, e vi sono segnalazioni riguardanti l'uso di misure coercitive in alcune aree. Vi sono altresì segnalazioni riguardanti la fuga di uomini dalle ANCG attraverso la Federazione russa o cercando di evitare i checkpoint ufficiali alla frontiera per paura di essere mobilitati." (p. 34).
Venendo poi alle previsioni dell'ordinamento del paese di eventuale rimpatrio, la renitenza alla leva è punita dagli artt. 335, 336 e 337 c.p. Ucraino con una pena da 2 a 5 anni ma, come si è visto, la diserzione può oggi comportare la fucilazione e comunque pene oggettivamente sproporzionate ed eccessive che, nel caso di specie, esporrebbero il ricorrente al fondato rischio di gravissimi danni.
Sussiste quindi la ragionevole e concreta possibilità che in caso di rientro in Ucraina il ricorrente venga inviato a prestare il proprio servizio militare e che, tenuto conto di tutte le circostanze sopra esposte, sia plausibile che egli possa essere coinvolto, seppur anche solo indirettamente, anche nella commissione di crimini di guerra di cui l'esercito ucraino si è macchiato e continua tuttora a macchiarsi nei confronti dei cosiddetti separatisti, di prigionieri e della popolazione civile.
In tal drammatico contesto il rifiuto a prestare il servizio militare sarebbe il solo mezzo per il ricorrente per evitare la partecipazione a tale conflitto”.
Parigi. Palazzo dell’Eliseo. La dichiarazione di Emmanuel Macron circa l’invio di truppe nel conflitto Russia/Ucraina.
2. Questo orientamento della nostra Corte di Cassazione acquista particolare significato e valore, a mio sommesso parere, proprio in questi ultimi anni, dove purtroppo, da varie parti, si sono aperti nuovi preoccupati teatri di guerra, tutt’ora in corso.
L’Europa, in relazione ad essi, ha manifestato posizioni meno neutrali che in passato, o, se si vuole, più bellicose; e il primo Stato europeo che può annoverarsi tra quelli che hanno avuto questo nuovo atteggiamento è la Francia, e penso convenga così ricordare alcune vicende francesi comprese tra il 2023 e il 2024.
2.1. La Francia, in primo luogo, approva il 1° agosto 2023 la legge n. 703 avente ad oggetto la programmazione militare per gli anni 2024 – 2030[1].
Detta legge prevede un forte aumento delle spese militari, che vengono fissate in 413,3 miliardi di euro da qui al 2030, il 40% in più rispetto al passato.
Questa spesa, peraltro, non coinvolge gli aiuti all’Ucraina, poiché quelli sono assicurati con una uscita separata, deliberata dalla legge finanziaria e dal Ministero dell’economia, e non dal Ministero della difesa.
Sarà inoltre aumentato l’impiego di forze umane, che in base alla nuova legge consentirà di raggiungere il numero di 275.000 militari entro il 2030, ai quali si aggiungeranno 105.000 riservisti entro la fine del 2035.
Per far fronte alle nuove esigenze e alle nuove spese la legge prevede, poi, che talune industrie possano essere obbligate a costruire degli stocks di materie o composti strategici di interesse militare.
Da segnalare, infine, che un emendamento parlamentare alla legge prevedeva che una parte delle spese necessarie per l’aumento di queste esigenze militari potesse esser sopportato con i risparmi esistenti sui libretti dei cittadini francesi, ed in particolar modo sul c.d. Livret A[2].
Questa previsione veniva giudicata incostituzionale dal Conseil Constitutionel con DC 2023 – 854, 28 luglio 2023 e pertanto non inserita nella legge[3].
Desidero precisare che il Livret A è un libretto di risparmio nel quale non possono essere depositati più di € 23.000,00, e nessuno può avere più di un libretto.
Si tratta, pertanto, del risparmio del popolo, delle riserve economiche delle classi sociali più povere.
Come si sia potuto pensare di prendere i denari necessari a far fronte alle spese militari da quei libretti, si ha difficoltà a comprendere.
2.2. A fine febbraio 2024, con riferimento alla guerra tra Russia ed Ucraina, Emmanuel Macron dichiarava: “non c’è consenso, oggi, per inviare in maniera ufficiale, assumendosene la responsabilità, delle truppe sul terreno di guerra, ma in una prospettiva dinamica niente deve essere escluso”[4].
La frase, non condivisa da altri capi di Stato Europei, e nemmeno dagli Stati uniti d’America, suscitava egualmente un certo allarme tra la popolazione francese, e la questione che si poneva era se tali affermazioni non potessero dar vita ad una mobilitazione della popolazione civile, e non solo militare, verso l’Ucraina.
La preoccupazione sorgeva in relazione all’interpretazione da dare a talune disposizioni giuridiche, dalle quali una certa esegesi avrebbe potuto portare a ritenere che, effettivamente, il Capo di Stato e il suo Governo abbiano il potere di inviare in guerra anche dei civili a prescindere dalla loro volontà.
Un sunto di queste posizioni veniva reso anche in un servizio di TF1[5].
2.3. Per rispondere a queste inquietudini intervenivano alcuni costituzionalisti, nonché lo stesso Governo, ricordando come la materia fosse oggi regolata proprio dalla nuova legge di programmazione militare 1° agosto 2023 n. 703.
L’art. 23 di quella legge prevede infatti che: “In caso di minaccia, attuale o prevedibile, può essere decisa con un decreto del Consiglio dei Ministri la requisizione di tutte le persone, fisiche o morali, e di tutti i beni e i servizi necessari per farvi fronte”, pena una sanzione detentiva di cinque anni ed una ammenda di € 500.000,00 in caso di opposizione.[6]
Si è detto, tuttavia, che la legge, seppur equivocabile nel suo tenero letterale, dovesse essere attentamente letta e correttamente interpretata.
A questo fine prendeva posizione Jean Paul Markus, professore di diritto pubblico all’Università di Parigi, il quale precisava che la menzionata disposizione ha solo modernizzato la vecchia disciplina del Code de la défense del 1959,nient’altro, essendo il diritto alla requisizione in campo militare esistente da lungo tempo con l’art. L.2141-3 di quel codice, e precisava altresì che queste minacce, cui la legge fa riferimento per consentire la requisizione, devono in ogni caso riguardare le attività essenziali alla vita della Nazione, la protezione della popolazione, l’integrità del territorio, la permanenza delle istituzioni della Repubblica, o ancora devono essere giustificate dalla messa in opera degli impegni internazionali dello Stato in materia di difesa[7].
Quindi, ogni interpretazione della legge fuori da questo contesto doveva ritenersi inammissibile e scorretta.
2.4. Parimenti interveniva il primo ministro di allora, Elisabeth Borne, la quale precisava che la riforma fosse intervenuta sulla base soprattutto di una esigenza pratica, visto che i vecchi testi erano sparsi in più fonti, soggetti a più interpretazioni, e inadatti ai bisogni della nostra epoca[8].
Ulteriore intervento veniva fatto dal Ministro della Difesa, il quale altresì rassicurava che non si trattasse di inviare dei civili sui teatri di guerra, quanto, semmai, di rispondere a dei bisogni urgenti di salvaguardia degli interessi della difesa nazionale, per esempio con la requisizione di società specialistiche o di trasporto privato[9].
Anche per il senatore ecologista Guillaume Gontard questa riforma era da considerare ben inquadrata dal punto di vista giuridico; per Guillaume Gontard questa legge non cambiava molto rispetto al diritto già esistente, e limitava infatti la requisizione di persone e cose soltanto a fatti eccezionali e gravissimi[10].
2.5. In conclusione, si è ritenuto che non vi sia il rischio che il Presidente della Repubblica e il suo Governo possano inviare in Ucraina in modo forzato dei civili, e che pertanto talune affermazioni riscontrate sui social, e tendenti ad affermare il contrario sulla base della riforma di cui alla legge 1° agosto 2023 n. 703, fossero da considerare abusive, false, o comunque non corrispondenti alla realtà[11].
Da ricordare, comunque, che in occasione degli 80 anni dallo sbarco in Normandia, il 6 giugno scorso 2024, il Presidente della Repubblica francese, dinanzi alle forze armate, di nuovo dichiarava: “mentre i pericoli aumentano…..voi ricordate che noi siamo pronti a consentire i medesimi sacrifici per difendere quello che per noi è più caro, la nostra terra di Francia e i nostri valori repubblicani”[12].
Di nuovo in Italia.
Breve rassegna dell’evoluzione dell’art. 52 Cost.
3. Se torniamo in Italia, direi che è opportuno ripercorrere brevemente le vicende che hanno caratterizzato il rapporto tra obbligo militare e obiezione di coscienza[13].
3.1. Si tratta di una storia che possiamo addirittura far risalire alla stessa unità d’Italia e alla coscrizione obbligatoria del 1861, combattuta fortemente dalla popolazione del meridione contro le imposizioni dell’esercito piemontese.
Eguali rivolte si ebbero durante la grande guerra del 1915-18: furono circa 470.000 i processi per renitenza alla leva, e oltre un milione i processi per altri reati militari come diserzione, procurata infermità, disobbedienza aggravata, ammutinamento. V’è stato poi il ventennio della dittatura, e in quel contesto vale la pena ricordare la legge 8 giugno 1925 n. 969 avente ad oggetto l’Organizzazione della Nazione per la guerra[14], nonché la Leva Fascista: fu attiva in maniera obbligatoria dal 1926 al 1943; si celebrava in modo solenne il 24 maggio, anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nella prima guerra mondiale; dal 1934, il 16 ottobre, in tutti i comuni, si celebrava la festa della ginnastica nazionale; il giuramento che i giovani prestavano era il seguente: “Giuro di eseguire senza discutere gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, con il mio sangue, la causa della rivoluzione fascista”.
3.2. In Assemblea costituente un’ampissima maggioranza fu favorevole a postulare il servizio militare obbligatorio[15].
Nella commissione dei 75, addirittura, solo Francesco De Vita, un giovane di 33 anni, si oppose al servizio militare obbligatorio, e il testo provvisorio dell’art. art. 52 Cost. veniva infatti così: “approvato all’unanimità, meno un voto contrario”[16].
Nel plenum, contro quel testo, vi fu solo l’emendamento di Arrigo Cairo per il quale “Il servizio militare non è obbligatorio”.
Su quell’emendamento, a votazione per appello nominale, la stragrande maggioranza dei componenti l’Assemblea votò contro; furono favorevoli all’emendamento un numero assai ristretto di onorevoli, tra i quali va ricordato Piero Calamandrei; si astenne Aldo Moro, e non era presente alla votazione Giorgio La Pira[17].
Ci fu anche un emendamento di Giovanni Ernesto Caporali per porre in Costituzione il diritto all’obiezione di coscienza, che così disponeva: “Sono esenti dal portare le armi coloro i quali vi obiettino ragioni filosofiche e religiose di coscienza”; ma anche questo emendamento non veniva approvato[18].
Vi fu inoltre la proposta di un comma aggiunto da parte di Umberto Calosso, per il quale “Nel bilancio dello Stato, le spese per le forze armate non potranno superare le spese per la pubblica istruzione, salva legge del Parlamento di durata non superiore a un anno”; ma anche questa proposta fu bocciata, sul presupposto dell’impossibilità di mettere sullo stesso piano le spese militari con quelle concernenti l’istruzione[19].
La situazione era, d’altronde, quella ben delineata da Luigi Gasparotto, Ministro della difesa dell’epoca oltre che componente dell’Assemblea costituente, il quale sostenne che il servizio militare poteva sì in futuro rispondere a criteri di volontariato, ma che al momento non erano maturi i tempi per una scelta del genere.
Dichiarava infatti Luigi Gasparotto nell’adunanza del 22 maggio 1947: “Il problema del volontariato l’ho sollevato io per primo. Io ho detto però che, pur essendo, in principio, favorevole al volontariato, riconoscevo che a questo non si poteva arrivare che gradualmente, perché al momento attuale non sarebbe applicabile…..Con questo intendevo e intendo non chiudere le porte al volontariato che, gradualmente e fatalmente, dovrà andare in applicazione”[20].
3.3. Direi che questa previsione di Luigi Gasperotto è quanto poi si realizzerà negli anni a venire.
All'inizio degli anni '60 si avranno infatti le prime difese del diritto all’obiezione di coscienza, e tra queste prese di posizione vanno ricordate quelle di cattolici eminenti quali Giorgio La Pira, Ernesto Balducci e Lorenzo Milani.
a) Giorgio La Pira, in data 18 novembre 1961, e nella sua qualità di Sindaco di Firenze, autorizzava la proiezione del film "Non uccidere", incentrato sul tema dell'obiezione di coscienza, nonostante il divieto imposto dalla censura; peraltro dando ampia diffusione all’evento e invitando alla proiezione numerosi parlamentari, ministri, magistrati, sacerdoti e anche militari.
L’Osservatore romano criticò l’iniziativa e contestò il valore etico del film.
Giorgio La Pira subì un processo per questa iniziativa e fu accusato della commissione dei reati di violazione delle norme relative alla proiezione pubblica di pellicole cinematografiche e di apologia di reato.
Il Tribunale di Firenze, tuttavia, investito della causa, rimise la questione alla Corte costituzionale con riferimento al diritto di libera manifestazione del pensiero, ma la Corte costituzionale, con l’ordinanza del 16 febbraio 1963 n. 11, dichiarò infondata la questione e rimise gli atti al Tribunale, che alla fine però dichiarò che il fatto commesso da Giorgio La Pira non costituiva reato[21].
b) Padre Ernesto Balducci pubblicava sul Giornale del mattino, il 13 gennaio 1963, un articolo dal titolo: “La chiesa e la Patria”, con il quale si schierava a favore dell’obiezione di coscienza; subì un processo per apologia di reato e fu condannato.
In quell’articolo Ernesto Balducci scriveva che “l’autorità pubblica trova un limite invalicabile nelle leggi morali………i cittadini che sono in grado di avvertire l’iniquità della legge hanno non dico il diritto ma il dovere di disobbedire ……..per quanto riguarda l’obbligo di obbedire alla Patria quando essa chiama alle armi, anch’esso è subordinato alla giustizia naturale…….. nel caso di una guerra totale i cattolici avrebbero non dico il diritto ma il dovere di disertare. Servirsi della riserva che il cittadino non può giudicare da solo sulla liceità della guerra, significa dimenticare che siamo in un’epoca di democrazia, cioè in un’epoca che, provvidenzialmente, lega in modo stretto l’opinione del privato cittadino e le decisioni del potere pubblico”.
c) Don Lorenzo Milani, parimenti, rispondeva ai Cappellani militari in concedo in Toscana, che, in un comunicato apparso il 11 febbraio 1965, avevano considerato l’obiezione di coscienza estranea al comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà; egli prese posizione totalmente contraria e fu per questo denunciato all’autorità giudiziaria da parte di un gruppo di ex combattenti; don Lorenzo Milani venne assolto in primo grado dall’accusa di apologia di reato, e credo sia importante riportare una parte della motivazione di quella sentenza, pronunciata dal Tribunale di Roma il 15 febbraio 1966: “Se è vero che un ordinamento autenticamente democratico non deve temere la libera espressione delle idee, per quanto polemiche e spregiudicate esse possono sembrare - essendo tristo privilegio dei cosiddetti regimi « forti » (leggi: autoritari) quello della repressione penale delle idee - condannare il Milani per quanto ha ritenuto di scrivere sul problema dell'obiezione di coscienza equivarrebbe a colpire non già un'azione concretamente contraria al precetto penale, ma una mera opinione, per eversiva che questa possa essere o possa considerarsi. D'altra parte l'attività dell'imputato ben si può inserire nel quadro del movimento di propaganda per l'abrogazione o la modificazione di una legislazione ritenuta iniqua e dannosa, il che in uno Stato libero come il nostro è esplicazione della facoltà di critica delle leggi ed espressione di collaborazione per un migliore ordinamento giuridico anziché lesione o messa in pericolo di pubblici interessi. Il Milani, pertanto, va assolto dal delitto ascrittogli trattandosi di persona non punibile perché il fatto non costituisce reato”.
La sentenza fu tuttavia appellata, ed in appello il verdetto fu modificato, ma la condanna contro don Lorenzo Milani non poté avere seguito, in quanto sopravvenne la sua morte il 26 giugno 1967.
d) In concreto, comunque, il diritto all’obiezione di coscienza si sarebbe sviluppato solo successivamente, e a partire dagli anni Settanta, con tre successive leggi, la prima del 1972, la seconda del 1998, infine la terza del 2000.
3.4. La legge 15 dicembre 1972 n. 772, per la prima volta, riconosceva il diritto all'obiezione di coscienza e al servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici[22].
Gli obbligati dovevano presentare domanda in tal senso almeno 60 giorni prima dalla chiamata alla leva, e la domanda era sottoposta al giudizio di una commissione del Ministero della Difesa.
I giovani ammessi al beneficio dovevano prestare un servizio civile maggiorato nel tempo di otto mesi.
Si trattava, dunque, non del riconoscimento di un diritto, quanto piuttosto, al momento, di una concessione dello Stato, che lo stesso Ministero della difesa poteva o meno concedere in presenza di certi presupposti.
Da segnalare, tuttavia, che quella legge prevedeva altresì che, in caso di guerra, gli obiettori di coscienza potessero essere assegnati solo a servizi non armati”[23].
V’era, dunque, un primo riconoscimento non solo a non prestare servizio civile armato, ma nemmeno a essere chiamati alle armi in caso di guerra.
3.5. Alla legge del 1972 seguiva la legge 8 luglio 1998 n. 230, che sanciva, per la prima volta, il pieno riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza.
Con quella legge, infatti, l'obiezione di coscienza non fu più un mero beneficio concesso dallo Stato ma divenne un diritto della persona[24].
Soprattutto l’art. 13, 4° comma, ribadiva un concetto già esternato dalla precedente legge, ovvero che: “In caso di guerra o di mobilitazione generale, gli obiettori di coscienza che prestano il servizio civile o che, avendolo svolto, siano richiamati in servizio, sono assegnati alla protezione civile ed alla Croce rossa”.
3.6. La terza tappa veniva rappresentata dalla legge 14 novembre 2000, n. 331 recante "Norme per l'istituzione del Servizio Militare professionale", la quale mutava profondamente la natura del servizio di leva, che diventava volontario e professionale, e poneva fine all’idea che per evitare il servizio militare si dovesse essere obiettori di coscienza.
Ad essa poi si aggiungeva la legge 23 agosto 2004 n. 226 che anticipava al 1° gennaio 2005 la sospensione della leva obbligatoria, sospensione ancora oggi in atto.
Credo si possa affermare che il percorso fatto dal nostro legislatore con le leggi del 1972, del 1998 del 2000 e del 2004, abbia, in una certa maniera, e come anticipato, concretizzato la previsione già espressa in Assemblea costituente da Luigi Gasparotto, e in base alla quale i doveri di difesa della patria da parte dei cittadini non si esercitano necessariamente con le armi.
In questo modo, se si vuole, coordinando in senso evolutivo l’art. 52 Cost. con gli altri valori costituzionali.
3.7. Peraltro, in questa linea evolutiva penso si collochino le regole del codice dell’ordinamento militare di cui al d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66, nonché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
a) Il codice dell’ordinamento militare, all’art. 1929, 2° comma, prevede che il servizio militare obbligatorio possa essere ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica “se il personale in volontario in servizio è insufficiente, mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni”, e ciò nel caso “si sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’art. 78 della Costituzione”.
Ed ancora il codice dispone con l’art. 2097, che: “Coloro che, per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all'uso delle armi, non accettano l'arruolamento nelle Forze armate e nelle Forze di polizia dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva, in tempo di guerra o di grave crisi internazionale, prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati dai principi fondamentali della Costituzione”.
b) Parimenti, l’art. 10, 2° comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea recita che: “Il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
Dunque, da ciò si deduce che la difesa della Patria, anche in ipotesi di guerra o di grave crisi internazionale, per le nostre leggi nazionali, può aver luogo con la prestazione di un servizio civile non armato.
E ciò in coerenza con le precedenti normative sopra richiamate, in quanto l’art. 10 della legge 15 dicembre 1972 n. 772, già disponeva che: “In tempo di guerra, gli ammessi a prestare servizio militare non armato possono essere assegnati a servizi non armati”; l’art. 13, 4° comma, della legge 8 luglio 1998 n. 230, ribadiva che: “In caso di guerra gli obiettori di coscienza sono assegnati alla protezione civile ed alla Croce rossa”; e infine l’art. 2 lettera f) della legge 14 novembre 2000, n. 331 statuiva che il reclutamento obbligatorio in caso di guerra e di insufficienza del personale in servizio può esser dato “salvo quanto previsto dalla legge in materia di obiezione di coscienza”.
3.8. Sempre in questa linea evolutiva penso si debba collocare la sentenza della Corte Costituzionale 19 dicembre 1991 n. 467, la quale ha statuito che: “la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo come singolo, ai sensi dell'art. 2 Cost.»; [...] la sfera umana della coscienza individuale deve essere considerata come il riflesso giuridico più profondo dell'idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti…. e la sfera di potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta, in relazione a precisi contenuti espressivi del suo nucleo essenziale, un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall'assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili (c.d. obiezione di coscienza)”.
E sempre in questo ambito vanno collocati gli orientamenti dottrinali che riconducono l’obiezione di coscienza all’art. 2 Cost. [25], e, infine, nella medesima linea evolutiva si inseriscono altresì la Direttiva CE 2004/83, nonché la nostra Corte di Cassazione con gli orientamenti già indicati nel primo paragrafo di questo scritto; ed in questo modo torniamo al punto di partenza.
Sintesi: la Corte di Cassazione 9 giugno 2022 n. 18626 e il diritto fondamentale dell’uomo a non esser obbligato a prender parte ad una guerra.
4. E il punto di partenza io credo consista nella possibilità di affermare, basandosi sulla normativa esistente e sull’ordinanza Cass. 9 giugno 2022 n. 18626 e suoi precedenti conformi, che così come in Francia si è escluso che dei cittadini possano essere inviati sul fronte di guerra a prescindere dalla loro volontà, stessa regola valga anche per la nostra Italia, e, aggiungerei, per tutti i paesi democratici.
4.1. Va premesso che la nostra Corte di Cassazione ha affrontato la questione sotto il profilo della protezione internazionale e della possibilità o meno di riconoscere ad uno straniero lo status di rifugiato.
Tuttavia questo angolo visuale non impedisce, a mio sommesso parere, di attribuire un valore e una portata generale ai principi di diritto ivi affermati, in quanto la protezione internazionale si riconosce a chi, in base allo stesso art. 10, 3° comma Cost., non possa esercitare nel suo paese le libertà democratiche riconosciute nel nostro ordinamento; cosicché ogni diritto riconosciuto allo straniero non può non rappresentare parimenti un diritto che hanno anche i cittadini e tutti gli essere umani, e ciò anche in base alla convenzione di Ginevra del 1951, nonché in base all’art. 7 del d. lgs. 19 novembre 2007 n. 251, che riconosce la protezione internazionale a chi subisca: “violazione grave dei diritti umani fondamentali”.
4.2. Ciò premesso:
a) la Corte di Cassazione, a fronte dell’ordinamento interno e comunitario, ha configurato l’obiezione di coscienza come un vero e proprio diritto umano fondamentale; ciò è scritto a chiare lettere, ed infatti si legge nella pronuncia a commento che l’obiezione di coscienza nient’altro è se non: “l’esercizio dei diritti di libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici”.
b) Parallelamente, l’obiezione di coscienza comporta il diritto di rifiutare la coscrizione militare, e questo diritto è mantenuto anche in tempo di guerra.
Ciò trova precisa conferma nella evoluzione della nostra normativa, ed esattamente già negli artt. 10 della legge 15 dicembre 1972 n. 772, 13, 4° comma, della legge 8 luglio 1998 n. 230, e 2 lettera f) della legge 14 novembre 2000, n. 331.
Oggi ciò trova conferma nell’art. 2097 del codice dell’ordinamento militare di cui al d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66, per il quale, secondo il testo già riportato: “Coloro che, per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all'uso delle armi, non accettano l'arruolamento nelle Forze armate e nelle Forze di polizia dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva, in tempo di guerra o di grave crisi internazionale, prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare”.
c) Questo diritto all’obiezione di coscienza, infine, assurge a diritto umano, pieno e inalienabile, se nel conflitto armato al quale si dovrebbe prender parte possano essere commessi crimini di guerra o contro l’umanità.
Ancora Cass. 9 giugno 2022 n. 18626: “deve essere riconosciuto lo status di rifugiato politico all'obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l'arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche indiretto, in un conflitto caratterizzato anche solo dall'alto rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità”.
4.3. Tre puntualizzazioni vanno date su questo principio:
a) la prima è che il diritto a non prender parte ad una guerra che comporti il rischio della commessione di crimini va riconosciuto ad ogni livello e non solo con riguardo all’esclusione dalle forze militari, poiché si tratta di una tutela prestata: “non soltanto alle unità cd. operative, ma anche al personale militare logistico e di sostegno” (Cass. 3 marzo 2022 n. 7047), in quanto: “anche il personale ausiliario, di supporto e logistico può avvalersi dell'obiezione di coscienza” (Cass. 3 marzo 2022 n. 7047).
b) La seconda puntualizzazione è che tale diritto non è escluso dalla circostanza che il coinvolgimento possa avere solo carattere indiretto: “il rischio di un coinvolgimento, anche indiretto, in un conflitto” (Cass. 9 giugno 2022 n. 18626).
c) La terza è che la valutazione dell’esistenza o meno del rischio va fatta con un criterio di “ragionevole plausibilità” e non di “elevata probabilità, in quanto non può darsi: “ricorso ad un criterio di "elevata probabilità" che risulta diverso, e molto più restrittivo, di quello di "ragionevole plausibilità" al quale fa riferimento la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea” (Cass. 8 gennaio 2021 n. 102). E così: “Si configura infatti "ragionevole plausibilità" in ogni caso in cui, in ragione delle caratteristiche del conflitto, sussista il rischio che possano essere commessi, dal personale militare, crimini di guerra o contro l'umanità”. (Cass. 8 gennaio 2021 n. 102 e Cass. 3 marzo 2022 n. 7047), ovvero si tratta di una condizione di mera verosimiglianza: “possa ritenersi verosimile la commissione di crimini di guerra” (Cass. 18 maggio 2021 n. 13461).
Tutto ciò è comunque superfluo con riferimento all’Ucraina, dove crimini di guerra, per la nostra Corte di Cassazione, su dati di enti e associazioni internazionali, sono già stati commessi: “Il conflitto in cui il ricorrente rischia concretamente di essere arruolato è già caratterizzato da svariati crimini di guerra e contro l'umanità tali da legittimare sia il rifiuto di prestare il servizio militare, sia il riconoscimento della protezione internazionale in conseguenza di esso” (Cass. 19 novembre 2019 n. 30031).
4.4. Credo, così, si possa affermare che, in caso di guerra, nessuno può essere obbligato ad impugnare le armi.
Chi rifiuti di farlo può essere tuttavia obbligato, ai sensi dell’art. 2097 del codice dell’ordinamento militare, ad “un servizio civile”.
Tuttavia questa assegnazione non può aver luogo se la guerra presenta, anche “indirettamente” (Cass. 9 giugno 2022 n. 18626), la “ragionevole plausibilità” (Cass. 8 gennaio 2021 n. 102 e Cass. 3 marzo 2022 n. 7047), se non addirittura “la verosimiglianza” (Cass. 18 maggio 2021 n. 13461), della commissione di crimini di guerra o contro l’umanità.
E poiché, sembra, almeno a me, difficile immaginare una guerra ove non vi sia, nemmeno nella sua sola potenzialità e/o verosimiglianza, il rischio della commissione di crimini, il passo è breve per affermare, puramente e semplicemente, chenessuno in Italia, in Europa, o in ogni altro Stato democratico di libertà, può essere con la forza inviato su un teatro di guerra, o subire sanzioni, o la perdita di diritti, per il rifiuto che vi opponga.
Di nuovo, per la Corte di Cassazione, la: “esistenza di un conflitto armato internazionale” rende di per sé sola:“plausibile la connotazione di tale conflitto in termini di elevato rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità” (Cass. 9 giugno 2022 n. 18626).
Si tratta di un importante messaggio di pace, da trasmettere soprattutto ai nostri giovani.
Così come nessuno può essere condannato a morte, o ridotto in schiavitù, o torturato, allo stesso modo nessuno può essere obbligato a partecipare ad una guerra contro la propria coscienza, perché obbligarlo alla guerra contro la sua volontà e la sua coscienza costituirebbe di per sé già tortura, o riduzione in schiavitù, o, con buona probabilità, condanna a morte.
4.5. Due ultime osservazioni per terminare:
a) la prima è che, probabilmente, è proprio questo lo spartiacque tra uno Stato democratico e uno Stato totalitario, tra uno Stato che riconosce i diritti umani, o assoluti, o inalienabili dell’uomo, e uno Stato che, al contrario, ritiene che nessun diritto abbia l’uomo fuori dalle determinazioni del pubblico potere.
Se si vuole, è la base della nostra stessa democrazia porre l’uomo al centro del sistema, e sotto questo profilo possono così risuonare ancor oggi le parole che Giorgio La Pira pronunciò presso la sottocommissione del 75 il 9 settembre 1946:
È necessario che alla Costituzione sia premessa una dichiarazione dei diritti dell’uomo, soprattutto come affermazione solenne della diversa concessione dello Stato democratico, che riconosce i diritti sacri, inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista, che con l’affermazione dei diritti riflessi, e cioè con la teoria che lo Stato è la fonte esclusiva del diritto, negò e violò alla radice i diritti dell’uomo”[26].
b) La seconda è che il diritto: “al rifiuto all'uso delle armi ed attività ad esse collegate” (così, ancora, Cass. 19 novembre 2019 n. 30031) costituisce un diritto umano e fondamentale dell’uomo, ovvero un diritto che non può essere modificato, o fatto venir meno, né da un Capo di Stato, né da un Governo, né da un Parlamento, né da un giudice, in quanto nessuna legislazione, e nessun orientamento giurisprudenziale, possono comprimere ciò che è inalienabile.
A niente rilevano i nuovi possibile scenari; nessun scenario può intaccare i diritti umani fondamentali dell’uomo.
[1] https:/www.legifrance.gouv.fr/dossierlegislatif/JORFDOLE000047403917.
[2] https://www.vie-publique.fr/loi/288878-loi-du-1er-aout-2023-programmation-militaire-2024-2030-lpm#: “Un article, introduit par amendement parlementaire, prévoyait qu'une partie des fonds collectés dans le cadre du livret A serait affectée au financement des entreprises de l'industrie de la défense. Cet article a été censuré par le Conseil constitutionnel comme cavalier législatif (sans lien avec l'objet du projet de loi initial)”.
[3] Conseil Constitutionel 2023 – 854, DC 28 luglio 2023, al punto 23 così statuisce: “L’article 52 complète l’article L. 221-5 du code monétaire et financier afin de prévoir l’affectation au financement d’entreprises de l’industrie de défense de certaines ressources collectées au titre de livrets d’épargne réglementée. Il prévoit également la remise au Parlement d’un rapport d’évaluation de ce dispositif. Introduites en première lecture, ces dispositions ne présentent pas de lien, même indirect, avec celles du chapitre III du titre II du projet de loi initial, et en particulier avec celles précitées de son article 24”.
[4] Questa la frase di Emmanuel Macron: “Il n'y a pas de consensus aujourd'hui pour envoyer de manière officielle, assumée et endossée, des troupes au sol. Mais en dynamique, rien ne doit être exclu."
[5] https://www.tf1info.fr/politique/ Grace a une loi de 2023 Emmanuel Macron peut il envoyer au front des civils et les mettre en prison s’ils refusent?
[6] Questo il testo di legge n. 703/2023, art. 23: "En cas de menace, actuelle ou prévisible […] la réquisition de toute personne, physique ou morale, et de tous les biens et les services nécessaires pour y parer, peut être décidée par décret en Conseil des ministres". Sera par ailleurs "puni d’un emprisonnement de 5 ans et d’une amende de 500.000 euros", quiconque viendrait à s'opposer à de telles réquisitions.
[7] Jean Paul Markus (le site lessurligneurs.eu), precisa infatti che ciò può avvenire solo: “pesant sur les activités essentielles à la vie de la Nation, la protection de la population, l’intégrité du territoire, la permanence des institutions de la République ou de nature à justifier la mise en œuvre des engagements internationaux de l’État en matière de défense”.
[8] Questa la dichiarazione di Elisabeth Borne secondo quanto riportato da https://www.tf1info.fr/politique/:“Le droit des réquisitions est le fruit d'un empilement de textes épars, obéissant à des objectifs et à des procédures qui n'apparaissent ni homogènes ni coordonnés et dont la rédaction semble parfois désuète, sujette à interprétation ou, plus largement, inadaptée aux besoins de l'époque".
[9] Questa la posizione del Ministro della difesa, in quanto la norma ha lo scopo di: "répondre à un besoin urgent de sauvegarder les intérêts de la défense nationale (par exemple par la réquisition de société spécialisée capable de récupérer les débris d’un avion de chasse qui se serait abîmé en mer)". Il s'agirait aussi d'être en capacité de "mettre en œuvre nos engagements de défense lorsqu’un État allié bénéficie de mesures de réassurance (par exemple, dans le cadre des actions de l’Otan, permettre à très bref délai la projection de moyens militaires vers l’étranger, en s’appuyant le cas échéant sur des moyens de transport privés en complément des moyens militaires) (https://www.tf1info.fr/politique/)."
[10] Guillaume Gontard, che precisa: “à des circonstances tout à fait exceptionnelles et gravissimes" (https://www.tf1info.fr/politique/).
[11] Ancora https://www.tf1info.fr/politique/: “Faire appel à des civils, réquisitionnés pour leurs compétences et leur expertise, serait uniquement justifié par le besoin de répondre à des menaces spécifiques (attaques contre les réseaux de télécommunication, destruction de satellites, sabotages de câbles sous-marins ou de gazoducs...)”.
[12] Esattamente, riportato dal quotidiano Le figaro: “Alors que les périls montent…….vous rappellez que nous sommes prets à consentir aux memes sacrifices pour défendre ce qui nous est le puls cher, notre terre de France e nos valeurs républicaines”.
[13] V. in argomento F.C. PALAZZO, Obiezione di coscienza, voce dell’Enc. del diritto, Milano, 1979, XXIX, 539 e ss.
[14] L’art. 3 di quella legge prevedeva che: “In caso di mobilitazione generale e in caso di mobilitazione parziale, quando se ne constati dal Governo la necessità, e nella misura che crederà opportuna, tutti i cittadini, uomini e donne, e tutti gli Enti legalmente costituiti, sono obbligati a concorrere alla difesa morale e materiale della Nazione e sono sottoposti ad una disciplina di guerra”.
[15] V. in argomento P. D’AMELIO, Leva militare, voce dell’Enc. del diritto, Milano, 1974, XXIV, 186 e ss.
[16] V. La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1971, VI, 698.
[17] V. La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1971, III, 1904 e ss.
[18] V. La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, cit., III, 1909.
[19] V. La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, cit., III, 1909 – 1914.
[20] V. La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, cit., III, 1906.
[21] Per questa vicenda v. anche SCARSELLI, Attualità di Giorgio La Pira, in questa rivista, 24 giugno 2024.
[22] Esattamente, l’art. 1 di quella legge prevedeva che: “Gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all'uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza, possono essere ammessi a soddisfare l'obbligo del servizio militare nei modi previsti dalla presente legge. I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto”.
V. in argomento BETTINELLI, Profilo di diritto costituzionale della disciplina legislativa dell’obiezione di coscienza, Giur. cost., 1972, 2928
[23] V. infatti l’art. l’art. 10 legge 15 dicembre 1972 n. 772, per il quale: “In tempo di guerra gli ammessi a prestare servizio militare non armato o servizio civile sostitutivo possono essere assegnati a servizi non armati, anche se si tratti di attività pericolose”.
[24] Esattamente l’art. 1 di questa nuova legge disponeva che: “I cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all'uso delle armi, non accettano l'arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile”.
L’art. 4 poi riconosceva agli obiettori la possibilità di indicare “le proprie scelte in ordine all'area vocazionale e al settore d'impiego, ivi compresa l'eventuale preferenza per il servizio gestito da enti del settore pubblico o del settore privato, designando fino a dieci enti nell'ambito di una regione prescelta”. Inoltre per la prima volta, e diversamente dalla legge del 1972, l’art. 9. 4° comma statuiva che “Il servizio civile ha una durata pari a quella del servizio militare di leva e comprende un periodo di formazione e un periodo di attività operativa”.
[25] Per la riconduzione del diritto all’obiezione di coscienza all’art. 2 Cost. v. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, II, 1038; PEDIO, Osservazioni sulla obiezione di coscienza, Foro it., 1953, II, 207; BETTINELLI, Profilo di diritto costituzionale della disciplina legislativa dell’obiezione di coscienza, cit., 2928.
[26] V. La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1971, VI, 348.