Il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: una nuova «occasione» di nomofilachia?
di Antonio Scarpa
Sommario: I. Inquadramento normativo – II. Un nuovo strumento per la perfezione della «funzione nomofilattica» - III. Il procedimento di rinvio pregiudiziale dinanzi al giudice di merito - IV. Le condizioni di ammissibilità del rinvio pregiudiziale - V. Il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione - VI. La prosecuzione del giudizio di merito.
I. Inquadramento normativo
L’art. 363-bis del codice di procedura civile, recante la rubrica “Rinvio pregiudiziale”, è stato introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ed è applicabile (avuto riguardo alla disciplina transitoria dettata dall’art. 35 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, comma 380, lettera a, della legge n. 197 del 2022) a tutti i procedimenti di merito pendenti[1]. Pur trattandosi di diposizione destinata ad operare nel primo o nel secondo grado del processo di cognizione, ordinario o semplificato, come anche nel corso di procedimenti di natura camerale o cautelare che non esitano in provvedimenti ricorribili in cassazione, il legislatore della recente ennesima riforma del rito civile ne ha scelto la collocazione sistematica nell’ambito del capo del secondo libro del codice che disciplina il giudizio di legittimità[2].
È stata, del resto, così data attuazione alla norma di delega dettata dall’art. 1, comma 9, lettera g), della legge 26 novembre 2021, n. 206, il quale, appunto, comprendeva fra i principi e criteri direttivi da rispettare nell’apportare modifiche al codice di procedura civile in materia di giudizio di cassazione:
«(…) introdurre la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto, prevedendo che:
1) l’esercizio del potere di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione è subordinato alla sussistenza dei seguenti presupposti:
1.1) la questione è esclusivamente di diritto, non ancora affrontata dalla Corte di cassazione e di particolare importanza;
1.2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
1.3) la questione è suscettibile di porsi in numerose controversie;
2) ricevuta l’ordinanza con la quale il giudice sottopone la questione, il Primo presidente, entro novanta giorni, dichiara inammissibile la richiesta qualora risultino insussistenti i presupposti di cui al numero 1) della presente lettera;
3) nel caso in cui non provvede a dichiarare l’inammissibilità, il Primo presidente assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice tabellarmente competente;
4) la Corte di cassazione decide enunciando il principio di diritto in esito ad un procedimento da svolgere mediante pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti di depositare brevi memorie entro un termine assegnato dalla Corte stessa;
5) il rinvio pregiudiziale in cassazione sospende il giudizio di merito ove è sorta la questione oggetto di rinvio;
6) il provvedimento con il quale la Corte di cassazione decide sulla questione è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e conserva tale effetto, ove il processo si estingua, anche nel nuovo processo che è instaurato con la riproposizione della medesima domanda nei confronti delle medesime parti».
L’art. 363-bis c.p.c. stabilisce, allora, che il “giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto”, nel concorso di quattro condizioni: 1) la questione deve essere “necessaria alla definizione anche parziale del giudizio”; 2) la stessa non deve essere “stata ancora risolta dalla Corte di cassazione”; 3) deve presentare “gravi difficoltà interpretative”; 4) deve essere “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”.
L’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale deve perciò essere motivata, indicando anche le “diverse interpretazioni possibili”. Essa è trasmessa alla Corte di cassazione e comunicata alle parti, e, dal giorno del suo deposito, il procedimento di merito resta sospeso, “salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale”.
Il Primo Presidente della Corte di cassazione, ricevuta l’ordinanza, entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto, oppure dichiara con decreto l’inammissibilità della medesima questione per la mancanza di una o più delle quattro condizioni specificate.
Ai sensi dell’art. 137-ter disp. att. c.p.c. (anch’esso introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022), fermo quanto stabilito dall’art. 51 del d.lgs. n. 196 del 2003 in tema di trattamento dei dati personali in ambito giudiziario e informatica giuridica, i provvedimenti che dispongono il rinvio pregiudiziale e i decreti del Primo Presidente ad esso relativi sono pubblicati nel sito istituzionale della Corte di cassazione, a cura del CED.
La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare “brevi memorie” ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Il provvedimento che definisce la questione dispone la restituzione degli atti al giudice a quo.
Il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento pendente e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui venga proposta la medesima domanda tra le stesse parti.
II. Un nuovo strumento per la perfezione della «funzione nomofilattica»
Inserito in consecuzione all’art. 363 c.p.c. (Principio di diritto nell’interesse della legge), l’art. 363-bis sembra dunque volersi proporre come nuovo “strumento offerto dall’ordinamento per la perfezione della funzione nomofilattica” (Andrioli). A differenza, però, della disposizione cui segue nell’ordine del codice, l’art. 363-bis non slega l’esercizio della nomofilachia dall’esercizio della funzione attinente allo ius litigatoris, interviene necessariamente in una fase del processo di cognizione, postula che sia garantito il contraddittorio tra le parti, mantiene una stretta inerenza alla concreta vicenda processuale, assicura al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte un’efficacia vincolante nel giudizio di merito a quo ed anche esterna (“panprocessuale”) nei successivi processi tra le stesse parti, proiettandosi, quindi, per sua natura verso un indispensabile seguito procedimentale.
Inoltre, il rinvio pregiudiziale prescinde, alla lettera, da una valutazione di «particolare importanza» della «questione» (che era indicata dalla legge di delega) e richiede, piuttosto, che la stessa denoti «gravi difficoltà interpretative» ed appaia «suscettibile di porsi in numerosi giudizi», alla stregua, quindi, di un primo dato desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto, e di un secondo dato che sovrasta l’immediata influenza della regola di giudizio espressa dalla Corte di cassazione in relazione alla singola vicenda processuale e la eleva a criterio di decisione di casi analoghi o simili.
L’art. 363-bis non configura, pertanto, una ipotesi di “giurisdizione puramente consultiva”, né è una sorta di certiorari attribuito alla Suprema Corte per consentirle di riesaminare la correttezza degli atti di un procedimento di merito. I primi commentatori ne hanno indicato le analogie e le differenze rispetto: al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE; al rilievo incidentale della questione pregiudiziale di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art 23 della legge 11 marzo 1953, n 87; agli effetti della sentenza della Cassazione di accertamento pregiudiziale dell’efficacia, validità e interpretazione dei contratti o accordi collettivi, ai sensi dell’art. 420- bis c.p.c. e dell’art. 146-bis disp. att. c.p.c.; alla saisine pour avis dell’ordinamento francese (artt. 1031-1 e seg. del Code de procédure civile e L441-1 e seg. del Code l’organisation judiciaire) (F. Barbieri; A. Briguglio; F. De Stefano; M. Fabiani; C.V. Giabardo).
Si è scritto che la pronuncia ex art. 363-bis è “semplicemente occasionata dal giudizio a cui si riferisce, ma ha una portata ben superiore”. La Corte di cassazione si esprimerà “grazie a la vicenda, ma non solo per quella…. La causa è un pretesto perché la voce della Corte si faccia sentire da tutti” (C.V. Giabardo). Lo strumento andrà perciò sfruttato proprio per rimediare alla non più sostenibile “occasionalità” della nomofilachia adempiuta soltanto per il tramite di un terzo grado di giudizio, che interviene a distanza di anni dalla domanda di merito e comunque condizionatamente alla formazione progressiva del giudicato derivante dall’acquiescenza, la quale è espressione del principio di disponibilità dei mezzi di impugnazione[3].
Il “rinvio pregiudiziale” è, dunque, una nuova occasione di nomofilachia a portata di mano: come tutte le buone occasioni, però, essa difficilmente si presenta e facilmente può perdersi.
III. Il procedimento di rinvio pregiudiziale dinanzi al giudice di merito
Il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione può essere disposto dal “giudice di merito”, dunque in ogni fase del giudizio di primo grado o di appello, ed anche in sede di decisione.
Dovendosi, tuttavia, trattare pur sempre di “questione necessaria alla definizione anche parziale del giudizio”, il rinvio non sarà consentito al giudice di primo grado se la stessa questione esuli del thema decidendum definito dalle domande, eccezioni e conclusioni proposte, precisate o modificate, dalle parti, a norma degli artt. 163, 166, 167, 183 (171-ter) c.p.c., o da quelle altrimenti comunque rilevabili d’ufficio. E’ auspicabile, inoltre, che il giudice di primo grado provveda al rinvio pregiudiziale dopo che abbia proceduto nel corso dell’udienza di trattazione alla eventuale richiesta di chiarimenti alle parti. Il giudice d’appello potrà invece disporre il rinvio pregiudiziale sempre che la questione rientri nell’ambito di ciò che sia rimasto sottratto alla regola della formazione progressiva del giudicato ed all’operatività dell’acquiescenza, e dunque nei limiti devolutivi segnati dagli artt. 329, 342 e 346 c.p.c.
Il giudice di pace, il tribunale o la corte d’appello provvede al rinvio alla Corte di cassazione “con ordinanza”, non contenendo il provvedimento alcuna statuizione di natura decisoria, idonea a definire il giudizio.
Vi è obbligo per il giudice di disporre il rinvio soltanto dopo aver sentito le parti costituite, e cioè dopo aver provocato il contraddittorio sulla questione mediante invito alla stesse a prendere posizione al riguardo. La mancata instaurazione del preventivo contraddittorio sul rinvio implicherà una nullità dell’ordinanza, rilevabile su iniziativa della parte interessata nella prima istanza o difesa successiva, a norma dell’art. 157, comma 2, c.p.c.
Il secondo comma dell’art. 363-bis prescrive che l’ordinanza debba essere “motivata”, dettando altresì uno specifico requisito di contenuto, che va oltre il “succintamente” di cui all’art. 134, comma 1, c.p.c., in quanto viene stabilito che il provvedimento di rinvio rechi “specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili”, a dimostrazione delle “gravi difficoltà interpretative” che connotano la questione. Ove manchi una motivazione così qualificata sul contrasto esegetico, l’ordinanza dovrà reputarsi inidonea ad assolvere allo scopo cui è diretta, cioè quello di investire la Corte di cassazione della risoluzione della questione, e perciò inammissibile, non potendo la Corte adita disporne la rinnovazione ai sensi dell’art. 162, comma 1, c.p.c.
Le “diverse interpretazioni” devono peraltro sempre concernere la questione di diritto “necessaria alla definizione” del giudizio, e dunque occorre che la motivazione del giudice rimettente spieghi l’incidenza attuale del contrasto ermeneutico sulla norma da applicare nel giudizio innanzi a lui pendente. Sarebbe, altrimenti, improprio l’utilizzo del rinvio pregiudiziale da parte del giudice del merito ove rivolto unicamente a conseguire un avallo interpretativo dalla Suprema Corte diretto a preservare la propria decisione da una diversa lettura ed applicazione delle norme ad opera del giudice dell’impugnazione. Non è indispensabile che il giudice del rinvio sindachi la fondatezza e la praticabilità delle diverse interpretazioni di cui è suscettibile la questione devoluta, né che indichi le ragioni che lo inducano a preferire una tra le possibili soluzioni ermeneutiche che si contendono il campo. Le diverse interpretazioni da rappresentare in motivazione postulano (oltre che la questione non sia stata ancora “risolta dalla Corte di cassazione”, come meglio si vedrà in seguito) che, utilizzando i criteri dettati dall’art 12 delle preleggi, si pervenga ad almeno due possibili esiti divergenti, ovvero che comunque vi siano differenti posizioni nella giurisprudenza e nella dottrina in ordine alle problematiche sollevate, e perciò manchi una communis opinio.
Se, peraltro, il giudice di merito ravvisi profili di illegittimità costituzionale o di contrasto con il diritto dell’Unione europea delle norme coinvolte nella questione di diritto, sarebbe impropria la strada del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione finalizzato a che questa proceda poi alla rimessione alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia UE.
L’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale è “immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione” ed è comunicata alle parti a cura del cancelliere del giudice rimettente, ai fini del contraddittorio. La mancata comunicazione dell’ordinanza, ove rilevata dalla Corte, determinerebbe la necessità di provvedere all’adempimento a cura del giudice rimettente.
A norma dell’art. 137-bis disp. att. c.p.c., che richiama espressamente l’art. 363-bis, il cancelliere della Corte, entro sessanta giorni dalla trasmissione dell’ordinanza, acquisisce il fascicolo d’ufficio dalla cancelleria del giudice che ha pronunciato il provvedimento (senza che dunque occorra che questi disponga nell’ordinanza la relativa rimessione del fascicolo).
Dal giorno stesso in cui è depositata l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, il processo è sospeso[4], ma è fatto salvo “il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale”, la quale, invero, può risultare necessaria anche alla definizione di parte soltanto del giudizio. La disposizione si salda con le ipotesi già regolate dagli artt. 48, comma 2, 298, comma 1, e 367 c.p.c. e potrà perciò avvalersi delle consolidate esperienze applicative di tali norme.
Il provvedimento di sospensione del processo in ragione del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, integrando una sospensione cd. impropria, non sarà ovviamente impugnabile mediante regolamento di competenza, trattandosi di ipotesi che esula dall’ambito dell’art. 42 c.p.c.[5]
Gli atti urgenti del procedimento che il giudice del merito potrà compiere durante la sospensione per rinvio pregiudiziale sono quelli di natura conservativa ed indifferibile, che attengono al merito della controversia e tendono alla conservazione dello stato di fatto in attesa della riassunzione. Le inderogabili esigenze pratiche che potranno legittimare l’adozione degli atti del processo sospeso non si identificano con l’urgenza che ha la parte di conseguire la soddisfazione del proprio interesse sostanziale, ma consistono, invece, nella necessità di evitare che il protrarsi della quiescenza della causa produca irreparabile pregiudizio alle ragioni dei contendenti, oppure provochi la perdita per i medesimi della facoltà di fornire una prova. Non deve, dunque, trattarsi di atti a contenuto decisorio che suppongano risolta la questione rimessa alla Corte di cassazione.
Quanto alle attività istruttorie, di per sé non anche “urgenti”, che possono svolgersi in costanza della sospensione, esse non devono essere correlate alla parte della controversia che attende la soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale. In ogni caso, i provvedimenti che dispongano l’ulteriore istruzione restano revocabili altresì alla luce della successiva pronuncia della Corte di cassazione sul rinvio pregiudiziale.
IV. Le condizioni di ammissibilità del rinvio pregiudiziale
L’art. 363-bis prescrive innanzitutto che il rinvio pregiudiziale riguardi “la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto”. Può certamente prevedersi che tale presupposto apra un dibattito analogo a quello già da tempo in essere in ordine agli artt. 101, comma 2, e 384, comma 3, c.p.c. ed al distinguo fra questioni di puro diritto, questioni di fatto e questioni miste di fatto e di diritto. E’ davvero configurabile, nel corso di una causa di merito pendente, una “questione esclusivamente di diritto”, che però sia, allo stesso tempo, altresì “necessaria alla definizione anche parziale del giudizio”? Ai fini della praticabilità del rinvio pregiudiziale, certamente le questioni di diritto che lo giustificano non si riducono a quelle di esclusiva rilevanza processuale e possono ben riguardare pure la decisione del merito della causa, in rapporto alla norma che il giudice individui come applicabile al caso concreto. E’ inoltre inevitabile che ogni questione che attenga sia alle vicende costitutive, modificative o estintive del diritto dedotto in giudizio, sia a profili di rito litis ingressus impedientes, una volta che il giudice segnali alle parti, disponendone l’audizione sul punto, l’intenzione di investirne pregiudizialmente la Corte di cassazione, indurrà i medesimi contendenti a sviluppare altresì il dibattito mediante nuove allegazioni sul quadro fattuale della lite ed a riesaminare il materiale probatorio, sicché forse si ex ante, ma difficilmente ex post, possono rivelarsi al giudice di merito questioni risolutive che siano davvero “esclusivamente di diritto”.
Le altre condizioni, tutte concorrenti e non dunque alternative, di ammissibilità del rinvio ex art. 363-bis, sono: la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo merito; l’assenza di una precedente “risoluzione” della questione da parte della Corte di cassazione; la presenza di “gravi difficoltà interpretative”; l’idoneità della questione a porsi in numerosi giudizi.
La necessaria pregiudizialità della questione rimessa alla Corte di cassazione comporta che la stessa costituisca un indispensabile antecedente logico-giuridico influente sull’esito del thema decidendum del processo di merito pendente tra le parti.
L’assenza di una precedente “risoluzione” della questione da parte della Corte di cassazione lascia pensare, approfittando dell’elaborazione acquisita con riguardo alla inammissibilità del ricorso per cassazione per regioni merito di cui all’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., che il legislatore del d.l. n. 149 del 2022 abbia immaginato che sia superfluo chiamare la Corte a riesaminare in via pregiudiziale una quaestio iuris che essa abbia già deciso con orientamento consolidato ed uniforme, non bastando, peraltro, al rimettente (a differenza che al ricorrente) offrire “elementi per mutare … l’orientamento della stessa” [6]. Si tratta di valutazione che il Primo Presidente dovrà svolgere al momento della verifica preliminare di ammissibilità della questione, ovvero prima di decidere se assegnare la stessa alle sezioni unite o alla sezione semplice, e che comunque dovrà rinnovare la Corte in sede di pronuncia, apparendo irragionevole che sia dichiarato ammissibile un rinvio pregiudiziale su questione che non fosse stata risolta dalla giurisprudenza di legittimità all’epoca del deposito dell’ordinanza del giudice di merito e che invece sia poi stata medio tempore decisa con valenza nomofilattica. Potrà, al contrario, capitare che solo a seguito della adozione del provvedimento di rinvio pregiudiziale venga a verificarsi una difformità di decisioni delle sezioni semplici in ordine alla questione di diritto, e ciò potrebbe giustificare l’assegnazione della stessa alle sezioni unite.
Come già per il parametro della conformità alla «giurisprudenza della Corte» di cui all’art. 360-bis, a proposito del riscontro della condizione della mancanza di preventiva «risoluzione» della questione occorrerà intendersi su quante pronunce servano per dire che essa sia data per «risolta dalla Corte di cassazione». Ci si interrogherà se basta un precedente di legittimità degli oltre quarantamila annui della nostra Suprema Corte per risolvere stabilmente una questione[7]. Rimane, quindi, di stretta attualità l’argomento del sofisma del sorite, del quale scriveva Taruffo: quanti granelli ci vogliono per fare un mucchio di sabbia, ovvero, quale granello, singolarmente aggiunto, fa divenire mucchio ciò che prima tale non era?
La questione rimessa alla Corte di cassazione deve, poi, presentare “gravi difficoltà interpretative”. L’aggettivo “gravi” potrebbe far pensare che il dubbio ermeneutico debba implicare la soluzione di problemi di speciale complessità, ma può pensarsi che nell’applicazione concreta dell’art. 363-bis l’ammissibilità del rinvio venga giustificata già soltanto in presenza delle “diverse interpretazioni possibili”, di cui si sia dato conto in motivazione dal giudice rimettente.
La condizione di più complessa accertabilità attiene sicuramente alla idoneità della questione a porsi in numerosi giudizi. Al giudice del merito, nel valutare la praticabilità del rinvio pregiudiziale, ed al Primo Presidente della Corte di cassazione, in sede di verifica di ammissibilità, viene richiesto un arduo giudizio oracolare, il quale prescinde dal singolo caso in esame e impone un calcolo prognostico su identici casi futuri[8]. Come già avvenuto con le riforme del giudizio di cassazione operate dal d.lgs. n. 40 del 2006, dalla legge n. 69 del 2009 e dal d.l. n. 168 del 2016, convertito nella legge n. 197 del 2016, si affida alla Suprema Corte il compito di stabilire ex ante se la pronuncia che si appresta a rendere è, o meno, destinata a precostituire un precedente per le generazioni future. E’, tuttavia, il giudice del caso seguente che decide se sussiste tra questo ed il caso pregresso quella identità di ratio che impone, o per lo meno consiglia, di fare buon uso del precedente. D’altro canto, l’art. 363-bis postula alla lettera soltanto che la questione “esclusivamente di diritto” possa “porsi in numerosi giudizi”, e cioè sia “ripetibile”, il che rispecchia, in verità, i caratteri di generalità ed astrattezza di ogni legge, la quale, appunto, ha di per sé destinatari indeterminati ed è suscettibile di essere applicata un numero indefinito di volte. La ripetibilità della questione non può, invece, mai supporre l’identità dei fatti. In un sistema come il nostro, l’astratta enunciazione o interpretazione di una regola di diritto contenuta in una pronuncia della Corte di cassazione non vale comunque a precostituire un precedente nel senso proprio degli ordinamenti di common law, questo consistendo, piuttosto, nell’applicazione data alla legge in relazione al fatto concreto oggetto di lite. L’ultimo comma dell’art. 363-bis precisa in proposito, come meglio si vedrà nelle prossime pagine, che il principio di diritto enunciato dalla Corte sia “vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione” (ed anche nel nuovo processo in cui, a seguito dell’estinzione di quello, sia riproposta la domanda”).
Per gli ulteriori “numerosi giudizi” in cui, invece, la questione oggetto del rinvio pregiudiziale dovesse porsi, la regola di diritto formulata in termini generali dalla Corte di cassazione servirà, invece, ad infittire la cortina dei precedenti dotati di efficacia persuasiva, ma è facile preconizzare che, nella pratica, essi si ergerà a norma universale passibile di applicazione deduttiva: potremo averne (ipotetici) vantaggi sotto il profilo della “calcolabilità giuridica” delle decisioni, ma per alcuni è facile presagirne anche i rischi correlati ad una (ennesima) deriva autoritaria e burocratica nell’esercizio della giurisdizione. Basti pensare al rilievo che la mancata conoscenza di un provvedimento che definisca una questione pregiudiziale potrebbe assumere ai fini della responsabilità civile nell’esercizio delle funzioni giudiziarie[9].
V. Il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione
Il Primo Presidente, ricevuta l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, verifica dapprima la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della questione, dichiarandone, in caso di esito negativo, l’inammissibilità con decreto. Tale provvedimento rivela, quindi, l’esercizio di una funzione presidenziale non meramente organizzativa, quanto “giurisdizionale”, che viene peraltro prevista come strumento di filtro nell’utilizzo di una nuova attribuzione della Corte, non impugnatoria, né, dunque, “cassatoria”, ma consultiva, e perciò, secondo alcuni, essa poi “non giurisdizionale” (G. Scarselli)[10].
All’eventuale declaratoria di inammissibilità adottata dal Primo Presidente farà seguito la restituzione degli atti al giudice a quo, e il processo di merito riprenderà mediante fissazione della successiva udienza, senza necessità che si proceda a riassunzione ai sensi dell’art. 297 c.p.c.
Se, viceversa, la questione appare ammissibile, il Primo Presidente assegna la stessa alle sezioni unite (è da ritenere nel concorso dei presupposti di cui all’art. 374 c.p.c.) o alla sezione semplice.
La disposizione sembra scritta nel senso che, passato il vaglio di ammissibilità presidenziale, la Corte pronunci (senz’altro) in pubblica udienza definendo la questione. E’ tuttavia sostenibile che la preventiva valutazione di “non inammissibilità” della questione, che il Primo Presidente compie, non preclude alla Corte, all’esito dell’udienza pubblica, di dichiarare con sentenza l’inammissibilità della stessa per carenza di alcuna delle relative condizioni, in quanto la delibazione del collegio non rimane vincolata dalla precedente valutazione ed anzi, in virtù della più ampia garanzia assicurata dalla pubblica udienza, si estende a tutti profili posti dalla questione (così ad esempio F. De Stefano).
L’art. 363-bis chiarisce che la Corte pronuncia in pubblica udienza, ipotesi che va quindi ad aggiungersi a quelle di cui all’art. 375, comma 1, c.p.c. E’ prevista la “requisitoria scritta” del pubblico ministero (che si segnala, oltre che per l’espressione più propriamente processualpenalistica, per la sua apparente obbligatorietà), mentre alle “parti costituite” è data “facoltà di depositare brevi memorie”. Il richiamo dei termini di cui all’art. 378 c.p.c. sembra da intendere generale (non oltre venti giorni prima dell’udienza per il pubblico ministero, e non oltre dieci giorni per le parti).
La facoltà di presentare le memorie è attribuita alle “parti costituite”, ma il procedimento delineato dall’art. 363-bis non contempla autonomi atti di costituzione dinanzi alla Corte di cassazione, nei quali poter eventualmente rilasciare altresì la procura speciale ad avvocato iscritto nell’apposito albo, ai sensi degli artt. 83 e 365 c.p.c., e ciò deve considerarsi anche ai fini della comunicazione dell’udienza e dello svolgimento delle difese in sede di partecipazione alla discussione orale. E’ vero che manca una norma sul modello dell’art. 47, comma 1, c.p.c. in tema di regolamento di competenza, ma appare coerente con la natura del giudizio ex art. 363-bis concludere che a tali attività sia legittimato il difensore della parte munito di procura speciale per il giudizio di merito (in tal senso, F. De Stefano; in senso opposto, A. Mondini).
La pronuncia in pubblica udienza stabilita dalla norma in esame suppone che la discussione si svolga ai sensi dell’art. 379 c.p.c. e che all’esito venga deliberata una sentenza, a norma dell’art. 380 c.p.c., la quale avrà il contenuto proprio di tale provvedimento ed enuncerà il principio di diritto, disponendo la restituzione degli atti al giudice, anche qui senza che si renda necessaria una riassunzione della causa davanti al giudice di merito su iniziativa di una delle parti.
VI. La prosecuzione del giudizio di merito
L’ultimo comma dell’art. 363-bis sancisce che il principio di diritto enunciato dalla Corte sia vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti[11].
Il vincolo del principio di diritto non riguarda, allora, soltanto il giudice che aveva disposto il rinvio pregiudiziale, ma l’intero procedimento, e quindi anche i giudici delle eventuali impugnazioni, ivi compresa la stessa Corte di cassazione successivamente adita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., la quale neppure potrà aderire, semmai, ad un nuovo orientamento giurisprudenziale che si sia formato sul punto.
La norma ricorda gli artt. 384, comma 2, e 393 c.p.c., in ipotesi di cassazione con rinvio per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, pur differenziandosene, in quanto il giudice del rinvio ex art. 392 e ss. c.p.c. deve uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre il giudice di merito cui gli atti vengano restituiti a seguito della pronuncia del provvedimento che definisce la questione oggetto del rinvio pregiudiziale potrà, sulla base di tale provvedimento, sia valutare i fatti già accertati, sia indagare su altri fatti, se gli sia tuttora consentito dal sistema delle preclusioni.
Paiono più nette le diversità tra l’art. 363-bis ed il principio di diritto nell’interesse della legge enunciato su richiesta del Procuratore generale o d’ufficio, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., non avendo quest’ultimo, come già si è accennato, alcuna efficacia per le parti del processo a quo.
In ciò sta il mistero del nuovo istituto: la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, adottata nel corso del processo di merito indipendentemente dalla definizione del thema decidendum e del thema probandum, è vincolante in esso ed il giudice ad quem deve trarre dalla fattispecie astratta enunciata dalla Suprema Corte la regola che decide la fattispecie concreta. Acquisisce una stabilità irreversibile, tanto nel processo pendente, quanto nel nuovo processo in cui venisse riproposta la medesima domanda, una questione di diritto che individua la sola sequenza logica fra norma ed effetto giuridico e che anticipa l’accertamento in essa sussumibile[12].
Analogamente a quanto avviene per l’efficacia del principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, la risoluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale potrà perdere la sua vincolatività se la norma da applicare risulti abrogata o modificata in conseguenza di ius superveniens, dichiarazioni di illegittimità costituzionale o sentenze della Corte di giustizia UE. Non inficeranno, invece, la stabilità della pronuncia ex art. 363-bis gli eventuali intervenuti mutamenti della stessa giurisprudenza di legittimità.
Strana, indubbiamente, è la sorte che attende il giudice del merito dopo la risoluzione del rinvio pregiudiziale. La questione di diritto, ricavata dalla norma che detta la disciplina degli interessi in conflitto in ordine ai beni oggetto di lite ed il complesso dei fatti che costituiscono ipoteticamente il fondamento della pretesa azionata in giudizio, dal cui verificarsi discende un determinato effetto giuridico, è, come detto, da intendersi definitivamente fissata dalla Corte di cassazione. Ciò avviene senza che la soluzione della questione investita dal rinvio pregiudiziale acquisti l’efficacia positiva del giudicato; non di meno, la sentenza della Suprema Corte contiene un principio di diritto che è incontestabilmente eretto a presidio della relazione strutturale tra la questione risolta e l’effetto giuridico oggetto del processo successivo, come anche dei giudizi fra le stesse parti in cui essa si presenti. La decisione del giudice investito dalla restituzione degli atti è chiamata unicamente a convalidare che quel fatto o complesso di fatti supposti dalla Corte di cassazione siano realmente accaduti, per poi calarli nella relazione fatto-effetto coperta da statuizione irretrattabile.
Si è ipotizzato che la vincolatività della pronuncia interpretativa della Corte di cassazione per giudici anche diversi da quello che ha sollevato la questione si pone in contrasto con il principio costituzionale per cui il giudice è soggetto solo alla legge (art. 101, comma 2 Cost.)[13]. Il dubbio potrà essere dipanato frugando fra i righi della sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 1970. Essa afferma che la Costituzione, legando il giudice alla legge, vuole assoggettarlo non solo al vincolo di una norma che specificatamente contempli la fattispecie da decidere, ma altresì all’efficacia di ciò che abbia “deciso altra sentenza emessa nella stessa causa”, che è quel che avviene nel sistema del rinvio dalla Cassazione. Ma ciò perché “l’efficacia della sentenza che dispone il rinvio è determinata dalla regola del non bis in idem, che porta, di necessità e a seconda dei casi, ad una preclusione, alla cosa giudicata o, comunque, ad un punto fermo nel processo di graduale formazione logica della pronunzia finale”. Il vincolo che il principio di diritto enunciato dalla Corte ai sensi dell’art. 363-bis determina per i giudici del procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione (o nei nuovi identici processi che seguano all’estinzione di quello) sarebbe, allora, costituzionalmente tollerabile se ci si convincesse che anche la nuova norma abbia “ritenuto conchiusa una fase del processo e immutabilmente fissato il punto di diritto deciso, con effetto limitato alla causa”. Si potrebbe sostenere che la pronuncia che risolve il rinvio pregiudiziale definisce l’oggetto del procedimento che prosegue, il quale si svolge “per riportare al fatto la regola che è stata rilevata, in modo che la sentenza della Corte suprema abbia un suo effetto concreto”.
Le parole che la Corte costituzionale adoperava nella sentenza n. 50 del 1970, tuttavia, si riferivano al processo di cassazione inteso non più come strumento “per la custodia di una legge avente vita in sé e per sé, per una pronunzia cioè data all’infuori di ogni interesse di parte e di qualsiasi riferimento a un caso concreto”, ma come “processo di impugnazione”, il quale per sua natura “riceve limiti da ciò che alle parti è consentito di destinare ad un riesame e dà limiti ai giudici che hanno competenza a pronunciarsi nel prosieguo della causa”. Quanti di questi argomenti, allora, si confanno effettivamente al rinvio ex art. 363-bis? Compare sfocata sullo sfondo di queste pagine una questione che davvero presenta gravi difficoltà interpretative e che non è stata ancora risolta da alcuno.
[1] Si segnalano, fra i primi commenti, F. Barbieri, Brevi considerazioni sul rinvio pregiudiziale in cassazione: il giudice di merito superiorem recognoscens, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 2, 369 ss.; A. Briguglio, Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Cassazione, in Judicium, 21 dicembre 2022; B. Capponi, È opportuno attribuire nuovi compiti alla Corte di Cassazione?, in Giustizia insieme, 2021, 19 giugno 2021; F. De Stefano, Riforma processo civile: il nuovo rinvio pregiudiziale interpretativo, in ilProcessocivile 24 gennaio 2023; M. Fabiani, Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione: una soluzione che non alimenta davvero il dibattito scientifico, in Riv. dir. proc., 2022, 1, 197 ss.; R. Frasca, Considerazioni sulle proposte della Commissione Luiso quanto al processo davanti alla Corte di Cassazione, in Giustizia insieme, 7 giugno 2021; C.V. Giabardo, In difesa della nomofilachia. Prime notazioni teorico-comparate sul nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione nel progetto di riforma del Codice di procedura civile, in Giustizia insieme, 22 giugno 2021; A. Mondini, Il rinvio pregiudiziale interpretativo, in Judicium, 27 dicembre 2022; G. Scarselli, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, in Giustizia insieme, 5 luglio 2021; E. Scoditti, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, in Questione Giustizia, 3/2021, 105 ss.; G. Trisorio Liuzzi, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in Judicium, 10 dicembre 2021.
[2] I primi commentatori escludono che il rinvio pregiudiziale sia esperibile dai giudici speciali; è invece controversa la praticabilità da parte dei giudici tributari (cfr. A. Briguglio; F. De Stefano; R. Frasca; A. Mondini).
[3] Si vedano, di recente, A. Spirito, Il giudizio civile di cassazione nel suo aspetto funzionale: ius constitutionis e ius litigatoris, in Il giudizio civile di cassazione, Collana I Quaderni della SSM, Quaderno 20, Roma 2022, 36; L. Lombardo, Passato e futuro della Cassazione civile (a cent’anni da “La cassazione civile” di Piero Calamandrei), in Riv. dir. proc., 2021, 3, 892 ss.
[4] Può essere utile ricordare che, secondo l’art. 2, comma 2-quater, della legge 24 marzo 2001, n. 89, ai fini del computo della ragionevole durata del giudizio presupposto, “non si tiene conto del tempi in cui il processo è sospeso”.
[5] Si assume, peraltro, che l’ordinanza di rinvio pregiudiziale possa essere revocata dal giudice di merito, in forza dell’art. 177 c.p.c., ovviamente prima che si pronunci la Corte (A. Briguglio). Tale conclusione appare plausibile, considerando che con l’ordinanza ex art. 363-bis il giudice di merito non esaurisce certamente la propria potestas iudicandi sulla causa dinanzi a sé, ed anche opportuna, allorché, ad esempio, quando ancora non sia stata attuata la verifica presidenziale di ammissibilità, la questione rimessa venga altrimenti “risolta” da una sopravvenuta decisione della Suprema Corte.
[6] Appare significativo notare che il d.lgs. n. 149 del 2022 ha tradotto con “questione non ancora risolta” il criterio della legge di delega che, invece, prevedeva che la questione, oltre a rivelarsi “di particolare importanza”, non dovesse essere stata “ancora affrontata dalla Corte di cassazione”. Il giudice di merito potrebbe, allora, rinviare alla Corte di cassazione una questione che questa abbia affrontato, senza tuttavia “risolverla”, o che semmai risulti “decisa in senso difforme dalle sezioni semplici”, così stimolandone la rimessione alla sezioni unite. Non sembra, viceversa, data facoltà al giudice di merito di sperimentare il rinvio pregiudiziale se “ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite”, come consentito alle sezioni semplici dall’art. 374, comma 3, c.p.c.
[7] A proposito dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., Cass. 22 febbraio 2018, n. 4366, ha affermato che integra l’orientamento della giurisprudenza Suprema Corte il precedente “quand’anche unico e perfino remoto, ma univoco e chiaro”.
[8] Questa condizione viene sinteticamente etichettata nei primi commenti come “serialità della questione”: ad esempio così A. Briguglio.
[9] Si veda Cass. sez. un. 3 maggio 2019, n. 11747.
[10] Si è osservato che i diffusi timori di un uso assai disinvolto del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici di merito sarebbero smentiti dalla costatazione dello scarso ricorso fatto all’omologo francese della saisine pour avis, la quale conta una decina di casi l’anno tra settore penale e settore civile, in particolare 131 casi di diritto civile dal 2010 al 2019 (F. Barbieri; B. Capponi).
[11] Questa efficacia limitata e rafforzata in rapporto al (solo) procedimento di rimessione segna una rilevante differenza rispetto all’omologo francese della saisine pour avis: F. Barbieri; F. De Stefano.
[12] Cfr. M. Fabiani.
[13] A. Mondini.