Intervista a Mario Palazzi, candidato al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022
di Michela Petrini
Mario Palazzi ha 55 anni e dall’ingresso in magistratura (D.M. 11.4.1995), tranne una breve parentesi di funzioni “fuori ruolo”, ha svolto sempre la funzione di pubblico ministero. Dal 2011 alla Procura di Roma, assegnato alla DDA, si è occupato con passione, con risultati apprezzabili in termini di esito dibattimentale, tra l’altro delle organizzazioni mafiose “autoctone”. In precedenza, ha svolto le funzioni requirenti in Ariano Irpino (dove è stato Procuratore f.f. per quasi un anno), in Perugia ed in Rieti, praticando ogni possibile settore dell’attività del pubblico ministero e confrontandosi continuativamente con le tematiche, anche diverse in ragione della dimensione degli uffici, dell’organizzazione, consapevole che l’idea di una “magistratura orizzontale” si declini attraverso l’impegno ed il contributo di tutti, non solo degli apicali. Per circa sei anni ha avuto anche esperienze fuori ruolo che gli hanno consentito di acquisire esperienza di confronto con altre professionalità e nuove conoscenze tecniche di grande utilità per l’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Un sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera il 15 maggio 2021 ha evidenziato come nel 2010 l’apprezzamento della magistratura da parte della opinione pubblica si attestava al 68%, mentre attualmente solo il 39% degli italiani dimostra fiducia nei magistrati ed il 12% preferisce sospendere il giudizio.
Ritieni che il rapporto di fiducia tra la magistratura e la società si sia incrinato solo a causa dello scandalo scoppiato in seguito ai fatti dell’Hotel Champagne o le ragioni di questa profonda crisi di credibilità dei magistrati siano da ricercare anche in alcune disfunzioni del servizio giustizia?
In quale modo il Consiglio Superiore può e dovrà operare per recuperare la stima dei cittadini e offrire un’immagine della magistratura che sia il più possibile aderente al modello delineato nella carta costituzionale?
Gli scandali che hanno colpito la magistratura in questi ultimi anni hanno indubbiamente inferto un duro colpo alla credibilità dell’istituzione e, come sempre accade in questi casi, colpendo indistintamente una categoria che, nella stragrande maggioranza dei casi, opera con rigore e passione.
Credo però che l’opinione pubblica sia condizionata non solo dagli interessati cantori delle nefandezze, molti dei quali attratti dalla possibilità di ridurre gli spazi di controllo di legalità, ma dalla risposta, in termini di efficienza, alla comune domanda di giustizia “quotidiana”, purtroppo gravemente condizionata dalla cronica carenza di organico, dalla evidente inadeguatezza di risorse e da una normazione processuale che a volte sembra scritta da chi non ha mai varcato la soglia di un’aula di giustizia.
Dobbiamo, come magistratura, “rialzare la testa”, rivitalizzando l’orgoglio della nostra funzione a tutela dei diritti e a difesa dei valori fondanti il nostro Stato; da un lato, poi, dobbiamo rivendicare la capacità che abbiamo sempre avuto di “fare pulizia” al nostro intento – altre categorie avrebbero reagito in modo ben diverso, certamente non estromettendo gli appartenenti indegni come noi abbiamo fatto – e dall’altro dimostrare, con l’abnegazione al lavoro che è il tratto caratteristico della stragrande maggioranza dei colleghi, che le inefficienze sono assai spesso a noi non imputabili, chiamando gli altri attori istituzionali alle loro responsabilità.
IL CSM ha un ruolo importante in questo processo. Le logiche e l’operato del futuro Consiglio Superiore devono altresì esprimere, con assunzione di responsabilità da parte di ciascun componente, lo stesso rigore morale che il cittadino correttamente rivendica nel magistrato che ritrova nell’aula di giustizia.
Ciascun magistrato dovrà essere messo in condizioni di verificare il rigore dell’agire consiliare consentendogli di conoscere tempestivamente tutti i passaggi procedimentali (calendarizzazione delle pratiche, tempistiche, attività istruttorie svolte, stato della pratica e infine esiti in commissione referente e in plenum) e le ragioni della scelta. E ciò potrà essere fatto solo rendendo il Palazzo dei Marescialli una “casa di vetro”. I magistrati, in quanto direttamente interessati all’azione consiliare potranno così controllare l’azione dell’organo consiliare che hanno contribuito a formare con il loro voto, conoscendo con tempestività le ragioni delle scelte consiliari, garantendo un controllo di legittimità orizzontale e “qualificato”, perché operato da parte di esperti, un freno “naturale” all’uso distorto delle funzioni di autogoverno.
In una stagione di riforme la magistratura sarà presente e come suo solito, in primo piano; non si utilizzi, però, la necessità del cambiamento per ridurre spazi di autonomia ovvero per conformare il magistrato secondo modelli incompatibili con l’assetto costituzionale: non ci staremo, ed il Consiglio che verrà dovrà alzare alta la voce se ciò dovesse essere necessario.
Il professore Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale, in più occasioni ha definito il CSM come un “organo fallito” che troppo spesso ha operato quale organo di autogoverno incapace di individuare i criteri di scelta dei magistrati e non, invece, quale scudo della tutela della indipendenza della magistratura.
Condividi tale severo giudizio? Più in generale, quali sono gli obiettivi e le sfide che dovranno essere affrontati dal prossimo Consiglio e quale contributo pensi di poter dare come candidato del gruppo Area Democratica per la giustizia?
Pure essendo stato mio illustre maestro, ancora una volta debbo dissentire dai più recenti giudizi tranchant del Prof. Cassese; non mi pare possa delinearsi, in un contesto di Stato democratico fedele alla propria Costituzione, un modello di autogoverno della magistratura che faccia a meno del Consiglio Superiore, a meno di non auspicare derive ungheresi o similari.
Certo, la vita del Consiglio in questi ultimi anni ha visto episodi e pratiche non commendevoli, ma il sistema ha i propri anticorpi, spetta all’impegno di tutti ed ovviamente in primis a chi si candida per parteciparvi, declinarli in modo convincente.
Come ho già detto, per riacquistare credibilità l’attività consiliare deve, innanzitutto, essere leggibile e verificabile da parte dell’intera comunità di magistrati. Nella società contemporanea dove tutto è tracciabile non sono più tollerabili pratiche che non hanno un responsabile del procedimento, che non sia possibile “seguire” nel loro andamento attraverso la consultazione del sito, che non si completino con una comunicazione istituzionale e non affidata a chi, dentro e fuori il Consiglio, si affanna a comunicare per mantenere una primazia utile per future occasioni elettorali.
In altri termini la medicina della trasparenza è efficacissima non solo per riconquistare la fiducia nell’istituzione, ma anche per sterilizzare ogni tentazione clientelare. Questa è, senza dubbio, una priorità.
Ma vi è di più: il Consiglio, proprio a difesa dell’istituzione che governa, deve migliorare la sua capacità di comunicare anche oltre la comunità di magistrati. Non penso unicamente alle pratiche a tutela, purtroppo negli ultimi tempi troppe volte necessarie, ma nella capacità di rappresentare all’esterno l’ottimo lavoro che la magistratura italiana svolge e, se necessario, censurare le eventuali risposte insufficienti degli altri attori istituzionali.
L’attuale circolare sulla organizzazione degli uffici requirenti, partendo dai principi costituzionali declinati negli artt. 105, 107, 108 e 112 cost. si ispira al criterio secondo il quale la disciplina dei profili organizzativi e la condivisione e partecipazione dei sostituti alle scelte del dirigente dell’ufficio è funzionale alla garanzia del rispetto dei principi costituzionali di esercizio imparziale ed obbligatorio dell’azione penale, della celerità del procedimento, dell’effettività dell’azione penale e del diritto di difesa.
Quale ruolo deve avere il Consiglio Superiore nel monitorare la corretta applicazione della predetta circolare? Ci sono, a tuo avviso, margini di miglioramento e spazi per ulteriori interventi di normazione secondaria?
Quello che è accaduto nella definizione dei criteri generali per l’organizzazione degli uffici del PM, dalla improvvida riforma normativa del 2006 fino alla circolare del 2020, dimostra ancora una volta quale debba essere il ruolo del Consiglio Superiore a tutela dell’assetto costituzionale della magistratura che lo individua come potere diffuso.
Il percorso approdato finalmente alla soddisfacente circolare del 2020, è stato indubbiamente irto di ostacoli, attraverso le tappe intermedie delle ancor timide risoluzioni del 2007 e 2009 e della migliorabile circolare del 2017.
L’ultima circolare è un notevole passo avanti. Il potere organizzativo del Procuratore deve essere discrezionale e non arbitrario e, comunque, sempre finalizzato a realizzare gli obiettivi e i principi di valenza costituzionale; in tale prospettiva la valorizzazione degli obblighi di motivazione, degli interpelli e della predeterminazione dei criteri di valutazione e più in generale del metodo partecipato per l’adozione del progetto organizzativo sono passaggi decisivi per migliorare la trasparenza dell’esercizio del potere organizzativo ed incentivare quell’idea di una magistratura orizzontale, valore insopprimibile ed impegno di tutti.
In questa prospettiva può salutarsi con favore la riforma Cartabia nella parte in cui prevede l’allineamento della procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure (per la più ragionevole durata di un quadriennio) con quella delle tabelle degli uffici giudicanti, prevedendo quindi una verifica da parte del sistema di autogoverno.
Desta, invece, preoccupazione la previsione dell’obbligo di trasmettere i progetti organizzativi al Ministro della Giustizia per le proprie “eventuali” osservazioni, disposizione eccentrica rispetto alle prerogative, con il rischio di interferenza del potere politico sull’esercizio della funzione giurisdizionale requirente: su questo punto la vigilanza del Consiglio dovrà essere massima.
Il 19 luglio 2022 hai partecipato ad una tavola rotonda organizzata dalla Camera penale di Perugia Fabio Dean” sul tema del bilanciamento tra presunzione di innocenza ed esigenze mediatiche.
La riforma attuata con il d.lg.vo 188 del 2021 detta regole rigide per disciplinare i rapporti tra le Procure e la stampa ed introduce nuove ipotesi di illecito disciplinare in caso di violazioni.
Ritieni che nello specifico settore della comunicazione degli uffici giudiziari lo strumento della sanzione disciplinare sia adeguato a garantire il rispetto della legge e, più in generale, credi che la scelta dell’ampliamento del catalogo degli illeciti disciplinari sia funzionale ad orientare correttamente l’esercizio della funzione da parte del singolo magistrato?
Ritengo che ad un problema serio, comune in tutte le democrazie occidentali, quello di un “ecologia” nella comunicazione giudiziaria, sia stata data una risposta sbagliata, con un approccio proibizionista e, facile previsione, del tutto inefficace.
Una società democratica dovrebbe preoccuparsi di aumentare gli spazi di informazione, non di ridurli e, per quanto ci interessa, vorrei ricordare che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che quindi l’informazione non è solo un diritto, ma una modalità di controllo della funzione giurisdizionale.
Certo, il problema è “come” informare, non se farlo. A me appare sorprendente – ma anche qui si muovono pulsioni indicibili – come tutta la discussione prima, la norma poi, ruoti attorno al presunto “strapotere” comunicativo delle procure, grande assente il mondo del giornalismo.
Qual è il criterio per stabilire che ricorrono specifiche ragioni di interesse pubblico per procedere alla diffusione di informazioni sui procedimenti penali? È immaginabile un’autorità giudice di tale interesse? Senza tema di essere smentiti, come afferma la raccomandazione Rec (2010)12 del Consiglio d’Europa, «i procedimenti giudiziari e le questioni relative all’amministrazione della giustizia sono di pubblico interesse».
Per non parlare, poi, della leva disciplinare introdotta in Commissione giustizia nella riforma Cartabia, senza alcun rispetto del principio di tassatività – l’ordito normativo pullula di avverbi che dovrebbero esercitare una funzione restrittiva come «esclusivamente», «strettamente», «solo», a dimostrazione della intangibilità del precetto – con il solo effetto di incentivare esposti non indifferenti ed emulativi nei confronti dei magistrati del pubblico ministero di cui ci si voglia sbarazzare.
Il tutto senza considerare come, di converso, condotte realmente rimproverabili, da parte di magistrati, in tale settore siano state già censurate in passato sulla base della più tranquillizzante disposizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. g) D. Lgs. n. 109/2006.
I prossimi anni saremo impegnati in due grandi sfide: il raggiungimento degli obiettivi del PNRR tramite l’Ufficio del Processo e l’attuazione della riforma ordinamentale.
Il presidente Giuseppe Santalucia, in occasione dell’introduzione all’Assemblea generale dell’ANM del 30 aprile 2022, ha sottolineato l’esistenza del rischio di creare un modello di magistrato burocrate, pauroso, preoccupato delle statistiche e della produttività e poco attento alla qualità del servizio ed ha ricordato che “noi vogliamo ribadire la vocazione altamente professionale della magistratura italiana che sta scritta in Costituzione”.
Quale ruolo avrà il Consiglio nella concreta attuazione delle riforme e come potrà al contempo garantire le prerogative costituzionali e la dignità professionale della magistratura?
Noi magistrati siamo i primi ad essere consapevoli dello stato di crisi in cui versa la Giustizia in Italia, ma non siamo disposti ad assumere il ruolo di una specie di sig. Malaussène, per cui la colpa delle inefficienze è sempre e solo nostra.
Dico questo perché i toni che sono stati assunti durante la recente campagna referendaria sulla giustizia erano espressione, all’evidenza, di uno spirito di rivalsa figlio di antichi e mai sopiti conflitti tra politica e magistratura che, cogliendo le debolezze di quest’ultima – anche a fonte ad una opinione pubblica non solo frastornata dall’inaccettabile scandalo dell’hotel Champagne, ma che proprio dalle inefficienze riceve quotidiano danno – mira ad un drastico ridimensionamento del controllo giudiziario sulle condotte illegali.
Questo, però, non vuole dire che non vi debba essere una stagione di riforme a cui vogliamo contribuire con il massimo sforzo e con spirito costruttivo.
Sul versante operativo è indubbio che L’Ufficio per il processo rappresenti una grande opportunità che chiama non solo i dirigenti, ma i magistrati tutti, ad un modello culturale di giudice molto diverso da quello attualmente esistente, capace di organizzare il lavoro altrui, non solo di essere un ottimo conoscitore della materia giuridica della quale si occupa.
È indubbiamente presto per trarre prime conclusioni, a fronte poi di una situazione degli uffici giudiziari molto diversificata; debbo segnalare, però, che in molte realtà il primo e non secondario problema sia stato la cronica carenza di spazi idonei e sufficienti per la collocazione degli addetti all’UPP in luoghi che consentano un loro continuo e diretto contatto con i magistrati a fianco dei quali essi dovranno operare: l’edilizia giudiziaria continua ad essere una emergenza a cui finora non è stata data risposta adeguata.
L’abbattimento dell’arretrato è sì la priorità a cui dovrà contribuire l’UPP, ma credo che l’aspetto ancora più innovativo potrà essere la possibilità di implementare servizi trasversali, dal monitoraggio statistico alla digitalizzazione, dalla raccolta degli indirizzi giurisprudenziali e banca dati per il settore civile e per il settore penale al supporto alla tenuta degli albi periti e CTU, ecc., in altri termini strumenti che possano contribuire non solo in termini di celerità alla risposta di giustizia ma anche quale supporto al mantenimento di alti standard qualitativi.
Il CSM avrà il compito di intercettare le migliori prassi e diffonderle, ma al contempo individuare le criticità collegate alla carenza di risorse strumentali operando una continua interlocuzione con il Ministero con spirito collaborativo ma senza sconti.
Il profilo delle riforme ordinamentali è quello, invece, che preoccupa di più, e ritengo ancora valide le ragioni dello sciopero indetto dall’ANM, ben sintetizzate nelle parole del Presidente Santalucia; sui pericoli evidenziati il Consiglio dovrà rappresentare un leale ma fermo interlocutore del legislatore delegato.
Gli ultimi accadimenti politici aggiungono, poi, una preoccupazione in più. Siamo sicuri che si darà corso alla delega già approvata oppure una nuova maggioranza intenderà forzare maggiormente verso un modello di magistratura ancora più lontano da quello delineato dal costituente? Io spero di no, ma se così non fosse, ancor di più il Consiglio dovrà rappresentare il principale usbergo a difesa di prerogative che non sono certo del singolo magistrato ma nell’interesse della intera collettività.